“Nei discorsi di
insediamento degli onorevoli Pietro Grasso e Laura Boldrini fortissimo
è stato il richiamo alle principali sfide che attendono il paese. Un
orizzonte d'impegno che è possibile riscontrare nelle prestigiose
biografie di entrambi e che in prima battuta dovrà dare una risposta ai
tanti cittadini che soffrono e sembrano aver perso la speranza”. Ad
affermarlo, in una nota, il presidente dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna.
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Israele - Nuovo governo, Bibi esclude i religiosi |
Il
primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato al presidente Shimon
Peres il nuovo governo al termine dello Shabbat. Escluso il premier,
saranno 21 i ministri, di cui sette al Likud, quattro a Yisrael
Beytenu, cinque a Yesh Atid, tre a Habayt Hayehudi, due a Hatnua. Leggi
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Parlamento - Legge Mancino, Fiano chiede modifiche |
Depositato in
Parlamento un testo di modifica della Legge Mancino, principale
strumento legislativo che l'ordinamento offre per la repressione dei
crimini d'odio. L'iniziativa è di Emanuele Fiano, responsabile
sicurezza del Partito Democratico, che punta a correggere gli
interventi che nelle passate legislature ne hanno diminuito l'efficacia.
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Una nuova stagione |
Come interpretare, e quindi
definire, ciò che stiamo vivendo? La percezione che il tempo in corso
non sia basato sull’ordinario è molto diffusa. Se non altro il senso
della prevedibilità, che era stato il tratto caratteristico dei decenni
trascorsi, quelli contrassegnati dalla crescita economica e da una
relativa stabilità delle istituzioni, è venuto meno e non da oggi.
Dinanzi a noi sembra definirsi un orizzonte incerto. L’elemento più
significativo è senz’altro il grande mutamento globale che l’economia
ha impresso alla comunità internazionale e alle società, in particolare
a quelle dove lo sviluppo avanzato sembrava un dato indiscutibile.
Senza volere a tutti i costi ricondurre ogni segno del presente ad un
filo logico che comunque tarda a manifestarsi, rimane forte la
percezione che gli avvenimenti di queste ultime settimane, nella loro
varietà e differenza, abbiano forse un comune denominatore, ancorché
involontario. Quanto meno per i riflessi che sono destinati a
manifestarsi nel nostro paese. Si tratta, in fondo, di una nuova
stagione culturale che andrebbe così ad inaugurarsi. L’elezione di
Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro ne è, in tutta plausibilità,
una riprova. Tralasciamo le polemiche, così come i fastidiosi rumori di
sottofondo, non importa quanto fondate le prime e, soprattutto, i
secondi, sui presunti coni d’ombra nel suo passato. Prendiamo in
considerazione, invece, il fatto in sé della sua investitura e
contestualizziamolo rispetto alla realtà nostra. L’Italia arriva da un
lungo periodo di populismo edonista. Se dovessimo fare la tara tra le
diverse ideologie correnti, è dato certo l’affermarsi già a partire dai
primi anni Ottanta, anche in accordo con la svolta neoliberista che
aveva connotato una nuova fase politica a livello internazionale, di un
atteggiamento diffuso che trovava nell’enfatizzazione della centralità
dell’individuo, rispetto a quella della comunità, e nella prevalenza
dell’agire di arricchimento personale rispetto a qualsiasi altro ordine
di considerazioni i suoi due perni centrali. Si è trattata di una lunga
stagione, che ha segnato non tanto il cosiddetto “tramonto delle
ideologie” ma il loro mutare di contenuto. Il 1989 e il crollo dei
regime dell’Est hanno infine suggellato non solo la fine del
bipolarismo ma anche l’avvio di una nuova fase geopolitica, alla
conclusione della quale la marginalizzazione del nostro paese nel
mercato internazionale e il mutamento della funzione dell’Unione
europea (non più luogo di una cittadinanza sociale ma soggetto
tecnocratico), paiono essere tra gli effetti di maggiore rilievo.
Quanto meno per noi. Ora, dopo anni e anni di trasformazione del nostro
ruolo e di oggettivo impoverimento del tessuto sociale, fatto che è
purtroppo ben lontano dall’essersi arrestato, stiamo progressivamente
transitando verso un’epoca che sarà contrassegnata da un nuovo tipo di
populismo, di natura pauperista. Facciamo la tara alla parola
“populismo”, che raccoglie molte accezioni, alcune positive altre,
invece, decisamente negative, e assumiamola come termine neutro.
