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  28 febbraio 2013 - 18 Adar 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 

Mentre Moshè è salito sul monte e si indugia per ricevere da D.o la Torah con le sue spiegazioni, il popolo si smarrisce, perde per un attimo la fiducia in se stesso e nel suo condottiero e reclama da Aharòn la costruzione di un idolo. L’idea dell’idolo non vuole essere, nell’intenzione dei suoi costruttori, una negazione della sovranità di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, ma vorrebbe rappresentare soltanto, in modo concreto, la presenza di una forza che sia di guida a Israele. È un incredibile pervertimento di una gente che non era giunta alla maturità spirituale necessaria per sentire D.o come spirito totalmente immateriale. Può sembrare strano, ma la tendenza a non rendersi realmente conto di che cosa significhi Uno ha continuato in altre occasioni e in altre forme a manifestarsi in Israele. A noi l’idea di costruire un vitello d’oro appare una crassa materializzazione, offensiva dell’idea purissima di monoteismo assoluto; ma in realtà dobbiamo far rientrare questa colpa nel quadro generale delle molte inadempienze alla Torah di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’. Quante altre volte Israele è stato carente, quante altre volte l’insegnamento divino e la Sua Legge non sono stati messi in pratica! Sia che si parli della violazione del divieto di adorare immagini, sia che si parli dell’offesa ad altri fondamentali doveri della Torah, si tratta sempre d’incrinare l’idea unitaria. E quante volte non cediamo noi stessi ai nostri istinti e alle nostre debolezze, quante volte, forse senza volerlo, ci costruiamo i nostri idoli d’oro e d’argento ai quali c’inchiniamo, quante volte siamo schiavi delle nostre passioni e delle nostre false figurazioni! Quante volte spezziamo quest’unità e, per ciò che riteniamo essere il nostro bene, con la nostra indifferenza mandiamo in malora istituzioni ebraiche consolidate che potrebbero vivere e farci sopravvivere, causando così l’approssimarsi della morte delle nostre Kehillòth! Moshè poté guarire il popolo da quella colpa frantumando il vitello d’oro e dandolo da bere al popolo; ma il nostro vitello d’oro è più pericoloso, perché già impalpabile ed incorporeo, e troppo spesso i richiami di noi Rabbini risuonano nel deserto dei Battè Ha-Kenéseth e nell’invisibilità di pagine che troppo pochi – e spesso già più vicini – leggono. Pure, convinti della giustezza della nostra causa, continuiamo a battere questo tasto, nella speranza che almeno qualcuno si senta spinto dalle nostre parole a restaurare la sua unità col Kehàl Israèl e con Ha-Qadòsh Barùkh Hu’.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
In entrambe le democrazie parlamentari dove si ora è votato, Israele e Italia, i risultati elettorali hanno creato situazioni di difficile o impossibile governabilità. In entrambi i paesi, mutatis mutandis, la causa principale dell'impasse è la spaccatura in due della società su diversi temi fondamentali sui quali non sono facili o perfino possibili vie di compromesso. Nell'assenza di larghi consensi non è facile prendere decisioni che, nel loro interesse comune, impongono gravi rinuncie a tutti o a una larga parte dei cittadini. In entrambi i paesi, una causa concomitante dello stallo è un metodo elettorale che aggiunge ingovernabilità tecnica all'ingovernabilità sostanziale. In Israele, la follia è la proporzionale pura con soglia di ammissione minima, collegio unico nazionale e liste bloccate; in Italia, la follia è il porcellum con le sue due formule contraddittorie alla Camera e al Senato pensate non per far vincere "i nostri" ma per impedire "a loro" di vincere. In entrambi i paesi, la maggioranza degli eletti non possono dire veramente di aver vinto un'elezione, perché sono dei perfetti sconosciuti che il pubblico non ha mai incontrato e sono stati scelti da qualcun altro, non hanno avuto una designazione diretta dagli elettori (a differenza dei governatori di Regione), non sono arrivati primi, o sono stati ripescati attraverso complesse formule di resti. Non che i premi di maggioranza siano una bella cosa: l'odierna prassi un tempo era chiamata "Legge truffa". La riforma elettorale é il più ovvio, urgente e condiviso dei compiti, ma evidentemente a molti fa comodo creare l'ingovernabilità permanente perché cosí si evita di dover affrontare i problemi reali. Sarebbe bene non dimenticare, però, che società che si cullano troppo a lungo nell'immobilismo, alla fine scompaiono.

