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  17 marzo 2013 - 6 Nisan 5773
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Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino


Dio, prima di parlare con Mosè, sempre lo chiama. In questo modo, dice Rashi, esprime intenzione specifica ed affetto. Comunicazione vera c'è quando, tra chi parla e chi ascolta, c'è attenzione, affetto e volontà di costruire una relazione.

David Bidussa, storico sociale
delle idee
   

A proposito delle polemiche che corrono nella stampa ebraica, un mio amico, con spirito forse un po’ macabro, ma salace, mi ha detto una cosa che riporto.  È incredibile quanto fosse alto il livello dello scontro culturale, politico, caratteriale, perfino esistenziale, a Varsavia, dentro il perimetro del ghetto all’inizio della primavera 1943: molti periodici, un numero non indifferente di quotidiani, continue riunioni politiche di gruppi in reciproco conflitto, ciascun gruppo col suo periodico, che ognuno voleva per sé e guai a scrivere su quello dell’altro, comunque guai a provare di intraprendere pratiche di confronto. Si sarebbe potuto pensare a un mondo vivo, a un domani carico di vitalità e soprattutto dotato di un radioso futuro, se non fosse stato per quel particolare del treno fuori dal cancello.

davar
Renzo Gattegna ai presidenti della Camera e del Senato:
“Una risposta a chi sembra aver perso la speranza”
“Nei discorsi di insediamento degli onorevoli Pietro Grasso e Laura Boldrini fortissimo è stato il richiamo alle principali sfide che attendono il paese. Un orizzonte d'impegno che è possibile riscontrare nelle prestigiose biografie di entrambi e che in prima battuta dovrà dare una risposta ai tanti cittadini che soffrono e sembrano aver perso la speranza”. Ad affermarlo, in una nota, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna.
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Israele - Nuovo governo, Bibi esclude i religiosi
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato al presidente Shimon Peres il nuovo governo al termine dello Shabbat. Escluso il premier, saranno 21 i ministri, di cui sette al Likud, quattro a Yisrael Beytenu, cinque a Yesh Atid, tre a Habayt Hayehudi, due a Hatnua.
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Parlamento - Legge Mancino, Fiano chiede modifiche
Depositato in Parlamento un testo di modifica della Legge Mancino, principale strumento legislativo che l'ordinamento offre per la repressione dei crimini d'odio. L'iniziativa è di Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Partito Democratico, che punta a correggere gli interventi che nelle passate legislature ne hanno diminuito l'efficacia.
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pilpul
Una nuova stagione
Come interpretare, e quindi definire, ciò che stiamo vivendo? La percezione che il tempo in corso non sia basato sull’ordinario è molto diffusa. Se non altro il senso della prevedibilità, che era stato il tratto caratteristico dei decenni trascorsi, quelli contrassegnati dalla crescita economica e da una relativa stabilità delle istituzioni, è venuto meno e non da oggi. Dinanzi a noi sembra definirsi un orizzonte incerto. L’elemento più significativo è senz’altro il grande mutamento globale che l’economia ha impresso alla comunità internazionale e alle società, in particolare a quelle dove lo sviluppo avanzato sembrava un dato indiscutibile. Senza volere a tutti i costi ricondurre ogni segno del presente ad un filo logico che comunque tarda a manifestarsi, rimane forte la percezione che gli avvenimenti di queste ultime settimane, nella loro varietà e differenza, abbiano forse un comune denominatore, ancorché involontario. Quanto meno per i riflessi che sono destinati a manifestarsi nel nostro paese. Si tratta, in fondo, di una nuova stagione culturale che andrebbe così ad inaugurarsi. L’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro ne è, in tutta plausibilità, una riprova. Tralasciamo le polemiche, così come i fastidiosi rumori di sottofondo, non importa quanto fondate le prime e, soprattutto, i secondi, sui presunti coni d’ombra nel suo passato. Prendiamo in considerazione, invece, il fatto in sé della sua investitura e contestualizziamolo rispetto alla realtà nostra. L’Italia arriva da un lungo periodo di populismo edonista. Se dovessimo fare la tara tra le diverse ideologie correnti, è dato certo l’affermarsi già a partire dai primi anni Ottanta, anche in accordo con la svolta neoliberista che aveva connotato una nuova fase politica a livello internazionale, di un atteggiamento diffuso che trovava nell’enfatizzazione della centralità dell’individuo, rispetto a quella della comunità, e nella prevalenza dell’agire di arricchimento personale rispetto a qualsiasi altro ordine di considerazioni i suoi due perni centrali. Si è trattata di una lunga stagione, che ha segnato non tanto il cosiddetto “tramonto delle ideologie” ma il loro mutare di contenuto. Il 1989 e il crollo dei regime dell’Est hanno infine suggellato non solo la fine del bipolarismo ma anche l’avvio di una nuova fase geopolitica, alla conclusione della quale la marginalizzazione del nostro paese nel mercato internazionale e il mutamento della funzione dell’Unione europea (non più luogo di una cittadinanza sociale ma soggetto tecnocratico), paiono essere tra gli effetti di maggiore