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  17 febbraio 2013 - 7 Adar 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav

Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino


"L'uomo che cammina con la percezione di essere "maturo", davvero ha l'aspetto di un cibo cotto che è stato bruciato". (Rabbi Menachem Mendel di Kotzk)

David Bidussa, storico sociale
delle idee
   

Si sta avvicinando Purim. In ambito ebraico, qui in Italia, ma non solo qui, mi sembra sia aumentata in maniera esponenziale la costruzione di fantocci per divertirsi a distruggerli. Oppure la trasformazione degli altri in pupazzi per poi immolarli alla propria convinzione. Oppure l’occasione di esternare vecchi rancori mai sopiti per dire ciò che si è sempre pensato, ma non si aveva mai avuto lo scenario giusto per poterlo dire. Anche la visione complottista della realtà va forte. Sono solo alcune delle tante forme del sonno della ragione. Buon giorno notte.

davar
Daf Daf - L'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori
A Bologna, in questa stagione, gli illustratori sono protagonisti. Dalle mostre di BilBolBul alla Children Book Fair la città sarà per oltre un mese la capitale e il punto d'incontro di tutti coloro che guardano con interesse al mondo del fumetto, dell'illustrazione, dell'arte dedicata sia al pubblico adulto che alla gioventù e all'infanzia.
Proprio in omaggio alla ventata di creatività che sta per investire la città, al Museo Ebraico apre i battenti martedì 19 febbraio la mostra “DafDaf, l'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori”. Organizzata in collaborazione con BilBolBul e Children Book Fair, la mostra raccoglie per la prima volta i materiali donati da decine di grandi illustratori che consentono ogni mese alla redazione giornalistica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di realizzare il giornale per bambini DafDaf. Molti giovanissimi, ma anche molte grandi firme fra quelle degli artisti che espongono le loro opere. A cominciare da quella di Vittorio Giardino, l'autore bolognese vecchio amico di DafDaf e protagonista quest'anno a BilBolBul con una grande rassegna personale.
“Si tratta – spiega Guido Vitale, giornalista e coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell'Unione delle comunità ebraiche – dell'occasione di condividere con il grande pubblico il patrimonio di valori e di cultura della più antica realtà ebraica della Diaspora. E soprattutto di riaffermare che gli ebrei, in Italia da due millenni, piccolissima minoranza nei numeri e elemento indispensabile nella società plurale, non hanno solo una lunga e sofferta storia alle spalle, ma anche un futuro da vivere per le nuove generazioni. La mostra – aggiunge – è anche l'occasione di festeggiare e di ringraziare gli oltre 120 generosi collaboratori, tutti volontari non retribuiti, che ci donano ogni giorno con grande slancio le loro idee e la la loro creatività”.

Appuntamenti

La mostra, curata da Ada Treves, sarà visitabile con ingresso gratuito dal 19 febbraio al 25 marzo al Museo Ebraico di Bologna (MEB) via Valdonica 1/5 | 40126 Bologna | tel. 051 2911280 | www.museoebraicobo.it da domenica a giovedì 10.00-18.00, venerdì 10.00-16.00, sabato chiuso
MARTEDÌ 19 FEBBRAIO ALLE 17.30 - INAUGURAZIONE
Emilio Campos, presidente Fondazione Museo Ebraico di Bologna
Franco Bonilauri, direttore Museo Ebraico di Bologna
Interviene: Ada Treves, redazione DafDaf
GIOVEDÌ 21 FEBBRAIO ALLE 17.30 - INCONTRO
Comics & Jews: illustrazione, fumetto e cultura ebraica
DafDaf, il giornale ebraico dei bambini
Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche e di DafDaf
Giorgio Albertini, Università di Milano
Vittorio Giardino, fumettista
Ada Treves, redazione DafDaf
Franco Bonilauri, direttore Museo Ebraico di Bologna
DOMENICA 24 MARZO ALLE 16.30 - INCONTRO
Antonio Faeti, storico della letteratura per l’infanzia, Università di Bologna
Ada Treves, redazione DafDaf
Franco Bonilauri, direttore Museo Ebraico di Bologna


