In questi giorni l’Europa intera è chiamata ad esprimersi, ad affidare i propri ideali e le proprie speranze alla più democratica e straordinaria delle conquiste: il suffragio universale. Un voto, quello di domenica, che si annuncia come uno spartiacque storico nel futuro di popoli affratellati oggi da un destino comune dopo che, per secoli, il contenente è stato attraversato da guerre, violenze, spargimenti di sangue.
Il vincolo che ci tiene assieme costituisce certamente una cessione di sovranità da parte di ognuno dei singoli Paesi dell’area UE. Dell’Italia come della Germania, della Francia come dell’Estonia o della Polonia. Ma questo è tutto fuorché un male, è anzi la nostra più solida garanzia di pace e stabilità nel lungo termine come ci insegnano con lungimiranti parole gli autori del celeberrimo Manifesto di Ventotene da cui questo sogno diventato realtà ebbe inizio.
Di fronte al risorgere di inquietanti nazionalismi, populismi e sovranismi che esercitano un fascino nostalgico, promettente e vertiginosamente crescente, a prescindere dal nostro orientamento politico, non possiamo che proclamarci fieri europeisti. E se il progetto di una reale integrazione sociale e di consolidamento di una politica estera europea è ancora lontano dal dirsi pienamente realizzato, questo non può che costituire uno stimolo a migliorare, a irrobustire i presidi che già sono stati impiantati e non certo a fare tabula rasa di una esperienza che, nel corso del suo sviluppo, ha dato e continua a darci ottimi frutti. Va fatto un passo indietro non per rinunciare a quanto fatto ma per vederlo meglio. Si possono e si devono migliorare e correggere meccanismi, normative e politiche settoriali ma mai dimenticare che l’Europa non è un’entità esterna. Essa è noi e siamo noi e definirla sulla base dei principi che abbiamo voluto porre come presupposto di una integrazione tra i popoli.
“Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale” scrivono nel ’41 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. In un drammatico contesto di privazione di libertà e diritti fondamentali, con il nazifascismo trionfante in quasi tutta Europa, un’intuizione che segnerà un nuovo punto di partenza e darà l’avvio alla costruzione dal dopoguerra di un solido patto tra potenze, vinti e vincitrici, per scongiurare l’ipotesi di nuovi orrori e sopraffazioni all’interno dei loro confini.
L’Europa ha davanti a sé il compito di salvaguardare la propria cornice valoriale e il tema della legalità rappresenta in questo senso un asse centrale, con la necessità certamente di tutelare la propria sicurezza e le proprie ricchezze culturali, ma al tempo stesso di salvaguardare le conquiste democratiche e di libertà sancite nel trattato, senza perdere di vista la sfida dell’integrazione nel grande spazio comune che i nostri figli vivono come patria e come casa.
Oggi, con la coerenza che siamo chiamati a mantenere in un presente carico di sfide ma con alle spalle i concreti e benefici effetti di oltre 70 anni di democrazia che troppo spesso diamo per scontati, non possiamo che ripartire da lì. Dal sentiero tracciato da Ventotene, l’isola simbolo della repressione del fascismo su ogni forma di dissenso, dall’Europa unita che ha saputo consolidare i propri assetti con negli occhi e nell’anima le ceneri dei campi di battaglia, delle città devastate, dei campi di sterminio in cui per la prima volta si tentò il genocidio di un popolo che per secoli ha vissuto e donato i propri valori etico-religiosi all’umanità e che ha poi saputo risollevarsi e dar vita anche a un suo Stato indipendente – quello di Israele – che vibra di un’anima europea. Perché non c’è futuro senza consapevolezza delle proprie radici e del proprio passato, nelle pagine nobili e in quelle che invece non lo sono ma che non possono essere dimenticate.
Il Parlamento Europeo e tutte le altre istituzioni che verranno riarticolate sono chiamati anche a definire in modo coerente e coeso le scelte strategiche verso l’esterno e verso il Medio Oriente in particolare.
Il mio invito, nell’interesse della stessa Europa allo sviluppo economico-scientifico, è a una cooperazione con Israele che vada oltre a quanto fatto finora, che prescinda quindi dalla questione palestinese e che sia fondata sulla comprensione di quanto lo Stato ebraico sia una democrazia da tutelare e con la quale crescere. È urgente allora che sia bandito da ogni aula e luogo di propaganda un movimento dai chiari connotati antisemiti come il BDS, come ha stabilito negli scorsi giorni il governo tedesco, e che ogni Stato membro dell’Unione adotti la definizione di antisemitismo formulata dall’International Holocaust Remembrance Alliance che ha tra i suoi cardini proprio la condanna del rifiuto di Israele ad esistere in quanto tale.
