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14 gennaio 2013 - 3 Shevat 5773
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Adolfo Locci, rabbino capo
di Padova

"E porrò una distinzione/liberazione tra il Mio popolo e il tuo popolo, per domani si verificherà questo segno." (Shemot 8:19) Rabbì Chayym Yosef David Zazuly, sottolinea il possibile significato alternativo della parola "ot" ("lettera") in relazione alle parole "pedut" (distinzione/liberazione) che nella Torà è scritta in forma difettiva (senza la waw "פדת") e "machar" (domani/futuro). La liberazione dalla schiavitù in Egitto, avvenuta per volere divino ma per mezzo di esseri umani, non è completa perché dopo di essa ci saranno altre oppressioni. Per "un domani" ci sarà questo segno/lettera, cioè ci sarà quella lettera waw - ora mancante - che indicherà la redenzione completa פדות, che avverrà per intervento diretto dell'Eterno. "Israel nosha' baHashem teshu'at 'olamim lo tevoshu velà tikalemù 'ad 'olemè 'ad - Israele verrà redento dall'Eterno con salvezza perenne, non sarete svergognati né sarete umiliati per tutta l'eternità (Isaia 45:17).

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Tra oggi e domani, altre trentasei pietre d'inciampo saranno collocate a Roma a segnalare la casa da cui è partito un deportato. Sempre più ogni anno quest'iniziativa, al tempo stesso storica ed artistica, si allarga e si radica nella mentalità collettiva. La pietra d'inciampo vuole essere un richiamo alla memoria fortemente ancorato allo spazio, e in modo specifico al luogo segnato nella storia dall'evento della deportazione. Come il binario Ventuno, alla Stazione Centrale di  Milano, da cui partivano i treni per Auschwitz, che sta diventando un Memoriale. La necessità di ancorare la memoria ad un luogo non è naturalmente esclusiva di queste espressioni,  basti pensare ad Auschwitz, ma adempie certamente ad una funzione che mi pare in qualche modo successiva al compimento dell'elaborazione della memoria, un canale, insomma, per riportarla nei binari della storia. Che siano in fondo questi, i luoghi, in quanto  testimonianze mute ma tanto più significative, a subentrare ai sopravvissuti e alla loro testimonianza? Che a tramandare la storia della Shoah siano, oltre alle memorie e alle storie, questa fitta rete di luoghi che reimmette nella nostra quotidianità di oggi gli orrori di un passato sempre più lontano nel tempo?

davar
Qui Roma - Nuovi segni di Memoria sulle nostre vie
Inizia con la riparazione di un'infamia – la riapposizione del sampietrino in memoria di Augusto Sperati, recentemente divelto e sostituito da ignoti – la quarta edizione delle stolpersteine, le pietre d'inciampo in ricordo delle vittime della persecuzione e dell'odio nazifascista. Due giorni di grande intensità e decine di cerimonie in tutta Roma. L'avvio delle operazioni questa mattina al civico 38 di via Garibaldi dove Gunter Demnig, l'artista tedesco ideatore delle stolpersteine, ha impresso nel marciapiede trasteverino la pietra per l'ex falegname oppostosi al regime, deportato a Mauthausen e successivamente assassinato al castello di Hartheim. Presenti, tra gli altri, alcuni discendenti di Sperati e la coordinatrice del progetto Adachiara Zevi.
Operazioni concentrate, quest'oggi, nel primo municipio. Da via Arenula a piazza Mattei, da via Catalana al Portico d'Ottavia. In via Arenula centinaia di persone raccolte attorno a Demnig per la recitazione di un kaddish alla presenza di numerosi alunni della scuola ebraica e dell'Istituto comprensivo Fratelli Bandiera. In piazza Campo dei Fiori, dove è stata onorata la memoria di Claudio Piperno, ucciso a 21 anni, presenti il viceambasciatore tedesco in Italia e il direttore del Goethe Institut.
Struggente, tra le altre, la testimonianza di Alberto Tagliacozzo in ricordo di suo padre Pacifico, la cui memoria è oggi affidata alla pietra posta in via Santa Maria del Pianto di fronte all'abitazione in cui visse. È la sera del 29 marzo del 1944 quando, con la famiglia riunita a cena, bussano alla porta. I fascisti con un trucco si fanno aprire e prelevano a forza Pacifico, che non farà più ritorno. “Due giorni e avrei compiuto due anni. Guardo una foto di mio padre – afferma Alberto – ma non conosco il suo viso. Ha giocato con me? Mi sorrideva? Non ricordo”.
Nel pomeriggio, momento tra i più attesi, l'incastonatura a terra di una pietra per il partigiano Gioacchino Gesmundo, protagonista della Resistenza romana barbaramente trucidato alle Fosse Ardeatine. L'appuntamento è alle 17.30 in via Licia 56.

