Elia Richetti,
rabbino
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Questa
è la prima Parashà in cui ci viene presentato come protagonista
Avrahàm. La presentazione comincia con un imperativo d’azione: “Lekh
lekhà”, “va’ per te”, vai, agisci. Esaminando gli eventi raccontati
dalla Torah ed i personaggi che ne scaturiscono, i Maestri del Talmùd
ci forniscono un’informazione alquanto di difficile spiegazione: “La
medaglia di Avrahàm mostrava un vecchio e una vecchia su una faccia, un
giovane ed una giovane sull’altra”. Che cos’è la medaglia di cui
parlano? Da dove si ricava che Avrahàm l’avesse? E che cosa
rappresentano quelle figure? E perché – contro una logica di tipo
cronologico – viene descritta prima la facciata in cui compaiono un
vecchio ed una vecchia, e solo dopo quella in cui i personaggi
compaiono con aspetto giovanile?
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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Domenica
sera alla stazione centrale degli autobus di Beersheva un giovane
terrorista beduino israeliano sobillato e pompato dal fanatismo
islamista entra tra la folla, ammazza a colpi di pistola e di pugnale
un soldato e ferisce altre dieci persone. Uno dei feriti, un lavoratore
eritreo, erroneamente individuato come un secondo terrorista viene
linciato da un gruppo di scalmanati vendicativi. Il terrorista ingaggia
una sparatoria con la polizia e viene ucciso. Esattamente lo stesso
giorno, quasi in simultanea, un gruppo di sei velisti israeliani in
escursione sul loro catamarano lungo le coste mediterranee, presso
l’isola greca di Kastellorizo, non lontano da Rodi, si imbatte in un
giovane naufrago in mare. Gli israeliani lo issano a bordo, vedono
nelle acque vicine altri dieci naufraghi, uomini e donne, li salvano
tutti dall’annegamento (altri tre più un neonato sono già morti
affogati) e scoprono che sono profughi siriani e iracheni in fuga dal
fanatismo islamista. Gli israeliani danno da bere e da mangiare ai
naufraghi e li portano sull’isola dove vengono presi in consegna dalle
autorità sanitarie greche. Un po’ banalmente si potrebbe citare il
titolo di Primo Levi, “I sommersi e i salvati”. Ma è più pertinente
dire questo: c’è chi di mattina si alza per andare a uccidere degli
innocenti, e chi invece si alza per andare a salvare delle vite di
sconosciuti. Contrariamente a tanto bon ton, in questo conflitto non
c’è simmetria.
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Il passo falso di Bibi |
È
bufera in Israele dopo le dichiarazioni del primo ministro Benjamin
Netanyahu che ieri, parlando al Congresso sionista a Gerusalemme, ha
affermato che non sarebbe stato Hitler a ideare lo sterminio degli
ebrei, bensì il mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Huseini a chiedergli
di eliminarli nel loro incontro a Berlino alla fine del 1941. A opporsi
alle parole del premier – scrive la Stampa – sono sopravvissuti alla
Shoah, storici del nazismo, leader dell’opposizione, ministri del
governo e cittadini comuni, e “l’intento del premier è indicare nel
mufti di allora, padre storico del nazionalismo palestinese, la genesi
dell’odio antiebraico che incita i giovani arabi all’Intifada dei
coltelli”.
“Abbiamo il documento su quell’incontro e spiega come fu Hitler a
parlare, chiedendo al mufti di fare propaganda nazista in Medio
Oriente” spiega Yehuda Bauer, tra i massimi esperti di Shoah, mentre
dallo Yad Vashem parla il capo degli storici Dina Porat: “Non si può
dire che il mufti diede a Hitler l’idea di bruciare gli ebrei, è falso”.