Da oltre due millenni gli ebrei d’Europa, e in particolare quegli italiani, partecipano alla vita del continente e allo sviluppo delle strutture che si sono gradualmente formate, al progresso dei saperi, della cultura, della scienza medica. Hanno combattuto per l’unificazione dell’Italia e nella prima guerra mondiale sostenendo i rispettivi eserciti se ne sono sentiti parte. E questo nonostante i Ghetti in cui fummo costretti per secoli, l’Inquisizione, le persecuzioni, le leggi razziste, il nazi-fascismo, la Shoah. Sempre parte, mai in disparte, con antiche radici e antiche scritture ancora oggi avanguardia dei saperi. Un messaggio che deve essere chiaro anche per rilanciare il ruolo fondamentale delle minoranze, l’imprescindibile necessità che ne siano difese l’identità e la libertà di culto.
Per gli ebrei italiani è un voto per la resistenza dei valori e per l’esistenza futura dell’Europa stessa.
Noemi Di Segni, Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(Sul quotidiano La Stampa è oggi uscita una versione abbreviata di questo intervento)
Cittadini e stranieri
Chiamato a ragionare in pubblico sulle dinamiche storiche che hanno condotto nei secoli a definire la dicotomia straniero/cittadino nell’Europa cristiana con uno speciale riferimento alla presenza ebraica, è apparso subito chiaro che il tema è decisamente complicato. Naturalmente la ragione per cui mi è stato chiesto di parlarne riguarda la stretta contemporaneità. Fra due giorni andiamo a votare in Europa e sul falso slogan sovranista dei “padroni a casa nostra” e del “vade retro straniero” si fonda uno scontro politico duro. In questo contrasto gioca un importante ruolo la lettura della storia dell’Europa. Per sfortuna di chi usa la retorica vuota per accaparrarsi consensi il concetto di straniero e quello di cittadino nel nostro continente non ha mai conosciuto un percorso lineare.
“Ezehù Chakham? Ha lomed mikol Adam – Chi è il saggio? Colui che impara da ogni uomo” (avot 4 mishnà 1).
In un mondo ultratecnologico, dove tutti si occupano di tutto e sono esperti di tutto, Google è il nostro maestro di scuola elementare, media, liceo e università.
I maestri della Mishnà, con la loro grande opera dei Pirké avot di circa duemila anni fa, invece insegnavano a riflettere sul comportamento. Non peccare di superbia, non credere di essere ineffabile, ma cerca il più possibile di essere umile e di raccogliere l’insegnamento da chi ti sta intorno, ne sa forse più di te e vive in mezzo a te. Se tutti ci comportassimo così, forse il mondo sarebbe migliore.
Quando ho scritto sul caso della scuola di Palermo la settimana scorsa mi ero premurata di premettere che non avevo ancora avuto la possibilità di vedere il video incriminato. Da venerdì scorso, invece il video è disponibile on line e bastano pochissimi secondi per trovarlo. Eppure è incredibile come molti tra coloro che ne discutono da una settimana a questa parte, favorevoli e contrari, non sembrino essersi dati la pena di guardarlo. E, diciamolo sinceramente, questa corsa del mondo degli adulti a sproloquiare su un argomento senza conoscerlo non è certo un bell’esempio per i giovani. Dunque mi permetto una breve analisi del video che consenta qualche ulteriore riflessione.
“Il 73% degli ebrei americani si sentirebbe meno sicuro rispetto a due anni fa e il 60% ritiene che responsabile di questo nuovo emergere dell’antisemitismo negli Stati Uniti sia la politica di Donald Trump.” Così è stato rivelato da un recente sondaggio del Jewish Electorate Institut pubblicato sul Times of Israel. Secondo l’Anti-Defamation League gli episodi di odio antiebraico, sebbene in leggero calo rispetto al 2017 – anno nel quale è stato registrato il numero più alto degli ultimi tempi-, sono divenuti più violenti, e tutti questi secondo l’associazione sono attribuibili a suprematisti bianchi.
La puntata di domenica 26 maggio apre con un servizio sul Memoriale italiano di Auschwitz restaurato e inaugurato a Firenze in un nuovo, grande spazio espositivo. L’opera, allestita dal 1980 all’interno del Blocco 21 del campo, era stata smantellata nel 2014. Secondo il museo di Auschwitz, non rispondeva alle moderne esigenze di studio e fruizione della memoria e doveva essere quindi rimossa: una decisione motivata anche da ragioni ideologiche e politiche.
Elaborata da un gruppo di intellettuali d’eccezione, lo scrittore Primo Levi, il regista Nelo Risi, il pittore Pupino Samonà, il compositore Luigi Nono, gli architetti Lodovico e Alberico Belgiojoso, trova ora una nuova sede in uno spazio multifunzionale che diventerà anche un polo della memoria per la Toscana e ospiterà mostre permanenti e temporanee.