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  31 gennaio 2013 - 20 Shevat 5773
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alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 

“We-ìm mizbàch avanìm tà‘asse-Lì lo’-thivnè ethhèn gazìth ki charbekhà henàfta ‘aléha wa-techaleléha”, “e se un altare di pietre Mi farai, non farle scalpellate, perché sollevando sopra (una di) esse la tua spada, la profani”. Nessuna religione arriva ad aborrire qualsiasi forma di violenza quanto la religione ebraica: guerre sante, campagne armate per diffondere il proprio credo, roghi di miscredenti e di eretici, sono stati e sono all’ordine del giorno in tutte le civiltà; l’ebraismo, invece, non ha mai imposto la sua maniera di vedere, e in tutte le guerre di religione si è sempre trovato sulla difensiva. Anche all’interno, qualunque violenza è aborrita. Perfino la pena di morte, che la Torah prevede per alcune gravissime mancanze e soprattutto per chi fa uso della violenza in determinate maniere e circostanze, è estremamente difficile che possa essere comminata; e anche quando essa viene decretata (ed il tribunale che la decretasse una volta ogni settant’anni è definito sanguinario!), i giudici che a norma di legge fanno uccidere un uomo devono espiare per questa loro violenza legittima e legale con un digiuno. La Torah ci insegna, dunque, il distacco totale da ogni tipo di violenza sia nella sfera umana sia, e a maggior ragione, in quella divina. Per questi motivi l’altare nel Tabernacolo e nel Santuario non può essere fatto con pietre sulle quali sia stato usato un metallo: in quanto strumento di morte, esso è inadatto a costruire lo strumento di maggior vicinanza con D.o, ossia ciò che simboleggia l’allungamento della vita. Si tratterebbe di “profanazione”, ossia di pretendere di associare il sacro – e la vita è sacra di per sé – con ciò che allontana la sacralità dalla persona, perché la rende corpo solo materiale, morto.
Ancora al giorno d’oggi, troppi sono i sistemi politici nei quali la violenza è d’uso quotidiano, troppi sono i Paesi nei quali essa è strumento di potere o anche solo di lotta per la supremazia. Renderci conto della portata di una mitzwà della Torah che potrebbe sembrare superata (dato che al giorno d’oggi non abbiamo l’altare) deve indicarci la strada da percorrere nei nostri rapporti interpersonali e collettivi; se noi riusciremo a trarne i debiti insegnamenti per noi, allora il nostro comportamento potrà ispirare anche altri, e si potrà avverare la previsione profetica di un mondo senza violenza, di un mondo sereno e armonico in tutte le sue componenti.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
In definitiva, il 22 gennaio gli elettori israeliani hanno dato cartellino giallo al governo di Benyamin Netanyahu, ma soprattutto hanno inflitto una dura punizione al primo ministro uscente – che poi dovrebbe essere anche quello entrante. Non è chiaro se le richieste di cambiamento di rotta, sia in politica economica, sia in politica estera, siano state ben comprese e metabolizzate da parte della leadership di Likud-Beitenu. La controprova verrà dal tipo di compagine governativa che emergerà da una trattativa che si annuncia lunga a complessa. L'ostacolo principale non sta tanto nella questione palestinese, o nella politica economica, o perfino nel servizio militare dei Haredim, bensí nella richiesta di Yair Lapid di ridurre drasticamente il numero dei ministri da oltre 30 a 18. Ciò comporterebbe il licenziamento di numerosi ministri in carica di Likud-Beitenu, con conseguente intifada all'interno del partito di maggioranza relativa. È certo che le nuove direzioni della politica israeliana hanno sorpreso gli osservatori nella Diaspora molto più che in Israele, dove peraltro la vera entità della contestazione è emersa completamente solo all'ultimissima ora. Il fatto è che per chi vive in Israele la politica riflette in larga misura le esperienze della vita quotidiana, mentre per chi sta altrove la politica è vissuta soprattutto sul piano dell'ideologia pura. Cosí, uno dei prediletti di una certa parte degli analisti italiani che si autodefiniscono pro-israeliani, l'ultranazionalista Dr. Arieh Eldad, non è stato rieletto perché il suo partito Otzmah Leisrael ha fallito la soglia necessaria del 2%. Difficile invece capire da fuori i motivi del successo di Lapid, popolare personaggio mediatico in Israele ma sconosciuto altrove. Lapid porta in parlamento 19 volti nuovi, tutti altamente istruiti e professionali, mentre Tzipi Livni e Shaul Mofaz – che fondamentalmente si sono contesi la stessa mattonella elettorale medio-borghese di Lapid – hanno ottenuto insieme solo 8 seggi, di cui 6 sono parlamentari esperti ma riciclati una o due volte da altri partiti. Anche questo è un messaggio forte che l'elettore israeliano ha voluto dare alla politica.

