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6 febbraio 2013 - 26 Shevat 5773
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David
Sciunnach,
rabbino
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“... avendo sottoposto alle
cure mediche ... ” (Shemòt 21, 19). La Torah dice, a proposito di una
persona che subisce un danno fisico, che le cure mediche a cui deve
essere sottoposto sono a carico di chi gli ha procurato il danno
fisico. Però il grande commentatore della Torà, Rabbì Shelomò Ytzhakì,
conosciuto come Rashì, deduce da questo verso anche un altro
insegnamento cioè che è stata data la facoltà ai medici di curare gli
ammalati. Accadde che un giorno si presentarono degli uomini dinnanzi a
uno dei grandi Tzaddìkim delle generazioni precedenti e gli chiesero se
poteva pregare per un ammalato che versava in gravi condizioni. I
medici l’avevano dato oramai per spacciato. Questo Tzaddìk gli rispose
affermativamente e disse: “la Torah ha dato ai medici il permesso di
curare gli ammalati e non quello di far perdere loro la speranza della
vita”.
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Davide
Assael,
ricercatore
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Ignazio La Russa, pochi giorni dopo le note
dichiarazioni di Silvio Berlusconi su Mussolini, ha dichiarato in
un'intervista radiofonica che “Mussolini è un grande statista. Se lo
dicono di Monti figuriamoci se non possiamo dirlo di Mussolini”.
Aggiungendo, “Buio pesto sulle leggi razziali, ma nel fascismo ci sono
state molte luci”. Non credo che questa sequela di dichiarazioni da
parte di chi ha più volte mostrato di essere sedotto da una concezione
autoritaria del potere costruita sulla pietra angolare del conflitto di
interessi, non a caso un unicum nelle democrazie occidentali, possa
essere considerata casuale. Mi si dirà, ma questa è politica spiccia,
campagna elettorale. No, rispondo. Parlo proprio in quanto ebreo e dal
punto di osservazione ebraico. Purtroppo, forse perché in cerca di
spazio elettorale, questa volta, quella parte politica rappresenta, in
Italia, l’incarnazione della deriva xenofoba e nazionalista che si
aggira per l’Europa. Un pericolo anzitutto per gli ebrei, come la
storia, ormai rimossa, ci ha insegnato.
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Israele - Barack Obama
in visita a marzo |
Barack Obama visiterà
Israele il prossimo 20 marzo, durante la sua prima missione estera dopo
la rielezione. Si tratterà della prima visita nello Stato ebraico da
presidente. La decisione, fa notare Scott Wilson sul Washington Post,
suggerisce l’idea che Obama voglia rilanciare gli sforzi per i
negoziati di pace tra israeliani e palestinesi (prevista anche la
visita in Cisgiordiania), e più in generale, a riportare gli equilibri
mediorientali al centro delle sue priorità, dopo i vari tentativi mai a
buon fine nel corso del suo primo mandato. Dal famoso discorso del 2009
al Cairo che doveva segnare l’apertura di una nuova fase di rapporti
tra gli Stati Uniti e il mondo arabo, “un paio di dittature alleate con
gli USA sono state sostituite da governi eletti islamisti”, fa notare
il prestigioso quotidiano americano, e la situazione è ancora
tumultuosa.
Obama farà tappa anche in Giordania, uno degli Stati che sopporta il
peso maggiore della guerra civile siriana, con migliaia di profughi che
hanno oltrepassato le sue frontiere in fuga dalla crudele repressione
di Bashar Al-Assad. Poche ore dopo l’annuncio della visita, la stampa
israeliana ha rilanciato la notizia che Obama vuole farsi promotore di
un summit fra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il
presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (l’ultimo
tentativo di negoziato su impulso del presidente USA nel 2010 fallì
dopo poche settimane).
Il rapporto tra Obama e Netanyahu negli anni passati è stato
caratterizzato da una certa tensione, ma la cooperazione tra Stati
Uniti e Israele in materia di difesa è stata approfondita, ed entrambi
concordano sul fatto che sia necessario impedire all’Iran di usare il
proprio programma di uranio arricchito per raggiungere l’arma atomica.
Un cambiamento di rotta nelle relazioni tra i due potrebbe arrivare
anche dalla formazione del nuovo governo israeliano: l’ingresso nella
maggioranza di Netanyahu del partito centrista di Yair Lapid, che ha
ottenuto un exploit alle elezioni, potrebbe spostare gli equilibri
rispetto alla precedente amministrazione.
