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11 febbraio 2013 - 1 Adar 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
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Adolfo Locci, rabbino capo
di Padova

"Mi faranno un Santuario ed Io dimorerò in mezzo a loro" (Esodo 25:8) Un Midrash narra che Moshè, quando ricevette questo ordine, rimase sbigottito e si domandò come sarebbe stato possibile - per l'essere umano - edificare una Casa per l'Eterno dal momento che "neanche i cieli e i cieli dei cieli possono contenerLo" (I Re 8:27). A questo rispose il Signore: non secondo la Mia forza, ma in base alla vostra. Rabbì Israel Meir Kagan (1838-1933) spiega che la risposta divina indichi solo la richiesta di impegno - da parte degli uomini - a fare ciò è nelle loro possibilità e non di più. Neanche promettere cose cha già dall'inizio si sa di non poter mantenere...

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
La polemica nata prima in Israele poi anche sulle pagine del portale dell’Unione (con Sergio Della Pergola e Anna Segre) sulla candidatura fra gli italiani all’estero di Sharon Nizza alle politiche nelle fila del PDL è significativa e interessante. Interessante per la dura critica formulata alla sua candidatura in una lettera firmata da numerosi Italkim, molti dei quali personaggi di rilievo, intellettuali e professori universitari, appartenenti tanto alla sinistra che a schieramenti moderati, tanto religiosi che laici. Uno schieramento trasversale, che contesta la candidatura della Nizza in un partito il cui leader, Berlusconi, ha recentemente espresso, e proprio in occasione della Giornata della Memoria, posizioni inaccettabili sul fascismo e l’alleanza di Mussolini con la Germania nazista. Posizioni su cui la Nizza, in un’intervista a caldo, non si è dichiarata d’accordo, pur dicendosi sicura di riuscire a far cambiare “idea a Berlusconi”. Se la giovane Nizza ha parlato con sincerità, allora si può solo consigliarle di crescere prima di tentare l’arduo cammino della politica. Tanto questo dibattito in Israele, che la Nizza interpreta berlusconianamente come “una pugnalata nella schiena” ma che chiunque si sia mai presentato a delle elezioni non può vedere che come una normale espressione di dissenso politico, quanto la sua ripresa su queste colonne sono in realtà un fatto significativo. Come giustamente ha scritto Anna Segre a questo proposito, per un ebreo che si presenti in quanto ebreo alle elezioni l’adesione al PDL entra oggi in conflitto con i più profondi valori dell’ebraismo. Fra questi, la memoria, il rigore etico, il rispetto per la giustizia, per le donne, per la scuola e la cultura, tutti valori fondamentali calpestati in questi anni da Berlusconi e dall’incultura che ha creato nel nostro paese. Le posizioni di Berlusconi sul fascismo - ma è di ieri l’elogio del dittatore Ceausescu, che non stupisce da parte di un caro amico di Gheddafi e di Putin – hanno creato un discrimine che non è politico, ma morale. Ed è proprio in nome di questi valori etici che ci auguriamo che Sharon Nizza si presenti, come è suo diritto, ma non, come vorrebbe, in quanto ebrea, perché ebrea.