In Germania il portavoce della cancelliera Angela Merkel ha
sottolineato che “tutti i tedeschi sanno della smania omicida e
razzista dei nazisti che portò all’Olocausto, una rottura con la
civiltà: sono i fatti che insegniamo nelle nostre scuole perché non
devono essere mai dimenticati, sappiamo che che la responsabilità per
questo crimine contro l’umanità è nostra” (Corriere, tra gli altri). Da
Berlino, dove si è recato per incontrare la cancelliera e il segretario
di Stato americano John Kerry, Bibi cerca di correggere il tiro: “Non
volevo assolvere Hitler ma dimostrare che il padre della nazione
palestinese aspirava fin da allora alla nostra distruzione”.
La Stampa fa anche il punto sui fatti dell’ultima giornata in Israele,
dove una soldatessa israeliana è stata pugnalata nella zona di Ramallah
e il suo assalitore palestinese è morto sotto i colpi di arma da fuoco,
mentre un complice è stato arrestato. Nelle stesse ore due razzi sono
stati lanciati da Gaza esplodendo senza fare nessun morto o ferito, e
il comitato esecutivo dell’Unesco ha approvato una risoluzione che
condanna la gestione israeliana della Spianata delle Moschee a
Gerusalemme, escludendo però che il Muro del Pianto sia parte
integrante della moschea di Al Aqsa.
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lo storico pezzetti sulle parole del premier
Adolf Hitler e il Gran Mufti
Le inesattezze di Netanyahu
“Dati
alla mano, quanto ha affermato Netanyahu non corrisponde al vero. Non
si può dire che il muftì di Gerusalemme ha convinto Hitler a compiere
lo sterminio degli ebrei”. A parlare è lo storico Marcello Pezzetti,
direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma, interpellato da
Pagine Ebraiche per capire cosa sia storicamente provato rispetto alle
affermazioni, duramente contestate dal mondo accademico ma anche da
diversi testimoni della Shoah, del Primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu rispetto ai rapporti tra Adolf Hitler e il muftì di
Gerusalemme Haj Amin Al-Husseini. Parlando al Congresso Mondiale
Sionista a Gerusalemme, Netanyahu ha affermato che Hitler fu convinto
alla cosiddetta “soluzione finale” dal muftì Al-Husseini - importante
capo religioso islamico nella Palestina mandataria - durante un loro
incontro nel novembre del 1941, e che inizialmente voleva semplicemente
espellere gli ebrei dalla Germania: “Hitler non voleva sterminare gli
ebrei, all’epoca, voleva espellere gli ebrei. - la dichiarazione di
Netanyahu - Amin al-Husseini andò da Hitler e gli disse: ‘Se li
espelli, verranno tutti qui (in Palestina, ndr). ‘Cosa dovrei fare con
loro?’, chiese Hitler. Il Muftì rispose: ‘Bruciali’”. Parole che hanno
ricevuto una dura reazione da parte di molti, tra cui Dina Porat, capo
degli storici di Yad Vashem che ha invitato, in un'intervista alla
radio dell'esercito d'Israele, il Premier a fare marcia indietro.
“Sicuramente il muftì di Gerusalemme ha avuto grandi e pesanti
responsabilità personali nella Shoah ma non si può affermare che
convinse Hitler a sterminare gli ebrei”, spiega Pezzetti ricostruendo
il quadro storico in cui si articolano i fatti.
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Roma - un nuovo rabbino per l'italia ebraica Rav Jacov Di Segni, mazal tov!
Dopo
aver superato l'esame scritto e il successivo colloquio orale, il
Collegio rabbinico italiano ha investito del titolo di rabbino maggiore
Jacov Shalom Di Segni.
Ventinove anni, romano, il neo rabbino è stato interrogato da una
commissione composta dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, dal
rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, dal rabbino capo di Napoli
Umberto Piperno e dai Maestri Vittorio Della Rocca, Alberto Funaro e
Gad Eldad.
Prima di correggere il tema e le sheilot, le tre domande scritte, il
candidato (salutato quest'oggi anche dal presidente UCEI Renzo
Gattegna) ha esposto il libro di Shemot commentato da rav Umberto
Cassuto; una scelta particolarmente complessa dato che il suddetto
commento non è stato accettato da parte del mondo ebraico ortodosso.