davar
Informazione - Regole e domande per l'ebreo giornalista
Riportare notizie sugli altri, di qualunque genere (rakhilut). Riferire fatti veri, ma che mettono in cattiva luce il prossimo (leshon harah). Disseminare voci false e diffamanti (motzi shum rah). Problemi di fondamentale importanza nella tradizione halakhica e ancora più delicati per chi opera nel mondo del giornalismo, che hanno rappresentato il punto di partenza del seminario Legge ebraica e informazione organizzato dal Collegio rabbinico e dalla redazione del portale dell’ebraismo Moked.it al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Relatori i rabbini capo di Roma e di Milano Riccardo Di Segni e Alfonso Arbib e poi rav Alberto Somekh e rav Gianfranco Di Segni.
A unire in un filo ideale gli interventi del rav Riccardo Di Segni e del rav Somekh non è stato soltanto un esame delle fonti halakhiche rilevanti per il lavoro degli operatori dell’informazione in campo ebraico, ma anche una premessa fondamentale: tanto sono complesse le prescrizioni in materia che i rabbanim hanno espresso l’auspicio che i partecipanti uscissero dall’incontro con più domande rispetto a quelle con cui erano entrati, e soprattutto con la consapevolezza che ogni decisione debba costituire oggetto di una profonda riflessione personale. “L’etica della professione è un aspetto estremamente importante per molte attività: così come per i medici tanta attenzione viene dedicata alla bioetica, così dovrebbe accadere anche nell’ambito dell’informazione, a maggior ragione oggi che con l’avvento del web l’informazione deve fare i conti con problemi incommensurabili rispetto al passato, come
l’interattività di utenti semplici che hanno la possibilità di riprodurre liberamente notizie senza essere vincolati da alcuna regola” ha spiegato rav Di Segni, approfondendo poi le principali domande da porsi in ambito giornalistico. “Non andare sparlando del tuo popolo, ma non stare inerte di fronte al sangue del tuo prossimo” (Vaikrah 19,16) la fondamentale fonte da cui partire nel ragionamento, in cui devono essere contemplati due divieti in conflitto tra loro, quello di parlare alle spalle del prossimo, e quello di rimanere passivi non diffondendo informazioni che possono invece salvare dal danno qualcuno.
Tante le fonti citate anche dal rav Somekh che però ha voluto iniziare sottolineando che “nel dare buone notizie vi è una componente di mitzvah, al punto che, a differenza delle cattive notizie, esse possono essere annunciate anche durante lo Shabbat”, per poi fornire spunti di riflessione su diversi quesiti: quali accorgimenti prendere per evitare di commettere colpa nel riferire le notizie (fondamentale per esempio la disposizione d’animo nel divulgarle) oppure il modo di riferire il sospetto che una persona abbia commesso un reato, o ancora il diverso atteggiarsi del diritto alla riservatezza per i personaggi che ricoprono cariche pubbliche.
Previste nella seconda giornata del seminario gli interventi di rav Arbib “Esigenze dell’informazione e requisiti del carattere: la risposta ebraica per un impegno professionale sulle vie del Mussar”, e del rav Gianfranco Di Segni “I rabbini giornalisti nella storia degli ebrei italiani”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked


Rav Bernheim: "Benedetto XVI ha compiuto passi decisivi,
ma la realtà è plurale e una coalizione religiosa impossibile
Rav Gilles Bernheim, gran rabbino di Francia, qual è stata la sua reazione all'annuncio della rinuncia di Benedetto XVI al suo mandato?
Questa decisione è un passo degno e coraggioso, perché, come ha detto l'ex direttore del quotidiano cattolico La Croix Bruno Frappat, siamo in un mondo in cui prevale l'istinto di schiacciare i propri simili con il proprio ego e l'esercizio dei propri poteri. Rinunciare a questo istinto è impossibile dal momento in cui ci si è battuti per conquistare i propri poteri. Allontanare se stessi dal trono, come Benedetto XVI sta facendo, è una lezione di portata universale. Questo gesto ci mette in gioco nelle nostre scelte e nella nostra vita.
Il pontificato di Benedetto XVI ha mostrato periodi di tensione fra la Chiesa e le comunità ebraiche, in particolare al momento della cancellazione della scomunica a monsignor Williamson, un vescovo integralista apertamente negazionista, o al momento della rimessa all'ordine del giorno della preghiera del venerdì santo in cui si domanda che "Dio illumini il cuore degli ebrei". Che insegnamento se ne può trarre riguardo alle relazioni ebraico-cristiane?
Sono stato colpito dalla volontà di Benedetto XVI di riprendere a suo carico i gesti eccezionali di Giovanni Paolo II riguardo il popolo ebraico al fine di fare di una eccezione una
tradizione che sarà ormai quella della Chiesa. Giovanni Paolo II era l'uomo della prima volta: la visita alla sinagoga di Roma, il viaggio di grande significato simbolico a Gerusalemme. Benedetto XVI avrebbe potuto evitare di rimettersi sul cammino del suo predecessore. Nel pieno della polemica sulla cancellazione della scomunica del vescovo integralista e la beatificazione di Pio XII, è andato alla sinagoga di Roma ma anche quelle di Colonia, di New York, così come a Gerusalemme. Gli atti fondamentali di Giovanni Paolo II lungi dall'essere una spettacolare eccezione, divengono con Benedetto XVI una tradizione della Chiesa e fanno orma parte di quello che deve accadere.
Non dimentico che Benedetto XVI non ha solamente parlato dell'ebraismo. Ha incontrato molti ebrei. Poiché ascoltare gli ebrei di oggi, i discendenti di un passato che tanti cristiani avevano reso oscuro, rappresenta per la Chiesa il fatto di stare a confronto con pagine della storia scritte con il sangue, del sangue ebraico, pagine che erano semplicemente state omesse nei suoi libri di storia. Ascoltare gli ebrei oggi non insegna soltanto ai cristiani riguardo agli ebrei, ma anche agli ebrei riguardo a loro stessi.
Nonostante l'insistenza di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI nel promuovere la dichiarazione Nostra Aetate che dopo il concilio Vaticano II ha profondamente modificato la relazione della Chiesa cattolica con l'ebraismo, permane il rischio di un antisemitismo cristiano? Oppure il pericolo è altrove?
La relazione del cattolicesimo con l'ebraismo è cambiata in una maniera molto positiva, questa è un'evidenza. Ma altri cambiamenti stanno avvenendo allo stesso tempo. In Europa sono numerosi coloro che amano vedere nell'ebreo l'immagine del debole, del perseguitato, del sofferente. Dal momento in cui l'ebreo è presentato come oppressore di altri individui ancora più deboli, cessa poi di essere il vero ebreo. Lo si sostituisce con colui che è percepito come la vera vittima e si propagano etichette di razzista o di nazista che una volta spettavano al suo aggressore. Questa dinamica che opera in Europa è pericolosa, poiché conduce alla logica di revocare e negare la legittimità dello stato di Israele e alla passività nei confronti di alcune correnti antisemite presenti nel mondo islamico.
Nel quadro delle relazioni ebraico-cristiane come giudicare l'attitudine dei leader e della popolazione ebraica riguardo alla Chiesa cattolica?
Dopo l'insegnamento del disprezzo nei confronti degli ebrei, siamo giunti alla capacità di stima. Ma questo lavoro di avvicinamento non ha mobilitato che una piccola minoranza di cristiani e di ebrei, pervasi dell'importanza della posta in gioco: sarebbe a dire il concetto che Gesù è nato, ha vissuto ed è morto in quanto ebreo. E che, se si riconoscesse l'integralità della sua identità ebraica, non si comprende come potrebbe allora un cristiano disprezzare, o semplicemente ignorare gli ebrei suoi fratelli. Noi osserviamo in questo campo il risultato più importante di questi ultimi decenni della rivoluzione della Chiesa nei confronti degli ebrei. Senza alcun dubbio il ricordo della sofferenza degli ebrei causata dalla Chiesa rende difficile agli ebrei riconoscere il valore religioso del Cristianesimo. Inoltre, in quanto minoranza esposta al rischio di conversione forzata, gli ebrei si sono fatti durante i secoli una regola di non ammettere niente e nessuno negli altri culti.
Su delle basi risanate nei rapporti reciproci, potranno constatare che i cristiani non compromettono la loro integrità religiosa, soprattutto se la loro pratica religiosa è rigorosa, riconoscendo che dei cristiani possono essere da esempio non a dispetto della loro fede, ma proprio grazie ad essa.
Quali gesti e quali parole le comunità ebraiche possono sperare dal prossimo papa?
Prima di tutto la totale apertura degli archivi di Pio XII che coprono il periodo della Seconda guerra mondiale, al fine di permettere agli storici di meglio comprendere l'attitudine di questo papa nei confronti degli ebrei.
Ma l'avvenire del dialogo fra cristiani ed ebrei si inscrive nella speranza che il prossimo papa vada ancora più avanti, nelle parole e negli atti per dissipare l'insegnamento del disprezzo. Come? Insegnando in maniera positiva il rispetto e la piena legittimità di una religione e di una fede nella quale la Chiesa trova le proprie radici: l'ebraismo. E testimoniando del valore e della singolarità della missione del popolo ebraico che, certo, non ha riconosciuto Gesù, ma di cui la saggezza e la vocazione restano perenni.
Meglio comprendere i no degli ebrei a Gesù per meglio rispettarli. Che grande sfida. Ma solo a questo prezzo l'antiebraismo cristiano potrà essere superato.
Il papa Benedetto XVI ha pubblicamente salutato la sua riflessione sulla relazione uomo-donna che è stata pubblicata in occasione del dibattito sul matrimonio aperto alle coppie onosessuali. Le religioni devono prendere parte assieme ai dibattiti della società?
No. Perché le religioni non sono travasabili le une nelle altre. E non lo diventano di più nella costituzione di fronti unitari. Riguardo al matrimonio fra persone dello stesso sesso e l'omoparentalità, ogni religione ha contribuito al dibattito con i propri argomenti, i propri punti di riferimento e la propria sensibilità. E lo si è fatto per quello che poteva essere considerato l'interesse generale della nazione, non in quanto un atto di opposizione allo Stato, alla presidenza della Repubblica o alla maggioranza parlamentare.
Se la scelta di Benedetto XVI da voi citata è stata per me una sorpresa, ritengo anche che costituisca, in questa fase delle nostra relazioni, un'eccezione. Alcuni avrebbero amato l'idea di una coalizione di religioni e alcuni avrebbero così potuto utilizzare o ridicolizzare tale coalizione come un blocco reazionario, per sua natura opposto ad ogni cambiamento. Ma la realtà è plurale, più fine e più sottile.