“L’Autorità palestinese accoglie con favore la visita di Obama, e spera
che darà come risultato la costituzione di uno Stato palestinese
accanto a Israele” il commento di Nabil Abu Rdeneh, portavoce di Abu
Mazen, come riportato dal Times of Israel.
rt
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Menachem
Elon 1923-2013 |
È mancato questa notte a
Gerusalemme il professor Menachem Elon, che era stato anche
vicepresidente della Corte Suprema israeliana. Il suo nome è
perennemente legato al diritto ebraico, alla sua storia, alle sue
fonti, ai suoi principi secondo il nome di una delle sue opere più
famose. Nato nel 1923 a Dusseldorf (Germania) da una famiglia
ortodossa-chassidica, fece l'aliyah nel 1935 e studiò per otto anni a
Gerusalemme nella Yeshivàt Chevron ottenendo il titolo di Rav dai due
rabbini capo Herzog ed Uziel; avvicinatosi all'ideale del sionismo
religioso, fu tra i fondatori del kibbutz datì Tirat Zvì; studiò anche
Diritto nella scuola di Tel Aviv terminando gli studi a pieni voti,
proseguendo poi (1954) gli studi e l'insegnamento all'Università
Ebraica di Gerusalemme, ove ottenne il dottorato di ricerca e dove
compì la carriera accademica fino a raggiungere il titolo di professore
nel 1972. A Gerusalemme fondò l'istituto di Diritto ebraico e
l'annuario di Diritto ebraico, di cui tenne la direzione fino alla
nomina di giudice alla Corte Suprema (1977), ove rimase per 16 anni,
terminando questo compito come vicepresidente della Corte. Nel 1979
ottenne il Premio Israele per il suo contributo alla diffusione del
diritto ebraico, e nel 1993 fu nominato presidente dell'Unione Mondiale
per gli Studi Ebraici, carica coperta fino al 2005. Il suo contributo
maggiore è legato alla ricerca e diffusione del diritto ebraico; Elon
aspirò a favorire la recezione dello stesso nel diritto dello Stato di
Israele: "è per noi un gran principio che un sistema giuridico non può
basarsi solo sulla legge. Il sistema giuridico ha bisogno di un'anima e
talvolta perfino di un'anima supplementare (neshamà ieterà) [appello
civile 391/80". Egli difese fermamente la sua posizione: "nella
recezione del diritto ebraico nel diritto dello Stato non vi è nessuna
offesa al mondo del diritto ebraico stesso, e non vi è da vedere in
questo una desacralizzazione della halakhah. Il diritto ebraico non
sarà difeso dal suo essere lasciato da parte, e non sarà così 'puro' e
'custodito' ". Proprio il contrario: la via principale per la rinascita
del diritto ebraico e il suo ritorno alla vita pratica, è proprio
quella della recezione nel sistema giuridico del rinnovato Stato
ebraico; solo così il diritto ebraico potrà cimentarsi con nuovi
problemi, e solo in questa maniera esso potrà essere un Diritto vivo,
una fonte di creazione." Con Menachem Elon viene a mancare un
costruttore dello spirito, il capo scuola dello studio e della ricerca
del diritto ebraico, un punto di riferimento saggio e mite.
Alfredo
Mordechai Rabello, Università Ebraica di
Gerusalemme
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Qui Milano - Lungo
dibattito, decisioni rimandate |
Si è protratta fino a tarda
notte la riunione del Consiglio della Comunità ebraica di Milano, ma
sui due principali punti all’ordine del giorno, gli sviluppi futuri del
Talmud Torah comunitario e l’approvazione del verbale di giunta del 22
gennaio, contenente la proposta di concedere il patrocinio a una
ricerca accademica, la seduta si è conclusa con un nulla di fatto.
Quale modello per la Comunità di Milano di fronte a divergenze sempre
più marcate tra le diverse sensibilità delle sue componenti? Questo il
tema sotteso alle vicende del Talmud Torah, le lezioni di studi ebraici
per bambini. Da diversi decenni, il centro Noam, punto di riferimento
religioso e sociale della kehillah persiana, organizza i suoi corsi nei
locali della scuola della Comunità, ma con regole di iscrizione che non
consentono a tutti i bambini della Comunità di frequentarli. Un
problema cui, in seguito ad alcuni recenti episodi, il Consiglio si è
proposto di porre rimedio.
