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9 maggio 2013 - 29 Iyar
5773 |
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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Si apre
il quarto libro della Torà, il cosiddetto “chomàsh ha-pequdìm”, il
libro dei censimenti; il popolo viene contato due volte, tenendo i
Leviti separati dal resto del popolo. Questi conteggi sono
significativi e problematici al tempo stesso, sia per le modalità, sia
per il concetto stesso di conteggio. Tuttavia non di questo parleremo,
bensì della parola “Be-midbàr” (nel deserto), che apre la nostra
Parashà. I Maestri del Midràsh, in apertura della Parashà, rilevano:
“La Torà è stata data per mezzo di tre cose: fuoco, acqua e deserto”.
Quest’osservazione del Midràsh ci pone qualche quesito. In primo luogo,
a che episodi si riferiscono i Chakhamìm per affermarlo?
Secondariamente, perché rilevarlo qui e non in un punto in cui ci sono
mitzwòth fondamentali della Torà? Ed infine, che cosa ci vogliono
insegnare? In realtà, il nostro popolo si è distinto per aver difeso la
Torà in condizioni anche peggiori del fuoco, dell’acqua e del deserto;
peraltro è vero che affinché Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ desse la Torà ad
Israele essi hanno dovuto sperimentare proprio queste prove: Abramo a
causa della sua fede fu gettato nella fornace ardente; gli Ebrei, per
essere liberi di servire D.o, hanno dovuto dimostrare la loro
determinazione entrando nel mare, prima che questo si aprisse; prima di
giungere ai piedi del monte Sinai hanno sperimentato la mancanza
d’acqua tipica del deserto. Il fatto che il nostro popolo abbia
affrontato e superato tutte queste prove (ed anche quelle successive,
che – come abbiamo detto – si sono rivelate anche più gravose) è la
garanzia di sopravvivenza del popolo d’Israele, garanzia rafforzata
dall’aver meritato il dono della Torà. Il libro di Be-midbàr
è un libro decisamente meno epico di Shemòth e meno legislativo di
Wa-yiqrà’; tuttavia il significato di questo lungo periodo nel deserto
non va sottovalutato, perché è uno degli elementi chiave della
sopravvivenza di Israele. C’è anche un altro aspetto. I nostri Maestri
rilevano che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ non ha reso percepibile la Sua
presenza, la Shekhinà, né presso il mare (dove pure aveva manifestato
la Sua miracolosa provvidenza) né sul monte, dove pure aveva
manifestato la Sua potenza tramite il dono della Torà, bensì solo nel
deserto. Ciò è stato spiegato come monito del fatto che può veramente
“conquistare” la conoscenza della Torà solo chi si pone di fronte ad
essa come un “deserto”, ossia come terra mai lavorata e mai dissodata.
Sarebbe in errore chi pensasse di accostarsi facilmente alla
comprensione della Torà grazie alle sue preventive conoscenze di altre
materie: solo uno studio serrato, intenso può essere d’aiuto. Adesso
capiamo anche perché la Parashà di Be-midbàr è sempre prima di
Shavu‘òth: per prepararci spiritualmente in maniera adeguata al
rinnovarsi del dono della Torà.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Quando
sarà trascorso il tempo dovuto al rispetto nei confronti dell'eminente
estinto, credo sarà importante articolare un sereno dibattito sul ruolo
che Giulio Andreotti ha svolto nel rapporto fra l'Italia e gli ebrei, e
fra l'Italia e lo stato d'Israele. Dai molti articoli di necrologio di
questi giorni, appare chiaramente che ruolo vi è stato, e non del tutto
marginale. Forse si può addirittura parlare di ruolo paradigmatico che,
al di là della figura speciale del personaggio ora scomparso, ha
toccato i gangli più vitali e più profondi delle questioni. Ci
riferiamo agli interessi contingenti, alle strategie globali, e alle
valenze etiche. Per questo, nell'interesse della conoscenza, della
trasparenza, e di una possibile visione del futuro, sarebbe utile
ragionarci sopra.
