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 8 febbraio 2013 - 28 Shevat 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
 

Una delle tante mitzvòt riguardanti i rapporti con il prossimo nella parashà di questa settimana è quella di aiutare una persona a tenere su il carico che sta cadendo dal suo asino. Da un particolare del verso (l'uso della parola immò - con lui) i Chakhamim deducono che il dovere di aiutare questa persona c'è solo nel caso in cui egli partecipi al lavoro. Uno degli elementi della vita ebraica è la solidarietà e l'aiuto reciproco. Senza questi elementi non esiste comunità e non esiste popolo. Ma per poter ricevere un aiuto è necessario innanzitutto impegnarsi in prima persona.

 Gadi
Luzzatto Voghera,
storico



gadi luzzatto voghera
Ho già avuto modo di proporre in pubblico un emendamento all’art. 1 della Legge 211/2000 che istituisce il Giorno della Memoria. «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, il Porrajmos (sterminio dei Rom e dei Sinti ), gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». Trovo indispensabile questo emendamento per dare un senso compiuto alla legge stessa e per fare della Memoria non un’icona del passato ma un laboratorio per il futuro. Si tratta di un’emergenza attuale e concreta: quando nelle scuole si parla di sterminio di ebrei il discorso viene ormai accettato e compreso in una sorta di scivolo della Memoria, acquisito e introiettato. Poi magari si accenna ad Auschwitz e al suo “Zigeunerlager”, e i volti di chi ti ascolta – ragazzi come anziani – si tramutano in un imbarazzato punto interrogativo: “cosa c’entrano gli zingari?”, si chiedono. Sappiamo che c’entrano: lo sanno a Berlino, dove è appena stato inaugurato il nuovo monumento per ricordare lo sterminio di Rom e Sinti, realizzato dall’israeliano Dani Karavan. Lo sanno all’Archivio Centrale dello Stato a Roma, dove hanno lavorato alla realizzazione di uno splendido sito web che raccoglie insieme le testimonianze di ebrei, rom e sinti. E’ ora che tutto questo diventi legge, per rispettare un segno di giustizia e perché la legge funzioni come un bisturi, che incida le viscere del pregiudizio profondo che si annida nel ventre del nostro Paese. Se lo vorranno, i nuovi deputati e senatori avranno anche questo compito da svolgere: sicuramente non renderà in termini di voti, ma contribuirà a rinnovare il profilo etico di un Parlamento che deve ritrovare una sua dignità.
davar
Qui Roma - Musica del Mediterraneo per Tullia Zevi
“Nella concezione ebraica dell’esistenza non c’è separazione netta tra pubblico e privato. Si deve osservare tra le mura domestiche un comportamento coerente con il volto che si mostra all’esterno. Un’idea molto distante dai modelli proposti ai giorni nostri. Se penso a mia nonna, e a cosa la mia generazione dovrebbe imparare, questo è forse il primo messaggio che mi viene in mente. Occorre vigilare sulle proprie azioni senza creare una gerarchia di situazioni: è importante essere all’altezza tanto nei momenti solenni quanto nei piccoli gesti quotidiani; trattare con rispetto le persone di riguardo, e con attenzione ancora maggiore chi invece ci appare più umile”.
Una lezione, qua raccolta nelle riflessioni del nipote Tobia (Pagine Ebraiche maggio 2011), che ha contribuito a fare di Tullia Zevi, la “signora dell'ebraismo italiano”, un personaggio indimenticabile. A due anni dalla scomparsa, l'omaggio congiunto di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Pitigliani con un concerto di musiche sefardite in programma domenica alle 19 nella sede del centro culturale trasteverino. Una serata nel segno dell'arte, di quella musica del Mediterraneo che Tullia Zevi, eccelsa suonatrice d'arpa, portava nel cuore. Ma anche un'occasione per declinare, nel racconto di alcuni amici, lo straordinario impegno profuso nelle istituzioni ebraiche e in tutta la società. Giornalista, intellettuale, firmataria delle Intese che avrebbero aperto una nuova fase nei rapporti tra ebraismo italiano e Stato. A renderle omaggio con una testimonianza, tra gli altri, l'attuale presidente dell'Unione Renzo Gattegna e il direttore del Pitigliani Ugo Limentani.
Il concerto, intitolato Aman Sepharad, vedrà esibirsi Arianna Lanci (canto), Sara Mancuso (arpa, clavicytherium, organo portativo) e Marco Muzzati (salterio, percussioni).

