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19 febbraio 2013 - 9 Adar 5773
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linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

“ …E faranno per Me un Santuario e Io dimorerò in mezzo a loro….” (Shemòt ,25; 8). É noto il paradosso di questo verso nel quale anziché dire che l’Eterno abiterà in “esso”, cioè nel Tabernacolo, si dice che risiederà “in mezzo a loro”, cioè nelle persone. Pur pregando tre volte al giorno affinché il Santuario venga ricostruito presto, l'ebraismo appare come il solo grande culto che considera una rovina, il Kotel ha Maaravì, il Muro Occidentale, come il più sacro dei luoghi. Questo è un elemento essenziale nella struttura del pensiero ebraico. In contrasto con le altre grandi culture dell'antichità legate alle costruzioni in pietra e quindi inesorabilmente sprofondate in una dimensione puramente archeologica, il paradosso del "Hurban", la distruzione del Tempio, sembra aver consentito la straordinaria sopravvivenza del popolo ebraico. La caduta di quello che poteva equivalere al concetto del nostro "Santuario" ha determinato la scomparsa di tutte quelle culture coinvolte in un processo storico apparentemente ineluttabile. Se l'ebraismo ha potuto sfuggire a questa sorte, è perché un edificio invisibile si è sostituito a quello di pietra, come se l'edificio di pietra non fosse stato altro che l'immagine manifesta e la dimensione tangibile  di un Tempio spirituale che non può essere né misurato né distrutto sulla base dei criteri conosciuti dall'uomo.

Dario
 Calimani,
 anglista





Un errore rimane un errore anche molti anni dopo, quando si è cercato di dimenticarlo.
 



davar
Qui Bologna - DafDaf in mostra fra i grandi protagonisti
Vittorio Giardino: “Io, cresciuto a Kipling e Topolino”
La sua città natale rende omaggio a Vittorio Giardino, il grande disegnatore bolognese che magistralmente ha raccontato i destini e le storie dell'ebraismo europeo attraverso alcuni personaggi passati alla storia del fumetto, con un'attesissima mostra personale che si inaugura nelle prossime ore nell'ambito della prestigiosa rassegna internazionale BilBolBul. Giardino, storico amico di Daf Daf, sarà tra i protagonisti dei numerosi incontri organizzati in questi giorni dalla redazione in occasione dell'inaugurazione, questo pomeriggio al Museo ebraico di Bologna, della mostra DafDaf, l'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori allestita in collaborazione con BilBolBul e Children Book Fair.