Stephanie Le Bars, Le Monde, 28 febbraio 2013

Qui in alto la vignetta che Enea Riboldi ha dedicato alla storica visita di papa Benedetto XVI alla sinagoga di Roma (Pagine Ebraiche febbraio 2010)

Rav Di Segni: "Benedetto XVI ha parlato chiaro agli ebrei"
Qui Roma - I campioni dello sport e la Memoria
La Memoria e l'impegno dei campioni dello sport per la diffusione di valori positivi di dialogo, integrazione e accoglienza alle nuove generazioni. Temi che sono stati affrontati questa mattina all'Acqua Acetosa, nelle strutture messe a disposizione dal Coni, nel corso di una serie di appuntamenti cui hanno preso parte, tra gli altri, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Francesco Profumo, il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete e il presidente del Maccabi Italia e consigliere UCEI Vittorio Pavoncello. Centrale in quest'ottica la visita degli atleti della nazionale di calcio, assieme ad alcuni sopravvissuti alla Shoah, al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Balotelli che si commuove pensando alle radici ebraiche della sua famiglia adottiva, le lacrime di Montolivo, l'abbraccio conclusivo tra calciatori e testimoni davanti alla judenrampe. Immagini che hanno suscitato grande emozione nell'opinione pubblica e raggiunto, attraverso vari canali, milioni di giovani in tutto il mondo. Numerose, è stato ricordato durante gli incontri odierni, le sfide che vedono lavorare su un fronte comune realtà ebraiche e istituzioni pubbliche. Un impegno che, grazie al protocollo d'intesa recentemente siglato tra UCEI e MIUR, si prepara adesso a vivere una nuova e intensa fase di progettualità.

