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18 gennaio 2013 - 7 Shevat 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 
  

La parashà di Bo è la parashà dell'uscita dall'Egitto, la parashà della matzà che rappresenta la fretta con cui si esce dall'Egitto: perché in Egitto il popolo ebraico rischia di scomparire. Il midrash paragona il popolo ebraico a un embrione nel ventre della madre. L'embrione non ha un'identità propria, non c'è distinzione fra lui e la madre. È una rappresentazione molto efficace dell'assimilazione. Negli ultimi tempi stiamo assistendo a una rivalutazione positiva di stampo vagamente ottocentesco dell'assimilazione. Nell'affrontare questo argomento sarebbe opportuno ricordare che per la tradizione ebraica l'assimilazione portata alle estreme conseguenze significa annullamento e sparizione.

Gadi
Luzzatto Voghera,
storico



gadi luzzatto voghera
Purtroppo i numeri promettenti che comparivano nelle statistiche sull’immigrazione in Italia non hanno retto a un vaglio più approfondito. I criteri di raccolta delle informazioni sulla religione degli immigrati in Italia risultano poco attendibili e ancor più confuse risultano le indicazioni sulle loro provenienze geografiche. Poco male, la questione rimane, anche se non abbiamo a disposizione statistiche credibili. Quando nei numerosissimi incontri pubblici che ogni anno si accavallano sono costretto a rispondere alla solita domanda: “ma in Italia quanti ebrei ci sono?”, non posso in coscienza limitarmi a rispondere con la formula classica: “gli iscritti alle comunità sono circa 25.000”. Non posso perché non è sufficiente, perché non spiego nulla. In primo luogo so per certo che gli ebrei iscritti alle comunità in Italia sono solo una parte degli ebrei che risiedono nella Penisola. Ma, cosa più grave, mi trovo nell’imbarazzante situazione di non sapere – perché non ci sono dati certi – chi sono gli ebrei non iscritti, dove vivono, in quale gruppo ebraico si riconoscono, quanti sono. Non sono certo che si tratti di un problema solo italiano (anche se l’organizzazione “territoriale” delle nostre comunità gioca un ruolo fondamentale in questo caso), ma so che abbiamo un problema. Ed è un problema, credo, soprattutto di mentalità. Le comunità ebraiche in Italia sembrano non aver capito che l’iscrizione in se non compendia l’ebraicità di un individuo. Mancano sforzi visibili per andare a ricercare e individuare nei propri territori di competenza realtà che sfuggono totalmente alle categorie di comunità che generalmente abbiamo in testa. Ho fatto l’esempio la settimana scorsa dei lettori del settimanale russo/tedesco “Evreyskaya Gazeta”, ma che ne sappiamo noi degli ebrei turisti stanziali che comprano casa nelle grandi città d’arte Venezia, Firenze, Roma? E ci interessiamo ai soldati statunitensi di base a Vicenza, a Pisa, a Napoli o in Sicilia? E degli studenti? Quel che manca, mi pare, è una vera e propria attenzione politica alla questione dell’immigrazione ebraica in Italia. Ad essa, sostituiamo le periodiche lamentazioni sulla nostra esiguità demografica e sulla nostra sparizione in tempi brevi. Amen.