Da almeno trent’anni noto e apprezzato a livello europeo, Vittorio Giardino è oggi considerato uno dei maestri della letteratura disegnata e la complessità delle sue storie, che spesso si articolano in più volumi, è mitigata dalla limpidezza e dalla pulizia di uno stile che è impossibile non amare. Nonostante viva a Bologna da sempre e siano stati numerosissimi i riconoscimenti ottenuti a livello sia nazionale che internazionale, La quinta verità è la prima mostra che finalmente gli dedica la sua città. Organizzata da BilBolBul, il grande festival internazionale del fumetto, apre il 21 febbraio con ben 250 tavole, esposte per dare il senso del Giardino narratore e della sua capacità di tessere intrecci che sanno rendere il senso del reale, principalmente attraverso la sua produzione più drammatica, come i noir di Sam Pezzo, o quelle legate alla grande storia, il nazismo, lo stalinismo o la guerra civile spagnola. Disegna sempre con pennino, china e acquerello. Niente computer. E nel suo studio la presenza più forte, assolutamente prevalente, è quella dei libri, che coprono le pareti ma anche la sua grande scrivania. Si salva solo il cavalletto, da cui Max Fridman osserva la scena. E cercando di capire cosa ha influenzato il suo lavoro, partendo dalle prime letture, arriva la prima sorpresa: “Per ragioni in gran parte indipendenti dalla mia volontà mi mancano alcuni miti della letteratura. Mi manca Pinocchio, per esempio: l’ho letto, certo, ma non mi ha colpito né segnato. In effetti quasi tutti i libri che ricordo non sono italiani”. Qualche istante di silenzio quasi a raccogliere le idee, per poi riprendere le fila del discorso, con la citazione dei libri di Laura Orvieto perché “i suoi libri sono stati importanti: la storia raccontata dalla Orvieto ancora me la ricordo. Ma un libro davvero centrale è stato L’isola del tesoro, di Stevenson, quello è un fondamento.” Non ci sono edizioni particolari nella sua memoria, né una iconografia specifica, una immagine dell’isola a cui cercare di collegare il suo stile. Anche perché le immagini che lo hanno colpito, di cui tornerà a parlare più volte nel corso del pomeriggio sono quelle di un altro libro non italiano, le Storie proprio così di Rudyard Kipling, queste sì, in una specifica edizione, ossia l’originale del 1902, illustrate dall’autore stesso. Kipling, erroneamente catalogato come narratore dell’imperialismo inglese, nelle Just So Stories for Little Children racconta fantasiosi miti delle origini, che spiegano il perché di vari strani fenomeni e hanno come tema tipico un animale modificato rispetto alla sua forma originale per intervento umano, o magico. Due illustrazioni in particolare sono scolpite in tutti i loro dettagli nella memoria di Giardino, che le descrive con vivida accuratezza, sottolineando come Kipling avrebbe potuto avere una grande carriera come illustratore: Il granchio che giocava col mare e La pelle del rinoceronte (la storia in realtà si intitola Come il rinoceronte ebbe la sua pelle). Un libro molto amato, che è stato però anche causa di una piccola delusione, un po’ perché le edizioni attuali non riportano le bellissime illustrazioni dell’originale, un po’ perché storie e illustrazioni non hanno avuto alcun successo con suo nipote, che non ha per nulla apprezzato la proposta. E la prevalenza di autori non italiani continua anche con il nome che va ad aggiungersi a Stevenson e Kipling: si tratta di Verne, che nelle sue edizioni era sempre italianizzato come Giulio Verne, e che nei viaggi fantastici ha un mondo iconografico forte. E poi ancora: Fenimore Cooper e i suoi Mohicani. “Ma la realtà è che sono stato nutrito a Topolino. I Topolino sono stati per me davvero molto importanti”. Si parla dei Topolino dei primi anni ‘50, e non di tutti, ma di quelli disegnati da Carl Barks che sono anche i protagonisti di un aneddoto che Giardino racconta sfiorando dei volumi rilegati: “A un certo punto ho scelto le storie che mi piacevano di più, a cui ero più affezionato, smontando senza alcuna pietà gli albi originali, che si stavano distruggendo. È stato solo dopo aver ritirato i volumi che mi ero fatto rilegare che ho realizzato che erano tutte storie di Carl Barks”. Ma la storia del rapporto di Vittorio Giardino con i fumetti non finisce qui: “Ero a casa di Francesco Guccini, a Pavana, ed ho visto una quantità di Topolino. Lui è un appassionato vero, un cultore, si potrebbe dire un esegeta. Conosce le storie fin nei dettagli più sottili, compresi gli errori di traduzione, per esempio quella Square dance diventata erroneamente un Calipso che per anni mi ha incuriosito come cosa del tutto incongrua in una delle mie storie preferite, Il mistero degli Incas, nota come Il mistero delle uova quadre”. “Barks è quello che è riuscito a rendere credibile un personaggio nonostante fosse un papero, gli altri dopo di lui hanno disegnato un papero che scimmiottava un umano, il papero di Barks era la rappresentazione di un carattere, non la caricatura di un'anatra”, così Enea Riboldi ha spiegato qualche giorno dopo il motivo di una passione del tutto giustificata. Vittorio Giardino non era invece un lettore del Corriere dei piccoli, che avversava per motivi poi razionalizzati in età adulta: “Topolino e Corriere dei piccoli erano davvero due partiti e il secondo ha avuto una grandissima colpa, forse è stato una delle cause della partenza così faticosa del fumetto in Italia. Non ha mai davvero pubblicato dei fumetti, li romanzava, non ha mai voluto assumere quel linguaggio, così innovativo, che arrivava dagli Stati Uniti, per scegliere invece di utilizzare una sintassi da libro illustrato. Ha avuto un effetto repressivo.” A questo punto la tentazione è troppo forte e Giardino si dirige verso lo scaffale – saccheggiato per la verità da figlie e nipoti – in cui stanno ordinatamente in attesa i suoi libri da ragazzo, ed estraendo uno dopo l’altro i volumi di cui ha parlato continua: “Nella letteratura italiana mancava completamente la dimensione avventurosa. Anche nelle illustrazioni. E sono le illustrazioni quelle che ti restano, io di molti libri non ricordo le storie, ma le illustrazioni sì, perfettamente. E sono loro che riportano alla memoria la trama del racconto”. Dallo scaffale escono poi altri due libri evidentemente molto sfogliati, molto amati. Sono le favole di Esopo, in una edizione dell’inizio degli anni ‘50 che compie la scelta un po’ anomala di raccogliere le fiabe per animale protagonista. Così Vittorio Giardino si sofferma sulle pagine di Favole del Leone e Favole dell’Asino, illustrate nel 1952 da Pirro Cuniberti, artista bolognese allievo di Giorgio Morandi, i cui animali vivono in un universo di colori squillanti che irrompono fra i tanti volumi rimasti aperti sul tavolo, che curiosamente hanno tutti illustrazioni in bianco e nero. Come il disegno per DafDaf che Vittorio Giardino ha voluto regalarci.