rilievo. Quanto meno per noi. Ora, dopo anni e anni di trasformazione del nostro ruolo e di oggettivo impoverimento del tessuto sociale, fatto che è purtroppo ben lontano dall’essersi arrestato, stiamo progressivamente transitando verso un’epoca che sarà contrassegnata da un nuovo tipo di populismo, di natura pauperista. Facciamo la tara alla parola “populismo”, che raccoglie molte accezioni, alcune positive altre, invece, decisamente negative, e assumiamola come termine neutro. Evitiamo quindi di almanaccare sulle definizioni. Il populismo, come richiamo al “popolo” in quanto entità indistinta, prima e unico istanza di legittimazione delle scelte politiche, è essenzialmente una mentalità trasversale che, dalla Rivoluzione francese in poi, si è andata affermando in realtà diverse e in contesti molteplici. Si contrappone all’elitarismo delle cosiddette tecnocrazie. Lo fa, spesso e volentieri, in maniera velleitaria e bislacca. Rivela di nutrice una concezione molto limitante della democrazia. Soprattutto, si dichiara insofferente delle regole, tanto più quando queste paiono imbrigliare gli “impulsi vitali” che il popolo esprimerebbe. Questa concezione delle cose, già praticata da alcuni soggetti politici e pubblici negli anni Ottanta, è stata poi l’ossatura di una lunga stagione politica, quella della cosiddetta “seconda Repubblica”, che sta ora terminando. Comunque si voglia leggere il quadro politico, quest’ultimo dato è certo. Cosa c’entra l’attuale pontefice con tutto ciò? Molto, anche se sarà il tempo a venire a dirci in quale proporzione. Non è un politico, va da sé, ma svolge senz’altro un ruolo politico. La sua biografia rivela da subito la sua ascendenza culturale e morale, laddove la preferenza per i poveri ne è un tratto fondamentale. Non lo fa con una logica rivoluzionaria, essendo egli essenzialmente quello che si suole definire un conservatore illuminato, bensì all’interno di una strategia dove la complessa Istituzione di cui è il massimo rappresentante va sì preservata ma con assestamenti progressivi verso ciò che di nuovo viene avanzando. Della qualità del suo magistero avremo tempo di dare ripetuto giudizio, per parte nostra. I primi passi sono parsi all’altezza delle circostanze. Plausibile, come alcuni preconizzano, che recuperi tratti di Giovanni Paolo II, a partire dalla necessità di un dialogo diretto, e non ingessato, non solo con la comunità cristiana ma anche con tutta la popolazione del pianeta. Gli ebrei tra questi. Di certo questo Papa dovrà accompagnare, per la parte che gli è propria, l’Italia nel mutamento strutturale che sta vivendo, e nell’oggettivo declassamento che sta subendo. La qual cosa, per l’astuzia dei fatti, che sfugge a qualsiasi preordinamento, si incontra con le trasformazioni che si sono innescate in questi ultimi due anni nel sistema politico italiano. A risultare sempre più premiati elettoralmente, quanto meno tra i votanti più giovani, sembrano essere quei soggetti che rivendicano un ruolo di rappresentanza innovativa, dal segno però ancora una volta populista, benché esso sia adesso volto in direzione esattamente opposta a quella del passato: non è più l’esaltazione di una ricchezza possibile ma l’apologia della virtù del limite. Il caso del Movimento cinque stelle va in questo senso. La sua fortuna sta in una serie di elementi, tra di loro anche molto stratificati e contraddittori, ma trova in tale posizione un collante fondamentale. L’ambivalenza di certe posizioni non può peraltro sfuggire. L’interrogativo principale è se la giovane formazione politica saprà svincolarsi dalla presa dei suoi creatori, Grillo e Casaleggio, o se ne rimarrà prigioniera, in una morsa tanto paternalistico-patriarcale quanto pericolosamente cesaristica. Perché nel secondo caso le energie, che pur porta con sé, rischiano di essere convogliate verso logiche regressive perché antidemocratiche. Rimane il fatto che l’elettorato italiano è in movimento; se ci è concesso l’ardito parallelo, anche quello cardinalizio si è rivelato essere tale. Siamo in una fase di transizione, come tale delicatissima, poiché abbiamo “scoperto” che siamo – e saremo – più poveri. Da come ci attrezzeremo a questo scenario in divenire (stracciandoci le vesti, vituperando le istituzioni, inveendo contro il destino “cinico e baro” oppure cercando di ricostruire un tessuto, quello della società, sempre più frastagliato, magmatico e sofferente) dipenderà il destino di ognuno di noi italiani, ebrei e non. Abbiamo bisogno di una presenta di élite forti perché autorevoli, sensibili alle voci innumerevoli che arrivano dalla collettività, veramente coinvolte nella gestione della società e non espressione di vuote tecnocrazie. Il resto è deserto o, se si preferisce, il pieno del lucido delirio che si sta esprimendo nell’Ungheria fascistizzata di Viktor Orban o nella crisi senza fine della Grecia disintegrata dai programmi di “aggiustamento strutturale” prescritti da Bruxelles. Nulla è scritto aprioristicamente. Quel che è certo, tra le altre cose, è che l’antisemitismo torna ad essere un indice per misurare la direzione collettiva che la maggioranza del paese fa propria. Ancora una volta in democrazia il benessere di una collettività lo si misura dal grado di integrazione di una minoranza. Non ci faremo sorprendere impreparati. Il tempo, da questo punto di vista, non è trascorso invano.