Daf in ebraico vuol dire pagina, DafDaf può significare di pagina in pagina, oppure sfogliar pagine. DafDaf è il giornale ebraico dei bambini, edito dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e realizzato dalla redazione del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it e del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche. Impegnarsi in un giornale dedicato all'infanzia significa, per una minoranza piccola nei numeri ma grande nella lunga storia e nei valori testimoniati, affermare che l'ebraismo italiano non ha solo una vicenda bimillenaria da raccontare, ma anche fiducia in un futuro da costruire. Fiducia mostrata anche nella scelta di affidare le illustrazioni di DafDaf a un gruppo di giovanissimi illustratori che sotto la guida della redazione e con la collaborazione di alcuni illustratori di fama ed esperienza – fra gli altri Paolo Bacilieri, che ha firmato la testata del giornale e Enea Riboldi, papà della mascotte di DafDaf, quel bambino con la kippà noto in redazione come Davidino, e Giorgio Albertini che sostiene e accompagna DafDaf sin dalla sua nascita - hanno accettato la sfida. DafDaf costituisce anche un laboratorio originale di editoria per l'infanzia in una realtà italiana che vede sempre più rari esempi di iniziative e pubblicazioni dedicate ai giovanissimi. Originale per la specificità identitaria, ma anche per la scelta editoriale, che prevede una larga diffusione destinata a tutti gli italiani che guardano con interesse al mondo ebraico anche grazie alla stampa in rotativa, per essere giornale da vivere più che un oggetto da sfogliare distrattamente e dimenticare, DafDaf – oltre a redazione e Comitato scientifico - coinvolge nella sua realizzazione molti volontari, ebrei e non ebrei, disposti a donare un poco delle loro conoscenze e della loro creatività. Fra di essi anche disegnatori di fama, come Vittorio Giardino, David B., Walter Chendi e Luca Enoch che oltre ad avere regalato disegni al giornale lo sostengono con la loro affettuosa amicizia. E il Comitato scientifico è importantissimo nella vita del giornale: ne fanno parte il direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca, il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana rav Elia Richetti, il direttore delle scuola ebraiche di Roma rav Benedetto Carucci Viterbi, il coordinatore del Centro pedagogico Ucei Odelia Liberanome, il direttore delle Scuole ebraiche di Torino Sonia Brunetti, l’editore Orietta Fatucci, l’archeologo, scrittore e illustratore Giorgio Albertini, la pedagogista Nedelia Tedeschi, anima del mitico “Giornale per noi” pubblicato negli anni Settanta e Ottanta, i docenti Dora Fiandra, Moria Maknouz, Daniela Misan, Alisa Luzzatto, Chiara Segre, Stefania Terracina. Completano poi la squadra Viola Sgarbi, che si occupa della consulenza artistica e il grafico Giandomenico Pozzi. Con il materiale dall’archivio di DafDaf, che in occasione di BilBolBul esce con il numero 30, è stato possibile montare un percorso attraverso le 500 pagine di giornale già pubblicate, con l’augurio che scoprire l'identità, propria o altrui, attraverso le illustrazioni di un giornale per bambini possa essere l’inizio di un viaggio meraviglioso. E con l'augurio che anche questo piccolo laboratorio possa risvegliare nel nostro paese una gloriosa tradizione di cultura per i più giovani, cui gli ebrei italiani non hanno mai fatto mancare il loro contributo di idee e di creatività.


Qui Sanremo - Il Festival che ha scoperto lo Shabbat
Anche questa sessantatreesima edizione di Sanremo ce la siamo portati a casa. Vince un assonnato e tenero Mengoni che sull'orlo della disperazione chiede: "Ma devo cantare ancora?". Una lunghissima serata con il trionfale inizio del maestro Daniel Harding che dirige l'orchestra prima con la Cavalcata delle Valchirie di Wagner e poi con l'Aida di Verdi. I due sono più o meno il corrispettivo classico della lotta degli anni '90 tra chi preferiva Britney Spears e chi Christina Aguilera. Dall'avvenenza travolgente della top model di Lodi Bianca Balti, impeccabile in Dolce & Gabbana, alla nostra amata Littizzetto che si lancia prima in un monologo sulla bellezza e poi con Fazio fa una lista delle cose viste a Sanremo, in puro stile Vieni via con me e Quello che non ho. "Ho visto Bar al bar che voleva un caffè" introduce Fazio, "Ho visto Fazio che voleva Bar" conclude laconica Lucy. Torna sul palco Raiz dopo Shabbat, venerdì sera nella serata amarcord a fiancheggiare il resto del gruppo il dj Clementino, James Senese e Fausto Mesolella in una inedita versione del Ragazzo della via Gluck. Purtroppo gli Almamegretta non passano la selezione ma hanno ufficialmente sdoganato in eurovisione lo Shabbat. Vittoria morale per Elio e le storie tese che si piazzano tra i finalisti e vincono premio della critica e per l'arrangiamento. Tra Andrea Bocelli che canta accompagnato dal figlio Amos e Birdie, inglese, classe '96 che si esibisce in Skinny love, Sanremo chiude il sipario. Il palco trasparente con sotto le poltrone rosse vuote, che ha colpito anche Claudio Bisio, resta un mistero.