Ada Treves, Pagine Ebraiche, marzo 2013

Qui Genova - Il senso della vita
Il tema della bioetica declinato da un punto di vista ebraico è argomento che suscita crescente interesse nell'opinione pubblica e all'interno delle singole Comunità. Domande, spunti, riflessioni sul tema hanno tenuto banco al lesson brunch 'Il senso della vita e il diritto dei viventi' svoltosi nelle scorse ore a Genova su impulso del Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e del Collegio Rabbinico e in collaborazione con la Comunità ebraica del capoluogo ligure, l'Adei Wizo e l'Istituto Italiano di Bioetica. Tre i rabbanim intervenuti: rav Roberto Della Rocca, coordinatore del Dec UCEI, che si è soffermato sul senso della vita prendendo come riferimento alcuni brani del Talmud; rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio Rabbinico e biologo del Cnr, che è entrato nel merito di tematiche di stringente attualità quali fecondazione assistita, cellule staminali e ricerca sugli embrioni; e rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova, che ha offerto il proprio contributo alla discussione con parole di Torah. Tra i relatori anche Luisella Battaglia, docente di Filosofia presso la locale Università degli Studi e direttrice del Centro Italiano di Bioetica, che ha toccato con mano – da scienziata – le nuove frontiere della bioetica. Moderatore del lungo dibattito che ne è seguito Ariel Dello Strologo, vicepresidente della Comunità ebraica e consigliere UCEI. "E' stato un incontro molto stimolante. Un'occasione di confronto aperta a tutta la Comunità - commenta Dello Strologo - che ha permesso di toccare con mano tante problematiche e tanti punti aperti".

pilpul
Globalizzazione
Il processo storico più innovativo ed interessante che viviamo in questi giorni, senza dubbio un processo di lunga durata, ma che rivoluziona molte concezioni esistenti è quello della globalizzazione. È questo un processo abbastanza nuovo, che non è stato ancora analizzato in maniera approfondita, ma che tuttavia pone diversi quesiti e molte problematiche, e non solo in campo ebraico. Ad esempio, come si concilia il fenomeno della globalizzazione con una peculiarità culturale? Vale la pena di mantenere le lingue nazionali, oppure è meglio studiare esclusivamente l’inglese, come lingua transnazionale, o direi meta-nazionale? Questi quesiti riguardano chiaramente tutto il mondo, ma toccano gli ebrei in maniera particolare, in quanto portatori di una cultura assai specifica. Vale la pena di riflettere su questi fenomeni!

Andrea Yaakov Lattes, Università Bar Ilan - Tel Aviv

Parole fuori posto
Prendiamo Daniela Santanché. Commentando lo scandalo Fimmecanica e l’accusa di corruzione internazionale rivolta ai vertici del gruppo per ottenere appalti in India, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Per gli italiani è molto peggio avere un campo rom che pagare un’intermediazione commerciale all’India”. Sarei tentato di osservare un silenzioso disprezzo. Perché si fa proprio il gioco di questi personaggi quando li si rilancia, anche criticandoli. E poi perché non tutte le cavolate vanno commentate. Trovo però utile ragionare sull’episodio alla luce della discussione su quali siano i valori ebraici in politica, cui in questi giorni hanno partecipato molti esponenti della nostra comunità.
Io considero specificamente ebraico attribuire importanza alle parole. Non solo evitando la maldicenza o la chiacchiera inutile (lashon harà), ma dedicandosi al singolo termine, viatico per comprendere la Scrittura e dettaglio necessario a cogliere la dinamica generale del mondo. Una parola giusta significa rispetto verso noi stessi e verso gli altri, una parola sprecata contraddice la stessa natura umana. Che dire, dunque, di una frase come questa? É sufficiente sfruttare la metafora calcistica di “buttare la palla in tribuna”, oppure conviene considerarla un’offesa alla dignità di tutti noi (per non parlare dell’atteggiamento razzista)?
Se penso al senso del mio modesto impegno civile e politico, considero prioritario ridare valore alle nostre parole. La stessa ragione per cui, a suo tempo, mi fece rabbrividire un tweet di Roberto Formigoni, oggi compagno di partito della Santanché ma allora avversario interno: “Daniela, se il silenzio è d’oro, tu che parli senza interruzione, di che materiale sei fatta? Non dirmi banalmente di plastica”. Non c’è che dire, proprio un bell’ambientino.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas  twitter @tobiazevi