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Il rabbino prigioniero dei media e il veleno
del protagonismo
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Incredulità,
disorientamento, dolore. Ora forse solo la colpevole tentazione di
dimenticare. L'inquietante vicenda che ha coinvolto il rabbino capo di
Francia Gilles Bernheim e lo ha repentinamente indotto a rinunciare
alle sue funzioni, ha aperto una ferita profonda e non può essere
archiviata come uno spiacevole incidente di percorso, rimossa dalla
nostra coscienza come si trattasse esclusivamente di un infelice caso
personale. E' piuttosto il dovere di tutti cercare di comprendere
quanto accaduto e tentare di volgere in positivo, di trarre
insegnamento da un avvenimento disastroso che rischia di sminuire la
credibilità del rabbinato istituzionale e di riflesso quella
dell'ebraismo religioso. Certo si è trattato di uno di quei momenti in
cui la realtà sembra superare la più distorta delle fantasie. Accusato
di aver riportato testi non suoi e senza citarne la provenienza in
numerose pubblicazioni e anche nel suo discusso documento sul
matrimonio fra persone dello stesso sesso e sull’omoparentalità,
incolpato di aver vantato titoli accademici mai conseguiti, il rav ha
dapprima reagito cercando di attribuire la responsabilità ad altri; poi
ha riconosciuto quanto accaduto rifiutando, con un lungo, contorto
discorso e fra non pochi imbarazzi, di dimettersi; infine ha ritenuto
di fronte al Consiglio del Concistoro delle Comunità ebraiche francesi
di lasciare, più o meno spontaneamente e fra lo sgomento generale,
l'incarico. Molto duro da comprendere, se ci fossimo trovati di fronte
a un modesto arrivista disposto ad agire con disinvoltura per il
proprio tornaconto personale. Quasi impossibile, se si parte dalla
consapevolezza che il protagonista di questo rovinoso infortunio è ben
evidentemente dotato di una preparazione formidabile e nessuna forza
razionale avrebbe potuto nella sua solida situazione di autorevolezza
trascinarlo a tali comportamenti. Resta quindi aperta la domanda.
Perché tutto questo ha potuto avvenire? E la risposta rischia di
restare confinata per sempre fra i misteri dell'animo umano. Proprio di
fronte a un interrogativo così impervio e a una risposta tanto
difficile mi è tornato alla mente un insegnamento donato dal rav Zev
Leff al margine di una convention dell'Agudath Israel of America. “C'è
una differenza – mi ha detto – fra la Torah e la Chochma, la sapienza.
La sapienza non deve necessariamente influenzare il comportamento di
chi la possiede. Vi sono stati grandi geni nelle arti e nelle scienze
il cui comportamento era indegno. La loro mancanza di integrità non ha
tolto nulla alla loro genialità e la loro sapienza non ha aggiunto
nulla al loro carattere. Quando fu fatto osservare a Bertrand Russell,
cui era stata affidata la cattedra di Etica al City College di New
York, che la sua vita privata non era precisamente morale, lui
legittimamente reagì con ironia: 'Strano, per molti anni ho insegnato
geometria ma non ho mai sentito il bisogno di essere un poligono'. Una
persona – ha aggiunto il rav Leff – può possedere la sapienza, ma solo
la Torah può possedere una persona. E dove lo studio della Torah non
trasforma il cuore di chi studia, qualunque grado di conoscenza si
raggiunga è destinato a restare nella sfera della sapienza secolare e
non della Torah”. “Trasformare una persona – ha concluso – significa
renderla partecipe delle sofferenze altrui, disposta all'ascolto,
sempre attenta a non trasformare le proprie competenze in un mezzo per
opprimere o per umiliare gli altri. Perché l'ebraismo non è monolitico
e vi sono molti legittimi approcci alla nostra identità”. Resta così un
nostro dovere interrogarci e leggere per quanto possibile le cause e
gli effetti di quanto accaduto. Indubitabilmente non si tratta solo di
una storia interna al mondo ebraico, anzi il detonatore sta dalle
dinamiche difficili e inevitabili che si innescano nel rapporto fra il
mondo ebraico e la società. Al di là dei numerosi e bellissimi libri
del rabbino (che i suoi detrattori si mettano il cuore in pace, restano
bellissimi nonostante siano ora condannati a finire nel dimenticatoio
perché macchiati da quanto accaduto), dei suoi efficaci interventi sui
media, delle sue apprezzate lezioni, ha pesato la sua grande capacità
di comunicazione e il fatto che nel suo discorso di dicembre papa
Ratzinger abbia diffusamente lodato il documento rabbinico contro il
rapido processo di riconoscimento dei diritti civili alle coppie dello
stesso sesso, che la stampa cattolica abbia sottolineato con foga il
significato di questo testo, che anche delle nostre parti intellettuali
di primo piano si siano entusiasmati tanto da giungere al tentativo di
squalificare la tradizione ebraica italiana di tolleranza e moderazione
e da accusare l'ebraismo italiano di essere ostaggio degli
intellettuali progressisti e di un rabbinato eccessivamente prudente.