a.s - twitter @asmulevichmoked


Elezioni - Regione Lazio, Claudia Fellus non è eletta
Un'esperienza formativa, di contatto, di ascolto e di espressione del proprio pensiero “che mi ha arricchita enormemente”. Sono le valutazioni, una volta concluso lo spoglio per le elezioni regionali nel Lazio, di Claudia Fellus Pirani, tecnico nel settore sanitario ed esponente della comunità degli ebrei libici emigrati a Roma negli anni Sessanta. Candidatasi nella lista civica che appoggia il neo governatore Nicola Zingaretti, Fellus Pirani – malgrado il positivo riscontro elettorale (1361 preferenze ottenute) – non parteciperà ai lavori della Pisana. I due consiglieri espressi dalla lista sono infatti Michele Baldi (10705 preferenze) e Gianluca Quadrana (3081 preferenze). Da parte della candidata, nonostante la mancata elezione, parole di speranza per una nuova fase politica che sembra aprirsi. Soprattutto sul fronte a lei più caro: la salvaguardia di un sistema sanitario che non esita a definire 'allo sbando'. “Spero davvero che parta dal Lazio un modello di buongoverno. In questo quadro  – scrive in un messaggio indirizzato ai suoi sostenitori – la regione ha dato un chiaro segnale di cambiamento eleggendo Zingaretti, che proprio in nome di una politica nuova e un'amministrazione al servizio ai cittadini ha saputo presentare un volto diverso dei vecchi politicanti che hanno devastato l'immagine del Lazio”

pilpul
Noi stessi e gli altri
In pochi giorni sono stato sommerso da sensazioni forti, e non certo positive: i rabbanìm a cui sono legato per storia personale calunniati e offesi; un risultato elettorale che mi è caduto addosso come un macigno. Non per questo sarò meno legato ai “miei” rabbini; non per questo perderò fiducia e speranza nel mio Paese. Proverò ad approfondire, cercherò di capire. «Fai bene – disse Moshé. – Non bisogna aver paura degli altri, anche se sono pazzi da legare. È di se stessi che bisogna avere paura. Ma a questo punto si pone la grave domanda: chi ti dice che gli altri non sono te stesso? Chi ti dice che Moshé il pazzo non sei tu?». (Da La città della fortuna di Elie Wiesel, Giuntina)

Stefano Jesurum, giornalista

Grillo
Se c’è una cosa preoccupante del risultato elettorale di Grillo e del suo movimento è che la ragione per cui ha ricevuto i voti non corrisponde minimamente alle idee e alle proposte che porterà avanti. L’esasperazione degli italiani, accompagnata all’incapacità politica dei partiti di rigenerarsi, ha permesso a Grillo di ottenere un consenso oltre ogni previsione che gli consentirà di recitare un ruolo di primo piano nel prossimo parlamento. Certo, considerare la scelta 25% degli italiani come una semplice forma di protesta è limitativo, ma basta ascoltare le interviste dei neo deputati grillini per capire che in realtà, cosa portare avanti, non lo hanno capito bene neanche loro. Questo, grazie a una gestione magistrale della comunicazione da parte di Grillo che gli ha permesso di scegliere i temi della campagna, senza doversi preoccupare di dare risposte concrete. Così, ad oggi, sappiamo che forse (e per fortuna) i costi della politica diminuiranno, ma non invece come si interverrà in altre materie delicate, specialmente se dovesse esserci un accordo con Bersani. Perché tra proposte incostituzionali (referendum in materia economica) e altre irrealizzabili (reddito di cittadinanza), l’unica cosa su cui sembra essere stato fin troppo chiaro è la sua politica estera. Il suo legame con Teheran spaventa e a noi nella migliore delle ipotesi non resta che sperare che il cognato rinsavisca e che finalmente gli spieghi come funzionano le cose laggiù.

Daniel Funaro

notizieflash   rassegna stampa
Qui Roma - Appena ieri.
Letteratura ebraica nelle generazioni
  Leggi la rassegna

Si terrà questa sera alle 19 al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Tullia Zevi un dialogo sul tema "Appena ieri. La letteratura ebraica nelle generazioni", terzo appuntamento del ciclo di incontri Quale identità ebraica. Generazioni a confronto a cura di Sira Fatucci e Ilana Bahbout. Ospiti il rav Benedetto Carucci Viterbi e l'autore e conduttore del programma Cultbook Stas' Gawronski. Come è cambiata la letteratura ebraica nel corso dei secoli? Perché gli scrittori israeliani sono ormai considerati dei classici in tutto il mondo? A queste e ad altre domande si darà risposta mettendo a confronto autori come Aharon Appelfeld, Avraham B. Yehoshua, Nathan Englander e Sami Michael.
 

Intervistato da Fiamma Nirenstein, il rav Riccardo Di Segni traccia oggi per i lettori del Giornale un bilancio sul pontificato di Benedetto XVI che va concludendosi in queste ore. Le sue sono parole di profonda stima e amicizia.








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