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25 aprile 2013 - 15 Iyar 5773
l'Unione informa
ucei
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 

“U-sfartèm lakhèm mi-machoràth ha-Shabbàth eth ‘Òmer ha-tenufà, shéva‘ shabbathòth temimòth tihyéna”, “Conterete per voi dall’indomani della festa l’Òmer dell’elevazione, sette settimane complete saranno”. Con questo verso la Torà prescrive il conteggio dei giorni del periodo dell’‘Òmer, cioè del periodo tra Pésach e Shavu‘òth nel quale ci troviamo.
L‘Òmer, la misura d’orzo che veniva portata al Santuario, logicamente non viene più né presentata né elevata. Invece il conteggio è rimasto. Perché? Per rispondere, dobbiamo fare mente locale ad altri momenti collegati ad un conteggio di giorni o di epoche. Innanzitutto, noi contiamo i giorni della settimana con riferimento alla Shabbàth: “yom ri’shòn (shenì, shelishì, ...) be-shabbàth”, “giorno primo (secondo, terzo, ...) per il Sabato”; pertanto il conteggio è in relazione allo Shabbàth, ragione e scopo di tutto il lavoro settimanale. Si contano i giorni di scadenza per la Milà. Contano mensilmente i giorni preparatori al Miqwè le donne sposate. Contava i giorni una persona affetta da impurità rituale prima di riacquisire la purezza del corpo e poter rientrare a pieno diritto nella società. Si contavano gli anni rispetto alla scadenza dell’anno sabbatico, ogni sette anni, ed infine si contavano gli anni prima della scadenza dell’anno giubilare. Quest’ultimo computo era di quarantanove anni, parallelo ai quarantanove giorni dell’‘Òmer. Ora, se facciamo attenzione a tutti questi conteggi, notiamo che in tutti si tratta di passare da una condizione ad un’altra del tutto diversa: lo Shabbàth si pone in una dimensione extratemporale rispetto alla settimana; l’ottavo giorno di vita del neonato segna il suo ingresso nell’alleanza di Avrahàm e la sua effettiva nascita alla vita d’Israele; la moglie, col Miqwè, rinnova il magico momento della sua unione col marito; la persona impura, riacquistando la purità, rientra dall’isolamento nella collettività; l’anno sabbatico rinnova i rapporti con la società e la natura; l’anno giubilare significava una pacifica rivoluzione nei rapporti della vita sociale. Anche l’‘Òmer segna il passaggio d’Israele da una condizione ad un’altra. Israele, che con Pésach celebra la proclamazione della sua unità di popolo, deve prepararsi a celebrare la sua nascita alla vita vera d’Israele, alla sua vocazione di popolo sacerdotale, che si celebra a Shavu‘òth, col dono della Torà. Israele deve salire gli scalini di questa nuova vita, deve contare gli scalini che lo condurranno ad essere “mamlékheth kohanìm we-goy qadòsh”, “un reame di sacerdoti e un popolo consacrato”.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
In un'epoca in cui tutti gli indicatori, soggettivi e oggettivi, puntano a una forte ascesa delle manifestazioni di antisemitismo in Europa e in Italia, è inquietante che vi siano ancora persone dotate di istruzione superiore che parlano e scrivono de "gli ebrei" come categoria plurale collettiva indifferenziata. Hannah Arendt aveva coniato la preoccupante metafora de "gli ebrei" come paria. Un nuovo esempio di collettivizzazione de "gli ebrei" ci arriva ora da Enzo Traverso in un suo libro in francese, La fin de la modernité juive, di cui si parlerà ampiamente, e immagino ad alta voce, quando verrà tra breve pubblicato in italiano. E sul numero di maggio di Pagine Ebraiche, Simon Levis Sullam, si chiede "se gli ebrei siano, al di là di come l’Europa li vive e li rappresenta, li accoglie o li perseguita nel tempo, all’altezza di questo ruolo: se davvero possano costituire una vigile coscienza dell’Europa". Ci fermiamo qui sull'orlo del burrone perché per lo meno si tratta di domanda e non di affermazione. Che all'interno del mondo ebraico esistano, invece, molte e profonde sfumature e, anzi, differenze sostanziali di censo, di sensibilità, di affiliazione, di scelta e di comportamento, e che quindi sia ingiusto e sbagliato costruire una categoria indeterminata "gli ebrei" lo dimostrano fra l'altro l'indagine appena completata da Enzo Campelli sulla collettività ebraica in Italia, e mille altre ricerche che rivelano stratificazioni scioeconomiche, orientamenti politici, credenze, speranze, timori e destini differenti. La generalizzazione alienante della categoria "gli ebrei" è il preludio all'individuazione di un "altro", indistinto e diverso, poi oscuro e minaccioso, ed è la premessa inevitabile alla sua esclusione e demonizzazione.