Dibattito aperto sui diritti civili alle coppie di fatto
Interrogativi e riflessioni nel mondo che cambia
Matrimonio omosessuale, omoparentalità, adozioni. Temi di grande attualità cui il numero di febbraio di Pagine Ebraiche in circolazione dedica quattro pagine speciali. A confronto le voci di un rabbino e di tre intellettuali. “Non preoccupiamoci troppo – scrive Davide Assael – saranno i bambini e le bambine del domani a scegliere quale dei loro genitori sarà il maschio e quale la femmina e lo faranno riconoscendo le loro caratteristiche affettive, che si caratterizzeranno, come in tutti noi, per rendere preponderante l'una o l'altra delle priorità che li abitano”.

Ha fatto molto clamore il documento, pubblicato l’ottobre scorso, del Grand Rabbin di Francia Gilles Bernheim a contrasto del progetto di legge Hollande con cui si vorrebbe offrire copertura legislativa alle nozze gay. Il ragionamento, che ha un fondamento filosofico coerente con la formazione del rabbino, non propone un discorso sistematico ma affronta una serie di argomenti, che, negli ultimi anni, hanno segnato il dibattito nelle diverse latitudini del mondo in cui si è aperto. Il primo punto si riferisce al cosiddetto argomento della tolleranza, per cui le persone omosessuali sarebbero vittime di discriminazioni perché viene loro negato il diritto universale al matrimonio. Il rabbino ha gioco facile a sostenere che non può trattarsi di un diritto universale e che certo non basta l’amore fra due persone a garantirlo. È, forse sufficiente che un padre ami sua figlia perché possa sposarla? Un argomento che vale anche per l’amore pedofilo. E lo stesso, aggiunge Bernheim, per il diritto alla genitorialità: non basta volere un figlio per poterlo avere. L’amore è necessario, ma non sufficiente; per crescere un figlio ci vuole ben altro. Ma, c’è da chiedersi, chi ha parlato di un diritto universale che deve garantire al primo che lo desidera un figlio o una figlia? Certamente, come avviene per le adozioni di coppie eterosessuali, vanno fatte tutte le considerazioni possibili sull’opportunità del caso specifico. Oppure, si pensa che una persona omosessuale sia, costitutivamente, un esempio negativo per il figlio? Il che fonderebbe, diciamo così, il discorso su un pregiudizio aprioristico riportandolo al punto di partenza. La genitorialità non è un diritto universale, esattamente come ogni diritto esistente (ha libertà di parola un nazista? Ha libertà di abusare un pedofilo? Ha libertà di rubare un ladro?). Le distinzioni ci sono e ci saranno sempre, ma la discriminante non può essere scelta a priori. E, qui, si inserisce l’argomento a mio giudizio più convincente, quello dell’esigenza genealogica. Come ci ha insegnato Edmond Jabés, in ogni persona esiste una “nostalgia dell’origine”, che implica, secondo la prospettiva del rav, un diritto alla conoscenza del proprio luogo di provenienza, soprattutto per non lasciare vuoti psichici durante lo sviluppo della persona. Ma non vale lo stesso per i casi di fecondazione eterologa, dove, fino a poco tempo fa, non si discuteva neanche sul diritto a non conoscere l’identità del donatore da parte della coppia? Ovviamente, il diritto era esteso anche al nascituro, che deve essere messo al riparo da oscillazioni identitarie. Do per scontato che il Grand Rabbin, che spesso apprezzo e del cui valore intellettuale ho assoluto rispetto, sia coerente con se stesso ed abbia fatto sentire la propria voce anche in quel caso. Il dibattito, però, è avanzato e si sono individuate strategie che garantiscono il diritto alla genitorialità della coppia pur informando il bambino della sua vera origine, anche