"Europa unita, un destino scritto nei grandi libri"
Gli avvelenatori di pozzi sono in particolare fermento. Se c’è qualcosa che non funziona o non corrisponde ai propri canoni di gradimento la spiegazione è sempre la stessa: “È colpa dell’Europa”. Uno slogan dietro cui si parano in certi casi insidiosi progetti di demolizione dell’assetto unitario che ha garantito decenni di pace e progresso a tutto il continente. E così, in questo quadro di crescente smarrimento del buon senso e della ragione, l’appuntamento con il voto del prossimo 26 maggio rischia di rappresentare uno spartiacque storico. E l’inizio, anche con il contributo italiano, di un processo di sfaldamento dall’interno di conquiste epocali date troppo spesso per scontate.
Un libro intelligente in circolazione da qualche settimana offre più di uno spunto di riflessione. Si intitola “I falsari”, lo pubblica Marsilio e a firmarlo è un giornalista, David Parenzo, noto al grande pubblico per il suo ruolo di provocatore in uno dei più riusciti ma anche controversi programmi radiofonici nazionali. “La Zanzara”, in questi anni, ha infatti garantito la ribalta mediatica alla cosiddetta pancia del Paese e alle peggiori pulsioni che la attraversano. Una tribuna e una visibilità che personaggi a dir poco inquietanti, inclusi neonazisti e negazionisti della Shoah dichiarati, altrove mai avrebbero avuto.
“I falsari” è un’operazione dai contenuti e toni assai diversi. Un viaggio ragionato, tra dati incontrovertibili e voci autorevoli, per smontare dalla radice le fake news messe in circolazione dagli euroscettici e dalle forze che si richiamano al populismo. Scrive Parenzo: “In un mondo in cui fa più notizia chi inveisce, piuttosto di chi ogni giorno prova a raccontare come stanno davvero le cose, sono in tanti che ancora oggi credono nella validità del progetto europeo, ma spesso si fa fatica ad ascoltare la loro voce”. Il libro, in modo efficace, ricostruisce quanto di buono è stato seminato in questi decenni di lavoro comune, ricordando il tanto che resta da fare ma soprattutto il tantissimo che è stato fatto. Ci ricorda inoltre che, numeri alla mano, è l’Italia piuttosto ad essere in debito con l’Europa e non viceversa. E ci spiega perché è sempre bene diffidare delle ricette di un certo sciocco sovranismo che sembra riproporre stilemi di un’epoca buia del Novecento. “Oggi viviamo in democrazia, e la dittatura per noi europei è uno spettro di oltre 70 anni fa. Ma ciò che rimane uguale – sottolinea l’autore – è la forza con cui argomenti totalmente inventati esercitano la loro influenza, diffondendo tra le persone la sensazione di essere controllati da una longa manus internazionale”. Il famigerato “complotto-giudaico-massonico” insomma, evocato persino da un parlamentare della Repubblica che sui propri profili social, di recente, ha pensato bene di accreditare il più osceno dei falsi storici: i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, il testo che fu all’origine di pogrom e persecuzioni sfociate poi nella Shoah. Ma se quelle vomitevoli pagine hanno ispirato e generato massacri, quali pagine possono oggi rafforzare uno sguardo aperto, inclusivo, europeista? Lo abbiamo chiesto ad alcuni collaboratori e amici della redazione.
Anna Foa, storica e autrice tra gli altri de “La Famiglia F.” (Laterza), storia di una famiglia e insieme storia della sinistra italiana, suggerisce le riflessioni prodotte da Altiero Spinelli sul finire degli Anni Cinquanta in “Come ho tentato di diventare saggio” (poi pubblicato diversi anni dopo). Un libro fondamentale perché vi si traccia la ricostruzione d’Europa come fu concepita nei giorni di Ventotene che portarono al celebre Manifesto. Le memorie di Spinelli, dice Foa, aiutano a ripercorrere con sguardo lucido quei giorni di passione civile. E in particolare il sogno di alcuni pragmatici utopisti “che immaginano questa idea meravigliosa in un momento in cui tutto sembra andare nella direzione opposta”. L’idea meravigliosa è non solo un’Europa senza guerre, ma orientata in modo chiaro verso la democrazia. “Si sentono tali sciocchezze al giorno d’oggi che c’è da aver paura. Si sta perdendo purtroppo questa visione, il carattere di apertura democratica che ha avuto l’Europa dal dopoguerra oggi. Senza Europa unita – osserva Foa – saremmo tutti più deboli e a rischio”.