davar
I valori da difendere
Le istituzioni italiane e il mondo della politica, per affrontare la profonda crisi in corso, dopo aver fallito nell'attuazione di soluzioni nuove e diverse, hanno dovuto far ricorso alla generosità e alla saggezza del presidente Giorgio Napolitano chiedendogli di modificare la sua dichiarata intenzione di non accettare un secondo mandato.
Molti commentatori si stanno esercitando nel tentativo di interpretare le prospettive di questa situazione senza precedenti per l'Italia. Certamente sarà necessario che le migliori menti si impegnino nella revisione di un sistema politico che negli ultimi anni, o meglio negli ultimi decenni, ha dimostrato tutta la propria inadeguatezza.
La crisi dell'Italia non è solo di natura economica, anche se è chiaro che il depauperamento generale da una parte mette in condizioni di vera e propria miseria le classi più povere e dall'altra costringe chi governa a cercare di attenuare i privilegi delle classi più forti. Questo crea un malcontento diffuso e aumenta la conflittualità.
Oggi si percepisce chiaramente il venir meno della capacità di guardare oltre le divergenze contingenti e di progettare responsabilmente il futuro per il bene di tutti.
Le comunità ebraiche, fortemente integrate nella realtà del paese e nella nazione italiana di cui sono elemento fondante, devono rapidamente apprendere questa storica lezione e, in tutte le loro componenti, offrire un contributo per accantonare i toni inutilmente polemici.
Forti della loro storia e tradizione plurimillenaria e custodi di un grande patrimonio di ideali, gli ebrei italiani devono essere attori protagonisti del rinnovamento e del rilancio del paese riscoprendo il piacere e la bellezza di lavorare in una clima di autentica concordia e armonia.

Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(Pagine Ebraiche maggio 2013)

Moked - Stare insieme tra diversi
“È ora di tornare a parlare di idee, di opporci, assieme e in modo ebraico, al degrado di chi vorrebbe portarci a discutere solo di cose e di persone”. È l'auspicio formulato dal rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura UCEI, in vista del Moked di Milano Marittima. Per seguire la diretta in streaming dei lavori clicca qui
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25 Aprile - I valori e le sfide che ci uniscono
Italia in piazza per le celebrazioni del 25 aprile. Tra i vari gonfaloni e striscioni, in numerosi cortei - da Milano a Roma, da Livorno a Cagliari - anche le gloriose insegne della Brigata ebraica che fu protagonista nella liberazione del paese dal nazifascismo in alcuni dei suoi fronti più caldi.
In una nota diffusa nelle scorse ore il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha auspicato che
il 25 aprile, anche alla luce dei significativi mutamenti politici in corso, possa rivelarsi occasione preziosa "per riflettere sulle sfide più pressanti che attendono il paese con l'auspicio che ogni criticità possa essere affrontata nel segno dell'unità e della condivisione dei valori e dei fatti storici fondanti della Repubblica".
(Nell'immagine, inviataci da Gadi Polacco, un momento del corteo svoltosi questa mattina per le strade del centro di Livorno)