Storie - Artisti, dissidenti ed ebrei in fuga dai nazisti 
«Nell’agosto del 1940 lasciai New York per una missione segreta in Francia, una missione che molti dei miei amici consideravano pericolosa. Partii con le tasche piene di elenchi di uomini e donne che dovevo soccorrere e con la testa piena di suggerimenti su come farlo».
Quell’estate gli Usa non erano ancora entrati in guerra ma «un gruppo di cittadini americani, convinti che i democratici dovessero aiutare i democratici, senza badare alla nazionalità, creò subito l’Emergency Rescue Committee», con l’obiettivo di far espatriare il maggior numero di esuli europei - artisti, intellettuali, antifascisti, antinazisti, ebrei - che avevano trovato rifugio in Francia e che erano ricercati dalle polizie segrete italiane, tedesche e spagnole (Gestapo, Ovra e Seguridad) e dalla stessa Francia filonazista di Vichy, che una volta arrestati, spesso li consegnava direttamente alla Germania. L’agente al quale viene affidata questa gigantesca operazione di salvataggio è un giovane giornalista liberal, Varian Fry, che viene mandato a Marsiglia, in Costa Azzurra. L’elegante e ostinato Fry, in appena tredici mesi, mette in piedi una rete clandestina, coinvolgendo una pattuglia di volontari, tra cui la bella ereditiera americana Mary Jayne Gold, e tenendo riunioni nei posti più impensati (dalle toilettes ai postriboli) per sfuggire alle intercettazioni. Nonostante la ritrosia dei funzionari del consolato statunitense a Marsiglia a rilasciare i visti, Fry riesce, con mezzi legali e illegali, ad ottenere i permessi e ad organizzare la fuga in Usa di centinaia di persone (ne sono stati calcolate più di 1.500), tra cui grandi nomi dell'arte, della scienza e della cultura, quali Marcel Duchamp, André Breton, Marc Chagall, Max Ernst, Arthur Koestler, Hannah Arendt. La sua azione febbrile in favore dei rifugiati non passa inosservata. A settembre 1941 Fry è costretto a lasciare l’Europa: la polizia di Vichy lo ha espulso dalla Francia e il consolato americano non gli ha rinnovato il passaporto. Tornato in Usa, scrive di getto il racconto delle sua esperienza e, non senza difficoltà, lo pubblica, poiché contiene aspre critiche all’atteggiamento degli Stati Uniti verso gli esuli. Ora le sue memorie escono per la prima volta in Italia, per i tipi della Sellerio (Varian Fry, «Consegna su richiesta. Marsiglia 1940-1941. Artisti, dissidenti ed ebrei in fuga dai nazisti»). Solo trent’anni dopo la sua morte, Varian Fry è stato riconosciuto come uno dei Giusti tra le nazioni, primo cittadino americano a comparire nella lista, e nel 1998 ha ricevuto la cittadinanza onoraria dello Stato di Israele. Dalla vicenda narrata nel suo libro è stato tratto il film Varian’s War, con William Hurt e Julia Ormond.

Mario Avagliano
twitter @Marioavagliano

notizie flash   rassegna stampa
Qui Roma - Solidarietà per i martiri etiopi
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Si svolgerà oggi alle 16.30 nella sala “Piacentina Lo Mastro” di via Benedetto Croce 50 a Roma, la commemorazione del Giorno dei Martiri, in memoria del sacrificio e della lotta del Popolo etiope contro l’aggressione dell’Italia fascista e in particolare nell’anniversario della strage compiuta il 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba. Intervengono fra gli altri Andrea Catarci, presidente del Municipio Roma XI, Carla Di Veroli, assessore alle politiche culturali dello stesso Municipio, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma; Enzo Foschi, consigliere della Regione Lazio; Paolo Masini, consigliere di Roma Capitale; Matteo Lollobrigida, portavoce del Comitato Affile antifascista. Quest’anno la commemorazione del Giorno dei Martiri assume per gli Etiopi una particolare rilevanza a causa dell’edificazione ad Affile, di un monumento in onore di Rodolfo Graziani che all'epoca dei fatti era viceré in Etiopia



 

Corriere della sera e Repubblica di oggi, tra le cronache da Bologna, propongono con rilievo la mostra DafDaf, l'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori realizzata dalla redazione in collaborazione con BilBolBul e Children Book Fair che si inaugura questo pomeriggio al Museo ebraico.
















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