Qui Firenze - La letteratura di fronte alla deportazione |
L'impatto e il ruolo che il 16
ottobre 1943, giorno della retata nazifascista nel vecchio ghetto
ebraico di Roma, ha avuto nella letteratura italiana. È in questa
prospettiva che si inseriscono le riflessioni di Alberto Cavaglion, tra
i responsabili del coordinamento scientifico e organizzativo del grande
convegno internazionale Dopo i testimoni che si è chiuso oggi a
Firenze. “Studiare il ruolo che il 16 ottobre ha avuto nella
letteratura italiana – afferma l'intellettuale e storico torinese –
vuol dire innanzitutto ripercorrere una conversazione a forma di
triangolo”. Tre i flussi biunivoci: Saba-Debenedetti, Saba-Morante e
Debenedetti-Morante. Vertice di questa costruzione Saba, “che di luce
propria o per specchiato sembiante condizionerà il cammino altrui”. Le
tre narrazioni hanno un rilievo anche prese singolarmente ma, afferma
Cavaglion, “i carteggi e i saggi che uno dedica all'altrui lavoro non
sono meno significativi e il gioco di rimandi inconsci, nelle due
direzioni di marcia, rivela non poche sorprese”. Il suo intervento si
inserisce nel denso panel sul racconto della Shoah svoltosi ieri
pomeriggio alla facoltà di Lettere e Filosofia. Tra i protagonisti la
presidente di sessione Ida Zatelli, soffermatasi sul tema della
trasmissione della memoria nel racconto biblico con specifica
attenzione semantica ai termini 'zakar' e 'zikkaron'; Massimo Giuliani,
che ha parlato di testimonianza come resistenza al Male sviluppando un
ragionamento dalla celebre massima elaborata dal filosofo Emil
Fackenheim: “la logica nazista era irresistibile e tuttavia vi fu chi
resistette”; Aldo Zargani, autore di un resoconto sul percorso di una
vita “nel tentativo di comprendere le trasformazioni del mio stesso
pensiero indotte dalle testimonianze, dagli studi e persino dalle
mitologie della Shoah”; Asher Salah, che ha passato in rassegna la
presenza della Shoah nel giovane cinema israeliano. La sua
presentazione è partita da un paradosso: degli oltre 700 lungometraggi
realizzati in Israele dal 1948 a oggi soltanto cinque sono ambientati
nell'Europa della seconda guerra mondiale. Eppure, malgrado questo
esiguo e sorprendente dato statistico, sostiene Salah, “non è esagerato
sostenere che buona parte dell'immaginario cinematografico israeliano
si sia costituito intorno all'elaborazione del trauma della Shoah, che
ha lasciato tracce, spesso oblique ma determinanti, anche in film che
trattano temi e personaggi non direttamente attinenti al genocidio”.
Questa mattina, nell'aula magna del dipartimento di Storia,
Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo di via San Gallo, ultimo atto
del convegno con tema la “ricostruzione” della memoria presieduto da
Ugo Caffaz, responsabile per Regione Toscana delle iniziative legate al
Giorno della Memoria. Ad offrire una prima chiave di lettura Elena
Mazzini capace, attraverso una carrellata sui principali monumenti e
memoriali delle deportazioni realizzati in Italia, di stimolare nel
pubblico una riflessione sulle scelte intraprese in questo senso a
partire dall'immediato dopoguerra. Scelte innanzitutto linguistiche,
cose dette e non dette, messaggi palesi e messaggi latenti, specchio di
un processo di elaborazione della Shoah e delle responsabilità del
regime fascista che ha conosciuto varie e diversificate fasi. Di grande
interesse anche le relazioni di Gianluca Gabrielli e Alessandra
Minerbi, dedicate entrambe alle specificità (e criticità)
dell'insegnamento scolastico in Italia. Sempre alla scuola, ma con
riferimento all'esperienza francese e ai proficui ponti di
collaborazione già in atto con il nostro paese, l'intervento di Laura
Fontana del memoriale della Shoah di Parigi. Ha chiuso i lavori una
lezione di Elisabetta Ruffini sulla deportazione e i campi di sterminio
nelle immagini fotografiche e nell'immaginario collettivo.
