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15 marzo 2013 - 4 Nisan 5773
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alef/tav
elia richetti
Alfonso Arbib
,
rabbino capo
di Milano

 

Secondo il Midràsh, subito dopo la conclusione della costruzione del Mishkàn, Moshè non entra nel Mishkàn e solo la chiamata divina si decide ad entrarvi. In questo modo il Midràsh interpreta la prima parola della parashà di Vayikrà, cioè è Dio che chiama Moshè. Questo atteggiamento di estrema umiltà di Moshè spiegherebbe anche una particolarità di questa parola iniziale della parashà che nella Torà si scrive con una alef piccola. Moshè è descritto nella Torà contemporaneamente come il più grande dei profeti e l'uomo più umile. Questi due aspetti sono strettamente legati. L'umiltà non è scarsa coscienza del proprio ruolo e della propria grandezza ma senso di inadeguatezza che deriva paradossalmente proprio dalla coscienza del ruolo che ci viene assegnato. Maggiore la grandezza, maggiore la responsabilità. La coscienza della propria grandezza può portare in negativo al delirio di onnipotenza e in positivo a un'estrema umiltà.


Gadi
Luzzatto Voghera, storico
 


Era il 1471 quando si insediò papa Sisto IV. Sul ponte di fronte a Castel Sant’Angelo, “nel giongere che fece el Papa ... li hebrey gli presentarono una bibia, dicendo che quella era la lege de Moyses, e che gli volesse confirmare quella”. Il papa rispose: “...Quella lege de Moyses tunc temporis era bona, ma che poy era venuto il vero missia che loro expectavano in dicta bibia, et perché non l’haveano cognosciuto e tutta via perseveravano in l’errore loro, però non erano da essere exauditi; et tunc se buttò dreto alle spalle la dicta loro bibia, et passò ultra”. Si trattava di una cerimonia molto antica, in cui all’omaggio proposto dagli ebrei di Roma al nuovo pontefice (un Sefer Torah addobbato come si conviene), seguiva un gesto di disprezzo di studiata violenza. La cerimonia, più o meno con le stesse modalità, proseguì fino al 1513 e fu interrotta prima dell’istituzione del ghetto da papa Alessandro VI. Erano decisamente altri tempi. Sotto il ponte di Castel Sant’Angelo è passata parecchia acqua e oggi si affaccia al soglio pontificio quel Jorge Mario Bergoglio che la scorsa Hanukkah – per dirne una – si è recato in una sinagoga di Buenos Aires per accendere la quinta candelina assieme alla comunità ebraica locale, suscitando la virulenta reazione di alcuni ambienti dell’intransigentismo cattolico. Si preannuncia un papato piuttosto interessante.

