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22 ottobre 2015 - 9 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Questa è la prima Parashà in cui ci viene presentato come protagonista Avrahàm. La presentazione comincia con un imperativo d’azione: “Lekh lekhà”, “va’ per te”, vai, agisci. Esaminando gli eventi raccontati dalla Torah ed i personaggi che ne scaturiscono, i Maestri del Talmùd ci forniscono un’informazione alquanto di difficile spiegazione: “La medaglia di Avrahàm mostrava un vecchio e una vecchia su una faccia, un giovane ed una giovane sull’altra”. Che cos’è la medaglia di cui parlano? Da dove si ricava che Avrahàm l’avesse? E che cosa rappresentano quelle figure? E perché – contro una logica di tipo cronologico – viene descritta prima la facciata in cui compaiono un vecchio ed una vecchia, e solo dopo quella in cui i personaggi compaiono con aspetto giovanile?

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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Domenica sera alla stazione centrale degli autobus di Beersheva un giovane terrorista beduino israeliano sobillato e pompato dal fanatismo islamista entra tra la folla, ammazza a colpi di pistola e di pugnale un soldato e ferisce altre dieci persone. Uno dei feriti, un lavoratore eritreo, erroneamente individuato come un secondo terrorista viene linciato da un gruppo di scalmanati vendicativi. Il terrorista ingaggia una sparatoria con la polizia e viene ucciso. Esattamente lo stesso giorno, quasi in simultanea, un gruppo di sei velisti israeliani in escursione sul loro catamarano lungo le coste mediterranee, presso l’isola greca di Kastellorizo, non lontano da Rodi, si imbatte in un giovane naufrago in mare. Gli israeliani lo issano a bordo, vedono nelle acque vicine altri dieci naufraghi, uomini e donne, li salvano tutti dall’annegamento (altri tre più un neonato sono già morti affogati) e scoprono che sono profughi siriani e iracheni in fuga dal fanatismo islamista. Gli israeliani danno da bere e da mangiare ai naufraghi e li portano sull’isola dove vengono presi in consegna dalle autorità sanitarie greche. Un po’ banalmente si potrebbe citare il titolo di Primo Levi, “I sommersi e i salvati”. Ma è più pertinente dire questo: c’è chi di mattina si alza per andare a uccidere degli innocenti, e chi invece si alza per andare a salvare delle vite di sconosciuti. Contrariamente a tanto bon ton, in questo conflitto non c’è simmetria.
 
 
 
Il passo falso di Bibi
È bufera in Israele dopo le dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu che ieri, parlando al Congresso sionista a Gerusalemme, ha affermato che non sarebbe stato Hitler a ideare lo sterminio degli ebrei, bensì il mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Huseini a chiedergli di eliminarli nel loro incontro a Berlino alla fine del 1941. A opporsi alle parole del premier – scrive la Stampa – sono sopravvissuti alla Shoah, storici del nazismo, leader dell’opposizione, ministri del governo e cittadini comuni, e “l’intento del premier è indicare nel mufti di allora, padre storico del nazionalismo palestinese, la genesi dell’odio antiebraico che incita i giovani arabi all’Intifada dei coltelli”.
“Abbiamo il documento su quell’incontro e spiega come fu Hitler a parlare, chiedendo al mufti di fare propaganda nazista in Medio Oriente” spiega Yehuda Bauer, tra i massimi esperti di Shoah, mentre dallo Yad Vashem parla il capo degli storici Dina Porat: “Non si può dire che il mufti diede a Hitler l’idea di bruciare gli ebrei, è falso”.
In Germania il portavoce della cancelliera Angela Merkel ha sottolineato che “tutti i tedeschi sanno della smania omicida e razzista dei nazisti che portò all’Olocausto, una rottura con la civiltà: sono i fatti che insegniamo nelle nostre scuole perché non devono essere mai dimenticati, sappiamo che che la responsabilità per questo crimine contro l’umanità è nostra” (Corriere, tra gli altri). Da Berlino, dove si è recato per incontrare la cancelliera e il segretario di Stato americano John Kerry, Bibi cerca di correggere il tiro: “Non volevo assolvere Hitler ma dimostrare che il padre della nazione palestinese aspirava fin da allora alla nostra distruzione”.
La Stampa fa anche il punto sui fatti dell’ultima giornata in Israele, dove una soldatessa israeliana è stata pugnalata nella zona di Ramallah e il suo assalitore palestinese è morto sotto i colpi di arma da fuoco, mentre un complice è stato arrestato. Nelle stesse ore due razzi sono stati lanciati da Gaza esplodendo senza fare nessun morto o ferito, e il comitato esecutivo dell’Unesco ha approvato una risoluzione che condanna la gestione israeliana della Spianata delle Moschee a Gerusalemme, escludendo però che il Muro del Pianto sia parte integrante della moschea di Al Aqsa.
 
