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17 maggio 2013 - 8 Sivan 5773
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elia richetti
Alfonso Arbib
,
rabbino capo
di Milano

 

Nella parashà di Nassò si parla del nazìr che è un uomo che fa voto di non tagliarsi i capelli, di non bere vino e di non rendersi impuro da contatto con un morto. Sul nazìr ci sono idee diverse e contrapposte nella tradizione ebraica. Una delle domande è che cosa spinga una persona a un voto in cui pone a se stesso limiti non previsti dalla Torà. Una possibile risposta la troviamo in un midràsh. Si racconta che Shimòn Hatzaddìk una volta vide una persona con i capelli lunghi e non curati, gli chiese perché non si curasse e questi rispose che una volta camminando vicino a un fiume, vide la sua immagine riflessa nell'acqua e vedendo la bellezza del suo volto si inorgoglì. Decise quindi di punirsi per questo futile compiacimento non curando più la propria immagine. Questo midràsh che sembra la versione ebraica del mito di Narciso pone un problema sempre attuale, quello dell'auto-compiacimento. Siamo portati a volte a innamorarci di noi stessi, non necessariamente  del nostro volto ma anche delle nostre idee, delle nostre supposte qualità. Il grosso rischio di questo comportamento è la mancanza di autocritica e l'auto-referenzialità.


Gadi
Luzzatto Voghera, storico
 


Sulla gestione dei beni culturali si gioca una partita difficile, che in momenti di crisi deve essere gestita con senso della misura e responsabilità, ma anche con una buona dose di fantasia e intelligenza. Si tratta di bilanciare conservazione e innovazione, e non è facile. Se c’è necessità di denaro per le più urgenti necessità della vita sociale è assai difficile che vengano distolte risorse per la conservazione del patrimonio e per la sua valorizzazione. Eppure, lo sappiamo bene, l’Italia è il luogo in cui assai più che altrove sono presenti opere d’arte; una ricchissima e stratificata tradizione che è nota in tutto il mondo e nella quale affondiamo le nostre radici. E’ anche risaputo che non sempre siamo stati capaci nel passato di valorizzare nel giusto modo questo grande patrimonio. Farlo dovrebbe essere una nostra priorità, anche nelle comunità ebraiche, che spesso si limitano a custodire un importante patrimonio monumentale (sinagoghe, cimiteri, catacombe) o documentario (biblioteche, archivi) senza saper pensare a un progetto organico che valorizzi veramente questi beni, bilanciando fra progetti museali e fruizione. Tuttavia non mi risulta che in Italia sia mai avvenuto qualcosa di assimilabile all’orrore cui stiamo assistendo a Cracovia, dove una casa di studio del secolo XIX, lo storico Beit midrash Chewra Tehilim le cui pareti interne appena restaurate (!) sono finemente decorate, è stato trasformato in una discoteca. Una brutta storia, che ci chiama ad assumere in maniera più responsabile l’impegno a disegnare un progetto complessivo di valorizzazione del patrimonio ebraico italiano. Lo dobbiamo innanzitutto ai nostri figli, e ai nostri nonni.

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Lemanuele Pace, Dora Pipern
Torino - Jewish State of the Net, la responsabilità della Rete
Il primo Jewish State of the Net, la due giorni dedicata al rapporto fra informazione ebraica, web 2.0 e social media, si è concluso a Torino chiamando a faccolta molti giornalisti, imprenditori e operatori del settore. Molti gli ospiti della redazione di Pagine Ebraiche, che ha voluto condividere il percorso fatto fino ad ora con amici, collaboratori ed esperti del settore, invitati per ragionare insieme sia sul lavoro fatto fino ad ora che sui progetti futuri.
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Qui Torino - Le lingue del mondo per Primo Levi
Scrive Primo Levi in Se questo è un uomo: “Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile”. Sono proprio le parole il filo conduttore del reading in 13 lingue organizzato dal Centro internazionale di studi Primo Levi su idea dell'associazione Villa Emma di Nonantola per rendere omaggio alla figura del grande intellettuale torinese in occasione del 50esimo anniversario dalla pubblicazione de La Tregua. In una Sala Rossa stracolma di pubblico studenti delle più variegate provenienze geografiche e linguistiche, introdotti da Fabio Levi e Domenico Scarpa, danno voce all'opera di Primo Levi. Si parte con la poesia Il supertite, che viene recitata in arabo, per soffermarsi idealmente sulle varie tappe del viaggio compiuto da Levi nei territori dell'Europa centro-orientale e arrivare al capitolo finale, Il risveglio, letto integralmente in italiano dall'attore Walter Malosti. In tutto tredici lingue – dal cinese al romeno, dal russo al bulgaro – e una fortissima scia di emozioni in tutta la sala. Sul palco salgono anche Maya e Jonathan Even, studenti israeliani della scuola Emanuele Artom, che si cimentano nella lettura in ebraico de 'La torre di Babele', brano estrapolato da Se questo è un uomo (pagine 67 e 68) in cui l'autore ricorda l'odio per “il sogno demente di grandezza dei nostri padroni, il loro disprezzo di Dio e degli uomini, di noi uomini”. Temi che torneranno successivamente in un nuovo appuntamento (Perché crediamo a Primo Levi?) con al centro la quarta lezione dell'intellettuale. In dialogo Scarpa e Mario Barenghi.