as - twitter@asmulevichmoked

Israele al voto - Quando la religiosità è trasversale
Spesso affrontando la realtà della politica e della società israeliana, si tende a dipingere lo Stato ebraico come un paese semplicemente spaccato in due fra religiosi e laici. Alcune tendenze sono oggettive, come la crescita demografica della popolazione haredì, o il peso politico che tradizionalmente hanno assunto i partiti di dichiarata ispirazione religiosa nel Parlamento israeliano, complice anche il sistema elettorale proporzionale puro (sbarramento solo al 2 per cento). Ma a caratterizzare quella che, se verranno confermate le previsioni del quotidiano israeliano Haaretz, sarà “la Knesset più religiosa di tutti i tempi”, sarà un altro fattore: la trasversalità. Come riportato da Haaretz infatti, la prospettiva di “circa un quarto dei deputati che si richiamano all’ortodossia nelle sue varie anime” non è soltanto una conseguenza della crescita consenso verso i partiti religiosi (e qui non si può non citare Habayit Hayehudì, la Casa ebraica di Neftali Bennet, che gli ultimi sondaggi proiettano come terzo partito dopo il blocco Likud-Beytenu e il Labor, seguito a ruota dallo Shas), ma a una scelta di proporre candidati che abbracciano i valori della tradizione ebraica nella propria vita quotidiana che attraversa le compagini più diverse nell’arco politico (per esempio Hatnua di Tzipi Livni propone al quarto posto il generale modern orthodox Elazar Stern, mentre Yair Lapid colloca al secondo posto in lista il rabbino Shai Piron).
Il risultato però non è stato quello di proiettare nell’agenda elettorale la questioni legate al ruolo della religione nella società in un ruolo di primo piano. Anzi, lo sforzo dei partiti è quello dimettere in campo un approccio inclusivo e non settario, di proporre un’offerta politica per parlare al maggior numero possibile di cittadini (ha fatto per esempio notizia la scelta di Habayit Hayehudì di proporre nelle proprie liste la prima candidata laica, Ayelet Shaked). Allo stesso modo sono pochi i politici che propongono l’osservanza religiosa come punto qualificante del proprio impegno. Tanto più che sulle questioni legate al rapporto tra Stato e religione esistono visioni profondamente diverse nello stesso mondo ortodosso, come si è dimostrato a proposito della questione dell’arruolamento dei haredim, dove nell’ambito del mondo rabbinico si va dalla completa opposizione a chi ritiene che invece prestare servizio nell’esercito di difesa israeliano rappresenti un dovere imprescindibile.

Rossella Tercatin twitter @rtercatin

Un numero e una maglietta. Ecco come Inter e Bologna
hanno scelto di ricordare l'indimenticabile Arpad Weisz
Un numero che rappresenta un mondo: 18 che con le lettere ebraiche, tutte dotate di valore numerico, si può scrivere chai (lettera chet + lettera iod), cioè vita. Nel segno di questo numero le squadre di Inter e Bologna celebreranno, in occasione dell’incontro valido per i quarti di finale di Coppa Italia, Arpad Weisz, l’allenatore ebreo ungherese che dopo averle portate entrambe a successi e trofei negli anni Trenta, fu costretto a lasciare l’Italia in seguito alle leggi razziste del 1938 e morì ad Auschwitz con la moglie e i due bambini. L’iniziativa di dedicare la partita a Weisz è stata lanciata dall’associazione bolognese W il calcio , e ha raccolto subito l’adesione dei due sindaci, Giuliano Pisapia e Virgilio Merola, oltre che delle due società. Nerazzurri e rossoblù dunque hanno pronta una maglia per ricordare il loro mister proprio con il numero 18. Mentre le due squadre scenderanno in campo per l'incontro a San Siro in programma martedì 15 gennaio indossando una T-shirt con l’immagine di Weisz per lanciare un messaggio forte, no al razzismo, no a qualunque forma di intolleranza. Perché la Memoria del passato non sia vana.

