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 15 febbraio 2013 - 5 Adar 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
 

Nella parashà di questa settimana Dio ordina a Moshè la costruzione del Mishkàn e dei vari oggetti del Mishkàn. Tutti gli ordini sulla costruzione degli oggetti sono dati al singolare ("farai un tavolo", "farai una menorà" ecc.). In un solo caso si usa il plurale ed è per la costruzione dell'aròn, dell'arca che doveva contenere la Torah ("faranno l'aròn"). L'aròn deve essere costruito da tutto il popolo ebraico. Tutti indistintamente devono avere un rapporto con la Torah. Si parla spesso di unità del popolo ebraico. Si tenta di trovare idee e valori comuni che valgano per tutti. Spesso però quest'operazione non riesce. Gli ebrei sono diversi, hanno idee diverse e a volte non sono neanche d'accordo su quelli che sono i valori prioritari. Ciò che invece può unire è un'azione comune, si possono avere idee diverse ma partecipare insieme alla tefillà al Beth Haknesset, e osservare insieme lo shabbàt. Si può cioè costruire insieme l'aròn, il contenitore della Torah ed essere in qualche modo noi stessi questo contenitore. 

 Gadi
Luzzatto Voghera,
storico



gadi luzzatto voghera
“Per somma ventura nostra, di uomini e di cittadini, nell’anno celebrativo del primo centenario dall’inizio delle lotte per l’indipendenza e l’unità italiana siede in Roma un’Assemblea rappresentativa di popolo, liberamente eletta”. Era il 1948, e si erano da poco conclusi i lavori dell’Assemblea Costituente di cui Umberto Terracini, l’autore di queste parole, era stato presidente. Nella rivendicazione orgogliosa della storia secolare del parlamentarismo italiano si rifletteva il modo di intendere il diritto di cittadinanza e le sue forme di rappresentanza come valore supremo a cui rimandare, a prescindere dagli orientamenti politici di riferimento. La forte rivendicazione espressa nell’associare le “lotte per l’indipendenza” dell’Italia ai lavori “dell’Assemblea Costituente, liberamente eletta” segnava la volontà di veder legate l’esperienza risorgimentale con il nuovo Parlamento che si avviava a dare il via alla vicenda dell’Italia repubblicana. La ricerca di una continuità storica fra le diverse esperienze di parlamentarismo in Italia aveva già suscitato l’interesse di Luigi Luzzatti che nel 1913 aveva proposto la ricerca e la pubblicazione per cura dell’Accademia dei Lincei degli atti delle assemblee costituzionali italiane dal Medioevo al 1831. E pochi anni prima, nel 1911, Camillo Montalcini, giurista di vaglia e dal 1907 primo segretario generale della Camera dei deputati, era riuscito a dare alle stampe i quindici volumi degli atti delle Assemblee del Risorgimento che comprendevano i documenti relativi ai parlamenti di Roma, Napoli, Venezia, della Toscana e della Sicilia. Terracini, Luzzatti, Montalcini, avevano orientamenti politici molto differenti fra loro. Tuttavia li univa il valore da dare all’idea di cittadinanza, che essi volevano leggere nel solco di una lunga tradizione italiana in cui la res publica era gestita da organismi elettivi, fossero essi parlamenti o assemblee costituenti. Era un’idea di matrice risorgimentale che affidava al cittadino le sorti della società civile attraverso il libero dibattito e l’esercizio del voto democratico che doveva superare le barriere costituite dalla divisione per ceti tipica dell’ancien régime, a cui si aggiungevano le limitazioni dovute all’appartenenza a differenti comunità religiose. Il Risorgimento aveva posto fine all’emarginazione civile e politica degli ebrei e li aveva voluti includere nelle nuove forme di cittadinanza allargata che molti fra gli stessi ebrei italiani avevano contribuito ad elaborare. Terracini, Luzzatti e Montalcini erano ebrei, ed erano figli di questa tradizione. La storia della presenza di ebrei nel Parlamento italiano non è ancora stata scritta, ma ho la netta impressione – a giudicare dal dibattito di questi giorni – che sarebbe giunto il momento di fare il punto della situazione.  