Ad aprire la discussione sul tema è stato il rabbino capo di Milano
Alfonso Arbib con una lunga spiegazione delle implicazioni halakhiche
dell’intera vicenda. La conclusione cui è giunto il Rav è che la
posizione del Noam può essere considerata al limite della legge ebraica
perché contravviene al dovere di insegnare Torah a ogni bambino ebreo,
cosa che lui personalmente ritiene fondamentale, ma allo stesso tempo
ha dalla sua parte la giustificazione di svolgere una funzione
dissuasiva verso il matrimonio interreligioso “che per me costituisce
un problema di sopravvivenza della Comunità. Ci tengo sia chiaro che
non voglio dare in nessun modo un giudizio sulle persone, ma sul fatto
in sé. Però capisco la decisione del Noam”.
Due le posizioni emerse in seno al Consiglio. Gli eletti nella lista
Welcomunity guidata dal presidente Walker Meghnagi hanno riconosciuto
in maniera netta il diritto del Noam di scegliere le proprie regole,
prospettando come soluzione quella di rafforzare il Talmud Torah che la
Comunità già organizza alla Sinagoga centrale, eventualmente
spostandolo nei locali della scuola per offrire alle famiglie
un’alternativa analoga in termine di luogo e di orari, ma con regole di
iscrizione fissate dalla Comunità. Hanno inoltre sottolineato come il
Consiglio possa decidere di revocare al Noam la possibilità di
utilizzare i locali comunitari, ma che in passato scelte simili hanno
allontanato dalla Comunità altre kehillot. Diverso il pensiero espresso
dai Consiglieri che fanno riferimento alla lista Ken, che hanno
auspicato un compromesso per far sì che il Noam offra il servizio di
Talmud Torah a tutti, nell’ottica di una assunzione di responsabilità
di ciascun gruppo verso la collettività. O in alternativa, di
riconoscere che la struttura comunitaria diventi una piattaforma
offerta a tutte le componenti nelle proprie diverse sensibilità.
Nessuna decisione è stata raggiunta sul tema, così come sulla scelta di
concedere o meno il patrocinio a una ricerca accademica riguardante la
storia socio-economica dell’ebraismo milanese negli ultimi 200 anni,
dopo alcune perplessità espresse dallo stesso rav Arbib: del verbale di
giunta dello scorso 22 gennaio (in cui era contenuta la proposta
dell’assessore alla Cultura Daniele Cohen) è stato approvato solo lo
stralcio di due delibere tecniche urgenti, in attesa di ricevere
chiarimenti sul contenuto dello studio.
L’assessore al Bilancio Raffaele Besso ha invece annunciato la
conclusione positiva di due trattative: quella con gli uffici fiscali
per rateizzare l’esposizione derivante dagli sconti e dalle
rateizzazioni agli iscritti in arretrato con il pagamento dei tributi
comunitari concesse dopo aver già ceduto le loro posizioni agli
esattori, e quella finalizzata a un affidamento bancario, ottenuto
grazie al coinvolgimento finanziario della Fondazione Scuola.
Hanno assistito ai lavori, tra gli altri, il vicepresidente dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach e il consigliere Sara
Modena.
Rossella
Tercatin twitter @rtercatinmoked
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Qui Roma - Verso la
Maccabiade |
Ancora pochi mesi e si
apriranno i giochi della 19esima edizione delle Maccabiadi (17-30
luglio). In prossimità dell'appuntamento Amir Peled, presidente di
quello che è ad oggi stimato uno dei cinque eventi sportivi più
partecipati al mondo, ha incontrato a Roma vari esponenti della realtà
ebraica italiana. Molti i punti sollevati nel corso della riunione,
organizzata su iniziativa del presidente del Maccabi e consigliere
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Vittorio Pavoncello.
Coinvolti, tra gli altri, il presidente UCEI Renzo Gattegna, il
presidente del Maccabi Roma Fabrizio Della Rocca, il direttore generale
Roberto Di Porto e l'assessore allo sport della Comunità ebraica
capitolina Eugenio Calò. Nodi logistici, collaborazioni trasversali, il
lavoro dei dirigenti azzurri per essere presenti con numerosi atleti
alle gare. Un impegno di larga gittata che vivrà a Firenze, con un
grande raduno nazionale in programma nel mese di marzo, uno dei suoi
momenti più significativi.