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  davar
lo storico pezzetti sulle parole del premier
Adolf Hitler e il Gran Mufti
Le inesattezze di Netanyahu

“Dati alla mano, quanto ha affermato Netanyahu non corrisponde al vero. Non si può dire che il muftì di Gerusalemme ha convinto Hitler a compiere lo sterminio degli ebrei”. A parlare è lo storico Marcello Pezzetti, direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma, interpellato da Pagine Ebraiche per capire cosa sia storicamente provato rispetto alle affermazioni, duramente contestate dal mondo accademico ma anche da diversi testimoni della Shoah, del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu rispetto ai rapporti tra Adolf Hitler e il muftì di Gerusalemme Haj Amin Al-Husseini. Parlando al Congresso Mondiale Sionista a Gerusalemme, Netanyahu ha affermato che Hitler fu convinto alla cosiddetta “soluzione finale” dal muftì Al-Husseini - importante capo religioso islamico nella Palestina mandataria - durante un loro incontro nel novembre del 1941, e che inizialmente voleva semplicemente espellere gli ebrei dalla Germania: “Hitler non voleva sterminare gli ebrei, all’epoca, voleva espellere gli ebrei. - la dichiarazione di Netanyahu - Amin al-Husseini andò da Hitler e gli disse: ‘Se li espelli, verranno tutti qui (in Palestina, ndr). ‘Cosa dovrei fare con loro?’, chiese Hitler. Il Muftì rispose: ‘Bruciali’”. Parole che hanno ricevuto una dura reazione da parte di molti, tra cui Dina Porat, capo degli storici di Yad Vashem che ha invitato, in un'intervista alla radio dell'esercito d'Israele, il Premier a fare marcia indietro. “Sicuramente il muftì di Gerusalemme ha avuto grandi e pesanti responsabilità personali nella Shoah ma non si può affermare che convinse Hitler a sterminare gli ebrei”, spiega Pezzetti ricostruendo il quadro storico in cui si articolano i fatti. 
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Roma - un nuovo rabbino per l'italia ebraica
Rav Jacov Di Segni, mazal tov!
Dopo aver superato l'esame scritto e il successivo colloquio orale, il Collegio rabbinico italiano ha investito del titolo di rabbino maggiore Jacov Shalom Di Segni.
Ventinove anni, romano, il neo rabbino è stato interrogato da una commissione composta dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, dal rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, dal rabbino capo di Napoli Umberto Piperno e dai Maestri Vittorio Della Rocca, Alberto Funaro e Gad Eldad.
Prima di correggere il tema e le sheilot, le tre domande scritte, il candidato (salutato quest'oggi anche dal presidente UCEI Renzo Gattegna) ha esposto il libro di Shemot commentato da rav Umberto Cassuto; una scelta particolarmente complessa dato che il suddetto commento non è stato accettato da parte del mondo ebraico ortodosso.
Rav Cassuto, ha ricordato il neo rabbino, colpisce in particolar modo perché non interviene sul testo biblico ma lo analizza nella sua totalità. “Quando faceva lezione e riceveva rimostranze dai suoi alunni, lui diceva: lasciamo stare il testo così come è”, il commosso ricordo del rav Della Rocca.
Le domande della commissione hanno inoltre posto l'accento sul mondo contemporaneo. Rav Riccardo Di Segni ha per esempio chiesto come sia più saggio rapportarsi con i social network e come sfruttarli per favorire l'educazione ebraica. Un quesito al quale il candidato ha risposto citando il caso di un gruppo Facebook al quale si può chiedere o rispondere riguardo l'Halakhah: "In questi casi – ha detto – può essere uno strumento molto utile soprattutto per favorire chi magari in altre circostanze non si rivolgerebbe a un rabbino. Però credo si debba tenere sempre a mente che esso non può in nessun modo sostituire la vita reale".
Per il suo esame rav Jacov Di Segni, che attualmente vive a Gerusalemme con la moglie Deborah e le due figlie Hannah e Rachel, ha discusso di fronte alla commissione una tesi in lingua ebraica dal titolo “Rav Menachem (Emanuel) Azaria Meir Castelnuovo: vita e opere” (relatore rav Riccardo Di Segni).
A rav Jacov Di Segni e ai suoi genitori, Giuly e rav Gianfanco Di Segni, un caloroso mazal tov dalla redazione del portale dell'ebraismo italiano www.moked.it e Pagine Ebraiche!