davar
Qui Sanremo - Il valore delle donne
Dopo il boom di ascolti di ieri, raggiunto con l'esibizione di Asaf Avidan che ha scatenato i social network (dal tenore di "Solo oggi scopro che Avidan non è una donna", "Interpretazione meravigliosa"), tocca alla famigerata terza serata. Per addolcire gli animi, Littizzetto e Fazio si lanciano non senza inciampi nel tipico ed intramontabile duetto sanremese Vattene amore, in risposta a chi si lamentava dell'assenza di cuore-amore in questa edizione con testi più ricercati del solito. I due 'trottolini amorosi' cominciano poi a presentare i big. Inizia la vera gara. Dopo le prime esibizioni, la Littizzetto dedica un toccante monologo contro la violenza sulle donne a cui segue il flash mob (come ci sono stati nella stessa giornata in tutto il mondo, coinvolgendo un milione di ballerini improvvisati). Arriva poi Roberto Baggio, rappresentante dell'Italia andata che noi tutti rimpiangiamo, con una breve comparsa di Aung San Suu Kyi sui monitor. Nella classifica provvisoria Mengoni è in testa. Una serata dedicata al valore delle donne nella quale anche il cantante Antony Hegarty lancia il suo messaggio. Un valore che è sempre un buon investimento.

Rachel Silvera twitter @RachelSilvera2

Sanremo si tinge di bianco e blu

Sarò onesto: io il Festival non lo guardo mai. E’ più forte di me: mi incuriosisco, do un’occhiata, ma dopo dieci, massimo quindici minuti il mio pollice istintivamente preme sul pulsante rosso del telecomando e il televisore si spegne quasi provvidenzialmente.
La verità è che io sono abituato a ben altri standard. Di ritorno da un anno in un’America sempre più frenetica e, perché no, anche un po’ glamour, dopo essermi nutrito per mesi di Oscar, Grammy e Golden Globe, mi risulta più difficile che mai adattarmi ad un festival sciatto e provinciale come Sanremo. Non uccidetemi, ma in tutta sincerità, Sanremo trasuda banalità, grigiore, paura del nuovo. Il Festival è monotono e scontato. In poche parole, non fa per me. L'altra sera ho acceso la TV e ho avuto la conferma di cui non avevo bisogno: dopo 55 anni, il Festival è sempre lo stesso. La maggior parte degli artisti in gara sembrano terrorizzati dall’idea di rischiare con un pezzo che non sia definibile “sanremese” (purtroppo questo è l’aggettivo più utilizzato dai media italiani al momento). Fosse per me, rivoluzionerei completamente la kermesse partendo da una nuova location più dinamica dell’Ariston, che sì, è tanto sacra per gli italiani, ma inizia a stufare nonostante i continui (e inutili) rinnovamenti. Mi sono dovuto ricredere su molti pregiudizi che ho a lungo nutrito. In quanto a stacchetti e ospiti, la seconda serata di Sanremo 2013 si è rivelata piuttosto sorprendente. In primis, la coppia di presentatori, Fazio e la Littizzetto, è senza dubbio la più riuscita degli ultimi anni. Fazio è un volto rassicurante per gli habitué della televisione nazionale, e la Littizzetto, col suo carattere tutto pepe e le sue battute taglienti su tutto e tutti, non delude mai. Poi, a raggiungere il palco, è stata la splendida modella israeliana Bar Refaeli. Forse meglio conosciuta come la bomba sexy che domina le passerelle di mezzo mondo, o come la storica fidanzata di Leonardo Di Caprio. La Refaeli stava giusto vivendo un momento sorridente della sua movimentata carriera grazie allo spot per il quale ha fatto parlare di sé grazie al bacio con un nerd, quando ha pensato bene di rubare la scena a tutte le donne del Festival indossando quattro abiti disegnati apposta per lei da Cavalli. Un Festival in cui la parola “Israele” non ha smesso di echeggiare, in particolare dopo la performance mozzafiato dell’ospite Asaf Avidan, che ha incantato il pubblico meritandosi una standing ovation per la sua Reckoning Song. Asaf si è presentato in ottima forma, quasi irriconoscibile in un completo in contrapposizione con le canottiere che abitualmente indossa in tour.
E come se tutto questo non bastasse, la ciliegina sulla torta l’hanno messa gli Almamegretta. Dopo le innumerevoli polemiche sulla questione sabbatica, ci ha pensato il front-man Raiz, un’elegante kippà abbinata all’outfit in testa, a zittire le critiche e le perplessità con la sua voce impregnata di emozioni, tradizioni e prospettive diverse mescolate in un’unica melodia. La loro Mamma non lo sa è stata una delle più apprezzate dagli spettatori e tutto è bene quello che finisce bene, perché quella a cui abbiamo assistito non è stata solo una vittoria per Raiz e il suo gruppo, ma una vittoria per tutti gli ebrei italiani. Raiz ci ha regalato una nuova consapevolezza. La consapevolezza che l’Italia, se vuole, può essere aperta alle differenze e accettare un credo che non sia quello a cui è abituata, persino all’interno dell’intoccabile Sanremo. La nuova era comincia da qui. Dalla seconda serata di Sanremo 2013, che ha riservato molte più sorprese di quanto non mi fossi immaginato. E non si torna più indietro.