Adam
Smulevich twitter @asmulevichmoked
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Viaggio della Memoria 2013 - Resoconto in diretta attraverso il profilo Twitter di Pagine Ebraiche |
Zakhor.
Ricordare. Ma ricordare grazie all’impegno, allo sforzo profuso nel non
dimenticare, non nel senso di una passiva registrazione di dati nella
mente. È questa la parola che la redazione del Portale dell’ebraismo
italiano Moked e di Pagine Ebraiche ha scelto come hashtag, come
“etichetta” per la copertura degli eventi proposti in occasione del
Giorno della Memoria sui suoi profili sui social network. E in
particolare, i lettori avranno nei prossimi giorni la possibilità di
seguire il Viaggio della Memoria organizzato dal ministro
dell'Istruzione, Università e Ricerca in collaborazione con l'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane attraverso il profilo twitter
@paginebraiche, hashtag #Zakhor appunto. Un viaggio cui prenderà
parte il presidente UCEI Renzo Gattegna e con lui il ministro
dell'Istruzione Francesco Profumo, il ministro della Giustizia Paola
Severino, il presidente della Rai Annamaria Tarantola e oltre 130
studenti delle scuole superiori di tutta Italia distintisi nella
realizzazione di attività e progetti dedicati alla memoria della Shoah.
Al loro fianco i Testimoni Sami Modiano e le sorelle Andra e Tatiana
Bucci accompagnate dallo storico Marcello Pezzetti. Potete seguire Pagine Ebraiche su twitter cliccando qui oppure sulla finestra live di moked.it
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Israele al voto - Le
elezioni al tempo dei social network |
A consacrare il
ruolo dei social network nelle campagne elettorali è stata senz’altro
la recente riconferma alla Casa Bianca di Barack Obama.
A Milano per un convegno al’Università statale, il responsabile
dell’integrazione e dell’innovazione della campagna di Obama Michael
Slaby ha spiegato l’enorme opportunità messa a disposizione dal
“secondo cerchio di Facebook”: offrire, attraverso la pagina fan del
presidente, contenuti che i suoi supporter fossero ispirati a
condividere sulle proprie bacheche, raggiungendo così tutti i loro
amici, praticamente l’intera popolazione americana. A questa strategia,
si è aggiunta l’opportunità di inviare agli utenti una pubblicità
mirata alle loro caratteristiche personali, età, provenienza
geografica, interessi.
Quanto di queste novità ha contagiato la campagna elettorale
israeliana? Se gli osservatori concordano sul fatto che oggi i social
network siano la piazza in cui essere presenti, non tutti i politici
sembrano aver bene digerito il modo in cui concepire questa presenza.
Secondo le ultime statistiche pubblicate dalla piattaforma
Socialbakers, sono su Facebook quasi 3 milioni e 800 mila israeliani,
circa la metà della popolazione totale. Tra le pagine più popolari
legate alla politica vengono segnalate quella dell’attuale primo
ministro Benjamin Netanyahu, dell’astro nascente di Habayit Hayehudì
Naftali Bennett, del leader di Yesh Atid Yair Lapid e di Shelly
Yachimovich alla guida del Labor. Interessante notare come degli oltre
400 mila fan di Netanyahu, circa la metà sono utenti esteri, mentre la
quasi totalità dei supporters di Bennet, Lapid e Yachimovich
(rispettivamente 149 mila, 112 mila e 77 mila) sono israeliani (non
segnalata da Socialbakers, ma presente sulla piattaforma di Zuckerberg
anche una pagina dedicata a Tzipi Livni, con oltre 51 mila fan).
E tuttavia, secondo un’inchiesta del quotidiano Yedioth Ahronoth
riportata da Haaretz, questi numeri, che potrebbero apparire come il
modo più immediato di misurare i consensi e gli umori dell’elettorato
israeliano, andrebbero presi con le pinze. Perché sarebbe fin troppo
facile drogarli.