(Nell'immagine il presidente UCEI Renzo
Gattegna con il presidente della Maccabiade Amir Peled)
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Melamed - L'uomo dello
schermo magico (no, non l’iPad) |
Che l’iPad possa anche
essere (anche) un gioco, o – per essere precisi – un contenitore di
giochi - adatto a bambini di tutte le età è oggetto di discussione. Che
i bambini siano affascinati dai tablet e siano bravissimi ad usarli con
naturale competenza sin dalla più tenera età invece è fatto ovvio e
assodato. Quello che però non tutti ricordano è che un altro oggetto ha
avuto per decenni la stessa capacità di fascinazione, sia sugli adulti
che sui bambini. E, ammettiamolo, anche oggi che siamo nell’era degli
iCosi, nessuno resiste a una lavagna magica. Nella versione originale,
si intende, quella che assomiglia allo schermo di una vecchia
televisione con le due manopole in basso che controllano un cursore, e
in inglese si chiama Etch-a-sketch e in francese L’écran magique e in
seguito Telécran, non quella su cui si scrive con una sorta di
pennetta. È stata uno dei più bei passatempi per bambini a partire
dagli anni sessanta: pochissimi minuti per padroneggiarne il
meccanismo, che permette di disegnare sul suo schermo qualsiasi cosa, e
quando si vuole ripartire da zero agitando il gioco, in pochi secondi,
tutto si cancella. Magicamente.
André Cassagnes, francese, nato nel 1926, aveva inventato la lavagna
magica partendo da una osservazione casuale, mentre lavorava in
un’azienda che produceva immagini utilizzando polvere d’alluminio. E
proprio su di essa e sulle sue proprietà si basa Etch-a-sketch:
all’interno del gioco una sorta di penna sposta la polvere d’alluminio,
lasciando una traccia nera. Una manopola controlla i movimenti
orizzontali, l’altra quelli verticali i movimenti verticali, e la
coordinazione fra le due manopole è una sfida irresistibile per
chiunque, tutt’oggi. Il gioco ha avuto un successo mondiale, sin dalla
presentazione alla fiera del giocattolo di Norimberga, fino a comparire
in Toy Story, il
famosissimo film di animazione che ha riportato il giocattolo a grande
notorietà e ad essere citato nella campagna presidenziale americana.
Negli anni settanta si era appassionato di aquiloni, diventando in
breve tempo noto come il migliore creatore francese di aquiloni
acrobatici…
È morto a metà gennaio, ma solo domenica la Ohio Art Co., la ditta che
ha prodotto più di cento milioni di Etch-a-sketch e ha diffuso il gioco
in tutto il mondo, ne ha dato l'annuncio. Il New York Times ha
avvertito i suoi lettori scrivendo la notizia sulla stessa lavagnetta
che ha segnato la sua vita.
Ada Treves twitter@atrevesmoked
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Ticketless - Il secondo
proverbio di Fery
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Le belle vignette che, su
questo portale e su Pagine Ebraiche di febbraio, Emilio Giannelli ha
dedicato a Rita Levi Montalcini mi hanno fatto ritornare in mente un
secondo proverbio yiddish caro a Fölkel. Lo pronunciava in inglese,
perché l’asburgico Fery era anglofilo e il suo esilio avrebbe preferito
consumarlo a Londra, non a Milano: “People faces depend on whom they
are seen with”. Non esiste una bellezza in sé (o una bruttezza). Belli
(o brutti) siamo noi, quando osserviamo il prossimo e cerchiamo di
riprodurne l’immagine su un bloc-notes. Il proverbio risolve alla
radice l’annoso problema della satira, che non è mai giuridico, guai se
lo fosse, né tanto meno religioso. Credo sia sbagliato parlare di
antisemitismo quando una vignetta ci infastidisce. Nel 1982 Forattini,
ieri l’altro Vauro. Non è necessario chiedere il ricorso ad un
tribunale per giudicare. Il problema è politico riguarda l’oggetto
della satira: il graffio di Giannelli riflette sul foglio un animo
pacificato, ma non meno risoluto; quello di Vauro uno stato d’animo
rancoroso e aggressivo, ma privo del coraggio che hanno dimostrato, ad
esempio, qualche mese fa, i disegnatori del settimanale Charlie Hebdo.
Vauro in tv ogni settimana pensa che basti prendersela con Formigoni o
la Bindi per criticare il fondamentalismo religioso. Sull’integralismo
islamico tace. Non si può dargli torto. Quanto al lato estetico,
evidentemente, i personaggi da lui ritratti possono dormire tranquilli
e potrebbero evitare di agitarsi. “People faces depend on whom they are
seen with”.