davar
Benedetto XVI - Partecipazione e affetto dal mondo ebraico
Preoccupazione e partecipazione per lo stato di salute di Benedetto XVI e rammarico per la sua repentina decisione di lasciare l'incarico sono i sentimenti espressi dal presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che afferma: “Gli ebrei italiani vogliono esprimere la loro vicinanza e il loro rispetto a papa Benedetto XVI per la sofferta e coraggiosa decisione presa in queste ore. Estremamente significativi, nel corso del suo magistero, i passi compiuti per l'avvicinamento tra ebrei e cristiani nel solco dei valori comuni. La visita ufficiale in Israele, la preghiera per la pace al Muro del Pianto, le parole pronunciate al Memoriale dello Yad Vashem. E ancora l'incontro con gli ebrei romani al Tempio Maggiore. 'La dottrina del Concilio Vaticano II – affermò in quella circostanza – ha rappresentato per i cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa'. Un cammino verso la comprensione che è prerogativa irrinunciabile per noi tutti e che il pontefice, con le sue parole, ha rafforzato”. La nostra speranza, conclude il presidente UCEI, “è che egli possa contribuire anche in futuro a un dialogo basato sui principi della pari dignità e del reciproco rispetto”.
Il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, appena appresa la notizia, ha affermato che Benedetto XVI si è rivelato un interlocutore “attento, prezioso e sensibile”. Un rapporto, quello andato rinsaldandosi con il mondo ebraico, basato su reciproci sentimenti di rispetto e di stima. “Papa Ratzinger – sottolinea il rav – ha manifestato attenzione per le radici ebraiche del cristianesimo e anche se non sono mancati inevitabili momenti di divergenza il nostro rapporto si è sempre dimostrato di alto livello. La sua visita alla sinagoga di Roma del 2010 non sarà dimenticata”. “Benedetto XVI - ha aggiunto il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici - testimonia non solo un impegno formale con la comunità ebraica più vicina al pontefice, quella romana, ma rappresenta anche un percorso sincero non solo nel dialogo ma anche la testimonianza di una voglia di accogliere e interloquire in un sistema di pari dignità e rispetto con il mondo ebraico nel suo complesso, come dimostrano le visite compiute dal pontefice alle sinagoghe di New York e Berlino, nella città simbolo della Shoah”. Rav Elia Richetti, presidente dell'Assemblea rabbinica italiana: “È una notizia che giunge inattesa e che suscita interrogativi sui prossimi sviluppi della Chiesa. Sviluppi che dovremo seguire con attenzione e vicinanza”. Il pontificato di Benedetto XVI, dice il rav, “è stato caratterizzato da momenti di rallentamento nello sviluppo del dialogo ma anche da precisi chiarimenti di un mantenimento dell'impegno della Chiesa nei confronti del popolo ebraico”.
“Ho appreso la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI e ho letto con attenzione il breve discorso in cui egli annunziava questa sua sofferta e importante decisione. Trovo che si tratti di un segno di grande umiltà, dignità e coraggio” commenta rav Giuseppe Laras, presidente emerito dell'Assemblea rabbinica italiana. “In questi anni – prosegue il rav – ci sono stati momenti in cui mi sono trovato in forte dissenso nei confronti di Benedetto XVI come pure, in altre occasioni, ho avuto invece modo di fargli pervenire espressioni di apprezzamento per alcune decisioni e posizioni da lui assunte o in relazione a suoi interventi. In questo delicatissimo momento sento il bisogno di esternare al papa la mia stima nei confronti della sua persona e del suo magistero, come pure la mia personale vicinanza, formulandogli i migliori e più fervidi auguri per il futuro”.