davar
Qui Firenze - La letteratura di fronte alla deportazione
L'impatto e il ruolo che il 16 ottobre 1943, giorno della retata nazifascista nel vecchio ghetto ebraico di Roma, ha avuto nella letteratura italiana. È in questa prospettiva che si inseriscono le riflessioni di Alberto Cavaglion, tra i responsabili del coordinamento scientifico e organizzativo del grande convegno internazionale Dopo i testimoni che si è chiuso oggi a Firenze. “Studiare il ruolo che il 16 ottobre ha avuto nella letteratura italiana – afferma l'intellettuale e storico torinese – vuol dire innanzitutto ripercorrere una conversazione a forma di triangolo”. Tre i flussi biunivoci: Saba-Debenedetti, Saba-Morante e Debenedetti-Morante. Vertice di questa costruzione Saba, “che di luce propria o per specchiato sembiante condizionerà il cammino altrui”. Le tre narrazioni hanno un rilievo anche prese singolarmente ma, afferma Cavaglion, “i carteggi e i saggi che uno dedica all'altrui lavoro non sono meno significativi e il gioco di rimandi inconsci, nelle due direzioni di marcia, rivela non poche sorprese”. Il suo intervento si inserisce nel denso panel sul racconto della Shoah svoltosi ieri pomeriggio alla facoltà di Lettere e Filosofia. Tra i protagonisti la presidente di sessione Ida Zatelli, soffermatasi sul tema della trasmissione della memoria nel racconto biblico con specifica attenzione semantica ai termini 'zakar' e 'zikkaron'; Massimo Giuliani, che ha parlato di testimonianza come resistenza al Male sviluppando un ragionamento dalla celebre massima elaborata dal filosofo Emil Fackenheim: “la logica nazista era irresistibile e tuttavia vi fu chi resistette”; Aldo Zargani, autore di un resoconto sul percorso di una vita “nel tentativo di comprendere le trasformazioni del mio stesso pensiero indotte dalle testimonianze, dagli studi e persino dalle mitologie della Shoah”; Asher Salah, che ha passato in rassegna la presenza della Shoah nel giovane cinema israeliano. La sua presentazione è partita da un paradosso: degli oltre 700 lungometraggi realizzati in Israele dal 1948 a oggi soltanto cinque sono ambientati nell'Europa della seconda guerra mondiale. Eppure, malgrado questo esiguo e sorprendente dato statistico, sostiene Salah, “non è esagerato sostenere che buona parte dell'immaginario cinematografico israeliano si sia costituito intorno all'elaborazione del trauma della Shoah, che ha lasciato tracce, spesso oblique ma determinanti, anche in film che trattano temi e personaggi non direttamente attinenti al genocidio”. Questa mattina, nell'aula magna del dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo di via San Gallo, ultimo atto del convegno con tema la “ricostruzione” della memoria presieduto da Ugo Caffaz, responsabile per Regione Toscana delle iniziative legate al Giorno della Memoria. Ad offrire una prima chiave di lettura Elena Mazzini capace, attraverso una carrellata sui principali monumenti e memoriali delle deportazioni realizzati in Italia, di stimolare nel pubblico una riflessione sulle scelte intraprese in questo senso a partire dall'immediato dopoguerra. Scelte innanzitutto linguistiche, cose dette e non dette, messaggi palesi e messaggi latenti, specchio di un processo di elaborazione della Shoah e delle responsabilità del regime fascista che ha conosciuto varie e diversificate fasi. Di grande interesse anche le relazioni di Gianluca Gabrielli e Alessandra Minerbi, dedicate entrambe alle specificità (e criticità) dell'insegnamento scolastico in Italia. Sempre alla scuola, ma con riferimento all'esperienza francese e ai proficui ponti di collaborazione già in atto con il nostro paese, l'intervento di Laura Fontana del memoriale della Shoah di Parigi. Ha chiuso i lavori una lezione di Elisabetta Ruffini sulla deportazione e i campi di sterminio nelle immagini fotografiche e nell'immaginario collettivo.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

Viaggio della Memoria 2013 - Resoconto in diretta
attraverso il profilo Twitter di Pagine Ebraiche
Zakhor. Ricordare. Ma ricordare grazie all’impegno, allo sforzo profuso nel non dimenticare, non nel senso di una passiva registrazione di dati nella mente. È questa la parola che la redazione del Portale dell’ebraismo italiano Moked e di Pagine Ebraiche ha scelto come hashtag, come “etichetta” per la copertura degli eventi proposti in occasione del Giorno della Memoria sui suoi profili sui social network. E in particolare, i lettori avranno nei prossimi giorni la possibilità di seguire il Viaggio della Memoria organizzato dal ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane attraverso il profilo twitter @paginebraiche, hashtag #Zakhor appunto.
Un viaggio cui prenderà parte il presidente UCEI Renzo Gattegna e con lui il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo, il ministro della Giustizia Paola Severino, il presidente della Rai Annamaria Tarantola e oltre 130 studenti delle scuole superiori di tutta Italia distintisi nella realizzazione di attività e progetti dedicati alla memoria della Shoah. Al loro fianco i Testimoni Sami Modiano e le sorelle Andra e Tatiana Bucci accompagnate dallo storico Marcello Pezzetti.
Potete seguire Pagine Ebraiche su twitter cliccando qui oppure sulla finestra live di moked.it