Alberto Cavaglion
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La parola "razza"
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Mantenendo fede a una
promessa fatta da Hollande in campagna elettorale, il governo di Parigi
si appresta a sopprimere, dalla Costituzione, il riferimento alla
razza, che compare nell’articolo 1, laddove si garantisce che la
Repubblica assicura l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla
legge, “senza distinzione di origine, di razza o di religione”.
L’articolo era stato formulato, com’è evidente, per esprimere il totale
rifiuto, da parte della rinata democrazia, delle aberranti teorie
razziste che avevano segnato la tragica esperienza dell’invasione
nazista e del regime di Vichy, e come tale ha sortito i suoi effetti in
tutti gli anni del dopoguerra. Ora, però, si ritiene che la coscienza
civile sia maturata, e che si sia radicata la convinzione, nella grande
maggioranza dei cittadini, che il concetto di ‘razza’ sia una pura
invenzione, funzionale esclusivamente alla discriminazione e alla
sopraffazione. Tale termine, perciò, non meriterebbe cittadinanza nella
Costituzione di un Paese democratico, che non solo è tenuto a non
praticare distinzioni di tipo razziale, ma anche a non mostrare di
credere che le razze esistano.
La questione, com’è evidente, dovrebbe riproporsi anche per la
Costituzione italiana, che, all’art. 3, stabilisce il principio di
uguaglianza “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
L’inserimento di un esplicito riferimento alla ‘razza’ fu oggetto, tra
i costituenti, di un approfondito dibattito, giacché, già allora,
alcuni sostenevano che esso fosse inopportuno, proprio perché mostrava
di dare credito all’esistenza dell’ambiguo concetto. Prevalse però la
decisione affermativa, in base al ragionamento che la mancata menzione,
dopo anni di propaganda razzista, potesse essere interpretata in senso
negativo, ossia come una ritrosia a prendere nettamente posizione
contro il razzismo.
Che fare, dunque? A distanza di 65 anni dall’introduzione della nostra
Costituzione, il riferimento alla razza va lasciato, o, come in
Francia, anche da noi va abolito? Si possono, al riguardo, formulare
valutazioni diverse. Personalmente, riterrei che la scelta andrebbe
fatta tenendo conto essenzialmente di due considerazioni:
- Che le razze non esistano non è tanto vero, e non è vero
che farvi riferimento sia automaticamente segno di razzismo. Le
differenze somatiche tra i popoli sono spesso evidenti, e negli Stati
Uniti, per esempio, il riferimento alla “race” è considerato normale e
indispensabile a fini di identificazione, di sicurezza ecc. Ma in
Europa il termine ‘razza’ è diventato, come disse Rosellina Balbi, una
“parola malata”, perché il suo uso è stato prevalentemente falso e
violento, tanto da renderla un ricettacolo di odio e disprezzo.
- Abolire il termine ‘razza’ - per
mostrare il ripudio non tanto del concetto in sé, ma, appunto, della
sua accezione distorta e maligna – presuppone una grande fiducia nella
maturazione della coscienza civile del Paese. Se si ritiene che il
rifiuto del razzismo sia ormai un dato acquisito e generalizzato, si
può anche proporre l’eliminazione del riferimento dalla Carta
Costituzionale. Ma se si pensa, invece, che il razzismo sia ancora un
fenomeno tristemente diffuso e pericoloso, tale modifica potrebbe anche
apparire incauta.
Francesco
Lucrezi, storico
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notizie
flash |
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rassegna
stampa |
Israele
- Anche i politici partecipano
a Doppelganger su Facebook
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Leggi
la rassegna |
Su Facebook è cominciata la
settimana Doppelganger: gli utenti cambiano le foto del profilo con
foto di personaggi famosi a cui pensano di assomigliare. Su Haaretz si legge che in Israele
anche i politici hanno ceduto alla tentazione. L’ex ministro degli
esteri Avigdor Lieberman ha postato sul suo profilo la foto dello 007
più famoso: Sean Connery e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha
cambiato la sua foto con quella di un famoso attore israeliano: Mariano
Idelman, guadagnandosi 15mila like e più di un migliaio di commenti.
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Le riflessioni di rav Alberto Somekh sul trattato del rabbino capo di
Francia Gilles Bernheim a proposito del matrimonio omosessuale sono
proposte dall’Osservatore romano. Numerosi i
punti affrontati dal rabbino torinese, a partire non soltanto dalla
possibilità, ma anche dall’opportunità di far sentire la voce ebraica
nel dibattito pubblico.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
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