Evitiamo quindi di almanaccare sulle definizioni. Il populismo, come
richiamo al “popolo” in quanto entità indistinta, prima e unico istanza
di legittimazione delle scelte politiche, è essenzialmente una
mentalità trasversale che, dalla Rivoluzione francese in poi, si è
andata affermando in realtà diverse e in contesti molteplici. Si
contrappone all’elitarismo delle cosiddette tecnocrazie. Lo fa, spesso
e volentieri, in maniera velleitaria e bislacca. Rivela di nutrice una
concezione molto limitante della democrazia. Soprattutto, si dichiara
insofferente delle regole, tanto più quando queste paiono imbrigliare
gli “impulsi vitali” che il popolo esprimerebbe. Questa concezione
delle cose, già praticata da alcuni soggetti politici e pubblici negli
anni Ottanta, è stata poi l’ossatura di una lunga stagione politica,
quella della cosiddetta “seconda Repubblica”, che sta ora terminando.
Comunque si voglia leggere il quadro politico, quest’ultimo dato è
certo. Cosa c’entra l’attuale pontefice con tutto ciò? Molto, anche se
sarà il tempo a venire a dirci in quale proporzione. Non è un politico,
va da sé, ma svolge senz’altro un ruolo politico. La sua biografia
rivela da subito la sua ascendenza culturale e morale, laddove la
preferenza per i poveri ne è un tratto fondamentale. Non lo fa con una
logica rivoluzionaria, essendo egli essenzialmente quello che si suole
definire un conservatore illuminato, bensì all’interno di una strategia
dove la complessa Istituzione di cui è il massimo rappresentante va sì
preservata ma con assestamenti progressivi verso ciò che di nuovo viene
avanzando. Della qualità del suo magistero avremo tempo di dare
ripetuto giudizio, per parte nostra. I primi passi sono parsi
all’altezza delle circostanze. Plausibile, come alcuni preconizzano,
che recuperi tratti di Giovanni Paolo II, a partire dalla necessità di
un dialogo diretto, e non ingessato, non solo con la comunità cristiana
ma anche con tutta la popolazione del pianeta. Gli ebrei tra questi. Di
certo questo Papa dovrà accompagnare, per la parte che gli è propria,
l’Italia nel mutamento strutturale che sta vivendo, e nell’oggettivo
declassamento che sta subendo. La qual cosa, per l’astuzia dei fatti,
che sfugge a qualsiasi preordinamento, si incontra con le
trasformazioni che si sono innescate in questi ultimi due anni nel
sistema politico italiano. A risultare sempre più premiati
elettoralmente, quanto meno tra i votanti più giovani, sembrano essere
quei soggetti che rivendicano un ruolo di rappresentanza innovativa,
dal segno però ancora una volta populista, benché esso sia adesso volto
in direzione esattamente opposta a quella del passato: non è più
l’esaltazione di una ricchezza possibile ma l’apologia della virtù del
limite. Il caso del Movimento cinque stelle va in questo senso. La sua
fortuna sta in una serie di elementi, tra di loro anche molto
stratificati e contraddittori, ma trova in tale posizione un collante
fondamentale. L’ambivalenza di certe posizioni non può peraltro
sfuggire. L’interrogativo principale è se la giovane formazione
politica saprà svincolarsi dalla presa dei suoi creatori, Grillo e
Casaleggio, o se ne rimarrà prigioniera, in una morsa tanto
paternalistico-patriarcale quanto pericolosamente cesaristica. Perché
nel secondo caso le energie, che pur porta con sé, rischiano di essere
convogliate verso logiche regressive perché antidemocratiche. Rimane il
fatto che l’elettorato italiano è in movimento; se ci è concesso
l’ardito parallelo, anche quello cardinalizio si è rivelato essere
tale. Siamo in una fase di transizione, come tale delicatissima, poiché
abbiamo “scoperto” che siamo – e saremo – più poveri. Da come ci
attrezzeremo a questo scenario in divenire (stracciandoci le vesti,
vituperando le istituzioni, inveendo contro il destino “cinico e baro”
oppure cercando di ricostruire un tessuto, quello della società, sempre
più frastagliato, magmatico e sofferente) dipenderà il destino di
ognuno di noi italiani, ebrei e non. Abbiamo bisogno di una presenta di
élite forti perché autorevoli, sensibili alle voci innumerevoli che
arrivano dalla collettività, veramente coinvolte nella gestione della
società e non espressione di vuote tecnocrazie. Il resto è deserto o,
se si preferisce, il pieno del lucido delirio che si sta esprimendo
nell’Ungheria fascistizzata di Viktor Orban o nella crisi senza fine
della Grecia disintegrata dai programmi di “aggiustamento strutturale”
prescritti da Bruxelles. Nulla è scritto aprioristicamente. Quel che è
certo, tra le altre cose, è che l’antisemitismo torna ad essere un
indice per misurare la direzione collettiva che la maggioranza del
paese fa propria. Ancora una volta in democrazia il benessere di una
collettività lo si misura dal grado di integrazione di una minoranza.