rt 
Qui Roma - Una cosa da niente
Dodici racconti uniti da un concetto comune: “indifferenza”. L'indifferenza che accompagnò l'emanazione delle leggi razziste del '38 all'indomani delle quali cittadini dello Stato persero i diritti civili, padri di famiglia il lavoro, giovani studenti la possibilità di andare a scuola, singoli divieti che all'occhio superficiale e disattento potrebbero anche sembrare banali, ma con delle ripercussioni catastrofiche nella vita delle persone che li subirono e che vengono esaminati - ciascuno in un racconto - nel libro di Mario Pacifici “Una cosa da niente”. Del volume si è discusso ieri pomeriggio alla sala Margana con il rabbino capo rav Riccardo Di Segni; Donatella Di Cesare, professore ordinario di Filosofia teoretica della Sapienza di Roma; lo storico Marcello Pezzetti, direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah; il professor Lamberto Perugia, ortopedico; Renato Caviglia, medico gastroenterologo intervenuto in rappresentanza della sezione romana dell'Associazione Medica Ebraica (che ha promosso l'evento assieme al Centro di Cultura ebraica, il Benè Berith, l'Ospedale Israelitico e la Libreria ebraica Kiryat Sefer) e l'artista Georges de Canino che ha dato lettura di alcuni brani del libro. Moderatore dell'incontro Federico Ascarelli. Fra il numeroso pubblico intervenuto in sala anche il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici.
Già nell’introduzione Pacifici ci ricorda il trauma subito dagli ebrei italiani quando l’emarginazione razziale divenne Legge, quello che fu più assurdo - ha sottolineato l'autore - fu la reazione dell'intera società italiana. “Ci fu soltanto silenzio”.
“Ho ascoltato un'intervista a Vittorio Emanuele - spiega Pacifici - Il capo della dinastia dei Savoia riteneva di non doversi scusare con la comunità ebraica per le leggi razziste firmate dal nonno. Le ragioni? All'epoca lui era solo un bambino e poi quelle leggi erano state poca cosa. Nessuno aveva torto un capello agli ebrei in forza di quelle leggi. Ne fui indignato ma mi resi conto che l'erede dei Savoia non era il solo incapace di comprendere la tragedia che quelle leggi rappresentarono per gli ebrei e di cogliere la valenza propedeutica che esse ebbero per la successiva deportazione e lo sterminio. Fu a quel punto che cominciai a scrivere i racconti”. A spingere Pacifici è quindi questo vuoto di consapevolezza riguardo alle leggi razziste, il fatto che la gente non avesse una precisa consapevolezza del dramma che hanno procurato all'interno della comunità ebraica, un racconto “dal didentro” per esprimere come sono state vissute dai diretti interessati.
“Ho pensato che il format del racconto fosse il più indicato a trasmettere ai lettori la consapevolezza del dramma economico morale e sociale in cui le leggi precipitarono la minoranza ebraica in Italia - prosegue - e anche quello più indicato a mettere in luce la indifferenza con cui le leggi furono accolte dalla società italiana, spesso più orientata al meschino tornaconto che alla solidarietà. Un romanzo non mi avrebbe consentito di presentare con altrettanta forza i diversi aspetti delle leggi”.
Mario, quale è il messaggio che vorresti fosse trasmesso attraverso la tua penna?, gli chiediamo. "La consapevolezza. Gli italiani, a differenza di quanto faticosamente hanno fatto i tedeschi, non hanno mai affrontato il tema della Shoah e della discriminazione con il coraggio e l'onestà necessari. Le leggi sono state attribuite al Regime e questo ha consentito una plenaria assoluzione della società nel suo complesso. I miei racconti cercano di ristabilire la verità storica e di offrire una chiave di lettura più onesta. Per questo vorrei che entrassero nelle scuole e raggiungessero il mondo dei giovani, dei nostri figli dei nostri nipoti. Solo loro possono scrivere una nuova pagina di comprensione fra le diverse componenti della società, costruendo relazioni basate sul rispetto, sulla reciproca comprensione e sul rifiuto di pregiudizi e stereotipi.