davar
Diritti civili - Un documento, molte domande
Il documento che riportiamo oggi è uno dei tanti servizi su matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione pubblicati sull'ultimo numero in circolazione di Pagine Ebraiche e che riprenderemo nei prossimi giorni. Cliccando sul link in coda al testo il lettore potrà visionare l'intera traduzione dell'intervento del Gran Rabbino di Francia rav Gilles Bernheim. In uscita intanto anche un istant book dedicato alle sue parole a cura delle Edizioni Belforte.

Il documento del Gran Rabbino di Francia si basa su alcuni presupposti che è di fondamentale importanza avere ben chiari, prima ancora di impegnarsi nella lettura. Presupposti che sono in realtà dichiarazioni programmatiche forti e che vengono esplicitate nell’introduzione: rav Bernheim rifiuta con decisione la scelta, fatta da alcuni responsabili religiosi, di autocensurarsi in nome del principio di separazione tra lo Stato e le visioni del mondo religiose, preferendo l’idea anglosassone di laicità che accoglie nel dibattito pubblico tutte le voci, religiose e non. Scrive infatti il Gran Rabbino di Francia: “Ho sempre considerato un dovere l’impegno intellettuale nelle grandi scelte della storia e in primo luogo nelle grandi scelte del mio paese” e, poche righe dopo “Il mio prendere la parola intende esprimere il senso di solidarietà che mi lega alla comunità nazionale di cui faccio parte. Si tratta anche dell’espressione responsabile dei principi universali che questa comunità ha forgiato e difeso nel corso dei secoli, principi sui quali si fonda la Repubblica e senza i quali essa non può stare. Se qualcuno che non è ebreo vuole ascoltarmi, riceverà le mie parole secondo il suo personale giudizio, il suo sistema di valori e la sua identità religiosa, agnostica o atea. Potrà, se lo desidera, riconoscere saggezza nelle mie parole e attribuire loro un valore morale”. Rav Bernheim, inoltre, è ben consapevole che il suo saggio è una vera e propria discesa in campo, tanto che, sempre nell’introduzione, scrive: “Il mio obiettivo è di contribuire a far emergere un vero dibattito pubblico”. E percorrendone le venticinque dense pagine è evidente come il Gran Rabbino abbia scelto di analizzare e passare al setaccio tutte le argomentazioni, ragionando sulle teorie ad esse sottostanti e soprattutto cercando di spiegare quali ritenga essere le vere problematiche insite nella negazione della differenza
sessuale nella nostra società. Ha scelto di impegnarsi in una riflessione che parte dal dibattito apertosi intorno ai labili confini tra il sempre doveroso rispetto della dignità umana e la legittimità della pratica del matrimonio omosessuale. Ritiene che la vera posta in gioco non sia "una tappa della lotta democratica contro l'ingiustizia e le discriminazioni", ma vada oltre un riconoscimento di dignità e di una serie di diritti: rav Bernheim sostiene che le conseguenze di una legge ideologica come quella francese sono gravi. Si tratterebbe del danno derivante dalla confusione irreversibile di tre concetti: “le genealogie, sostituendo la parentalità alla paternità; lo statuto del bambino; le identità, dove la sessuazione come dato naturale sarebbe costretta a scomparire di fronte all’orientamento espresso da ognuno, in nome di una lotta contro le disuguaglianze, snaturata in uno sradicamento delle differenze”. Il documento di rav Bernheim è articolato in due parti: nella prima analizza e vaglia criticamente gli argomenti dei favorevoli al riconoscimento legale del matrimonio omosessuale, cercando di rispondere a una serie di domande complesse, che individuano veri e propri capitoli: Il matrimonio omosessuale in nome dell’uguaglianza? Il matrimonio omosessuale in nome della protezione del coniuge? L’omogenitorialità in nome dell’amore? L’omogenitorialità in nome della protezione giuridica? L’adozione in nome del diritto al bambino? L’adozione in nome dei bambini in attesa di adozione? Nuove forme di omogenitorialità in nome dell’uguaglianza? Per poi continuare dibattendo su La Legge e l’interesse generale alla prova dei numeri. Nella seconda parte invece approfondisce le premesse sottese ai vari argomenti e prova così a confrontare due visioni del mondo, con un testo diviso in due parti: La volontà dei militanti LGBT di negare la differenziazione sessuale, e La visione biblica della complementarità uomo-donna. Nelle conclusioni, poi, la sua presa di posizione appare ancora più netta: “Non sarebbe un atto né di coraggio né di gloria votare una legge utilizzando più slogan che argomentazioni, appiattendosi sull’ipocrisia dominante” per poi proseguire scrivendo che “Si tratta di questioni che devono essere poste in maniera chiara nel dibattito sul matrimonio omosessuale e sull’omogenitorialità. Rimandano ai fondamenti della società in cui ognuno di noi vuole vivere. Io sono tra coloro che pensano che l’essere umano non si possa costruire senza una struttura, senza ordine, senza statuto, senza regole. Penso che l’affermazione della libertà non implichi la negazione dei limiti. Che l’affermazione dell’uguaglianza non comporti il livellamento delle differenze. Penso che la potenza della tecnica e dell’immaginazione esigano di non dimenticare mai che l’essere è un dono, che la vita ci precede sempre e che ha le proprie leggi.”