“L’adorazione del grande numero, o meglio del numero più grande in
quanto tale, può essere falsità (non è detto per esempio che
l’iPhone 5 sia necessariamente migliore dell’iPhone 4) – ha scritto
Yuval Drov direttore del College of Management's School of Media
Studies – e rappresenta anche un aperto invito alla corruzione: poiché
molte persone credono che i numeri non mentano, questi numeri possono
essere alterati e manipolati, e continuerebbero comunque a essere visti
come un dato oggettivo rappresentante un’indiscutibile verità”. E
infatti Drov fa notare come in Israele esistano tantissime compagnie
che offrono di acquistare fan su Facebook o followers su Twitter.
Certo, probabilmente i social network hanno ancora molta strada da
percorrere in termini di affidabilità dei dati. Ma rimangono un terreno
su cui i politici saranno chiamati a misurarsi sempre più. Il “secondo
cerchio di Facebook” è lì, pronto a regalare enormi benefici a chi
saprà sfruttarlo. Obama docet.
Rossella
Tercatin twitter @rtercatinmoked
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Qui Ostia - L'arte come
antidoto all'oblio |
Quattro interpreti di fama,
un racconto artistico che si fa sempre più ricco di spunti e
suggestioni. Arte in Memoria, mostra di respiro internazionale curata
da Adachiara Zevi per l'associazione arteinmemoria, vivrà domenica
prossima l'inizio di una nuova avventura che proietterà, nell'area
archeologica di Ostia e negli spazi della sua antichissima sinagoga, il
talento di Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hidetoshi Nagasawa e Michael
Rakowitz con opere realizzate appositamente per l'iniziativa.
Presupposto teorico e critico di Arte in Memoria, il cui catalogo sarà
pubblicato a conclusione della mostra, è che la nostra cultura “sia
ossessionata dalla memoria” e allo stesso tempo “catturata dalla
dinamica distruttiva dell'oblio”. Evitare che le tragedie trascorse,
recenti e in atto non si risolvano nelle commemorazioni e nei discorsi
rituali di un giorno: un pericolo al quale si cerca pertanto di
rispondere stimolando la comunità degli artisti affinché gli stessi
“trasformino un luogo di culto in luogo di cultura, ripopolandolo con
visioni ispirate alla storia ma radicate nell'attualità”.
Promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma
e dalla Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti,
l'Architettura e l'Arte contemporanee del Ministero per i Beni e le
attività culturali, la mostra – nata nel 2002 sull'esempio di quanto
avviene da tempo alla sinagoga tedesca di Stommeln, scampata alla
barbarie nazista, dove ogni anno un artista è invitato a creare un
lavoro originale specifico per il luogo – si avvale del patrocinio
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e del sostegno
dell'ambasciata d'Israele in Italia, dell'American Academy in Rome e
delle gallerie Giacomo Guidi (Roma) e Suzy Shammah (Milano).
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Qui Torino -
Fotografare il Male |
L’entrata del campo, le
torrette di guardia e il filo spinato, i luoghi della morte, la
desolazione delle baracche, il senso di solitudine e abbandono che cela
gli orrori del nazismo e il tragico destino delle vittime della Shoah.
Sono immagini destinate a suscitare grandi emozioni quelle fissate da
Bruna Biamino per la mostra "Fotografie dal campo. Auschwitz-Birkenau
2012" inaugurata ieri a Palazzo Lascaris e fruibile anche negli spazi
di Palazzo Madama. Una serie di immagini, apparentemente più serene
rispetto alle strazianti fotografie scattate dai liberatori dopo
l'apertura dei cancelli e che, a detta degli organizzatori, "raccontano
più di tanti testi". Presenti, oltre all'autrice, il vicepresidente del
Consiglio regionale Roberto Placido, il direttore di Palazzo Madama
Enrica Pagella e il presidente della Comunità ebraica torinese Beppe
Segre. Ricordato da quest'ultimo il terribile spartiacque delle leggi
razziste e tutte le conseguenze che ne derivarono per gli ebrei
italiani. "Per questo - ha affermato - è particolarmente e
significativo che l'iniziativa prenda il via da un luogo di dibattito
politico e di attività legislativa". Bruna Biamino, classe 1984,
giovane ma già affermata fotografa, si è soffermata sulla sfida del
racconto di Auschwitz attraverso l'arte. "Mi sono domandata come si
potessero trovare le immagini più giuste per documentare oggi il
ricordo di questa immane tragedia e l’unica strada percorribile - ha
spiegato - è stata l’azzeramento della luce e del colore, che da un
punto di vista strettamente visivo corrisponde a un azzeramento della
vita". Nel catalogo di accompagnamento alla mostra David Sorani,
vicepresidente della Comunità ebraica, scrive: "Queste foto ci
inquietano, ci tormentano, non smettono un attimo di interrogarci. Le
immagini catturate e riproposte da Bruna Biamino ci trasmettono
l’angoscioso e assordante silenzio che oggi avvolge i luoghi dello
sterminio. Quel che resta delle strutture di morte del campo si erge
come un orrendo, osceno monumento al male, che gli scatti del fotografo
isolano nello squallore di un paesaggio distaccato. La memoria deve
essere anche questo, ai nostri giorni sempre più lontani dai fatti:
luoghi e oggetti di allora che freddi, distaccati, deserti, implacabili
e soprattutto muti ci parlano senza pietà delle morti industrializzate
di massa".