Lucilla Efrati - twitter @lefratimoked

pilpul
In cornice - Amore e Psiche
daniele liberanomeSi è appena chiusa a Palazzo Marino Milano, l’esposizione di due statue neoclassiche provenienti dal Louvre dedicate al soggetto mitologico di “Amore e Psiche”. Le code, anche l’ultimo giorno, erano davvero impressionanti, nonostante la lunga attesa al freddo.  Ovvio, mi si dirà, l’ingresso era gratuito! Invece questo comportamento da parte del pubblico non è scontato. Al British Museum non si paga all’ingresso dei musei, mentre al Louvre si, eppure il risultato è lo stesso: una calca gigantesca attorno ai capolavori più noti, e decisamente meno interessare altrove. Le proporzioni sono simili con o senza l’ingresso gratuito. Conta assai di più la buona pubblicità e il livello delle opere esposte: in questo caso, almeno la scultura di Canova (datata 1788) impressiona oggi per tecnica sopraffina, per lo strano connubio fra movimento (le figure si trovano in posizione niente affatto statica) e staticità (il bianco del marmo fissa le immagini). Eppure ai suoi tempi, questa scultura aveva un carattere rivoluzionario, un impatto dirompente sul pensiero corrente. Invece delle donne frou-frou alla Fragonard che fanno il verso alla Marchesa di Pompadour e alla cultura salottiera della Versailles in decadenza, Canova e il neoclassicismo miravano a riscoprire la cultura classica e i suoi ideali puri e alti che furono il motore della Rivoluzione Francese (non dimentichiamo che il più estremista dei rivoluzionari, Babeuf, si faceva chiamare Gracchus). Quelle opere trasmettono quindi un ideale politico, ma in modo discreto e profondo, tutto il contrario di quel che vediamo in questi giorni di campagna elettorale.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for two - Una pagina bianca, due mani sulla tastiera
Era una notte buia e tempestosa quindi, seguendo l'esempio del mio life coach Snoopy, decisi di scrivere. Un tea for two precisamente. Indossai i miei orecchini migliori, perché un po' di glamorous ci vuole sempre, anche quando ai piedi hai delle pantofole con gli animali della fattoria stilizzati. Abbandonai poi il passato remoto perché rende il periodare un po' indigesto. Si pone a questo punto una scelta: quale tema trattare? Potrei incagliarmi in una lunga descrizione della mia vita, avallando un egocentrismo fin troppo praticato. Ohh dacci un taglio, non sei mica Kate in dolce attesa o Fabrizio Corona single. Scartata questa ipotesi comincio a dare una occhiata alla mia libreria, frutto di pomeriggi di shopping onnivoro e 'carte più' strisciate per racimolare qualche misero sconto. Krauss, Segal, Safran Foer, Tammuz, Gombrich, Richler: c'è da dire che l'ebraismo ha un tantino deviato i miei acquisti. Forse potrei scrivere di loro, del nostro incontro nella fioca luce dell'abat-jour, della commozione nel ritrovarmi descritta in una forma migliore, del ballare con le parole, scoprire il ritmo segreto che le governa e che dopo averle fatte danzare nella testa del lettore le fa tornare tutte magicamente al loro posto. Ma sicuramente c'è chi può farlo meglio di me. E in terza pagina. A questo punto non resta che tornare al tema ben noto, da sempre il porto sicuro: i sentimenti. Appiccicaticci, melensi, stillanti zucchero fuso. Sarebbe carino parlare di come in piena campagna elettorale è uscito allo scoperto l'amore tra la giornalista israeliana (un vero osso duro) Geula Even e il ministro Gideon Sa'ar. Lei davvero un bel tipetto, lui con la tipica faccia da politico 'sono un bravo ragazzo che piace tanto alle mamme'. Davvero i lettori si perderanno nelle pieghe di questo love affair sabra style? Ecco allora l'ultima possibiltà: interagire con gli altri columnist, arrabbiarmi per qualcosa, iniziare un reality virtuale, effettivamente una delle dinamiche più calde e intelligenti di questo portale. "Francesca Matalon smettila di prodigarti per gli antichi, io studentessa di lettere moderne faccio parte del team romaniticherie ottocentesche, nevrosi del novecento". Mmm ma forse questo dibattito è un tantino datato. Non resta che la solita vecchia tattica: accendere il portatile, indossare gli orecchini mgliori (al momento un paio brillantinosi, dopo la tragica perdita di quelli a forma di biscotto) e buttarsi. Tuffarsi di testa in un vortice di parole, di pensieri intricati, di letture sabbatiche. Improvvisare e sperare di sfangarla almeno questa volta. Perché niente amo di più di una pagina bianca, due mani che corrono sulla tastiera e la consapevolezza di non sapere assolutamente dove andranno a finire.

Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2


notizie flash   rassegna stampa
Qui Roma - La fafalla impazzita
  Leggi la rassegna

Proseguono gli appuntamenti dedicati alla Memoria. A Roma, tra i più attesi, la presentazione del volume La farfalla impazzita. Dalle Fosse Ardeatine al Processo Priebke (Giuntina) questa sera alle 20.30 al centro comunitario di via Balbo. Ad intervenire Riccardo Pacifici, Anna Foa, Antonio Intelisano e Giovanni Maria Flick. Letture di Amanda Sandrelli.


 

Progettualità e impegno trasversale di comunità ebraiche e istituzioni per la realizzazione di due importanti opere museali.



















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