Ada Treves - twitter @atrevesmoked (Pagine Ebraiche febbraio 2013)

Per leggere la traduzione integrale dell'intervento di rav Gilles Bernheim clicca qui

Israele - Al via le consultazioni
Dopo una settimana di colloqui ufficiosi è arrivato il momento delle consultazioni ufficiali. I risultati delle elezioni sono stati comunicati ieri al presidente israeliano Shimon Peres dalla Commissione elettorale, quando ormai gli esiti delle urne erano ben noti a tutti da sette giorni. Questo ha lasciato a Benjamin Netanyahu, il leader della coalizione Likud-Beytenu che ha raccolto il maggior numero di seggi (31 sui 120 della Knesset), il tempo di esplorare le varie possibilità a disposizione per dare vita a una maggioranza di governo già prima di ricevere incarico. Ora è arrivato il momento di concretizzarle, e fonti a lui vicine hanno fatto trapelare alla stampa israeliana che le intenzioni sono quelle di impiegare molto meno dei 28 giorni che la legge gli concede per formare la coalizione.
Secondo quanto emerso a proposito dei colloqui già effettuati da Netanyahu, saranno il centrista Yair Lapid, l’ex giornalista che con il suo Yesh Atid ha conquistato 19 seggi e Naftali Bennett di Habaiyt Hayehudi, punto di riferimento politico degli insediamenti con 12 parlamentari, a rappresentare gli altri capisaldi del prossimo governo Netanyahu, con il partito religioso sefardita Shas che potrebbe rientrare se disponibile a venire a compromessi su alcuni aspetti, tra cui la questione dell’arruolamento dei giovani haredim nell’esercito, un punto centrale tra le istanze tanto di Lapid, quanto di Bennett.
Il presidente Peres ha ascoltato innanzitutto le delegazioni di Likud-Beytenu e Yesh Atid, per proseguire con gli altri dieci partiti che hanno trovato posto nella diciannovesima Knesset. Salvo sorprese, Peres affiderà l’incarico di formare il governo a Netanyahu nella mattina di venerdì.