as twitter @asmulevichmoked

Benedetto XVI - Sergio Minerbi: “Serio e non antipatico”
Omaggio al papa e retroscena di un abbandono repentino
Alla vigilia della sua visita alla sinagoga di Roma, in una lunga intervista al giornale dell'ebraismo italiano “Pagine Ebraiche”, Sergio Minerbi, considerato il massimo esperto vivente di rapporti fra Israele e Santa Sede, aveva definito Benedetto XVI “Antipatico ma serio”. Oggi, rispondendo alle domande dei giornalisti della radio statale di Gerusalemme Kol Israel e del Portale dell'ebraismo italiano, il suo giudizio è cambiato solo in parte. “Correggerei – sorride Minerbi, mentre esprime sincera partecipazione nei confronti del drammatico gesto di Benedetto XVI - solo il termine 'antipatico'. Confermo invece in pieno il giudizio sulla sua serietà”.
Ma lo studioso e diplomatico israeliano, che è noto per tenersi ben distante dalle espressioni di maniera e dalle frasi di circostanza, si guarda bene dal limitarsi a qualche generica espressione di simpatia e di solidarietà nei confronti del papa. Né mostra di credere che alla base della decisione repentina e sconvolgente di lasciare in pochi giorni il soglio pontificio possano esserci esclusivamente motivi di salute.“I papi muoiono sul trono – spiega Minerbi – così come ha fatto anche Giovanni paolo II. Non è facile credere che solo le precarie condizioni di salute possano giustificare un gesto simile. Penso piuttosto a un dissidio insanabile fra pontefice e Segreteria di stato, una distanza molto pericolosa e potenzialmente esplosiva in seno al Vaticano che Benedetto XVI potrebbe aver deciso di chiudere con un clamoroso passo indietro”.Fra i diversi indizi elencati da Minerbi che lasciano intendere un problema interno alla Santa Sede, anche lo sfortunato incontro con i quattro vescovi oltranzisti lefebvriani (uno dei quali si sarebbe rivelato subito dopo un negazionista). “Non è pensabile che un incontro sia avvenuto senza una volontà o forse una leggerezza della Segreteria di stato”.Minerbi cita anche le dimissioni forzate del banchiere dello IOR, un organismo centrale per le finanze vaticano Ettore Gotti Tedeschi, considerato un uomo fedele a Benedetto XVI, e altri segni di forte incomprensione. “Se si crea un dissidio di questa portata all'interno della struttura vaticana – commenta Minerbi – evidentemente a nulla possono valere nemmeno i poteri assoluti del pontefice”.“Resta da chiedersi – aggiunge Minerbi - cosa abbia portato Ratzinger ad abbandonare il campo invece che optare per la soluzione che pure avrebbe potuto praticare di pensionare il cardinal Tarcisio Bertone”.Ardue le previsioni, secondo lo studioso, di quanto potrà avvenire in futuro.“Molti ritengono – commenta – che il cardinale Ettore Scola, arcivescovo della diocesi più importante d'Italia, quella di Milano, possa salire al soglio pontificio. Si tratta di un vescovo esperto e con una solida esperienza di impegno internazionale, ma anche del ritorno a un papa italiano”.Ancora più difficile, lascia intendere Minerbi, prevedere come potranno evolvere i rapporti ebraico cristiani. Ma lo studioso non fa sconti nemmeno al fronte ebraico, quando ricorda che molto in ogni caso dipenderà dall'attitudine e della capacità del governo di Gerusalemme di gestire il difficile equilibrio diplomatico. “La politica vaticana dello stato di Israele è carente, troppo cedevole là dove bisognerebbe resistere e inutilmente dura là dove sarebbe necessario dimostrare disponibilità”.

gv            

Benedetto XVI - Un sasso nello stagno
Avremo modo di tornare su questa clamorosa scelta di Joseph Aloisius Ratzinger. Le parole, e le interpretazioni, si sprecheranno. Alcune saranno all'altezza delle circostanze, altre ripeteranno i cliché sbiaditi di sempre, come se, quando si parla di Chiesa, si trattasse di commentare un derby tra favorevoli e contrari. Rimane il fatto che questo Papa, giudicato - a torto o a ragione – con severità, comunque senz’altro eccessiva, a tratti gratuita, ha lanciato, volente o nolente, un sasso nello stagno. Nella sua "stanchezza" possiamo vedere riflessa la nostra. Nella sua inadeguatezza (non lo dice ma evidentemente lo pensa di sé) si ricompone, come l’immagine nello specchio infranto, quella delle élite nazionali e mondiali che sembrano assenti davanti alla sfida dei tempi correnti, ripiegate come altrimenti sono sui propri interessi. Ci parla quindi della consapevolezza di un grave difetto di magistero, quello suo ma, soprattutto, della sua istituzione. Poi però va ancora oltre, con un gesto senza eguali. Ci denuncia come l'incoscienza delle classi dirigenti possa capovolgere irresponsabilmente il mondo. Cosa alla quale, evidentemente, intende sottrarsi. È forse un segno dei tempi, privati della speranza del futuro. Lui, probabilmente, ne è consapevole. Sembra non avere troppo da spartire con il suo predecessore, Karol Wojtyla, che della ribalta mediatica, fino alla consunzione quasi a volere testimoniare con la morte del suo corpo della perpetuità di quello cristiano, aveva fatto una missione. Queste dimissioni ci sconcertano e ci spiazzano. Sono un sasso nella palude. Interpellano la coscienza di ognuno di noi, soprattutto di coloro che occupano le posizioni di privilegio, applicando queste ultime condotte defezioniste, a valorizzare il proprio particolare a discapito dell’interesse generale. Il suo, infatti, non sembra tanto un abbandonare il campo ma un dichiarare che QUEL campo, non la sola Chiesa ma il mondo di cui essa dice di occuparsi, è così dolente da richiedere uomini (e donne) all'altezza della situazione.