Rav Cassuto, ha ricordato il neo rabbino, colpisce in particolar modo
perché non interviene sul testo biblico ma lo analizza nella sua
totalità. “Quando faceva lezione e riceveva rimostranze dai suoi
alunni, lui diceva: lasciamo stare il testo così come è”, il commosso
ricordo del rav Della Rocca.
Le domande della commissione hanno inoltre posto l'accento sul mondo
contemporaneo. Rav Riccardo Di Segni ha per esempio chiesto come sia
più saggio rapportarsi con i social network e come sfruttarli per
favorire l'educazione ebraica. Un quesito al quale il candidato ha
risposto citando il caso di un gruppo Facebook al quale si può chiedere
o rispondere riguardo l'Halakhah: "In questi casi – ha detto – può
essere uno strumento molto utile soprattutto per favorire chi magari in
altre circostanze non si rivolgerebbe a un rabbino. Però credo si debba
tenere sempre a mente che esso non può in nessun modo sostituire la
vita reale".
Per il suo esame rav Jacov Di Segni, che attualmente vive a Gerusalemme
con la moglie Deborah e le due figlie Hannah e Rachel, ha discusso di
fronte alla commissione una tesi in lingua ebraica dal titolo “Rav
Menachem (Emanuel) Azaria Meir Castelnuovo: vita e opere” (relatore rav
Riccardo Di Segni).
A rav Jacov Di Segni e ai suoi genitori, Giuly e rav Gianfanco Di
Segni, un caloroso mazal tov dalla redazione del portale dell'ebraismo
italiano www.moked.it e Pagine Ebraiche!
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qui milano - la comunità si mobilita
"Con Israele, difendiamo la vita"
Fiaccole
accese per portare luce su quanto sta accadendo in Israele, dove il
terrorismo islamista minaccia la sicurezza dei suoi cittadini, dove chi
fomenta e istiga all'odio cerca di minare le fondamenta democratiche
dello Stato ebraico. Tanti gli oratori - esponenti del mondo ebraico,
della politica, della cultura - che si sono succeduti al Tempio
Maggiore di via della Guastalla, in occasione della manifestazione
organizzata dalla Comunità ebraica di Milano per esprimere la propria
solidarietà a Israele ma anche per ribadire che la minaccia
terroristica è un pericolo che tocca tutta la società civile.
“Ringrazio tutti per essere qui presenti – ha dichiarato in apertura
Milo Hasbani, presidente della Comunità milanese assieme a Raffaele
Besso – Abbiamo voluto attorno a noi tutta la cittadinanza per dire
insieme no al terrorismo, no alla violenza”. Tra i primi a salire sul
palco, oltre al vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Roberto Jarach, l'ambasciatore d'Israele Naor Gilon, introdotto da
Yoram Ortona, a cui è stata affidata la conduzione della serata.
“Anch'io voglio esprimervi la mia gratitudine, il vostro supporto è
importante per superare questo momento” il messaggio di Gilon al
pubblico presente davanti alla sinagoga, composto da iscritti alla
Comunità e non solo.
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qui torino - il progetto ucei
A scuola, la salute in movimento
Tre
giorni di lavoro intenso, faticoso ed entusiasmante. Accolto con
curiosità, interesse, e i pochi dubbi iniziali sciolti rapidamente per
arrivare a una grande soddisfazione nella fase finale, il progetto “La
salute psicomotoria” della commissione Scuola, Formazione e Giovani
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è partito quest’anno dalla
materna Colonna e Finzi di Torino. La collaborazione fra la Fondazione
Villa Santa Maria, istituto d’avanguardia nel campo dei disturbi della
psicomotricità e della comunicazione che vanta una intensa
collaborazione con realtà d’eccellenza della sanità israeliana e il
centro di riabilitazione dell’ospedale di Beer Sheva di cui la
neuropsichiatra infantile Marina Norsi presente in questi giorni a
Torino è stata direttrice aveva già portato a una sperimentazione
simile nella scuola di Milano negli scorsi anni, che aveva portato a
risultati molto interessanti. Così ora, primissima tappa di un percorso
che durerà fino all’estate 2016 e che coinvolgerà anche i bambini delle
comunità di Firenze e Trieste, il progetto si articola in un insieme di
attività di formazione degli educatori e degli insegnanti insieme
all’osservazione dei bambini dai 12 mesi ai quattro anni, che saranno
coinvolti anche in un laboratorio di psicomotricità.