Israele al voto - Le elezioni al tempo dei social network
A consacrare il ruolo dei social network nelle campagne elettorali è stata senz’altro la recente riconferma alla Casa Bianca di Barack Obama.
A Milano per un convegno al’Università statale, il responsabile dell’integrazione e dell’innovazione della campagna di Obama Michael Slaby ha spiegato l’enorme opportunità messa a disposizione dal “secondo cerchio di Facebook”: offrire, attraverso la pagina fan del presidente, contenuti che i suoi supporter fossero ispirati a condividere sulle proprie bacheche, raggiungendo così tutti i loro amici, praticamente l’intera popolazione americana. A questa strategia, si è aggiunta l’opportunità di inviare agli utenti una pubblicità mirata alle loro caratteristiche personali, età, provenienza geografica, interessi.
Quanto di queste novità ha contagiato la campagna elettorale israeliana? Se gli osservatori concordano sul fatto che oggi i social network siano la piazza in cui essere presenti, non tutti i politici sembrano aver bene digerito il modo in cui concepire questa presenza. Secondo le ultime statistiche pubblicate dalla piattaforma Socialbakers, sono su Facebook quasi 3 milioni e 800 mila israeliani, circa la metà della popolazione totale. Tra le pagine più popolari legate alla politica vengono segnalate quella dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu, dell’astro nascente di Habayit Hayehudì Naftali Bennett, del leader di Yesh Atid Yair Lapid e di Shelly Yachimovich alla guida del Labor. Interessante notare come degli oltre 400 mila fan di Netanyahu, circa la metà sono utenti esteri, mentre la quasi totalità dei supporters di Bennet, Lapid e Yachimovich (rispettivamente 149 mila, 112 mila e 77 mila) sono israeliani (non segnalata da Socialbakers, ma presente sulla piattaforma di Zuckerberg anche una pagina dedicata a Tzipi Livni, con oltre 51 mila fan).
E tuttavia, secondo un’inchiesta del quotidiano Yedioth Ahronoth riportata da Haaretz, questi numeri, che potrebbero apparire come il modo più immediato di misurare i consensi e gli umori dell’elettorato israeliano, andrebbero presi con le pinze. Perché sarebbe fin troppo facile drogarli.
“L’adorazione del grande numero, o meglio del numero più grande in quanto tale, può essere  falsità (non è detto per esempio che l’iPhone 5 sia necessariamente migliore dell’iPhone 4) – ha scritto Yuval Drov direttore del College of Management's School of Media Studies – e rappresenta anche un aperto invito alla corruzione: poiché molte persone credono che i numeri non mentano, questi numeri possono essere alterati e manipolati, e continuerebbero comunque a essere visti come un dato oggettivo rappresentante un’indiscutibile verità”. E infatti Drov fa notare come in Israele esistano tantissime compagnie che offrono di acquistare fan su Facebook o followers su Twitter.
Certo, probabilmente i social network hanno ancora molta strada da percorrere in termini di affidabilità dei dati. Ma rimangono un terreno su cui i politici saranno chiamati a misurarsi sempre più. Il “secondo cerchio di Facebook” è lì, pronto a regalare enormi benefici a chi saprà sfruttarlo. Obama docet.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Ostia - L'arte come antidoto all'oblio
Quattro interpreti di fama, un racconto artistico che si fa sempre più ricco di spunti e suggestioni. Arte in Memoria, mostra di respiro internazionale curata da Adachiara Zevi per l'associazione arteinmemoria, vivrà domenica prossima l'inizio di una nuova avventura che proietterà, nell'area archeologica di Ostia e negli spazi della sua antichissima sinagoga, il talento di Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hidetoshi Nagasawa e Michael Rakowitz con opere realizzate appositamente per l'iniziativa.
Presupposto teorico e critico di Arte in Memoria, il cui catalogo sarà pubblicato a conclusione della mostra, è che la nostra cultura “sia ossessionata dalla memoria” e allo stesso tempo “catturata dalla dinamica distruttiva dell'oblio”. Evitare che le tragedie trascorse, recenti e in atto non si risolvano nelle commemorazioni e nei discorsi rituali di un giorno: un pericolo al quale si cerca pertanto di rispondere stimolando la comunità degli artisti affinché gli stessi “trasformino un luogo di culto in luogo di cultura, ripopolandolo con visioni ispirate alla storia ma radicate nell'attualità”.
Promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e dalla Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l'Architettura e l'Arte contemporanee del Ministero per i Beni e le attività culturali, la mostra – nata nel 2002 sull'esempio di quanto avviene da tempo alla sinagoga tedesca di Stommeln, scampata alla barbarie nazista, dove ogni anno un artista è invitato a creare un lavoro originale specifico per il luogo – si avvale del patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e del sostegno dell'ambasciata d'Israele in Italia, dell'American Academy in Rome e delle gallerie Giacomo Guidi (Roma) e Suzy Shammah (Milano).