davar
Israele - Il nuovo governo muove i primi passi
Il nuovo governo di Israele è una realtà al termine di un estenuante negoziato fra Likud-Beytenu, Yesh Atid e Habayit Hayehudì che si è protratto finoa poco prima dello Shabbat. Previsto per lunedì l'insediamento, a due giorni dalla visita in Israele del presidente Usa Barack Obama.
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Vaticano - Cosa aspettarsi, cosa chiedere, cosa rispondere
Mentre la foto recente del cardinale Bergoglio (ora papa Francesco) che accende la Chanukkià in una Sinagoga di Buenos Aires fa il giro del mondo, il popolo di Facebook si chiede se sia ritualmente consentito. Si capisce subito che si tratta di una Sinagoga Conservative. I rabbini capi d’Israele e altri rabbini ortodossi mandano messaggi di auguri. Il mondo charedì sembra invece quasi impermeabile alla notizia. Sono segnali sottili di distinguo, che anticipano un futuro in cui le domande non saranno tanto rivolte al “pastore della Chiesa Universale”, se sia o meno filoebraico, quanto al mondo ebraico: da quello “laico”, che dovrà fare i conti con le inevitabili asprezze del papa in tema di morale, e a quello “ortodosso” che dovrà ogni volta interrogarsi su come rispondere alle eventuali aperture.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Vaticano - I rabbini italiani al papa: "Pace e fratellanza"
"Le esprimiamo sincere felicitazioni per la sua nomina al soglio papale e le auguriamo la migliore riuscita per lo svolgimento dell'alto incarico ricevuto. Auspichiamo che la sua parola e il suo esempio contribuiscano al raggiungimento dell'armonia, della fratellanza e della pace tra tutti i popoli". Così, in una nota inviata oggi a papa Francesco, il Presidente e il Consiglio Direttivo dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia.
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Vaticano - Il papa e il dialogo
All'indomani della lettera di amicizia inviata al rabbino capo di Roma continuano ad emergere segnali significativi dell'impegno per il dialogo e per la reciproca comprensione profuso in questi anni da papa Francesco. A partire da Tzedakà, iniziativa interreligiosa per i poveri di Buenos Aires che si richiama a una mitzvah fondamentale dell'ebraismo
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Vaticano - "Per noi la fumata non sarà mai bianca"
"Nessun leader come individuo può unire l’intero gregge sotto di sé, a una giusta mistica distanza. Qualcuno obietterà e dissentirà sempre: la fumata non sarà mai bianca”. Antonella Castelnuovo, docente di comunicazione interculturale all'Università di Siena, cita il grande Amos Oz per spiegarci perché gli ebrei non hanno un papa.
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Qui Gerusalemme - Il nuovo console incontra gli Italkim
Primo incontro con gli Italkim per il nuovo console generale a Gerusalemme Davide La Cecilia. Nell'occasione il diplomatico ha portato ai presenti i saluti del ministro degli Esteri Terzi di Sant'Agata.
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Yeud - I leader del futuro
Obiettivo: formare i leader del futuro. Questa la sfida di Ye'ud, corso di formazione promosso dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Primo appuntamento a Firenze con molti giovani da tutto il paese.
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Qui Roma - Legge ebraica e Giustizia
Ordine giuridico ebraico e italiano a confronto. L'occasione un incontro svoltosi al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con interventi di rabbini ed esperti di diritto.
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pilpul
Dal Piemonte al Sudamerica
L’elezione di un papa in teoria non ci dovrebbe interessare più di tanto (o dovrebbe interessarci solo nella misura in cui la guida spirituale di più di un miliardo di persone può influenzare vicende politiche che ci stanno a cuore), eppure esiste anche un altro livello di coinvolgimento emotivo: quando vediamo rispecchiati nei cattolici, amplificati dai loro grandi numeri, sentimenti, emozioni, aspettative, timori che sono anche nostri. In questi giorni abbiamo davvero visto e sentito molti dei nostri stessi dibattiti e dilemmi. Per esempio la ricerca di un difficile equilibrio tra conservazione e innovazione, tra salvaguardia dei valori tradizionali e capacità di rispondere alle sfide del presente. Oppure (e per noi è un problema attualissimo) quale peso debba avere un’autorità centrale rispetto alle realtà locali. E dunque la riflessione su come siano mutati negli ultimi decenni gli equilibri internazionali e sulla perdita di peso dell’Europa (che per il mondo ebraico è in gran parte dovuta alla Shoah, ma di cui forse solo ora stiamo vedendo davvero le conseguenze). Noi ebrei torinesi, poi, non possiamo non identificarci con chi sa che sta per avere una nuova guida ma ancora non sa chi sarà e attende con trepidazione di conoscere un fatidico nome, soppesando ipotesi, valutando caratteristiche e potenzialità di ciascuno (per i cattolici questa attesa è finita mercoledì sera, per noi durerà fino a luglio); anche noi ci siamo trovati a discutere se sia importante che si nomini un italiano o se nella scelta debbano invece prevalere lo stile e le idee. E poi c’è ancora un altro inaspettato terreno comune: curiosamente tre anni fa la maggioranza del Consiglio della nostra Comunità, con la scelta di un Rabbino Capo di origine sudamericana, ci aveva dato l’occasione di riflettere su un continente così fisicamente lontano eppure culturalmente vicino, forse per certi versi più vicino di tanti paesi europei (la facilità con cui molti di noi si sono abituati alle derashot in spagnolo mi pare sottolineare simbolicamente questa vicinanza). Un continente che ha visto l’immigrazione massiccia di europei, italiani, piemontesi (come la famiglia del Papa), tra cui moltissimi ebrei. In particolare, per quanto ci riguarda, sono state soprattutto le leggi razziste del 1938 a spingere molti ebrei italiani verso Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia, ecc. Alcuni sono rimasti là per sempre, altri sono tornati, molti membri delle nostre Comunità sono nati in Sudamerica o vi hanno vissuto per decenni, senza contare quanti di noi hanno parenti sudamericani. È un tema di cui non si parla spesso nell’Italia ebraica di oggi ma su cui forse vale la pena di riflettere: se il Sudamerica è vicino, per noi ebrei forse lo è ancora di più. Anche se in fin dei conti le provenienze geografiche non dovrebbero essere troppo rilevanti.

Anna Segre, insegnante


Una storia d'amore
“Cos’è rimasto della storia d’amore russo-ebraica? Rispondiamo solo per parte nostra. È rimasto un enorme amore per questo paese. Per le sue persone. Per i suoi campi, boschi, villaggi, per le sue città. È rimasta una fortissima sensazione di solidarietà. Per la sua storia. Per la sua essenza. E poi le canzoni, che molte generazioni di israeliani cantano in ebraico, con l’assoluta certezza che siano canzoni autenticamente israeliane e che noi, quando abbiamo bevuto a dovere, cantiamo tutti insieme in russo” (Igor’ Guberman, Aleksandr Okun’, Guida nel Paese dei Savi di Sion).

Laura Salmon, slavista

notizie flash   rassegna stampa
“A Gerusalemme, dove
ogni passo è preghiera” 
  Leggi la rassegna

L'incontro con un paese e con una cultura che l'hanno conquistata. Sull'ultimo numero di Gente, in edicola a partire da domani, Annalisa Minetti racconta il suo recente viaggio in Israele. “A Gerusalemme – afferma l'artista, medaglia di bronzo alle Paralimpiadi di Londra – ogni passo è stata una preghiera”.

 

Ancora grandissimo spazio all’elezione del Pontefice sulle pagine dei giornali di oggi. L’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, riporta le parole del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e il suo messaggio di augurio. Nell’ambito dell’articolo, dedicato alle reazioni dei leader religiosi, gli interventi del rabbino capo emerito di Milano Giuseppe Laras, e del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che ha ricevuto l’invito di Jorge Bergoglio a prendere parte alla cerimonia di insediamento prevista per martedì 19 marzo 

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