Rachel Silvera twitter @RachelSilvera2

pilpul
La rinuncia
Gli ha anche scritto Shimon Peres, presidente dello Stato d’Israele, con gesto inusuale, per omaggiarlo degli otto anni di pontificato. L’abdicazione di Joseph Ratzinger dalla cattedra di Pietro (opzione impropriamente definita come atto di dimissioni) è destinata a lasciare un segno tangibile non solo nella storia della Chiesa di Roma. La sofferta «rinuncia», così come l’ha definita il medesimo Benedetto XVI, costituisce infatti un precedente che sfida senz’altro gli esegeti del codice canonico ma, soprattutto, interroga nel suo insieme l’istituzione ecclesiale, i cattolici e i non cattolici, compresi i non credenti, sulle ragioni di tale scelta. Che si sia scatena l’abituale ridda di voci sui retroscena è parte stessa del dramma cortese che va compiendosi. Non che non vi siano dei fondamenti in certe considerazioni. Del pari a qualsiasi altro potere di questa terra la Città del Vaticano, in quanto Stato, è amministrato in base a criteri che rinviano a coalizioni d’interessi e a concreti rapporti di forza. Le scelte del papa, da ultima quella estrema di non essere più tale, sono quindi inevitabilmente il riflesso anche di questa umana disposizione delle cose. Significativo il fatto, poi, che il suo pontificato si sia a suo tempo di fatto incontrato con il passaggio di consegne, alla Segreteria di Stato, ganglio strategico del circuito di comunicazione e di decisione dopo la riforma interna voluta da Papa Giovanni Paolo II nel 1988, tra Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, quest’ultimo già arcivescovo di Genova e uomo di riferimento nella Congregazione per la dottrina della fede. Dopo di che, schiacciare l’intero percorso di Ratzinger su quest’ultima considerazione risulterebbe riduttivo, non aiutando a capire il senso – e anche la cifra potente – della sua abdicazione.
Sul versante ebraico credo che si possano dire molte cose, in parte già richiamate da autorevoli voci e in parte destinate ad emergere ancora nella discussione di qui in avanti. Si è anche parlato di «amicizia» (Riccardo Di Segni), nel solco di una tradizione progressivamente avviatasi già con i cascami immediati del Concilio Vaticano II e poi consolidatasi con il trascorrere del tempo,da Giovanni XXIII in poi. Benedetto XVI, nel suo stile cauto e misurato (la «prudenza e saggezza» richiamate dal cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia), ha continuato a interloquire. Pesavano su di lui molti fattori, primo tra tutti quello di essere tedesco – con il tragico lascito novecentesco del suo paese – e l’essere seguito a un pontefice polacco, che invece faceva parte di quella schiera di popoli che hanno subito gli effetti delle catastrofiche condotte della Germania negli anni dell’occupazione militare. Le distinte sensibilità su Israele, sul suo presente e sul suo destino, non hanno fatto da velo alle intense relazioni, in Italia come in Medio Oriente. Peraltro Benedetto XVI aveva rimarcato da subito, ossia immediatamente dopo la nomina, la volontà di non tradire il percorso conciliare, di cui è stato uno degli artefici. In questo senso, quindi, i momenti di maggiore perplessità sono emersi in quello che si è rivelato essere un obiettivo non raggiunto, il riassorbimento dello scisma lefebvriano. Plausibile che con il nuovo pontificato non solo le lancette dell’orologio della mediazione con i tradizionalisti scontino una revisione all’indietro ma che dell’intenzione originaria poco o nulla venga mantenuto. L’atteggiamento intransigente del clero lefebvriano, che disconosce il magistero conciliare, costituisce infatti un vincolo non contrattabile. Non di meno, la presenza al suo interno di un personaggio come Richard Nelson Williamson, ordinato vescovo nel 1988 da monsignor Lefebrvre e dichiaratamente negazionista (ebbe a dire che: «There was not one Jew killed in the gas chamber. It was all lies, lies, lies!»; o più sofisticamente, affermando di non nutrire simpatie per «i nemici di Nostro Signore Gesù Cristo», che: «se gli ebrei sono nemici di Nostro Signore Gesù Cristo – naturalmente non tutti gli ebrei, ma quelli che lo sono – allora non mi piacciono»), rimane per parte ebraica un ostacolo insuperabile. Il prosieguo del dialogo ebraico-cattolico, avendo fatto propria la professione di pentimento per gli errori della Chiesa nel passato già espressa da Wojtyla, ha tuttavia poi scontato le insoddisfazioni per le parole del pontefice ad Auschwitz nel 2006, quando la responsabilità della Shoah era stata attribuita ad «un gruppo di criminali», così come la liberalizzazione della messa in latino, nel luglio dell’anno successivo, laddove si riprende l’evocazione liturgica tridentina del Venerdì santo con la richiesta della conversione degli ebrei (che devono essere «sottratti alle loro tenebre»).