Il fatto che alcuni passaggi del testo tanto apprezzato venissero,
all'insaputa del lettore, dall'opera di uno stimato sacerdote cattolico
ha finito poi per aggiungere una nota grottesca alla tragedia. Se non
altro chi lavora sul fronte dell'informazione ebraica dovrebbe forse
ora interrogarsi su cosa ci attendiamo dai nostri Maestri. Facilitare
al massimo la loro possibilità di esprimersi è certo parte del nostro
lavoro e costituisce un processo faticoso e delicato. Ma la rincorsa
indiscriminata alla massima visibilità, alla performance, al web, alla
radio, alla televisione, al video, al blog, al tweet, alle serate di
gala, alle relazioni istituzionali e alle cerimonie ufficiali, è quello
di cui abbiamo bisogno? O non sarà forse quello che gli altri si
aspettano da noi, il ruolo che ci assegnano e ci chiedono
insistentemente di riempire? La regola del gioco che minaccia quella
componente insostituibile del nostro animo da identificare come il bene
più prezioso?
Guido Vitale,
Pagine Ebraiche, maggio 2013
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Rav Della Rocca: “Stare bene insieme, in modo
intelligente” |
“In questo Moked abbiamo
assistito a una rinascita della voglia di stare assieme”. Trascorsi
alcuni giorni dalla sua conclusione, rav Roberto Della Rocca, direttore
del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane traccia un bilancio del Moked 5773.
Leggi
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Qui Trieste - Capitale delle minoranze, capitale della Memoria |
Il
prestigioso convegno internazionale Storia e memoria, raccontarsi e
raccontare il passato, in corso in queste ore a Trieste, è parte del
neonato Laboratorio della Memoria, che oltre al convegno organizza
numerose mostre e una rassegna cinematografica. Leggi
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Israele - Festa e ombre per Yom Yerushalayim
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Grande festa in Israele per
Yom Yerushalayim, 46 anni dopo la riunificazione della città. In un
momento in cui la situazione politica dell’area mediorientale rimane in
fermento, la giornata è stata tuttavia segnata anche da momenti di
tensione, oltre che dalla notizia che Stephen Hawking, famoso
scienziato britannico, ha ritirato la propria partecipazione alla
quinta Israeli Presidential Conference in programma per giugno per
aderire al boicottaggio accademico contro lo Stato ebraico.
Leggi
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Qui Genova - Omaggio ai combattenti del Ghetto
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Si
chiude oggi a Genova il ciclo di incontri volto a rendere omaggio al
70esimo anniversario dall'insurrezione del Ghetto di Varsavia. Dopo una
serie di appuntamenti con interventi, tra gli altri, del rav Benedetto
Carucci Viterbi e Ilana Bahbout, la manifestazione si concluderà nel
pomeriggio a Palazzo Tursi Sala con l'obiettivo di approfondire
“l'epilogo di mille anni di storia degli ebrei polacchi”.
Successivamente ai saluti di Maurizio Martelli, prorettore
dell'Università di Genova, di Laura Samon del dipartimento di lingue e
culture moderne e del presidente della sezione locale dell'Anpi Massimo
Bisca, interverranno Alberto Rizzerio (Centro culturale Primo Levi),
Wojciech Unolt (ministro consigliere ambasciata di Polonia), Wlodek
Goldkorn (responsabile culturale de L'Espresso) e Paula Sawicka
(autrice assieme a Marek Edelman del volume C'era l'amore nel ghetto).