Non ci faremo sorprendere impreparati. Il tempo, da questo punto di
vista, non è trascorso invano.
Claudio
Vercelli, storico
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Nugae - Banksy |
"Se i graffiti cambiassero
qualcosa - sarebbero illegali", recita in rosso vivo un muro di Londra.
Un bel ratto nero disegnato in basso suggerisce che l'autore di questo
slogan tagliente, che esprime la forte critica nei confronti del
governo che si ostina a etichettare i graffiti come forma di
vandalismo, sia opera di Banksy, uno degli artisti di strada più noti
al mondo. Nessuno conosce il suo vero nome, nessuno l'ha neanche mai
visto, di lui non si sa niente. Tranne che le sue opere vengono battute
all'asta per migliaia di sterline, e i suoi documentari ricevono
candidature agli Oscar. Altro che vandalo insomma, rientra a pieno
titolo nella categoria artisti, e anche uno di quelli impegnati, di
quelli entusiasti e sognatori che vogliono davvero rendere il mondo
migliore con la loro arte. Originario di Bristol, Banksy disegna
soprattutto nelle strade londinesi, combattendo il sistema con la
tecnica dello stencil. Anti-imperialismo, anti-razzismo,
anti-consumismo, l'uomo che sprofonda nella povertá, nell'ipocrisia,
nella perdita di speranza, nell'alienazione, e nell'assurdo, sono
alcuni dei principali temi delle opere di Banksy. Le sue immagini hanno
un che di surreale, di straniante. Spesso come soggetti hanno i simboli
dell'ingessatissima autoritá anglosassone, le guardie col colbacco di
Buckingham Palace, i vigili con i loro cappelli allungati, ribaltati in
situazioni paradossali. Ma le opere più belle sono quelle che parlano
di pacifismo. C'è il ragazzo che invece che una bomba sta per lanciare
un mazzo di fiori. C'è la bambina in abitino rosa confetto che
perquisisce un soldato in divisa. E poi, forse i più toccanti, ci sono
i graffiti che nel 2005 Banksy dipinse sul muro fra Israele e territori
palestinesi. Una bambina vola dall'altra parte appesa a dei palloncini.
Un bambino si apre un buco attraverso cui si vede il cielo azzurrissimo
con le sue nuvole bianche e leggere. Un uomo scosta il grigio
del muro come un sipario dietro il quale s'intravede l'orizzonte. E poi
un salottino così typically british (manca solo il the caldo), con una
finestra con le tendine dalla quale si ammira un sereno paesaggio di
montagna.
Francesca Matalon, studentessa di
lettere antiche twitter @MatalonF
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rassegna
stampa |
Qui Milano - Modigliani in mostra
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Continua
al Palazzo Reale di Milano la mostra dal titolo Modigliani, Soutine e
gli artisti maledetti. Dopo il grande successo ottenuto
dall’esposizione dedicata a Picasso, le medesime sale ospiteranno fino
all’8 settembre 2013 questa mostra tutta dedicata a Modigliani e agli
artisti maledetti.
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“Siamo
certi che ebrei e cattolici, collaborando nell’impegno per il bene
dell’umanità, anche attraverso le proprie specificità, potranno
dimostrare che la costruzione di un futuro di vera amicizia tra i
popoli e gli individui è realmente possibile". L'auspicio del
presidente e dal consiglio direttivo dell'Assemblea rabbinica, in una
lettera inviata venerdì mattina al nuovo pontefice, è ripreso sulle
pagine dell'Osservatore Romano e di Avvenire.
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