Qui Torino - Fotografare il Male
L’entrata del campo, le torrette di guardia e il filo spinato, i luoghi della morte, la desolazione delle baracche, il senso di solitudine e abbandono che cela gli orrori del nazismo e il tragico destino delle vittime della Shoah. Sono immagini destinate a suscitare grandi emozioni quelle fissate da Bruna Biamino per la mostra "Fotografie dal campo. Auschwitz-Birkenau 2012" inaugurata ieri a Palazzo Lascaris e fruibile anche negli spazi di Palazzo Madama. Una serie di immagini, apparentemente più serene rispetto alle strazianti fotografie scattate dai liberatori dopo l'apertura dei cancelli e che, a detta degli organizzatori, "raccontano più di tanti testi". Presenti, oltre all'autrice, il vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Placido, il direttore di Palazzo Madama Enrica Pagella e il presidente della Comunità ebraica torinese Beppe Segre. Ricordato da quest'ultimo il terribile spartiacque delle leggi razziste e tutte le conseguenze che ne derivarono per gli ebrei italiani. "Per questo - ha affermato - è particolarmente e significativo che l'iniziativa prenda il via da un luogo di dibattito politico e di attività legislativa". Bruna Biamino, classe 1984, giovane ma già affermata fotografa, si è soffermata sulla sfida del racconto di Auschwitz attraverso l'arte. "Mi sono domandata come si potessero trovare le immagini più giuste per documentare oggi il ricordo di questa immane tragedia e l’unica strada percorribile - ha spiegato - è stata l’azzeramento della luce e del colore, che da un punto di vista strettamente visivo corrisponde a un azzeramento della vita". Nel catalogo di accompagnamento alla mostra David Sorani, vicepresidente della Comunità ebraica, scrive: "Queste foto ci inquietano, ci tormentano, non smettono un attimo di interrogarci. Le immagini catturate e riproposte da Bruna Biamino ci trasmettono l’angoscioso e assordante silenzio che oggi avvolge i luoghi dello sterminio. Quel che resta delle strutture di morte del campo si erge come un orrendo, osceno monumento al male, che gli scatti del fotografo isolano nello squallore di un paesaggio distaccato. La memoria deve essere anche questo, ai nostri giorni sempre più lontani dai fatti: luoghi e oggetti di allora che freddi, distaccati, deserti, implacabili e soprattutto muti ci parlano senza pietà delle morti industrializzate di massa".

La mostra è promossa dal Consiglio regionale (Comitato Resistenza e Costituzione e Direzione Comunicazione Istituzionale) in collaborazione con la Fondazione Torino Musei e la Comunità ebraica di Torino. Sarà aperta dal 17 gennaio al 17 febbraio 2013 in due sedi espositive: Galleria Belvedere, Palazzo Lascaris, Via Alfieri 15, Torino (Orari: lunedì – venerdì 10.00 – 18.00 / sabato 10.00 – 12.30) e Corte Medievale, Palazzo Madama, Piazza Castello, Torino (Orari: martedì – sabato 10.00 – 18.00 / domenica 10.00 – 19.00), con ingresso libero.

Qui Livorno - Pietre di Memoria
Dopo Roma, dove in settimana hanno avuto luogo 32 installazioni, le pietre d'inciampo in ricordo delle vittime del nazifascismo sono arrivate anche a Livorno. Ad apporre le quattro stolpersteine nei luoghi dove vissero Franca Baruch, Perla Beniacar, Enrico e Raffaele Menasci l'artista tedesco Gunter Demnig. Nell'occasione 350 persone hanno sfilato per le strade del centro cittadino per la marcia della Memoria organizzata in ricordo dei 120 deportati ebrei livornesi. L'iniziativa, svoltasi su impulso della Comunità di Sant'Egidio e con la partecipazione di Comunità ebraica, Chiesa valdese e amministrazione comunale, si è conclusa in piazza Benamozegh, davanti alla sinagoga, con gli interventi del vescovo Simone Giusti e del rabbino capo Yair Didi e con l'accensione di sei candele della Memoria. Reso omaggio, nella solenne circostanza, alla figura di Isacco Bayona, ultimo Testimone livornese della Shoah da poco scomparso.

pilpul
Anni '30, l'arte c'è, ma la memoria fa difetto
Tre brevi svelamenti per chi ha visitato o visiterà entro il 27 gennaio, giorno di chiusura, la mostra fiorentina “Anni ‘30. Arti in Italia oltre il fascismo” (io l’ho vista ierlaltro). Presentando i dipinti dei triestini Vittorio Bolaffio e Arturo Nathan, l’esposizione tace che dopo il 1938 essi furono rimossi dalle sale museali perché ebrei; inoltre tace l’informazione che il secondo fu arrestato, deportato e ucciso, relegandola in corpo lillipuziano nel catalogo; infine quest’ultimo tace la bella mostra triestina del 1998 “Shalom Trieste”, dedicata anche alla creatività e alla rimozione di quegli artisti ebrei. Insomma, “Anni ‘30” va davvero “oltre”, ma in una direzione che a New York e a Berlino sarebbe impossibile. Evidentemente da noi la memoria e la consapevolezza sono roba per fiere folkloristiche. Vedremo come si comporterà Forlì, che questo 2 febbraio inaugura una mostra intitolata “Novecento” e incentrata proprio sull’arte nel Ventennio: lì i libri di storia si leggono?