permettendogli di sviluppare un rapporto con il donatore o donatrice. Prassi già ampiamente praticata nel caso dei bambini e delle bambine adottati. Perché per le coppie omosessuali non deve valere lo stesso principio? Forse, perché sono omosessuali? O si vuole negare il diritto a un bambino di poter essere adottato da una famiglia nel caso conosca i suoi genitori biologici? Certo, come avvenuto migliaia di volte nella storia, l’immagine della famiglia cambierà, ma da qui a sostenere un necessario sviluppo patologico del figlio ce ne passa. E, se non c’è in un caso, non si capisce perché deve esserci nell’altro. Forse, perché in questo caso si tratta di persone omosessuali? Infine, rav Bernheim propone l’argomento culturale. Lui, dice già nell’Introduzione alla sua riflessione, fa riferimento all’etica biblica, dove l’origine della filiazione nasce dalla complementarietà di uomo e donna. Ora, a parte il fatto che a me è stato insegnato che il monoteismo si definisce per individuare un’origine unitaria contro la prospettiva dualistica delle religioni mitiche, che sostengono, invece, un conflitto strutturale fra due polarità contrapposte (spesso identificate nel maschile/femminile, appunto), mi pare che questo sia il punto in cui emerge il quadro filosofico su cui poggia tutto il discorso. Un quadro radicalmente dualistico, che sembra non tenere conto degli ultimi 100 anni di riflessione filosofica, dove la nettezza dei limiti che separano il bene dal male, il razionale dall’irrazionale, il maschile dal femminile è stato ampiamente messo in discussione. Sì, perché non servono 100 e più anni di psicanalisi per ricordarci che l’individuo è sempre un composto di maschile e femminile, il che significa due cose. Primo che non esistono distinzioni nette che possono tagliarsi con l’accetta. Come già diceva Giordano Bruno (per restare nell’ambito filosofico proposto dal rav), gli uomini vedono la danza dell’ape che gira in tondo e ne deducono la perfezione circolare dell’intero universo; ma l’ape non forma mai una circonferenza perfetta, semmai un’ellisse un po’ sbilenca, sono gli uomini a piegare la realtà alla propria esigenza di rassicurazione. Secondo insegnamento, che i limiti esistono anche se si accetta una prospettiva critica. Solo i limiti vengono stabiliti da parametri che devono valere per tutti, non per alcuni sì e per altri no (concezione unitaria). In ogni passaggio epocale (si veda il dibattito sull’abolizione della schiavitù, sul concedere pari diritti alle persone di colore…), l’argomento è sempre lo stesso: il cambiamento porterà all’anarchia sociale. E mai è stato così. Non preoccupiamoci troppo, saranno i bambini e le bambine del domani a scegliere quale dei loro genitori sarà il maschio e quale la femmina e lo faranno riconoscendo le loro caratteristiche affettive, che si caratterizzeranno, come in tutti noi, per rendere preponderante l’una o l’altra delle polarità che li abitano. Ultimissima considerazione. Io faccio ricerca in ambito filosofico e, ormai da un po’ di anni, mi confronto con i grandi testi di questa tradizione. Ho imparato dai retori greci (ma anche da Aristotele) che ogni evento può essere categorizzato (interpretato) in diversi modi, a seconda del percorso riflessivo che si vuole scegliere. Perché non approfittare di questo dibattito per affrontare il grande tema religione – sessualità – divieto? Non sarà capitato solo a me di sentire al Beth haKnesset battute tipo, ma se adesso entrasse un gay, dovremmo contarlo per il minian? E se un gay fosse stato presente come si sarebbe sentito? Come quell’ebreo indotto ad odiare se stesso perché gli altri lo fanno sentire diverso.