Simone Somekh twitter @simonsays101

Calcio - Il modello Barcellona conquista Israele  
Nel calcio non esistono dogmi, equazioni, principi e sistemi granitici. Il modello Barca che ha conquistato il mondo, quel tiki-taka diabolico fatto di tocchi rapidi e precisi ad altissimo tasso tecnico, non è necessariamente un sistema esportabile. Lo sanno bene i tifosi della Roma, prima sedotti e poi abbandonati da Luis Enrique e dal suo 'progetto' divenuto tema di perfide parodie. Potevano andare incontro allo stesso rischio i supporter del Maccabi Tel Aviv con l'arrivo in panca di Oscar Garcia, ex centrocampista dai piedi buoni ma soprattutto ex allenatore di quella straordinaria fucina di talenti che è la cantera da cui sono usciti, giusto per fare qualche esempio dell'ultima decade, talenti del calibro di Puyol, Xavi, Iniesta e Messi. Un arrivo in pompa magna, il primo step verso la rivoluzione in salsa catalana del calcio d'Israele fortemente voluta dal nuovo team manager Jordi Cruyff, figlio del leggendario Johan e anch'egli frequentatore (pur con risultati meno egregi del padre) del fazzoletto verde del Camp Nou. “Voglio portare gioco, intensità e divertimento. Sono convinto che col tempo riusciremo a fare qualcosa di importante”. A sette mesi dallo sbarco all'aeroporto Ben Gurion, accolto da un gruppetto di tifosi entusiasti che gli chiedevano risultati e bel calcio, Garcia ha conquistato tutti. Il Maccabi Tel Aviv non è un nuovo Barcellona – sarebbe un'eresia soltanto pensarlo. Ma, limitatamente a Israele, è tornato dominatore dopo un periodo insoddisfacente. Gioco veloce, fitta ed elegante rete di passaggi, ottima prolificità sotto porta (49 realizzazioni in 22 partite di campionato) sono la ricetta di una stagione rivelatasi finora esaltante. La classifica, a due terzi di gare disputate, sembra far propendere per una tranquilla volata finale con vista scudetto: otto i punti di vantaggio sulla seconda, il Maccabi Haifa; ben undici sulla terza, l'Hapoel Tel Aviv. L'Hapoel Kiryat Shmona, il “Chievo di Israele” protagonista lo scorso anno di un'impresa memorabile, veleggia in posizioni di medio-alta classifica e non è considerato un pericolo. Garcia è riuscito dove autorevoli predecessori, venuti dall'Europa per esportare calcio e tornati a casa a capo chino, hanno fallito. A partire da Lothar Matthaus, un'esperienza al Maccabi Netanya (2008-2009) non certo passata agli annali. E ancora Luis Fernandez, trascinatore al Paris Saint-Germain ma poca cosa alla guida della nazionale con annesso esonero della Federcalcio per carenza di risultati. Questi i due casi più eclatanti ma la lista potrebbe essere decisamente più lunga. Così si è arrivati a pensare che Israele – vuoi per barriere linguistiche, culturali o altro – non fosse frontiera accessibile per i grandi maestri del pallone che vi si volevano cimentare. Con Garcia, magnificato dalla stampa locale dopo mesi di attento e scrupoloso studio, lo scenario sembra adesso mutato. Tanto che c'è chi già spera nell'arrivo, dalla prossima estate, di altri nomi illustri pronti a dargli battaglia. 

Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked

Qui Roma - Israele e noi
Israele, il sionismo, l'aliyah. È in crescita il numero di ebrei italiani che decide di trasferirsi in Israele. Per quale motivo? Cosa è cambiato rispetto al passato? E cosa trova oggi un ebreo italiano nella "Terra stillante latte e miele"? Se ne è parlato ieri sera al Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane alla tavola rotonda Israele e noi, secondo appuntamento della nuova stagione del ciclo di incontri a cura di Ilana Bahbout e Sira Fatucci “Quale identità ebraica – Generazioni a confronto”. A parlarne Vito Anav, presidente Irgun Olei Italia; Claudia De Benedetti, presidente dell'Agenzia Ebraica in Italia, e Ariela Piattelli, giornalista. Moderatore dell'incontro Alan Naccache, coordinatore del dipartimento Educazione e Cultura UCEI. Hanno partecipato il Dipartimento educativo ufficio giovani della Comunità ebraica di Roma e le associazioni giovanili Hashomer Hatzair e Benè Akiva. Nell'esaminare il numero di persone che negli ultimi anni hanno fatto l'aliyah in Israele grazie a un rilevamento statistico fornito dal professor Sergio Della Pergola, demografo dell'Università ebraica di Gerusalemme, si nota che il 2012 ha registrato un considerevole incremento di flussi. Sono tanti infatti i giovani che, terminati gli studi liceali, decidono di fare in Israele l'anno di Hachsharah. Molti di essi rimarranno in Israele per sempre. Durante la serata, ricca di stimoli e occasioni di riflessione, Claudia De Benedetti e Vito Anav hanno preso un impegno a nome delle organizzazioni che rappresentano: collaboreranno per rendere più acessibili i costi relativi alle Hachsharot, i programmi pre-universitari proposti dall'Hashomer Hatzair e dal Benè Akiva. “Sono programmi con particolare valore formativo e ideologico per un giovane che si avvicina alla realtà israeliana e per questo è importante che la Sochnut Italia e l'Irgun Olei Italia – hanno affermato congiuntamente – si facciano carico di questo problema”.

Lucilla Efrati twitter @lefratimoked

pilpul
Non è nel cielo
Anna SegreLa maggioranza vince perché attraverso di lei si manifesta la volontà divina oppure prevale sulla divinità nel caso abbiano opinioni discordanti? C’è una bella differenza. Il noto passo talmudico (Bavà Metzià 59b) sembra sposare la seconda ipotesi, tant’è che la maggioranza si permette di zittire una voce divina ricordandole che la Torah non è nel cielo; in realtà nel seguito della vicenda la questione si complica, ma nel mondo ebraico italiano - dove il testo è citato continuamente, in ogni contesto, a proposito di ogni genere di argomento, da rabbini, studiosi, insegnanti, uomini e donne di ogni età, osservanti e non osservanti - quasi sempre la storia è raccontata solo fino al trionfo della maggioranza umana che provoca il sorriso divino. Mi sono chiesta spesso se il testo sia altrettanto amato in tutto il mondo ebraico o se noi italiani abbiamo qualche particolare ragione per averlo in simpatia; ho ipotizzato che forse lo citiamo così tanto perché ci teniamo a marcare la differenza con il mondo cattolico: noi siamo pluralisti - pensiamo - e loro hanno un papa che comanda; noicrediamo nel valore delle decisioni prese dagli uomini dopo una libera discussione, mentre per loro le votazioni a maggioranza (prima tra tutte quella per l’elezione di un papa) sono solo un mezzo attraverso cui si manifesta la volontà divina; il fatto che i papi una volta eletti non si dimettessero, come se non fosse possibile opporsi a questa volontà divina una volta che fosse statamanifestata, ci rafforzava in questa orgogliosa convinzione di essere diversi. Benedetto XVI in qualche modo ha affermato che la scelta se essere o non essere papa non è nel cielo. Forse ci ha un po’ spiazzati mostrandoci che le differenze, almeno su questo punto, non erano poi così marcate come credevamo, ma è un male? Forse la sua coraggiosa affermazione del valore della libera scelta umana è stata una lezione per tutti. E rende il nostro passo talmudico preferito ancora più attuale.

Anna Segre, insegnante

Michail lo scienziato e il riscaldamento del pianeta
Nel museo del permafrost, nella città più fredda del mondo, al limite estremo della Siberia nord-orientale russa, un quasi anziano scienziato ebreo, Michail, conduce con umoristica rassegnazione le visite dei turisti sotto terra. Li guarda con talmudica tolleranza, ma con un seccato sorriso sovietico (sarà seccato col destino secolare che l'ha spedito, chissà quando, laggiù). E risponde, Michail, alle domande di una malcombinata comitiva sul temuto riscaldamento del pianeta: "Signori, qui per metri e metri sotto terra si è sempre a sette sotto zero; sopra terra d'inverno si arriva a meno cinquanta; se anche d'estate fa 35 invece di 33, non cambia proprio nulla. Baruch-hashem!"