Claudio Vercelli, storico

Rav David Hartman (1931-2013)
“Mi ha dato l’opportunità di pensare senza alcuna limitazione”. Così Avi Sagi, professore all’Università di Bar Ilan ha ricordato rav David Hartman, scomparso ieri all’età di 81 anni.
“Un pubblico filosofo per il popolo ebraico – lo ha definito Michael J. Sandel, professore di filosofia politica a Harvard – Come Maimonide portò Aristotele a conversare con Mosè e rabbi Akiva, così Hartman ha rinnovato il pensiero ebraico portando la sensibilità progressista nel ragionamento talmudico”. Ma a spiegare nella maniera più approfondita la figura di rav David Hartman è stato il filosofo Moshe Idel “I filosofi non costruiscono, discutono, si occupano della comprensione dei fenomeni. Hartman ha costruito una comunità, allo stesso modo in cui lo ha fatto movimento hassidico. Non è un insegnante, è qualcuno che crea – ha spiegato al quotidiano Haaretz – E’ impossibile circoscrivere la sua attività all’ambito religioso. Se un giornalista come Thomas Friedman (editorialista del New York Times e vincitore del Premio Pulitzer ndr) arriva in Israele e va direttamente a intervistare Hartman non è semplicemente una questione di religione. Se ministri e primi ministri si consultano con Hartman, non è semplicemente una questione di religione”. Rav Hartman era nato nel 1931 a Brooklyn in una famiglia di hassidim. Fu allievo di rav Joseph B. Soloveitchik, uno dei più illustri maestri dell’ultimo secolo e ricevette il titolo rabbinico alla Yeshiva University nel 1953. Conseguì poi un master in filosofia alla Fordham (New York) e il dottorato alla McGill, ricoprendo nel frattempo il ruolo di rabbino capo di Montreal. Nel 1971 si trasferì con la famiglia in Israele e divenne professore di filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme. Nel 1976, in seguito alla crisi in cui versava Israele in seguito alla Guerra del Kippur, fondò lo Shalom Hartman Institute, nel nome di suo padre, promuovendo un approccio ebraico di apertura verso tutte le componenti del mondo ebraico, e di sensibilità progressista “Io voglio riportare la Torah al partito laburista, all’intero popolo di Israele – aveva dichiarato Hartman in un’intervista a Yediot Achronot nel 2011 – Non voglio che la religione sia proprietà privata di determinati gruppi. Non voglio che la lunghezza delle peiyot (i boccoli ai lati del viso ndr) diventi un fattore determinante”. Per le sue posizioni Hartman è stato spesso oggetto di critica da parte della leadership ortodossa in Israele.
L’Istituto Hartman offre programmi e seminari rivolti a un pubblico molto diverso, dai grandi studiosi ai neolaureati, dagli ufficiali dell’esercito ai liceali.
Rav Hartman è stato consulente di numerosi ministri israeliani nel corso dei decenni ed è autore di varie opere di pensiero ebraico. Lascia cinque figli. Uno di loro, Donniel, lo ha da tempo sostituito alla guida dello Shalom Hartman Institute.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Rav David Hartman - Relax, be Jewish!
E' una bella domenica di sole e sto uscendo per andare al cinema. Letteralmente sulla porta, vengo fermata da un'email. Baruch Dayan Haemet. Una newsletter speciale di Shira Chadasha, la congregazione della quale facevo parte durante gli anni vissuti a Gerusalemme, porta una triste notizia: il rav Hartman, Maestro, rabbino e membro di quel Minyan, non è più fra noi. Senza nemmeno pensarci, la mente va alla ricerca di immagini d'archivio... Quando l'ho sentito parlare per l'ultima volta? Che cosa insegnava? Ricordi confusi affiorano uno sull'altro: le sue mani grandi, continuamente agitate, infervorate e