Questa domenica, con protagonista principale lo scrittore israeliano David Grossmann, si svolgerà a Ferrara e su impulso del Meis che ne cura l’organizzazione la decima edizione della Festa del Libro Ebraico. “L’Europa la si difende con la cultura e con i libri” afferma convinta la direttrice del museo nazionale dell’ebraismo italiano Simonetta Della Seta. “Ce lo ricordano anche i nostri visitatori, che sul libro degli ospiti spesso esprimono un concetto: ‘Queste sono le radici d’Europa, questo è il patrimonio da difendere’. Parole – commenta – di cui far tesoro”. Per convincere un euroscettico il suo invito alla lettura è “La strada verso est" di Philippe Sands, tradotto e pubblicato in Italia da Guanda. Un viaggio alla riscoperta delle proprie origini ambientato a Leopoli (oggi L’viv), luogo che già nel nome evoca più di una suggestione. “Una città – riflette Della Seta – che oggi è ucraina, ma che è stata polacca, russa e molto ebraica. Una città simbolo di cosa è stato e del perché l’Europa unita è una prospettiva irrinunciabile”. Il libro proposto non è solo un viaggio all’indietro nel proprio vissuto familiare affascinante di per sé, “ma è anche un testo ben scritto, che coinvolge il lettore e lo lascia senza fiato”.
Guarda a Ventotene anche lo storico Alberto Cavaglion, recentemente chiamato a far parte del Comitato Nazionale per le Celebrazioni Centenario della nascita di Primo Levi. Lo fa attraverso un altro protagonista del sogno europeo ideato in condizione di confino, l’ebreo Eugenio Colorni. “Qualunque pagina di Colorni può funzionare. Tra le altre però suggerisco una lettura forse meno scontata: Il mio poeta. E cioè – spiega – l'affascinante dialogo tra un giovane antifascista che trova appunto in un poeta, Umberto Saba, il suo maestro di libertà”. Un testo che, prosegue Cavaglion, ci insegna che la poesia non ha confini “ed è quindi il miglior viatico contro ogni forma di sovranismo”. Insieme a “Il mio poeta” Cavaglion suggerisce anche la lettura di un saggio di Francesca Sofia inserito all’interno della pubblicazione “Ebrei d’Europa, in Europa. Culture e società” dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Un saggio divulgativo che, afferma, ci dimostra come all’origine stessa dell’idea di Europa ci sia il contributo degli ebrei antifascisti. “Questa, penso, sia la miglior risposta scientifica a un euroscettico”.
Per David Bidussa, storico sociale delle idee, in libreria in questi giorni con “Me ne frego” (Chiarelettere) che racconta il consolidamento graduale del linguaggio dell’odio fascista e anima del recente Festival del Libro Piccolo svoltosi a Genova, la pietra miliare è “Questo Novecento” di Vittorio Foa. “Il perché è presto detto: si tratta del bilancio di un secolo segnato in modo considerevole dalle ideologie e che ci lascia in eredità un insegnamento da scolpire nella testa: a contare deve sempre essere una pluralità di voci, mai una sola. Il futuro lo si costruisce condividendo. E questo – afferma Bidussa – vale naturalmente anche per l’Europa”. Qualcosa non ha funzionato nel progetto europeo, prosegue lo studioso, “ma la risposta non potranno mai essere le soluzioni bambinesche che sento proporre: non si lascia, non ci si ritira in corsa”. La sfida che “Questo Novecento” ci indica, con un messaggio valido anche nel nostro presente e futuro, è conseguente: “Le criticità si devono superare senza abbandonare la partita, anche perché le sfide sono talmente globali che è impossibile pensare di affrontarle da soli”.
Il suggerimento di lettura di Wlodek Goldkorn, giornalista e scrittore, autore tra gli altri dell’autobiografico “Il bambino nella neve” (Feltrinelli), è “Se questo è un uomo” di Primo Levi. “Un libro che – ricorda – ci aiuta a capire come l’alternativa a un’Europa unita e che abbia idea di sé in quanto Europa e non come un insieme di staterelli siano i nazionalismi. Concordo con la definizione data da Agnes Heller, che li definisce ‘Peccato originale d’Europa’. Perché, come la Storia e come Levi stesso ci dimostra, i nazionalismi portano alle dittature. E le dittature al disprezzo e all’annientamento dell’uomo”. Il primo impatto con la più significativa opera di Levi avviene in gioventù. “Ma – dice Goldkorn – l’avrò riletto almeno dieci volte, perché è un libro immenso che parla di valori, vita, morte, cose ultime. Un’opera tra le più belle del Novecento anche e soprattutto da un punto di vista letterario. Concordo in questo con Ernesto Ferrero, che parla di Levi come di un grande scrittore e non tanto come di un testimone. Testimone, per quanto mi riguarda, è uno che si trova in una situazione e non capisce. Sicuramente non fu il suo caso”.