Laura Salmon, slavista

Benedetto XVI - Il rapporto con l'ebraismo
Nel concordare ovviamente con l’intervento dell’amico Francesco Lucrezi su papa Benedetto XVI e il dialogo con l’ebraismo, ritengo che siano necessarie alcune precisazioni e approfondimenti. Nel 2001 viene pubblicato dalla Libreria editrice vaticana, a conclusione di anni di lungo lavoro della “Pontificia Commissio Biblica” un volume di poco più di 200 pagine, ma denso di contenuto intitolato “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”. Non è qui possibile presentare questo testo in modo analitico: mi limiterò a qualche citazione. L’incipit della introduzione è però già esplicito di quelle che saranno le conclusioni: “I tempi moderni hanno portato i cristiani a prendere meglio coscienza dei legami fraterni che li uniscono strettamente al popolo ebraico”. Due pagine dopo conclude :”La Commissione Biblica spera in questo modo di far avanzare il dialogo tra cristiani ed ebrei nella chiarezza e nella stima e l’affetto reciproci”. Ma chi era il coordinatore di questa Commissione se non l’allora Prefetto della Congregazione della Fede Cardinale Joseph Ratzinger? E allora leggiamo e soprattutto ascoltiamo quello che scrive nella prefazione, datata Festa dell’Ascensione 2001. Innanzitutto rivendica nella tradizione dei Padri della Chiesa la centralità “della questione dell’unità interiore dell’unica Bibbia della Chiesa, composta di Antico e Nuovo Testamento”. Analizza successivamente con riferimento ad Agostino, le posizioni di chi ritiene, disprezzando l’Antico Testamento, che il Messia non aveva bisogno della testimonianza dei profeti ebraici. Senza entrare nel merito della discussione dei testi di Marcione, Origine e Agostino che il cardinale per’altro, sia pure in maniera sintetica affronta, il Prefetto della fede sottolinea un primo risultato e cioè che “ … senza l’Antico testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi”. Riconoscendo poi che l’ermeneutica cristiana dell’Antico Testamento è senza dubbio “profondamente diversa da quella del giudaismo … corrisponde tuttavia ad una potenzialità di senso effettivamente presente nei testi”. Questo a suo parere è “un risultato di grande importanza per la continuazione del dialogo”. Dopo aver affrontato i temi dell’antigiudaismo e delle sue terribili e drammatiche conseguenze come la Shoah giunge ad una prima conclusione: “… un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento … avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile ad un rapporto positivo fra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune”. Come corollario aggiunge che la lettura ebraica della Bibbia è una “lettura possibile” e che “i cristiani possono imparare molto dall’esegesi giudaica praticata per 2000 anni, mentre i cristiani auspicano che gli ebrei “possano trarre utilità dai progressi dell’esegesi cristiana”, rovesciando quindi la posizione consolidata di respingimento teologico nei confronti dei Maestri del Talmud e degli esegeti come Rashi. Conclude il Cardinal Ratzinger sulla centralità di questa fatica “per la così importante ricerca di una rinnovata comprensione fra cristiani ed ebrei”. In conclusione mi sembra si possa affermare che i tre libri su Gesù di Nazareth dell’ormai papa Benedetto XVI non sono altro che lo sviluppo metodologico di queste premesse teologico -ermeneutiche, per cui la scelta del Gesù della Storia contro quella del Gesù della Fede, evitano di allontanarsi dalla Bibbia ebraica e di vanificare il dialogo ebraico – cristiano. Credo che questo sia il lascito più prezioso del pontificato di Benedetto XVI.

Guido Guastalla

notizie flash   rassegna stampa
Benvenuta  Rachel Elena   Leggi la rassegna

Grande gioia nella famiglia Efrati Blanga per la nascita della piccola Rachel Elena venuta al mondo lo scorso 13 febbraio. Alla collega Viviane Blanga, a suo marito Cesare Efrati, maskil e medico dell'Ospedale Israelitico e ai fratelli Liora e Aldo un affettuoso Mazal Tov da tutti noi della redazione.

 

“Sono stati otto anni segnati da un incremento del dialogo e delle occasioni di incontro e hanno rivelato la forte volontà del papa di puntare sull'approfondimento e sull'interiorità. (...)




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