qui milano - la comunità si mobilita
"Con Israele, difendiamo la vita"
Fiaccole accese per portare luce su quanto sta accadendo in Israele, dove il terrorismo islamista minaccia la sicurezza dei suoi cittadini, dove chi fomenta e istiga all'odio cerca di minare le fondamenta democratiche dello Stato ebraico. Tanti gli oratori - esponenti del mondo ebraico, della politica, della cultura - che si sono succeduti al Tempio Maggiore di via della Guastalla, in occasione della manifestazione organizzata dalla Comunità ebraica di Milano per esprimere la propria solidarietà a Israele ma anche per ribadire che la minaccia terroristica è un pericolo che tocca tutta la società civile. “Ringrazio tutti per essere qui presenti – ha dichiarato in apertura Milo Hasbani, presidente della Comunità milanese assieme a Raffaele Besso – Abbiamo voluto attorno a noi tutta la cittadinanza per dire insieme no al terrorismo, no alla violenza”. Tra i primi a salire sul palco, oltre al vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Roberto Jarach, l'ambasciatore d'Israele Naor Gilon, introdotto da Yoram Ortona, a cui è stata affidata la conduzione della serata. “Anch'io voglio esprimervi la mia gratitudine, il vostro supporto è importante per superare questo momento” il messaggio di Gilon al pubblico presente davanti alla sinagoga, composto da iscritti alla Comunità e non solo.
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qui torino - il progetto ucei
A scuola, la salute in movimento

Tre giorni di lavoro intenso, faticoso ed entusiasmante. Accolto con curiosità, interesse, e i pochi dubbi iniziali sciolti rapidamente per arrivare a una grande soddisfazione nella fase finale, il progetto “La salute psicomotoria” della commissione Scuola, Formazione e Giovani dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è partito quest’anno dalla materna Colonna e Finzi di Torino. La collaborazione fra la Fondazione Villa Santa Maria, istituto d’avanguardia nel campo dei disturbi della psicomotricità e della comunicazione che vanta una intensa collaborazione con realtà d’eccellenza della sanità israeliana e il centro di riabilitazione dell’ospedale di Beer Sheva di cui la neuropsichiatra infantile Marina Norsi presente in questi giorni a Torino è stata direttrice aveva già portato a una sperimentazione simile nella scuola di Milano negli scorsi anni, che aveva portato a risultati molto interessanti. Così ora, primissima tappa di un percorso che durerà fino all’estate 2016 e che coinvolgerà anche i bambini delle comunità di Firenze e Trieste, il progetto si articola in un insieme di attività di formazione degli educatori e degli insegnanti insieme all’osservazione dei bambini dai 12 mesi ai quattro anni, che saranno coinvolti anche in un laboratorio di psicomotricità.

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Qui Milano - al via bookcity
Grandi pagine da sfogliare
Al via oggi a Milano per il quarto anno di fila Bookcity, la tre giorni culturale organizzata dal Comune e vari esponenti del mondo editoriale con l’obiettivo di mettere al centro di una serie di eventi diffusi sul territorio urbano il libro, la lettura e i lettori come motori dell’identità della città. E in tale sfaccettata identità non poteva non rientrare l'ebraismo, ancora una volta protagonista di moltissime delle decine di iniziative proposte, in particolare con un ciclo di incontri dal tema “Mondi nascosti”, che si svolgerà domenica alla sinagoga centrale di via della Guastalla. Un pomeriggio di dibattito e cultura in cui a partire da vari volumi editi da Giuntina saranno proposti molteplici spunti di riflessione. Per la varietà di argomenti e ambiti toccati si caratterizza tutta la proposta a sfondo ebraico di Bookcity, tra storia e attualità, dialogo e Memoria, arte, letteratura e cibo.