rumorose che sbattono contro il microfono nelle affollate lezioni del lunedì sera, una lunga lezione la notte di Shavuot precedente un anno di Shmità, un anno sabbatico, nella quale critica ironicamente l'heter mechirà, il sistema per cui si vende la terra di Israele a un non ebreo per poter continuare a coltivarla anche durante l'anno sabbatico: "Per sei anni consecutivi noi cerchiamo di sottrarre la terra agli arabi, poi arriva il settimo anno, e li convinciamo a riprendersela!", la risata enorme, con la bocca aperta e gli occhi di un bambino un po' insolente che sa di aver detto una cosa che non piacerà a tutti. Ancora una notte di Shavuot: i romani chiedono e ottengono, o forse impongono, di esaminare tutto il Talmud. Lo trovano tutto sommato accettabile, salvo che per un'unica frase negativa contro di loro, sulla quale decidono comunque di sorvolare, in virtù di tutta la saggezza che la controbilancia. Rav Hartman racconta questa storia, contenuta proprio nel Talmud, e ride di cuore al pensiero di quegli ebrei che hanno deciso già tutto: che cosa piacerà e che cosa non piacerà ai romani: chi condanna chi, in questa vicenda? Gli ebrei scrivono una storia nella quale i romani fanno una bella figura parlando bene degli ebrei. Non è comico, nella sua profondità?
Rav Hartman che racconta i due opposti comportamenti di Abramo di fronte alla gustizia divina: discute per salvare Sodoma, ma accetta in silenzio il sacrificio di Isacco. Dobbiamo dare fondo a tutta la nostra capacità di sentire il dolore dell'altro e di porvi rimedio, di opporci ad esso. Questo è Chesed. Diverso è l'atteggiamento quando si tratta di noi, del nostro soffrire, spiega Hartman, e il pubblico, i suoi studenti, tutta la sala lo seguono con gli occhi e col respiro, nessuno vuole perdersi nemmeno una parola del Maestro. L'equilibrio, delicatissimo, è fra l'umana intuizione di che cosa sia morale, il nostro soggettivo senso di giustizia e la totale sottomissione al volere divino. Esiste la Torah, esistono le leggi ed esistiamo noi, che siamo obbligati a interpretarle secondo la nostra comprensione, assumendocene la responsabilità in ogni generazione. Il rav si scaglia contro il rabbinato di Israele che non prende decisioni, per paura, su questioni che provocano sofferenze diffuse: le agunot, donne incatenate in matrimoni dai quali non riescono a uscire e i mamzerim, persone che senza averne colpa si trovano nella condizione di non potersi sposare secondo la Halakhah. Rav Hartman batte il pugno sul tavolo contro qualsiasi ebreo che non azioni il proprio giudizio morale sulle mitzvot, su chi “esegue e basta”. Non tutto è però amaro, nelle sue lezioni, a cominciare dalle dispense color pastello che raccolgono le parole di tutta la nostra storia morale e intellettuale, da Rambam a Soloveitchik, da Chazal a Eliezer Berkovitz, e forse è proprio questo a renderlo unico: la profondità nell'ascolto dell'altro, l'assunzione di responsabilità nell'agire per il bene del prossimo e della collettività (ebraica e non ebraica) si accompagnano alla leggerezza e alla gioia, vera simchà chassidica, nel vivere la propria vita con ironia, senza un'ombra di autocommiserazione. Ancora una volta il doppio modello di Avraham: tentare il tutto per tutto per salvare il prossimo, ma farsi carico delle proprie prove in silenzio. Una rivoluzione gioiosa, quella proposta e vissuta da rav Hartman, e non è un caso che si sia ricongiunto ai suoi padri proprio nel primo giorno di Adar, in cui si incomincia ad aggiungere simchà, gioia, per prepararci a Purim, al “venaafochu”, quello stravolgimento capace di sovvertire l'ingiustizia.