Davide Assael, Pagine Ebraiche, febbraio 2013

Qui Roma - Nadia Werba in mostra al Pitigliani
Pitture su tela, disegni con smalto e marmo, sculture con vari materiali e collage su carta. Un eclettismo che ha fatto di Nadia Werba, pittrice di origine parigina, una protagonista dello scenario artistico europeo e internazionale. Con Résonances - opere 1958-2013, mostra personale che si inaugura domani alle 19 e che resterà aperta fino a domenica 28 febbraio, il centro culturale Pitigliani offre al pubblico romano la possibilità di accedere a una trentina di opere che tratteggiano in modo estremamente significativo 55 anni di carriera vissuti con grande intensità e dinamismo. Nata a Parigi nel 1926, portata dal padre a Buenos Aires per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche, Nadia Werba si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Buenos Aires e inizia gli studi d'arte con il celebre pittore Demetrio Urruchua. Tornata in Francia, dopo essersi sposata, approfondisce letteratura alla Sorbona e pittura con André Lhote e Fernande Leger. Le sue prime due personali in Italia, 'Cassapanca' e 'Il Pincio', risalgono al 1952. Segue un lungo soggiorno in Spagna – dal 1956 al 1968 – nel corso del quale emergeranno nuove creatività e nuove aspirazioni artistiche. Con il gruppo degli espressionisti partecipa, tra i vari appuntamenti, alla Fiera Internazionale di New York nel 1963 e alla Biennale di Venezia nel 1964. Allo stesso tempo, da regista, ottiene consensi anche nel cinema e nella televisione. Un'esperienza di successo, che la porterà ad essere premiata nei più importanti festival del settore. Il trasferimento definitivo a Roma, assieme alla famiglia, è del 1981. Da allora un'incessante produzione artistica focalizzatasi in particolare su quadri, ceramiche, sculture e collage.

Qui Firenze - Dalle leggi razziste alla Resistenza
Per tutto il mese di febbraio alla Biblioteca nazionale di Firenze è visitabile una “panoramica dell’eco delle leggi razziali sui giornali italiani” allestita nel vastissimo atrio marmoreo; una mostra assai modesta e per niente pubblicizzata, ignorata dagli stessi addetti all’ingresso, ma che merita di essere vista perché i documenti esposti nelle sei bacheche dai volonterosi organizzatori, Sergio Marchini e Fulvio Stacchetti, sono assai interessanti e rispondono al titolo datole 'Noi tireremo diritto – la costruzione dell'Ebreo nemico nella stampa italiana: dalle leggi razziali alla Resistenza'. Vi troviamo il quotidiano fiorentino La Nazione del luglio 1938 con i primi decreti contro gli ebrei e gli ultimi numeri del settimanale Israel, stampato a Firenze, prima dell’assalto di squadristi alla sua tipografia distrutta in quell’anno. Di quel periodo sono esposti anche vari numeri del Bertoldo e del Marc’Aurelio, giornali satirici famosi per le loro terribili vignette. Una vetrina è dedicata all’opera indefessa di salvataggio condotta da Don Leto Casini e un’altra al ricordo di due caduti per mano di cecchini spinti dall’odio per l’ebreo anche quando Firenze era già stata liberata. Giuliano Treves, nato nel 1916, era stato il giovanissimo insegnante, idolatrato dalle allieve, di inglese e storia dell’arte nella Scuola superiore ebraica. Sfuggito a fine novembre alla razzia nel Convento del Carmine, aveva raggiunto Roma e si era unito alle truppe alleate, come interprete, risalendo la penisola; colpito di striscio dalla bomba che in Oltrarno uccise invece, l’8 agosto, l’amico partigiano Aligi Barducci, noto come “potente”, aveva continuato a svolgere il suo incarico fino a sera morendo per l’ematoma cerebrale formatosi.
Giacomo Lumbroso (1897), essendosi battezzato nel 1927 per potersi sposere non è mai ricordato in campo ebraico ma invece era ben rimasto ebreo nel suo animo come risulta dal bell’articolo esposto, Ebrei e fascismo, coraggiosamente pubblicato il 25-12-1933-XII dell’era fascista sul foglio L’Universale; a 18 anni era andato volontario in guerra, nel 1923 era stato espulso dal partito fascista. Fu ucciso da un colpo di fucile il 12 agosto 1944.