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Setirot
- Sofferenze attuali |
“L’amicizia
è la vera patria”, edito da Castelvecchi, è la raccolta delle lettere
mai tradotte in italiano che Joseph Roth e Stefan Zweig si scrissero
tra il 1933 e il 1938. Anni bui e cupi per l’Europa, a maggior ragione
per molti intellettuali, ancor più se – come loro – ebrei. Ma al di là
dell’interesse per i ragionamenti e i pensieri che i due amici si
scambiano, colpisce e fa riflettere la grande differenza di carattere,
soprattutto di fronte all’emergenza e all’incalzare della barbarie.
Chiunque abbia amato le pagine di entrambi gli scrittori già conosceva
il piglio fumantino, rabbioso, corrosivo di Roth, così diverso dallo
Zweig certamente più disilluso e forse più remissivo. Eppure sono
dialoghi che possono far risuonare nelle nostre menti e nei nostri
cuori contrapposizioni e sofferenze a volte anche assai attuali. Come
quando, l’8 ottobre del 1937, Joseph Roth scrive al compagno di
disavventura (si davano, ovviamente, del lei): “E questo non capisce:
che non sono pieno di odio per la durezza dei tempi. Come se lei fosse
pieno di amore solo perché se ne sta lì in silenzio! (…) Niente
articolo? Perché niente articolo, se può servirmi a porre fine alle
porcate di qualche canaglia? (…) Perché non essere implacabile?
Implacabile era Mosè, quando infranse le tavole della Legge. Se non
avesse voluto convincersi di ‘essere diverso’ non ci sarebbero stati i
dieci comandamenti…”. E Zweig, due giorni dopo: “Roth, amico, fratello,
dobbiamo sbattercene di tutto questo! Leggo una volta alla settimana il
giornale e ne ho abbastanza delle bugie di tutti i Paesi. L’unica cosa
che faccio è cercare di aiutare qui e là qualcuno; intendo non
materialmente, ma a lasciare la Germania o ad andare in Russia, o ad
aiutare persone che hanno altri bisogni e necessità”.
Stefano Jesurum, giornalista
Time out - Manovre pericolose |
Non
mi sembra ci sia tanto da dire sulle affermazioni di Netanyahu. Sono
sbagliate e pericolose e, come sostiene il premio Nobel Elie Wiesel i
politici dovrebbero fare maggiore attenzione quando parlano di storia.
Detto questo non penso che non si debba credere alla sua buona fede,
sebbene il suo tentativo maldestro, seppur veritiero, di dimostrare il
legame del Gran Mufti di Gerusalemme dopo l’incontro con Hitler abbia
finito per sortire l’effetto opposto. Il rischio è che ora, esattamente
come fatto dagli estremisti dall’Anp, qualcuno provi a riscrivere la
storia in senso opposto, negando il coinvolgimento palestinese all’asse
nazista. Un fatto storico dimostrato per cui nessuna dichiarazione
sbagliata potrà mai cancellare l’evidenza dei fatti.
Daniel Funaro
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In ascolto - Fever |
L’autunno
è arrivato, in tutta la sua bellezza, con i tappeti di foglie gialle e
rosse, il profumo delle caldarroste e le serate davanti al caminetto.
Peccato che abbia portato con sé anche una bella epidemia di influenza,
che sta costringendo a letto con la febbre molte persone, me compresa.