Michele Sarfatti, storico

Segregate e autonome
Anna SegreLa bicicletta verde è un film che descrive la condizione delle donne in Arabia Saudita, tra isolamento e proibizioni. Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, per un momento ho invidiato la piccola protagonista. Come è possibile? La storia racconta di una bambina, piuttosto indipendente e refrattaria ai divieti, che, nella speranza di guadagnare i soldi necessari per comprarsi una proibitissima bicicletta, decide di partecipare a una gara di Corano, in cui dovrà dimostrare di conoscere il significato delle parole e cantare il testo a memoria con la pronuncia corretta (davanti a un pubblico esclusivamente femminile, naturalmente). Per quanto non sia quello il tema centrale del film, per quanto l’interesse della protagonista per il Corano non sia sincero, per quanto lo studio sia mnemonico, La bicicletta verde trasmette, forse senza volerlo, il piacere di appropriarsi del testo connettendosi a una tradizione millenaria e la soddisfazione di acquisire poco a poco la capacità di leggerlo e cantarlo: immagino che sia più o meno ciò che provano i ragazzi ebrei – maschi – quando si preparano per il bar-mitzvà. Nel momento in cui, dopo varie peripezie, la voce della ragazzina intona limpida e sicura la cantilena tradizionale di fronte alle sue insegnanti e alle sue compagne, non ho potuto fare a meno di pensare che nella mia Comunità non è mai stata data alle donne la possibilità di leggere la Torah in pubblico, neppure in assenza di uomini, e che l’ipotesi di organizzare letture femminili (come avviene in Israele e altrove anche in ambienti ortodossi) è stata liquidata ancora  al  recente Moked di Milano Marittima, come un bizzarro tentativo di scimmiottare gli uomini.
La bicicletta verde mostra donne che, nella loro totale segregazione, godono di una notevole autonomia: studiano il Corano, recitano le preghiere, insomma, sembrano riuscire a fare a meno degli uomini senza troppi problemi. Viceversa, un altro film nelle sale in questi mesi, La sposa promessa, ci mostra le donne in un ambiente ebraico ultraortodosso, infinitamente più libere, infinitamente meno segregate, tenute in gran conto da padri e mariti; eppure, se non erro, in tutto il film le donne non dicono una parola di Torah: la applicano ma non la studiano, sembra che sia un affare che non le riguarda (ed è la sensazione che ho avuto venendo a contatto con quegli ambienti). Fortunatamente nella mia Comunità, anche se non c’è per le donne la possibilità di cantare la Torah, c’è almeno quella (ben più importante) di studiarla, con o senza gli uomini. L’idea di un bet midrash per le donne suscita in alcuni un po’ di scetticismo, appare una segregazione non necessaria. Il confronto tra i due film, però, fa venire il dubbio che in alcuni casi la segregazione produca autonomia, e che la “promiscuità”, in assenza di vera uguaglianza, generi passività e subalternità, a volte anche nelle Comunità italiane. Non è meglio far sentire propria voce tra donne che tacere del tutto?

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
L’EJC condanna le violenze
contro le minoranze in Grecia
  Leggi la rassegna

L’European Jewish Congress ha condannato l’omicidio di un lavoratore pakistano nelle strade di Atene. “Un altro esempio del clima razzista e antisemita che si respira nel paese” ha dichiarato il presidente dell’EJC Moshe Kantor, riferendosi alla presenza in Parlamento del partito Alba Dorata, che si richiama apertamente al nazismo. “Ci appelliamo a tutte le formazioni democratiche greche affinché legiferino contro la presenza di gruppi fascisti e razzisti e si impegnino per fare piena luce e arrestare i perpetratori dei crimini d’odio”.


 

Prosegue sui giornali il dibattito attorno alla legge sul matrimonio omosessuale promossa in Francia dal governo Hollande. Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana, parla di “alleanza su matrimonio e famiglia” tra ebrei e cristiani.


L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.