Lionella Viterbo

pilpul
Un leader lontano
Anna SegreDavvero l’unico problema degli ebrei italiani rispetto a Berlusconi sono le sue possibili alleanze? È questa l’idea che sembra suggerire l'articolo di Sergio Della Pergola pubblicato sul numero di febbraio di Pagine ebraiche; forse è un’impressione che non corrisponde alle intenzioni dell’autore - tant’è che l’intervento dello stesso Della Pergola su l’Unione informa di ieri dice cose ben diverse - comunque mi pare un tema meritevole di riflessione. A me il personaggio di Berlusconi trasmette una sensazione di abissale lontananza dalla cultura ebraica, dai valori che solitamente consideriamo ebraici e dai temi che stanno a cuore agli ebrei. Già è significativa la sua assenza dalle nostre manifestazioni: in quasi vent'anni di attività politica quando mai l'abbiamo visto in un convegno, in un congresso Ucei? Ha fatto capolino solo - e neanche tanto spesso - in occasioni riguardanti Israele. Non ha mai partecipato a eventi relativi al Giorno della memoria e, quando finalmente quest'anno lo ha fatto, ha detto cose tali da far pensare agli ebrei (per una volta miracolosamente tutti d'accordo tra loro) che sarebbe stato meglio se fosse rimasto a casa.
Per l’ebraismo la giustizia è un tema fondamentale, istituire tribunali è l’unico precetto positivo che deve essere comune a tutti i popoli. L’ex premier, anche al di là delle sue vicende personali, in molte occasioni si è espresso in modo negativo nei confronti della figura del giudice in sé, e a volte della stessa esigenza di ricercare la verità e le responsabilità, presentata come un'inutile, dannosa e patologica pulsione a rinvangare il passato (passato che, peraltro, si può riscrivere e stravolgere a proprio piacimento quando le circostanze lo richiedono, proponendo magari in pochi giorni versioni contrastanti degli stessi fatti; anche questo mi sembra lontanissimo dall'importanza che la cultura ebraica attribuisce al ricordo e all'assunzione di responsabilità che ne deriva). Lasciando stare la sua immagine della donna, giudicata sempre e solo sulla base di canoni estetici come se non esistesse altro (concezione lontanissima dall’ebraismo, che a volte magari discrimina le donne ma certo non le sottovaluta), rimane il problema forse più grave, e che spiega la sua pressoché totale assenza da qualunque nostro evento: la noncuranza, quando non la diffidenza o il vero e proprio disprezzo, per la cultura, la scuola, l'istruzione.
Credo che tutti questi valori che ho definito tipicamente ebraici - la memoria, la responsabilità, la giustizia, la cultura, il rispetto per la dignità della donna, la centralità attribuita a tribunali, giudici, scuole, insegnanti - siano ugualmente condivisi da tutti gli ebrei, di destra, di sinistra, e di centro; per cui suppongo (ma non sta a me dirlo e non ho la presunzione di capire le ragioni altrui) che gli ebrei che sceglieranno di votare la coalizione di centro-destra lo faranno non per amore del suo leader ma nonostante lui e con la speranza di riuscire un giorno a fargli cambiare idea almeno su alcuni di questi temi. Per quanto mi riguarda, questa lontananza e difformità di valori da parte di un personaggio così centrale nella storia italiana ha sempre suscitato in me un’inquietudine che nessuna ostentata amicizia per Israele potrà mai attenuare.

Anna Segre, insegnante

L'eleganza della logica, la medicina del paradosso

Due citazioni dai romanzi di Sándor Márai:
“L’uomo comprende il mondo un po’ alla volta e poi muore” (Le braci).
“Gli amori infelici non finiscono mai” (L’eredità di Eszter).
Anche il più cupo pessimismo ebraico coniuga l’eleganza della logica al fascino lenitivo del paradosso

Laura Salmon, slavista

notizie flash   rassegna stampa
Vercelli - I registri della vergogna   Leggi la rassegna

Resterà anche la la prossima settimana, presso la biblioteca della Comunità ebraica di Vercelli, la mostra dedicata alle persecuzioni razziali con esposti, tra gli altri, i registri originali del carcere Le Nuove di Torino con generalità dei detenuti e relative impronte digitali. Curata da Felice Tagliente,la mostra ospita le opere del pittore Roberto Zargani ed è stata inaugurata con un dibattito cui hanno preso parte anche il presidente della Comunità ebraica e consigliere UCEI Rossella Bottini Treves, la partigiana Olga De Bianchi e il docente Mario Castellana.
 

Sull’Espresso Stefano Bartezzaghi sottolinea - con una interessante disamina del senso degli errori e dei lapsus che tutti possono commettere - come papa Benedetto XVI abbia dichiarato, in occasione del Giorno della Memoria, che la memoria della Shoah deve “rappresentare per tutti un monito costante affinché non si ripetano gli errori del passato”.




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