Più in generale, il campo di una battaglia - a volte dichiarata esplicitamente, altre volte no - ha ruotato intorno alla figura di Eugenio Pacelli, al giudizio da formulare sulla sua condotta negli anni della Seconda guerra mondiale e, di immediato riflesso, al processo di beatificazione avviato da Ratzinger nel 2009. Questo è un primo repertorio, per così dire, a fronte di relazioni che si sono comunque consolidate nella loro costanza. Non la stessa cosa può dirsi con il mondo musulmano, ma lì le proporzioni e i rapporti di forza planetari sono ben altra cosa. La discontinuità più netta di questo Papa la si è comunque misurata nel rapporto che questi ha intrattenuto con il suo predecessore, Karol Wojtyla. Una discontinuità di metodo e di merito. Tanto Giovanni Paolo II era presente nel circuito mediatico, avendo avviato e poi continuato - fino alla fine dei suoi giorni – un’intensa attività di evangelizzazione, costituita essenzialmente dalla promozione della sua presenza, accostando come forse mai era avvenuto in epoca contemporanea il corpo della Chiesa al suo corpo fisico, di tempo in tempo sempre più stanco e prostrato, quanto Benedetto XVI ha volutamente lasciato in secondo piano quest’ultimo aspetto, arrivando al punto, infine, di non volere consegnare l’immagine del suo declino umano a quello dell’istituzione. Sul piano del merito, è poi emersa una forma di comunicazione al contempo più cauta e molto meno sorprendente di quella woitylana. Forte è stato l’imprinting teologico, trattandosi Ratzinger essenzialmente di un uomo di dottrina e quindi di riflessione e di interpretazione della medesima. I temi ripetuti in otto anni di magistero hanno ruotato non tanto intorno alla necessità di una morale cristiana, molto presente invece in Giovanni Paolo II, quanto all’alleanza tra fede e ragione in un confronto secco con il relativismo (l’abbandono della verità e quindi della fede), l’agnosticismo, il materialismo, l’edonismo l’individualismo, il sincretismo, tutti intesi come segni di una decadenza, soprattutto in Europa, del corpo sociale e, quindi, di quello spirituale. Anche da ciò, e da un sostanziale pessimismo di fondo, a malapena tradito nelle sue comunicazioni ai fedeli, accentuate in questi ultimi giorni (attraverso il richiamo, con calcolato linguaggio biblico, alle divisioni nella Chiesa e a ciò che ne «deturpa il volto», ovvero agli «individualismi»), il teologo che alberga nel papa ha sicuramente sviluppato una sorta di silenziosa distanza dalla Curia romana, l’insieme dei poteri che ruotano intorno al pontificato. L’elemento clamoroso è che la sua rinuncia, che si concluderà in un ritrarsi dagli affari secolari dell’ecclesia per dedicarsi ancora allo studio e alla meditazione, è un atto che ne ha scavalcato gli ordinamenti, per rivolgersi direttamente, in una sorta di dialogo diretto, senza intermediazioni, alla comunità dei fedeli, così come al suo vertice, il Concistoro cardinalizio. Della dirompenza di tale scelta un papa che, come si diceva, della cautela aveva fatto un paradigma, non poteva non esserne consapevole. Da tempo senz’altro andava meditando una soluzione di tal genere, di cui certuni presagivano, senza peraltro averne riscontro certo, la progressiva maturazione. Tra il 15 e il 20 marzo, quindi, con l’apertura del conclave, quando 117 cardinali elettori (su un totale di 220), più di metà dei quali di origine europea, saranno chiamati a scegliere il suo successore, avremo a che fare con una Chiesa già molto diversa da quella alla quale siamo abituati a pensare. Misureremo con il trascorrere del tempo quanto la rinuncia di Benedetto XVI sia destinata a costituire il segno di un’opportunità a venire piuttosto che il segnale di un vincolo insuperabile.