Miriam Camerini

Qui Roma - Tullia e le note del Mediterraneo
Ballate, canti matrimoniali, ninne-nanne. Musiche dal Mediterraneo, il Mediterraneo sefardita, risuonate ieri sera nelle stanze del centro Pitigliani di Roma per un emozionante concerto in ricordo di Tullia Zevi, la signora dell'ebraismo italiano, a due anni dalla scomparsa. Una performance di grande intensità, portata in scena dai Sensus – Arianna Lanci (canto), Sara Mancuso (arpa, clavicytherium, organo portativo) e Marco Muzzati (salterio, percussioni) – che ha attraversato i luoghi e le culture. Dalla Spagna alla Turchia, dai Balcani al vicino Oriente. Sedici brani, tutti scritti da donne. Un ventaglio di emozioni: la gioia, l'innamoramento, la malinconia. Gremitissima la sala. Presenti i familiari e molti amici tra cui il presidente del Pitigliani Ugo Limentani, che in apertura ha ricordato quanto vivo fosse l'apprezzamento della Zevi per il centro trasteverino, e del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna.
“È bello poter ricordare Tullia con un'iniziativa viva e vitale. Caratteristiche – ha affermato quest'ultimo – che le appartenevano pienamente”. Nel suo intervento Gattegna ha parlato del futuro dell'ebraismo italiano guardando alle opportunità che attendono questa identità nel breve e nel lungo termine. “Dobbiamo essere ottimisti – ha spiegato – perché le ricerche che stiamo svolgendo illustrano un quadro di grande effervescenza e vitalità. Due in sintesi le nostre sfide. La prima, con la firma delle Intese, un momento storico di cui Tullia è stata protagonista, l'abbiamo vinta. La seconda, ancora in corso, si propone di rafforzare l'unità e la coesione delle nostre Comunità attraverso l'implementazione dei nuovi assetti stabiliti dalla riforma dello Statuto. Uno sforzo che chiama a raccolta l'impegno di tutti”.