Le conclusioni del convegno sono affidate a Laura Quercioli Mincer,
docente di letteratura e cultura polacca dell'ateneo genovese. Apertisi
lo scorso 20 marzo con una lezione di Mark Bernheim su Luoghi e miti
dell'ebraismo orientale, gli incontri hanno avuto il sostegno, tra gli
altri, di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Comunità ebraica di
Genova e Centro culturale Primo Levi.
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Rabbini rinascimentali |
I rabbini e il rabbinato
sono sempre più all’ordine del giorno nel dibattito fra gli ebrei
italiani, sia in bene sia, più spesso, per evidenziarne manchevolezze e
criticità. Ma dove affonda le radici questa istituzione? Una risposta a
questa domanda ce la dà il libro di rav Roberto Bonfil (nell'immagine a
destra), Rabbini e Comunità ebraiche nell’Italia del Rinascimento,
finalmente pubblicato in italiano per Liguori Editore (anche grazie
all’incoraggiamento di rav Riccardo Di Segni), dopo l’edizione
originale ebraica del 1979 e quella inglese del 1990. La traduzione
italiana, arricchita da splendide immagini dell’epoca, è stata condotta
su quella inglese, che più si prestava a rendersi in italiano, ed è
stata rivista, oltre che ovviamente dall’autore stesso, da Alessandro
Guetta e da Anna Segre. Per quanto il periodo affrontato sia quello che
va dal 1450 al 1600 e certamente molte cose siano cambiate da allora
nell’ebraismo del mondo e dell’Italia, credo che questo libro sia
utilissimo anche per capire cosa sono i rabbini italiani di oggi.
Quando comparve in Italia il rabbinato in quanto istituzione? Che forme
assunse? Come si diventava rabbini e cosa facevano? Che prerogative
avevano (ad esempio, in materia di scomuniche) e che rapporti avevano
con i parnassim (capi “laici” della comunità)? Qual era lo status
sociale del rabbino? Come si guadagnavano da vivere? Chi erano i
rabbini itineranti? Qual era il mondo culturale dei rabbini e come si
confrontavano con le scienze, la filosofia e la kabbalà? Sono solo
alcuni degli argomenti di cui si occupano le 350 pagine di questo libro
che è un must per chiunque si interessi dell’argomento. Ne esce fuori
un’immagine di rabbini come di persone niente affatto marginali
all’interno della comunità ebraica, a differenza di quanto traspare in
molti altri testi di storia ebraica italiana, dove spesso si assegna ai
rabbini un “ruolo negativo di centripeti promotori di oscurantismo
intellettuale”, contrapposto a un ebraismo proteso verso una presunta
“felice integrazione socio-culturale” nel mondo circostante. Certo,
l’autore è di formazione rabbinica (con laurea in fisica), ha studiato
presso la Scuola Margulies di Torino diretta da Rav Dario Disegni
conseguendo la laurea rabbinica nel 1959 e, da allora fino al 1968, è
stato vice-rabbino capo (di fatto, svolgeva il ruolo di rabbino capo) a
Milano, prima di fare l’aliyah in Israele e intraprendere una brillante
carriera universitaria come storico alla Hebrew University di
Gerusalemme (dove è Professore Emerito di Storia medievale e
rinascimentale degli Ebrei). Certo, il quadro che emerge è – come
Bonfil stesso dice – “naturalmente espressione della [propria]
idiosincrasia e della [propria] coscienza storica”. Ma non è certo per
corporativismo che le conclusioni di Bonfil vanno controcorrente
rispetto a quelle di altri studiosi, quanto piuttosto perché proprio
grazie alla sua formazione rabbinica ha avuto accesso a una miriade di
documenti, manoscritti, teshuvot (responsa), libri di letteratura
rabbinica assolutamente preclusi a chi non ha un background di studi
talmudici e rabbinici.