Qui Ferrara - Alla festa del libro con Testa e Cuore
Rinnovato a Ferrara l'appuntamento con i libri e la letteratura di qualità con l'inaugurazione della quarta edizione della Festa del libro ebraico.
Molte centinaia i cittadini raccoltisi al Museo dell'ebraismo italiano e della Shoah, dove è stata aperta al pubblico la mostra Testa e Cuore,
e al Chiostro di San Paolo dove ci si è confrontati direttamente con gli autori e si è ballato sulle note del Jewish Tango. Nel pomeriggio lectio magistralis di Paolo Mieli sugli scrittori ebrei.
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Qui Roma - La memoria di Ferramonti
Grande densità di interventi anche in occasione della sessione pomeridiana del convegno internazionale Ferramonti 70x25. Tra i protagonisti Carlo Spartaco Capogreco, il pediatra calabrese che venticinque anni fa ha riportato alla luce la storia del campo di internamento in cui furono prigionieri migliaia di persone da tutta Europa in una Italia che sembrava dimenticare.
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pilpul
Parole - Moked
La parola di questo mese, nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto concludere questa rubrica, perché è il nome del portale dell’Unione delle comunità ebraiche italiane che fa da cappello a tutte le varie iniziative editoriali, dalla newsletter giornaliera a Pagine Ebraiche. Ma prima ancora di divenire il nome del portale, Moked (con l’accento sulla e) è il nome della convention dell’ebraismo italiano, che salvo poche eccezioni è stata convocata da circa venticinque anni una o persino due volte l’anno, in particolare nel weekend del primo Maggio. Ed ecco quindi la ragione di trattare questa parola in questo mese. Ma quanti sanno cosa vuol dire Moked? Non è una parola diffusa. Nel Tanakh (Bibbia ebraica) ricorre in quanto tale solo un paio di volte e un’altra dozzina in forme derivate dalla stessa radice. Moked significa fuoco, rogo. Nell’ebraico moderno ha assunto il significato di fuoco nel senso matematico, ossia uno dei due punti fissi all’interno di un’ellisse le cui rispettive distanze da qualsiasi punto della circonferenza danno un valore costante quando sommate l’una all’altra. Moked è anche il punto focale dove convergono i raggi di luce diffratti da una lente o da uno specchio concavo, e il verbo lemakèd significa mettere a fuoco, focalizzare. Ecco spiegato l’uso del termine moked per la convention, che è infatti l’occasione per mettere a fuoco i problemi dell’ebraismo italiano almeno una volta l’anno. Ma come si è arrivati dalla convention al portale? Quando alcuni anni fa si cercava un termine significativo per chi fa informazione, una parola breve e originale, una sorta di marchio di fabbrica che richiamasse immediatamente la realtà ebraica italiana, si trovò infine che Moked era una parola adatta. Nell’ultimo Yom haTorah, rav Yoseph Carmel, illustre rabbino del Makhon Eretz Hemdah di Gerusalemme, ha raffigurato il rapporto fra gli ebrei e D-o con l’immagine dell’ellisse, i cui due fuochi (mokedìm) sono costituiti dalla Kedushah (santità divina) e dal Kavod (gloria divina). La prima è caratterizzata dalla giustizia e dal timore, dall’intelletto, dal vietare e dall’allontanare. Il secondo è invece all’insegna dell’amore e della misericordia, del sentimento, del permettere e dell’avvicinare. Lungo questa ellisse, a volte si è più vicini alla Kedushah e a volte al Kavod. Ma la somma delle due distanze rimane costante. Chissà se al Moked di quest’anno si sarà più vicini alla Kedushah o al Kavod.