Rossella Tercatin - twitter @rtercatinmoked

Israele, l'arte e la chiave per interpretare il futuro
Ventiquattro interpreti provenienti da esperienze e generazioni diverse. La sfida di intrecciare passato, presente e futuro e di aprire all'Italia le porte di un nuovo orizzonte artistico. Visita speciale per la stampa, questa mattina al Macro Testacco di Roma, per la mostra Israel Now-Reinventing the Future curata da Micol Di Veroli con la quale si inaugurano le attività della Fondazione Italia-Israele per la Cultura e per le Arti che ha da poco visto la luce. Presentata dal Macro e prodotta da Glocal Project Consulting, la manifestazione ha ottenuto la medaglia di rappresentanza del presidente della Repubblica, è sostenuta dall'ambasciata israeliana a Roma e ha, tra i vari patrocini, le massime realtà istituzionali locali e quelli del ministero degli Affari Esteri, dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, della Comunità di Roma e del Centro Ebraico Italiano.
Due i grandi insiemi all'interno dei quali ogni artista illustra una sua personale visione del futuro reinventato attraverso fotografie, dipinti, sculture, installazioni e video. Il risultato, frutto del sapiente allestimento di Joram Orvieto, è un mondo ricco stimoli e di emozioni che si schiude in tutta la sua complessità. “Sembrava impossibile arrivare a mettere insieme tutti questi artisti – commenta Ofra Fahri, addetto culturale dell'ambasciata israeliana – ma grazie alla passione e alla lungimiranza di Micol siamo adesso in grado di presentare un progetto che ci permette di arrivare con alcuni dei nostri migliori interpreti anche in Italia. E' un aspetto di Israele che vale la pena di essere conosciuto”. Ad intervenire, oltre alla curatrice, che ha spiegato il senso di una sfida che ha solide basi nella tradizione plurimillenaria del popolo ebraico “ma che è contemporanea proiettata nel futuro” come il suo giovane Stato, il direttore del Macro Bartolomeo Pietromarchi e Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione Italia-Israele, che ha ricordato il significato di questa nuova e stimolante partnership intergovernativa per dare vita a iniziative di eccellenza e di innovazione con ricaduta durevole "e una forte valenza comune per entrambe le società”. Al suo fianco la direttrice generale Simonetta Della Seta. In sala, tra gli altri, alcuni protagonisti di Israel Now e Giorgia Calò, curatrice nel 2012 del progetto About Paper che ha portato a Roma sette donne israeliane specializzate nel lavoro su carta e nella sua interpretazione artistica.
Conclusi gli interventi, inizia la visita e, opera dopo opera, affiorano segnali e simbologie fortissime contenute non solo nelle opere stesse ma anche nel contesto che le ingloba e valorizza.“I padiglioni che accolgono questa mostra, nella loro conversione in spazio espositivo da luogo di macellazione – spiega infatti Orvieto – ci hanno spinto a pensare ad un gesto di ribaltamento del punto vista: ieri sui binari erano appesi gli animali macellati, oggi appendiamo i tubi per l’irrigazione a goccia. Una metafora che allo stesso tempo coniuga uno dei più famosi simboli dell’avanzamento tecnologico di Israele con la convinzione che l’arte possa essere linfa preziosa per lo spirito umano. La luce, che sostituisce l’acqua in quanto medesima sorgente si vita, diventa anche il vettore verso l’opera d’arte esposta”.

a.s - twitter @asmulevichmoked

pilpul
Più storia
Il 27 gennaio 2013 ci ha dimostrato, e ricordato con grande urgenza, che non abbiamo e non avremo bisogno di memoria, ma abbiamo e avremo sempre più bisogno di storia.


Stefano Jesurum, giornalista

La pagella del fascismo
A proposito delle polemiche sulle parole di Berlusconi su Mussolini credo che molti si siano indignati per la ragione sbagliata. Si può dire che Mussolini ha fatto delle cose buone? Io penso di sì, ma non perché nutra particolare stima nei confronti del regime fascista, quanto perché ritengo evidente, che parafrasando Benigni, anche il dittatore più feroce qualche strada o qualche ponte l’abbiano fatto. In questo senso affermare che tutto ciò che è stato fatto da Mussolini sia negativo è miope e poco credibile. Casomai bisognerebbe domandarsi quanto quelle (poche) cose buone possano risultare decisive nel giudizio generale sul regime fascista. Possono le bonifiche o la costruzione di alcuni quartieri essere ragioni sufficienti per giustificare la privazione della libertà politica ed economica, l’autarchia o le leggi razziali? Si può sostenere che il regime fascista possa essere un modello politico se si esclude “l’errore” dell’alleanza con Hitler? Penso proprio di no e nell’affermare questo dovremmo capire che in realtà il vero problema delle parole di Berlusconi è un altro: quel becero tentativo di riscrivere la storia negando la responsabilità italiane nell’adozione delle leggi sopracitate o nella scelta di entrare in guerra al fianco della Germania nazista. Questo è ben più grave. E allora va ribadito che l’esercizio di autocritica per un paese è un bene e che rappresenta l’unica strada per imparare dagli errori del passato affinché non si ripetano più.

Daniel Funaro

notizieflash   rassegna stampa

Di generazione in generazione

Come affrontare il passaggio generazionale? Questo il tema che aprirà oggi, giovedì 31 Gennaio alle ore 18,00, la nuova stagione del ciclo di incontri “Quale identità ebraica – Generazioni a confronto”,
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Identità e responsabilità
Identità e responsabilità. E' la prospettiva sviluppata dall'Associazione Prospettive Mediterranee nei giorni della Memoria. A portare un contributo ebraico, tra gli altri, il consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Victor Magiar e Lisa Palmieri Billig, rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell'American Jewish Committee. Moderatore dell'incontro il presidente dell'associazione Prospettive Mediterranee Enrico Molinaro.

 

Rinvio a giudizio per i moderatori e un utente del sito neonazista Stormfront. Nelle motivazioni del pm Tescaroli “l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi(...)









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