E quando si è costretti a letto non c’è nulla di meglio di un buon
libro e una playlist scelta con cura. Con un po’ di autoironia metto su
Fever, uno dei brani che hanno fatto la storia del R&B. Pur con
qualche riserva e non poche polemiche, viene comunemente attribuito a
Eddie Cooley e Otis Blackweel e fu registrato per la prima volta nel
1956 da Little Willie
John. Il successo fu immediato e da allora la fama di Fever è cresciuta
in modo esponenziale, grazie anche ai tanti nomi della musica
internazionale che ne hanno dato intepretazioni diverse: Peggy Lee
nella versione swing con orchestra stile Benny Goodman, ripresa una
cinquantina di anni dopo da Bette Midler; Elvis Presley in modalità
‘minimal’ accompagnato solo da contrabbasso e percussioni, la
rivisitazione dance anni ‘80 di Madonna e quella più recente di
Beyoncé, con la vocalità del soul e il ‘tiro’ del pop estivo.
E quando un brano è così famoso e reinterpretato, prima o poi qualcuno lo canta in yiddish.
mendy cahan È successo anche a Fever, grazie a Mendy Cahan, fondatore
di Yung Yidish, una organizzazione che si pone l’obiettivo di custodire
e diffondere la cultura e la lingua yiddish anche attraverso la
creazione di nuove opere.
Maria Teresa Milano
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Leggeri e felici |
“Sarò breve”. L’abbiamo sentito spesso, e ogni volta tremiamo rassegnati alla
smentita, nei fatti, della promessa. Del resto, lo sappiamo: la
tacitiana brevitas è fuori moda. “Solo bagaglio a mano”, di Gabriele
Romagnoli (Feltrinelli) però, in meno di cento pagine di formato medio,
dimostra che chi ha davvero qualcosa da dire lo può fare anche con
poche parole. È un libro breve, infatti, che si fa leggere in poco più
di un’ora, ma che può condizionare favorevolmente la nostra vita
intera. Insegna a vivere meglio con meno, e senza sentirsi né miseri né
insoddisfatti. Lo
fa a partire da una esperienza scioccante dell’autore, che –
volontariamente – ha vissuto la messa in scena del proprio funerale.
Foto, testamento, vestaglia senza tasche, come “l’ultimo vestito” di
tradizione napoletana, bara chiusa e lui dentro, per ore, al buio. Il
posto adatto – scrive Romagnoli – “per cominciare a raccontare quel che
ho pensato e imparato da morto”. ‘Tornato in vita’, il giornalista e
scrittore bolognese decide di scrivere una specie di manuale di
sopravvivenza: con un linguaggio crudo e vivace, passa in rassegna i
frequenti casi in cui il Tanto e il Troppo appesantiscono il nostro
bagaglio nel corso del viaggio della nostra vita.
Valerio Fiandra
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Madri d'Israele - Ruth |
“Cucinare
non è un passatempo, cucinare è un’arte.” L’appassionante storia di
Ruth Sirkis comincia nel 1962, quando decide di partire per gli Stati
Uniti con suo marito Raffy. Viaggio che ha cambiato la sua vita per
sempre. Nonostante la laurea in assistenza sociale, Ruth riscopre nella
Grande mela un profondo amore per la cucina: i sapori più essenziali
d’un tratto la conquistano, le fanno provare forti emozioni, si fanno
sempre più spazio nel suo cuore e nei suoi pensieri. Torna dunque in
Israele, un Stato all’epoca ancora nuovo, in cui un’identità nazionale,
una cultura locale, degli usi e costumi caratteristici, ancora
mancavano.
David Zebuloni
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Lontano dalla negatività |
Nel
piccolo Tempio tardo settecentesco di Siena, edificato in stile rococò
e neoclassico dagli architetti Zanobi e Giuseppe del Rosso (e se andate
a visitare la centralissima chiesetta di Santa Maria del Riccio
realizzata da Zanobi in via del Corso, a Firenze, trovereste non poche
somiglianze tra i due edifici), si trova al centro una bellissima tevah
di metà Settecento. Nel mondo ashkenazita il podio di lettura della
Torah si chiama invece Bimah, torre, a ricordare il fatto che esso è
rialzato e che appunto andare a leggere è una Aliat haSefer, un’ascesa
fisica e spirituale, ma anche a rievocazione delle torri di Gerusalemme
distrutte dai romani.
Sara Valentina Di Palma
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