Come rav Bonfil ama ripetere e come scrive alla fine della prefazione
appositamente scritta per l’edizione italiana, “Ai miei ‘venticinque
lettori’ ora l’arduo compito di dare nuove destinazioni ai miei
Rabbini”.
Gianfranco
Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano
Il Collegio Rabbinico Italiano bandisce un concorso per tre cattedre di
docenza per il triennio 2013-2015. Clicca qui per leggere il testo
integrale del bando.
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Setirot - Bibi e i rabbini alle grandi manovre
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Grandi manovre politiche in
Israele per il rinnovo degli incarichi di rabbino capo sefardita e
ashkenazita. Come ci informa la brava Rossella Tercatin, i partiti e i
partitini locali, religiosi e laici, vecchi e nuovi, si danno un gran
daffare per trovare accordi – anche perché l'operazione non è di poco
conto per il governo di Benjamin Netanyahu. Confronti e alleanze
(“inciuci” li chiamerebbero qui da noi coloro che della politica hanno
una visione un po' tanto manichea e qualunquista) che alla fin fine
riguarderanno anche la ben nota questione dei battei din italiani.
Questione su cui intanto è calato un fragoroso silenzio.
Stefano
Jesurum, giornalista
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Time out - Il benaltrismo |
Esiste in Italia una diffusa
cultura del benaltrismo. Infatti, ogni qualvolta nella discussione
pubblica qualcuno richiama l’attenzione su un problema da risolvere,
contemporaneamente si ascolta la voce dei più che dicono che
c’è ben altro di cui occuparsi. Una mentalità un po’ perversa, per cui
con la scusa che c’è sempre altro da fare, non si fa mai nulla. Ragion
per cui, forse non valga la pena chiedersi se, tra le cause
del declino di questo paese, vi sia proprio questa naturale
inclinazione. Nei momenti di crisi, questo atteggiamento finisce
ovviamente per accentuarsi. Qualsiasi cosa che non sia legata
all’economia, pare debba passare in secondo piano; come se la necessità
di una società di garantire diritti fosse quasi superflua. In realtà
dovrebbe essere l’esatto contrario: quanto più le società sono libere e
garantiscono diritti democratici, quanto più hanno possibilità di
svilupparsi. Per questo che in Italia il tema della cittadinanza ai
figli degli immigrati non è più rimandabile. Perché a prescindere dal
fatto che si scelga lo Ius soli, o lo ius culturae o lo ius soli
temperato, è impellente la necessità di dare garanzie ad una
generazione d’italiani che diritti non ne hanno. Giovani che sono nati
e cresciuti in questo paese, che, con il loro lavoro, pagano un debito
pubblico di cui non hanno responsabilità e di cui non hanno
usufruito. A questi nuovi italiani, forse, dovremmo portare più
rispetto. E non perché ci convenga, ma anche solo per senso di
giustizia. Perché chissà che alla fine, con qualche stabilità in più,
non sia proprio questa generazione d’italiani ad aiutarci ad uscire da
una crisi che sembra non avere fine.
Daniel
Funaro
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notizie flash |
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rassegna
stampa |
Qui Roma - “La Memoria bene comune” |
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la rassegna |
“La
Memoria è un bene comune, mai legata a una categoria di persone. È
patrimonio di questa nazione e dei cittadini che la popolano. Per
questo l’investimento più grande che possiamo portare avanti è rivolto
ai giovani delle nostre città, a iniziare da Roma che ha subito una
delle più importante razzie per mano nazista”. Così il presidente della
Comunità ebraica Riccardo Pacifici nel presentare in Campidoglio nuove
iniziative per la Memoria sviluppate proprio a partire tessuto
architettonico e urbanistico cittadino. Rivolto agli studenti delle
scuole, il progetto “Roma nel cammino della memoria” è stato illustrato
anche da Claudio Procaccia, direttore del dipartimento cultura della
Comunità ebraica, e dall'assessore all'istruzione di Roma Capitale
Gianluigi De Palo.
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È ancora presente sui quotidiani odierni la notizia che le spese legali
della causa intentata – e persa – dal gerarca nazista Priebke contro il
presidente della Comunità ebraica di Roma per ingiuria sono state
notificate da Equitalia a Riccardo Pacifici.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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