La
mostra è promossa dal Consiglio regionale (Comitato Resistenza e
Costituzione e Direzione Comunicazione Istituzionale) in collaborazione
con la Fondazione Torino Musei e la Comunità ebraica di Torino. Sarà
aperta dal 17 gennaio al 17 febbraio 2013 in due sedi espositive:
Galleria Belvedere, Palazzo Lascaris, Via Alfieri 15, Torino (Orari:
lunedì – venerdì 10.00 – 18.00 / sabato 10.00 – 12.30) e Corte
Medievale, Palazzo Madama, Piazza Castello, Torino (Orari: martedì –
sabato 10.00 – 18.00 / domenica 10.00 – 19.00), con ingresso libero.
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Qui Livorno - Pietre di
Memoria |
Dopo Roma, dove in settimana
hanno avuto luogo 32 installazioni, le pietre d'inciampo in ricordo
delle vittime del nazifascismo sono arrivate anche a Livorno. Ad
apporre le quattro stolpersteine nei luoghi dove vissero Franca Baruch,
Perla Beniacar, Enrico e Raffaele Menasci l'artista tedesco Gunter
Demnig. Nell'occasione 350 persone hanno sfilato per le strade del
centro cittadino per la marcia della Memoria organizzata in ricordo dei
120 deportati ebrei livornesi. L'iniziativa, svoltasi su impulso della
Comunità di Sant'Egidio e con la partecipazione di Comunità ebraica,
Chiesa valdese e amministrazione comunale, si è conclusa in piazza
Benamozegh, davanti alla sinagoga, con gli interventi del vescovo
Simone Giusti e del rabbino capo Yair Didi e con l'accensione di sei
candele della Memoria. Reso omaggio, nella solenne circostanza, alla
figura di Isacco Bayona, ultimo Testimone livornese della Shoah da poco
scomparso.
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Anni '30, l'arte c'è,
ma la memoria fa difetto
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Tre brevi svelamenti per chi
ha visitato o visiterà entro il 27 gennaio, giorno di chiusura, la
mostra fiorentina “Anni ‘30. Arti in Italia oltre il fascismo” (io l’ho
vista ierlaltro). Presentando i dipinti dei triestini Vittorio Bolaffio
e Arturo Nathan, l’esposizione tace che dopo il 1938 essi furono
rimossi dalle sale museali perché ebrei; inoltre tace l’informazione
che il secondo fu arrestato, deportato e ucciso, relegandola in corpo
lillipuziano nel catalogo; infine quest’ultimo tace la bella mostra
triestina del 1998 “Shalom Trieste”, dedicata anche alla creatività e
alla rimozione di quegli artisti ebrei. Insomma, “Anni ‘30” va davvero
“oltre”, ma in una direzione che a New York e a Berlino sarebbe
impossibile. Evidentemente da noi la memoria e la consapevolezza sono
roba per fiere folkloristiche. Vedremo come si comporterà Forlì, che
questo 2 febbraio inaugura una mostra intitolata “Novecento” e
incentrata proprio sull’arte nel Ventennio: lì i libri di storia si
leggono?