Qui Torino - Ruolo della donna e voci dei giovani
Un dibattito sulla comunità del futuro
Il ruolo della donna e le voci dei giovani al centro della sessione pomeridiana del convegno “Quali comunità per gli ebrei italiani del XXI secolo” organizzato dal Gruppo di Studi ebraici e dalla Scuola rabbinica Margulies-Disegni nel Centro sociale della Comunità ebraica di Torino.
Dopo una mattinata intensa, in cui a confrontarsi sul presente e futuro delle istituzioni ebraiche italiane erano stati diversi rabbini (il rabbino capo di Torino Eliahu Birnbaum, quelli di Padova e Modena rav Adolfo Locci e rav Beniamino Goldstein, rav David Sciunnach e rav Pierpaolo Punturello), nel pomeriggio è stato approfondito il ruolo della donna nell’ambito della tradizione ebraica, nel confronto moderato da Dario Disegni, presidente della Fondazione Margulies-Disegni.
Rav Michael Ascoli ha affrontato il tema del rapporto fra la donna e lo studio dei testi. Ha spiegato la visione halakhica che consente alle donne di leggere la Torah, facendo riferimento alle interpretazioni del rav Daniel Sperber, professore di Talmud alla Bar Ilan University. Un intervento cui è seguita la riflessione di Renana Birnbaum a proposito dell’importanza della rabbanit nel tessuto comunitario.
A completare il pomeriggio sono stati un’analisi sulla rinascita ebraica nel Meridione d’Italia offerta dal maskil Gadi Piperno e la tavola rotonda “L’ebraismo italiano e le
sfide del nostro tempo: la parola ai giovani” coordinata da Sarah Kaminski del Gruppo di Studi ebraici, già consigliere della Comunità ebraica di Torino, che ha visto la partecipazione tra gli altri del presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia Susanna Calimani: un confronto per domandare a coloro che sono chiamati a portare avanti le istituzioni ebraiche nel futuro, ma in fondo anche nel presente, quali siano i loro dubbi e aspettative.
pilpul
Tea For Two - Un nuovo festival (di cuore e di pancia)
Sanremo nella mia testa è un calderone pieno di immagini mescolate: Laetitia Casta che dice "siete tonti" invece di tanti, le mani enormi di Morandi, farfalline volanti, sequela di amici di Maria, testi inquietanti di Povia, duetti nei quali ci si avvicina gradualmente e si abbassa la testa per creare pathos e tormentoni tormentati che impazzano il giorno dopo alla radio. Tante volte si è provato a lanciare l'estremo saluto al Festival della Canzone Italiana, ma alla fine Sanremo è Sanremo. Questa edizione prevede un po' di israeli style nelle ospitate, tra Asaf Avidan del quale ho parlato fino alla nausea e al quale continuiamo imperterriti a volere bene e Bar Refaeli, la jewish princess che ogni omaccione con la kippah vorrebbe al proprio fianco. Perché alla fine la musica è la stessa. Gli israeliani sono esattamente (uso un termine piuttosto pittoresco ma funzionale) 'de core e de panza' come gli italiani. Hanno stravotato il brizzolato Yair Lapid che vedevano alla tv e pur demoralizzati non perdono mai la speranza e sognano ancora. Come dicevo, la musica è la stessa per davvero: Israele è la regina da almeno vent'anni di canzoni in stile sanremese, ballate strappalacrime e testi patriottici (certo, non si sono spinti a duetti tra Pupo e il principe Emanuele Filiberto...). I reality musicali poi, coinvolgono l'opinione pubblica tra lacrime e note: nel programma The voice la concorrente Ofir ha destato scalpore perché pur religiosa ha cantato davanti agli uomini e ha scelto come giudice e angelo custode Aviv Geffen (il Morgan della tv israeliana). Allora Bar e Asaf, anche se fanno parte della nuova generazione cool lontana dalle nostalgie sabra e anche se Sanremo sembra aver virato sul radical chic, saranno perfettamente integrati in un nuovo festival di cuore e di pancia.

Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2


notizie flash   rassegna stampa
Nuovo centro Apple in Israele   Leggi la rassegna

Apple aprirà un nuovo centro di ricerca e sviluppo nella città di Ra'anana, in Israele. La notizia è battuta dal sito locale Globes, secondo cui nel nuovo polo tecnologico saranno impiegati fra 100 e 150 ingegneri recentemente licenziati da Texas Instruments, nell'ambito di un piano di ristrutturazione. Il nuovo centro di sviluppo sarà il terzo dell'azienda in Israele, dopo quelli di Haifa e di Hertezliya. Secondo le fonti di TNW il nuovo centro di ricerca e sviluppo aprirà i battenti nella seconda metà del 2013.



 

Il Festival di Sanremo “scopre” lo Shabbat con la polemica sollevata in diretta televisiva, con presupposti probabilmente infondati, sulla possibile esclusione dall'agone artistico degli Almamegretta per via dell'osservanza del giorno di riposo da parte di Raiz, da poco convertitosi all'ebraismo, che avrebbe di fatto impedito la performance della band nella serata di venerdì.



















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