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J-ciak
Compleanno ad Auschwitz
“Tra poco fai 30 anni, per il tuo compleanno ti regalo un viaggio nel luogo in cui sei sempre voluto andare, Auschwitz. Un viaggio nella nostra memoria, per ricominciare a parlare”. È la genesi di “Memorie – In viaggio verso Auschwitz”, il documentario di Danilo Monte che racconta il viaggio compiuto con il fratello Roberto per ritrovare un legame dopo anni difficili. Fin dall’affettuoso preludio del regista, il film – da oggi nelle sale – ci scaraventa in un labirinto di interrogativi. Perché Auschwitz è diventato un regalo di compleanno? A che punto il luogo simbolo della Memoria è diventato un rituale di passaggio, una pratica di crescita collettiva o privatissima (come nel film in questione)? È lecito incardinare sulla radice della Memoria dello sterminio l’infinità delle proprie disparate, memorie personali? E perché proprio Auschwitz e non, per dire, le Fosse Ardeatine o Srebrenica?


Daniela Gross
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  pilpul
Setirot - Sofferenze attuali
“L’amicizia è la vera patria”, edito da Castelvecchi, è la raccolta delle lettere mai tradotte in italiano che Joseph Roth e Stefan Zweig si scrissero tra il 1933 e il 1938. Anni bui e cupi per l’Europa, a maggior ragione per molti intellettuali, ancor più se – come loro – ebrei. Ma al di là dell’interesse per i ragionamenti e i pensieri che i due amici si scambiano, colpisce e fa riflettere la grande differenza di carattere, soprattutto di fronte all’emergenza e all’incalzare della barbarie. Chiunque abbia amato le pagine di entrambi gli scrittori già conosceva il piglio fumantino, rabbioso, corrosivo di Roth, così diverso dallo Zweig certamente più disilluso e forse più remissivo. Eppure sono dialoghi che possono far risuonare nelle nostre menti e nei nostri cuori contrapposizioni e sofferenze a volte anche assai attuali. Come quando, l’8 ottobre del 1937, Joseph Roth scrive al compagno di disavventura (si davano, ovviamente, del lei): “E questo non capisce: che non sono pieno di odio per la durezza dei tempi. Come se lei fosse pieno di amore solo perché se ne sta lì in silenzio! (…) Niente articolo? Perché niente articolo, se può servirmi a porre fine alle porcate di qualche canaglia? (…) Perché non essere implacabile? Implacabile era Mosè, quando infranse le tavole della Legge. Se non avesse voluto convincersi di ‘essere diverso’ non ci sarebbero stati i dieci comandamenti…”. E Zweig, due giorni dopo: “Roth, amico, fratello, dobbiamo sbattercene di tutto questo! Leggo una volta alla settimana il giornale e ne ho abbastanza delle bugie di tutti i Paesi. L’unica cosa che faccio è cercare di aiutare qui e là qualcuno; intendo non materialmente, ma a lasciare la Germania o ad andare in Russia, o ad aiutare persone che hanno altri bisogni e necessità”.

Stefano Jesurum, giornalista

Time out - Manovre pericolose
Non mi sembra ci sia tanto da dire sulle affermazioni di Netanyahu. Sono sbagliate e pericolose e, come sostiene il premio Nobel Elie Wiesel i politici dovrebbero fare maggiore attenzione quando parlano di storia. Detto questo non penso che non si debba credere alla sua buona fede, sebbene il suo tentativo maldestro, seppur veritiero, di dimostrare il legame del Gran Mufti di Gerusalemme dopo l’incontro con Hitler abbia finito per sortire l’effetto opposto. Il rischio è che ora, esattamente come fatto dagli estremisti dall’Anp, qualcuno provi a riscrivere la storia in senso opposto, negando il coinvolgimento palestinese all’asse nazista. Un fatto storico dimostrato per cui nessuna dichiarazione sbagliata potrà mai cancellare l’evidenza dei fatti.