Claudio Vercelli, storico

Nugae - Banksy
"Se i graffiti cambiassero qualcosa - sarebbero illegali", recita in rosso vivo un muro di Londra. Un bel ratto nero disegnato in basso suggerisce che l'autore di questo slogan tagliente, che esprime la forte critica nei confronti del governo che si ostina a etichettare i graffiti come forma di vandalismo, sia opera di Banksy, uno degli artisti di strada più noti al mondo. Nessuno conosce il suo vero nome, nessuno l'ha neanche mai visto, di lui non si sa niente. Tranne che le sue opere vengono battute all'asta per migliaia di sterline, e i suoi documentari ricevono candidature agli Oscar. Altro che vandalo insomma, rientra a pieno titolo nella categoria artisti, e anche uno di quelli impegnati, di quelli entusiasti e sognatori che vogliono davvero rendere il mondo migliore con la loro arte. Originario di Bristol, Banksy disegna soprattutto nelle strade londinesi, combattendo il sistema con la tecnica dello stencil. Anti-imperialismo, anti-razzismo, anti-consumismo, l'uomo che sprofonda nella povertá, nell'ipocrisia, nella perdita di speranza, nell'alienazione, e nell'assurdo, sono alcuni dei principali temi delle opere di Banksy. Le sue immagini hanno un che di surreale, di straniante. Spesso come soggetti hanno i simboli dell'ingessatissima autoritá anglosassone, le guardie col colbacco di Buckingham Palace, i vigili con i loro cappelli allungati, ribaltati in situazioni paradossali. Ma le opere più belle sono quelle che parlano di pacifismo. C'è il ragazzo che invece che una bomba sta per lanciare un mazzo di fiori. C'è la bambina in abitino rosa confetto che perquisisce un soldato in divisa. E poi, forse i più toccanti, ci sono i graffiti che nel 2005 Banksy dipinse sul muro fra Israele e territori palestinesi. Una bambina vola dall'altra parte appesa a dei palloncini. Un bambino si apre un buco attraverso cui si vede il cielo azzurrissimo con le sue nuvole bianche e leggere. Un uomo scosta il grigio del muro come un sipario dietro il quale s'intravede l'orizzonte. E poi un salottino così typically british (manca solo il the caldo), con una finestra con le tendine dalla quale si ammira un sereno paesaggio di montagna.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF
           

notizieflash   rassegna stampa
Qui Milano - Modigliani in mostra
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Continua al Palazzo Reale di Milano la mostra dal titolo Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. Dopo il grande successo ottenuto dall’esposizione dedicata a Picasso, le medesime sale ospiteranno fino all’8 settembre 2013 questa mostra tutta dedicata a Modigliani e agli artisti maledetti.
 

“Siamo certi che ebrei e cattolici, collaborando nell’impegno per il bene dell’umanità, anche attraverso le proprie specificità, potranno dimostrare che la costruzione di un futuro di vera amicizia tra i popoli e gli individui è realmente possibile". L'auspicio del presidente e dal consiglio direttivo dell'Assemblea rabbinica, in una lettera inviata venerdì mattina al nuovo pontefice, è ripreso sulle pagine dell'Osservatore Romano e di Avvenire.








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