Michele Sarfatti, storico
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Segregate e autonome
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La bicicletta verde è un
film che descrive la condizione delle donne in Arabia Saudita, tra
isolamento e proibizioni. Eppure, per quanto paradossale possa
sembrare, per un momento ho invidiato la piccola protagonista. Come è
possibile? La storia racconta di una bambina, piuttosto indipendente e
refrattaria ai divieti, che, nella speranza di guadagnare i soldi
necessari per comprarsi una proibitissima bicicletta, decide di
partecipare a una gara di Corano, in cui dovrà dimostrare di conoscere
il significato delle parole e cantare il testo a memoria con la
pronuncia corretta (davanti a un pubblico esclusivamente femminile,
naturalmente). Per quanto non sia quello il tema centrale del film, per
quanto l’interesse della protagonista per il Corano non sia sincero,
per quanto lo studio sia mnemonico, La bicicletta verde trasmette,
forse senza volerlo, il piacere di appropriarsi del testo connettendosi
a una tradizione millenaria e la soddisfazione di acquisire poco a poco
la capacità di leggerlo e cantarlo: immagino che sia più o meno ciò che
provano i ragazzi ebrei – maschi – quando si preparano per il
bar-mitzvà. Nel momento in cui, dopo varie peripezie, la voce della
ragazzina intona limpida e sicura la cantilena tradizionale di fronte
alle sue insegnanti e alle sue compagne, non ho potuto fare a meno di
pensare che nella mia Comunità non è mai stata data alle donne la
possibilità di leggere la Torah in pubblico, neppure in assenza di
uomini, e che l’ipotesi di organizzare letture femminili (come avviene
in Israele e altrove anche in ambienti ortodossi) è stata liquidata
ancora al recente Moked di Milano Marittima, come
un bizzarro tentativo di scimmiottare gli uomini.
La bicicletta verde mostra donne che, nella loro totale segregazione,
godono di una notevole autonomia: studiano il Corano, recitano le
preghiere, insomma, sembrano riuscire a fare a meno degli uomini senza
troppi problemi. Viceversa, un altro film nelle sale in questi mesi, La
sposa promessa, ci mostra le donne in un ambiente ebraico
ultraortodosso, infinitamente più libere, infinitamente meno segregate,
tenute in gran conto da padri e mariti; eppure, se non erro, in tutto
il film le donne non dicono una parola di Torah: la applicano ma non la
studiano, sembra che sia un affare che non le riguarda (ed è la
sensazione che ho avuto venendo a contatto con quegli ambienti).
Fortunatamente nella mia Comunità, anche se non c’è per le donne la
possibilità di cantare la Torah, c’è almeno quella (ben più importante)
di studiarla, con o senza gli uomini. L’idea di un bet midrash per le
donne suscita in alcuni un po’ di scetticismo, appare una segregazione
non necessaria. Il confronto tra i due film, però, fa venire il dubbio
che in alcuni casi la segregazione produca autonomia, e che la
“promiscuità”, in assenza di vera uguaglianza, generi passività e
subalternità, a volte anche nelle Comunità italiane. Non è meglio far
sentire propria voce tra donne che tacere del tutto?
Anna
Segre, insegnante
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
L’EJC
condanna le violenze contro le minoranze in Grecia
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Leggi la rassegna |
L’European Jewish Congress
ha condannato l’omicidio di un lavoratore pakistano nelle strade di
Atene. “Un altro esempio del clima razzista e antisemita che si respira
nel paese” ha dichiarato il presidente dell’EJC Moshe Kantor,
riferendosi alla presenza in Parlamento del partito Alba Dorata, che si
richiama apertamente al nazismo. “Ci appelliamo a tutte le formazioni
democratiche greche affinché legiferino contro la presenza di gruppi
fascisti e razzisti e si impegnino per fare piena luce e arrestare i
perpetratori dei crimini d’odio”.
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Prosegue sui giornali il
dibattito attorno alla legge sul matrimonio omosessuale promossa in
Francia dal governo Hollande. Avvenire, quotidiano della Conferenza
episcopale italiana, parla di “alleanza su matrimonio e famiglia” tra
ebrei e cristiani.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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