Rav Gianfranco Di Segni, coordinatore Collegio Rabbinico Italiano

(Pagine Ebraiche maggio 2013)

Setirot - Quale Storia, quale Memoria
Oggi, a Milano Marittima, si aprono quelli che qualcuno chiama gli Stati Generali dell'ebraismo italiano. Ci poniamo quindi davanti a noi stessi come appartenenti a una nazione plurale, e ci guardiamo in faccia. Cittadini ebrei di questa Italia, ma anche ebrei di questa jewry. Donne e uomini di un mondo sempre più senza frontiere – noi, che della globalizzazione siamo forse il popolo simbolo. Spero allora che ci porremo una domanda cruciale, interrogativo che attingo paro paro da un intervento di Esther Benbassa contenuto nell'ultimo numero del trimestrale Lettera internazionale dedicato a Storia, memoria, cittadinanza (con scritti, tra gli altri, di Pierre Nora, David Bidussa, Vladimir Jankélévitch, e un'intervista del direttore Biancamaria Bruno a Christian Boltanski). Il ragionamento della senatrice francese Benbassa, cattedra di Storia dell'ebraismo moderno all'École Pratique des Hautes Études della Sorbona è, a mio avviso, ineccepibile: «Quale storia vogliamo per le generazioni in cammino, pluriculturali e plurietniche? Se non riflettiamo per tempo su questo, rischiamo di cadere sotto i colpi di memorie che si comportano da nazioni, spesso poco democratiche. Le memorie esistono per salvare dall'oblio i gruppi minoritari e le loro vicissitudini e non per costituire mini-stati rivendicatori e insaziabili». Serve insomma un difficile compromesso tra memoria e storia. Ce la faremo?

Stefano Jesurum, giornalista

Time out - "Esiste anche un antifascismo malato"
Esistono vari tipi di antifascismo e non è una novità. Fu così anche durante la guerra di Liberazione; ma un po’ per riconoscenza dall’averci liberato dall’occupazione nazifascista, un po’ per timore di svilire l’immagine eroica che il movimento di Resistenza doveva avere, si è finito per non chiarire alcuni aspetti storici che forse meritavano maggiore enfasi che oggi fanno sì che esista un certo antifascismo che non ci rappresenta. Perché non può essere un tabù affermare che già da allora i partigiani non erano tutti uguali, e che sebbene fossero tutti dalla parte giusta, alcuni combattevano con l’obiettivo sbagliato. Insieme ai partigiani bianchi e azzurri infatti, c’erano anche quelli che credevano in una rivoluzione tutt’altro che democratica. E se è vero che nel corso degli anni in molti aderirono con sincerità alla causa democratica, in tanti altri casi questo non avvenne, creando le basi per un’ambiguità nelle file dell’antifascismo presente ancora oggi. L’ambiguità di chi, nascondendosi dietro la bandiera della resistenza finisce per negare la libertà tanto quanto coloro che una volta erano i loro nemici. Quell’antifascismo malato che rifiuta il confronto democratico, che impedisce ad un Papa di tenere una lezione in un’università, che brucia bandiere d’Israele e nega alla Brigata Ebraica il diritto di scendere in piazza. Un antifascismo che segue il solco di chi, già da allora, della democrazia liberale,non voleva proprio saperne e da cui forse, anche in termini storici e politici bisognerebbe prendere maggiormente le distanze. Senza il timore che la nostra fede nell’antifascismo che ci ha regalato un’Italia democratica e liberale possa essere messa in discussione da chi forse, antifascista per davvero non lo è mai stato.

Daniel Funaro

notizie flash   rassegna stampa
Rinascimento italiano a Tel Aviv
  Leggi la rassegna

“Rinascimento italiano a Tel Aviv”. Questa la fotografia dell'autorevole quotidiano israeliano Haaretz in merito ai numerosi appuntamenti che dall'Italia stanno animando la vita culturale, commerciale e mondana della Città Bianca. “'Ogni giorno - afferma Lorenzo Ortona, consigliere economico e commerciale dell'ambasciata - senti la presenza dell'Italia in Israele”.
 

Nuova polemica sul Movimento Cinque Stelle. Marcello De Vito, candidato grillino al Campidoglio, annuncia che non sarà presente in piazza per i festeggiamenti del 25 aprile “per sottrarsi alle solite commedie di chi vuole strumentalizzare la ricorrenza”.



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