Il suggerimento di Miriam Camerini, autrice e regista teatrale, da poco in libreria con “Ricette e precetti” (Giuntina) che già nella prefazione di Paolo Rumiz spiega come una certa cultura del cibo abbia costruito Europa nel senso più alto del termine, è un altro classico: “La lingua salvata” di Elias Canetti. “Un’opera che – riflette Camerini – illustra chiaramente come lo status dei cittadini ebrei d’Europa sia la cartina di tornasole della modernità e della laicità degli Stati in cui vivono. La storia della famiglia Canetti è anche in questo senso emblematica: il suo benessere e la sua integrazione negli anni felici riflette infatti lo stato di salute dell’Europa prima della Grande Guerra”. Un altro messaggio almeno arriva da queste pagine. Ed è “il ruolo salvifico” esercitato dalla cultura, come magistralmente ispira l’esempio della madre che impone al figlio la dedizione negli studi.
Per un libro “europeista” come quello di Miriam poteva esserci data migliore per la prima presentazione ufficiale della sera del 26 maggio. “Appuntamento al teatro Franco Parenti di Milano alle 21. Una volta finita la presentazione, occhio attento ai primi exit polls. Sperando che dalle urne arrivino buone notizie per chi ha a cuore l’unità nel rispetto delle diversità”.
Sul sito web dell’Archivio Centrale dello Stato da diversi anni è consultabile l’intera raccolta delle interviste a ebrei e rom che hanno subito le persecuzioni in Italia realizzate nell’ambito del progetto voluto da Steven Spielberg per la conservazione della memoria. Fra le molte risorse che contiene ve n’è una particolarmente sorprendente. Si tratta del Thesaurus, cioè l’elenco dei concetti utilizzati per indicizzare la raccolta. Una vera enciclopedia sociale, di grande valore per la nostra contemporaneità, che ci fa toccare con mano quanto sia stretto il legame fra lo studio della storia (in questo caso la consultazione di testimonianze orali) e la nostra vita quotidiana. Ci sono lemmi di portata assoluta: Fame, Sete, Scarpe, Arresti, Fuga, Mendicare.
La parashà di Emor ci racconta della vita e del lavoro dei Cohanim all’interno del Bet ha Miqdash, anche in relazione alla società dell’epoca. Rispetto ai semplici Cohanim, il Cohen gadol doveva essere ancor di più vincolato ad un atteggiamento di rigore nella vita pubblica. Egli era la massima autorità in mezzo al popolo e per questo doveva essere da grande esempio per tutti.
Nel Talmud (Jomà19 a) si commenta l’espressione della Torà “e il Cohen più grande fra i suoi fratelli” dicendo: “Che sia più grande dei suoi fratelli in forza, in bellezza, in saggezza e in ricchezza”.
Un’insegnante di Palermo è stata sospesa 15 giorni perché i suoi allievi in un video per il Giorno della Memoria avevano paragonato le leggi razziste al decreto sicurezza. Chiaramente è difficile dare un giudizio obiettivo senza conoscere i fatti dettagliatamente e senza aver visto quel video, ma anche ipotizzando tutto il peggio del peggio che si possa immaginare la vicenda resta comunque sconcertante.
Prima di tutto per le proporzioni: se un paragone come quello merita due settimane di sospensione cosa si dovrebbe fare agli insegnanti che negano o minimizzano o la Shoah? Eppure nella mia città ci sono stati casi clamorosi, tanto che quando insegnavo alla scuola media ebraica di Torino (una ventina di anni fa circa) si dava praticamente per scontato che i ragazzi ebrei avrebbero evitato di iscriversi a un certo liceo per evitare un certo insegnante. Non parliamo poi di quelli che fanno più o meno apertamente apologia di fascismo.
Bisogna spulciare tra le notizie dei giornali di ieri l’altro – media israeliani, soprattutto – per sapere qualcosa di più sull’accoltellamento avvenuto a Helsingborg, in Svezia, nei confronti di una donna ebrea di sessant’anni. La polizia svedese l’ha definito per il momento un “incidente isolato” e ha aggiunto che non ci sarebbero indicazioni per parlare di un “crimine d’odio” – eufemismo corrente per non esplicitare un attacco antisemita o razzista. Poco o nulla si sa dell’identità dell’assalitore, il Ministero degli Esteri israeliano riferisce che si tratterebbe di un musulmano, ma senza conferme dalla Svezia.