Daniel Funaro
In ascolto - Fever
L’autunno è arrivato, in tutta la sua bellezza, con i tappeti di foglie gialle e rosse, il profumo delle caldarroste e le serate davanti al caminetto. Peccato che abbia portato con sé anche una bella epidemia di influenza, che sta costringendo a letto con la febbre molte persone, me compresa. E quando si è costretti a letto non c’è nulla di meglio di un buon libro e una playlist scelta con cura. Con un po’ di autoironia metto su Fever, uno dei brani che hanno fatto la storia del R&B. Pur con qualche riserva e non poche polemiche, viene comunemente attribuito a Eddie Cooley e Otis Blackweel e fu registrato per la prima volta nel 1956 da Little Willie John. Il successo fu immediato e da allora la fama di Fever è cresciuta in modo esponenziale, grazie anche ai tanti nomi della musica internazionale che ne hanno dato intepretazioni diverse: Peggy Lee nella versione swing con orchestra stile Benny Goodman, ripresa una cinquantina di anni dopo da Bette Midler; Elvis Presley in modalità ‘minimal’ accompagnato solo da contrabbasso e percussioni, la rivisitazione dance anni ‘80 di Madonna e quella più recente di Beyoncé, con la vocalità del soul e il ‘tiro’ del pop estivo.
E quando un brano è così famoso e reinterpretato, prima o poi qualcuno lo canta in yiddish.
mendy cahan È successo anche a Fever, grazie a Mendy Cahan, fondatore di Yung Yidish, una organizzazione che si pone l’obiettivo di custodire e diffondere la cultura e la lingua yiddish anche attraverso la creazione di nuove opere.


Maria Teresa Milano
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Leggeri e felici 
“Sarò breve”. L’abbiamo sentito spesso, e ogni volta tremiamo rassegnati alla smentita, nei fatti, della promessa. Del resto, lo sappiamo: la tacitiana brevitas è fuori moda. “Solo bagaglio a mano”, di Gabriele Romagnoli (Feltrinelli) però, in meno di cento pagine di formato medio, dimostra che chi ha davvero qualcosa da dire lo può fare anche con poche parole. È un libro breve, infatti, che si fa leggere in poco più di un’ora, ma che può condizionare favorevolmente la nostra vita intera. Insegna a vivere meglio con meno, e senza sentirsi né miseri né insoddisfatti. Lo fa a partire da una esperienza scioccante dell’autore, che – volontariamente – ha vissuto la messa in scena del proprio funerale. Foto, testamento, vestaglia senza tasche, come “l’ultimo vestito” di tradizione napoletana, bara chiusa e lui dentro, per ore, al buio. Il posto adatto – scrive Romagnoli – “per cominciare a raccontare quel che ho pensato e imparato da morto”. ‘Tornato in vita’, il giornalista e scrittore bolognese decide di scrivere una specie di manuale di sopravvivenza: con un linguaggio crudo e vivace, passa in rassegna i frequenti casi in cui il Tanto e il Troppo appesantiscono il nostro bagaglio nel corso del viaggio della nostra vita.

Valerio Fiandra
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Madri d'Israele - Ruth
“Cucinare non è un passatempo, cucinare è un’arte.” L’appassionante storia di Ruth Sirkis comincia nel 1962, quando decide di partire per gli Stati Uniti con suo marito Raffy. Viaggio che ha cambiato la sua vita per sempre. Nonostante la laurea in assistenza sociale, Ruth riscopre nella Grande mela un profondo amore per la cucina: i sapori più essenziali d’un tratto la conquistano, le fanno provare forti emozioni, si fanno sempre più spazio nel suo cuore e nei suoi pensieri. Torna dunque in Israele, un Stato all’epoca ancora nuovo, in cui un’identità nazionale, una cultura locale, degli usi e costumi caratteristici, ancora mancavano.

David Zebuloni
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Lontano dalla negatività
Nel piccolo Tempio tardo settecentesco di Siena, edificato in stile rococò e neoclassico dagli architetti Zanobi e Giuseppe del Rosso (e se andate a visitare la centralissima chiesetta di Santa Maria del Riccio realizzata da Zanobi in via del Corso, a Firenze, trovereste non poche somiglianze tra i due edifici), si trova al centro una bellissima tevah di metà Settecento. Nel mondo ashkenazita il podio di lettura della Torah si chiama invece Bimah, torre, a ricordare il fatto che esso è rialzato e che appunto andare a leggere è una Aliat haSefer, un’ascesa fisica e spirituale, ma anche a rievocazione delle torri di Gerusalemme distrutte dai romani.

Sara Valentina Di Palma
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