Qui Torino - Yerushalmi e una storia che fa discutere
Anticipata dall'uscita di un denso intervento di Paolo Mieli sul Corriere della sera, la presentazione del volume "Servitori di re e non servitori di servitori" (Giuntina) ha aperto la strada a molti interrogativi relativi alla storia ebraica nei diversi luoghi e nelle diverse situazioni. Protagonisti il direttore di Rcs libri e lo storico sociale delle idee David Bidussa.
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Qui Torino - Arte e spazio secondo Libeskind
Inaugurata negli spazi dell'Ermanno Tedeschi Gallery la mostra  “Never Say the Eye is Rigid: Architectural Drawings of Daniel Libeskind” in cui sono ad essere esposti sono 52 disegni originali del celebre architetto statunitense.
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pilpul
Legge e consenso
Abbiamo appena finito di festeggiare Shavuot, festa del dono della Legge. Non è l’unico significato della festa, e forse neppure il più importante, ma vale la pena ricordare che esiste anche quello: è motivo di gioia per un popolo avere una legge scritta, consultabile e uguale per tutti. Certo, non è un concetto specificamente ebraico (anche se non so quanti altri popoli abbiano istituito un giorno apposta per festeggiare una costituzione o qualcosa di simile); l’idea che la legge sia uguale per tutti dovrebbe essere comune più o meno a tutti gli stati moderni, ma ogni tanto qualcuno pare dimenticarsene. Perché, per esempio, quando si difende un personaggio politico inquisito o condannato si cita come argomento a favore il suo sostegno popolare? Se fosse colpevole dovrebbe essere condannato anche se la stragrande maggioranza della popolazione fosse dalla sua parte, se fosse innocente la condanna sarebbe ingiusta anche se il suo partito alle elezioni non avesse ottenuto neppure un voto. Invece ogni tanto qualcuno sembra insinuare tra le righe l’idea che chi gode di ampio consenso sia al di sopra della legge. Non dico che questo strano corto circuito mentale avvenga sempre, ma a me pare gravissimo che avvenga anche solo una volta ogni tanto, anzi, mi pare già grave che non si faccia scrupolosamente attenzione a tenere il tema del sostegno popolare fuori da ogni discorso su colpevolezza o innocenza. Le manifestazioni, per esempio, da che mondo è mondo si fanno con lo scopo principale di dimostrare che si è in tanti; che senso ha farle in un contesto in cui essere tanti o pochi dovrebbe essere del tutto irrilevante? Non si dà l’impressione di voler dire: “Se siamo in così tanti dalla sua parte non lo potete condannare, innocente o colpevole che sia”? Così anche il significato apparentemente più banale e scontato di Shavuot tutto sommato non pare aver perso di attualità.

Anna Segre, insegnante


I mali
“I mali che

Laura Salmon, slavista

notizie flash   rassegna stampa
Venduto all'asta da Sotheby
un raro manoscritto del Cinquecento
  Leggi la rassegna


Il Metropolitan Museum of Art di New York e l’Israel Museum a Gerusalemme hanno acquisito congiuntamente un manoscritto ebraico del XV secolo, si tratta del Mishneh Torah  un manoscritto raro con un testo di Mosè Maimonide. Il manoscritto era tra i top lot di un’asta che il 29 aprile si è svolta da Sotheby che batteva la collezione dell’investitore e filantropo Michael Steinhardt e della moglie, Judy Steinhardt. L'acquisto congiunto è avvenuto poco prima dell’inizio dell'asta.Il manoscritto, realizzato nel 1457 è stato restaurato nel laboratorio di conservazione dell’Israel Museum, che lo aveva ricevuto in prestito nel 2007 ed esposto al pubblico dal 2010.


 

Condannato a cinque anni e quattro mesi per terrorismo islamico Mohamed Jarmoune, colpevole tra l’altro di aver progettato un attentato alla sinagoga centrale di Milano (Corriere Milano).

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