Claudio Vercelli, storico

Nugae - One Billion Rising
I dance cause I love, danzo perché amo. Riecheggiano in testa alla rinfusa le parole di Break the chain, la canzone inno di One Billion Rising, la manifestazione internazionale che ha avuto luogo questo giovedì, organizzata da Eve Ensler, la drammaturga newyorkese, ebrea fra l’altro, famosa per i suoi The Vagina Monologues. Dance cause I dream, danzo perché sogno. Eve sognava che nella stessa giornata, il 14 febbraio, il quindicesimo anniversario del suo V-day, le donne di tutto il mondo si alzassero insieme e ballassero tendendo un dito verso il cielo, per dire simbolicamente no alla violenza contro le donne. E il suo sogno megalomane, grazie a internet e al fascino modaiolo dei flash mob, si è realizzato. Dance cause I’ve had enough, danzo perché ne ho abbastanza. E mica solo lei, sul sito di OBR si possono guardare i video di schiere di donne in tailleurs multicolori, le donne potenti del Parlamento europeo e dell’ONU, che dichiarano il loro sostegno. Ma anche delle due dive dai capelli corti, la bionda Charlize Theron e la mora Anne Hathaway, decisamente più glamour. L’altra sera, dopo un monologo in parte divertente e in parte vagamente didascalico,  anche Luciana Littizzetto ha ballato al festival di Sanremo. Ha di certo più talento nei suoi discorsi audaci, ma i suoi movimenti esitanti, proprio perché goffi, riempivano di orgoglio. Dance to stop the screams, danzo per fermare le urla. Le urla di dolore di quel Billion, milardo, di donne nel mondo picchiate, violentate, sfigurate dall’acido, mutilate. Una su tre. In Italia in media ogni tre giorni un uomo uccide una donna. Fa impallidire. Dance to break the rules, danzo per rompere le regole. E 190 paesi hanno trovato 190 modi diversi per farlo. In Israele fra le 30 diverse iniziative, la più diffusa è stata quella di ballare sulle note di una canzone intitolata “Ascolta la mia voce” scritta dalla cantante israeliana Iris Yotvat, sulla forza delle donne. Dance to stop the pain, danzo per fermare il dolore. Perché come ha detto Luciana, “l’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe le costole, non lascia lividi sulla faccia”. Dance to turn it upside down, danzo per capovolgere la situazione. Perché la danza, ha spiegato Eve, “è qualcosa che può succedere ovunque e con chiunque, ed è gratis. Ci fa occupare lo spazio, ci unisce e ci spinge ad andare oltre, ed è per questo che è al centro di OBR”. È ora di fermare la catena, it’s time to break the chain.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF
           

notizieflash   rassegna stampa
Qui Roma - Noa canta Napoli   Leggi la rassegna

Nuovo omaggio alla canzone napoletana d'autore da parte dell'artista israeliana Noa, protagonista questa sera all'Auditorium Parco della Musica di Roma con l'attesa performance Noapolis-Noa sings Napoli. Ad affiancarla sul palco Gil Dor & Solis String Quartet.
 

Il quotidiano bolognese Resto del Carlino apre la sezione cultura con la notizia dell'inaugurazione, martedi alle 17.30, della mostra DafDaf, l'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori, curata da Ada Treves e organizzata anche in collaborazione con la Fiera del Libro per ragazzi che si terrà nella seconda metà di marzo. Così nei giorni in cui Bologna diventa capitale del fumetto con il festival BilBOLBul anche il Museo Ebraico di via Valdonica "diventa hub per accendere i riflettori sull'infanzia". 









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