Antisemitismo, l'Italia adotta definizione Ihra
“Pagina fondamentale per la lotta all'odio”
Accogliendo una richiesta più volte esplicitata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il Consiglio dei Ministri ha oggi approvato la definizione operativa di antisemitismo formulata dall’International Holocaust Remembrance Alliance. Un momento di svolta che allinea l’Italia ad altri Paesi europei e che arriva insieme all’ufficializzazione della nomina della professoressa Milena Santerini come coordinatore nazionale contro l’antisemitismo.
“Il governo italiano – commenta la presidente UCEI Noemi Di Segni, appena appresa la notizia – scrive una pagina fondamentale nella lotta all’odio anti-ebraico in ogni sua forma, compresa quella particolarmente insidiosa di chi mina alla legittimità di Israele di esistere e difendersi. Una lacuna finalmente colmata, come già fatto da altri Paesi europei, sulla base della risoluzione del Parlamento europeo e la più recente e unanime decisione del Consiglio d’Europa. Oggi è una giornata importante che avvierà un percorso di ulteriore esame tecnico legale e di condivisione con altre istituzioni del paese”.
“L’antisemitismo – si legge nella nota diffusa dal governo – è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree, o non ebree, e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto”.
Ripetutamente i vertici dell’ebraismo italiano aveva richiamato il governo e le istituzioni all’assunzione di questo impegno. Come in occasione della recente ondata di attacchi antisemiti negli Usa e in Europa. “Colgo l’occasione – aveva allora commentato la presidente UCEI – per ribadire ancora una volta l’esigenza del recepimento, anche a livello normativo, della definizione di antisemitismo dell’Ihra”. Un invito rivolto a “Governo, Parlamento, Università e sedi di culto e cultura: è necessario che ci sia un riconoscimento di questa definizione, perché consentirebbe di operare”.
Rivolgendosi non più di un mese fa all’allora presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane Gaetano Manfredi, oggi ministro dell’Università e della Ricerca, Di Segni ricordava come la sfida interessi per l’appunto anche il mondo accademico. “Se desideriamo investire sulle giovani generazioni – scriveva Di Segni, in una lettera aperta – riteniamo che un contesto universitario debba adottare programmi, iniziative e un codice di condotta per orientare la conoscenza e formare persone affinché domani sappiano partecipare alla vita civile di questo Paese, affermando i principi costituzionali e comprendendo che le libertà di cui oggi beneficiano sono state la ragione di lotta al nazifascismo, vissuto amaramente da altri, giovani come loro”. Per questo l’invito, come già rappresentato nel 2018 a Pisa, in occasione della cerimonia delle solenni scuse del mondo accademico italiano per la promulgazione delle Leggi razziste 80 anni prima, era stato ad adottare come riferimento, “a integrazione del codice di condotta”, la suddetta definizione.
Tra i comportamenti antisemiti indicati nella definizione dell’Ihra vi sono: negare al popolo ebraico il proprio diritto all’autodeterminazione, cioè sostenere che l’esistenza dello Stato d’Israele è un atto di razzismo; adottare due misure diverse (a Israele) aspettandosi da esso un comportamento non atteso o richiesto a nessun’altra nazione; usare i simboli e le immagini associate all’antisemitismo classico (per esempio accuse di ebrei che uccidono Gesù o l’accusa del sangue) per caratterizzare Israele e gli israeliani; tracciare paragoni tra la presente politica d’Israele e quelle dei nazisti; ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello stato d’Israele. Mentre le critiche rivolte a Israele “che siano simili a quelle mosse a qualsiasi altro Paese” non possono essere considerate antisemite.
“L’adozione della definizione di antisemitismo dell’Ihra è un segnale positivo così come la nomina a coordinatore nazionale di Milena Santerini. Adesso bisognerà vedere come verrà recepita, se ci saranno conseguenze sul piano normativo” afferma Luigi Maccotta, capo della delegazione italiana all’Ihra. “Sono passi significativi e solenni, ancor più importanti perché presi nel mese in cui si celebra il Giorno della Memoria. Ora sarà utile un tavolo tecnico per capire come procedere in modo operativo, guardando magari cosa è stato fatto in Francia, Germania, Grecia. Paesi che hanno già adottato la definizione”. "Ringrazio a nome dello Stato d'Israele il presidente del Consiglio Conte e le forze politiche che hanno sostenuto questa iniziativa", il commento dell'ambasciatore d'Israele in Italia Dror Eydar.
Apprezzamento anche da parte della professoressa Santerini, da oggi in carica, che è docente di pedagogia all’Università Cattolica e vicepresidente del Memoriale della Shoah di Milano. "La definizione di antisemitismo adottata dall’IHRA nel 2016 e ora accolta dal Governo italiano, anche se non giuridicamente vincolante, amplia opportunamente il variegato quadro delle manifestazioni di antisemitismo nel mondo attuale. - spiega Santerini a Pagine Ebraiche - Sarà quindi uno strumento utile per orientare le politiche e le iniziative culturali di contrasto all’antisemitismo sempre più aggressivo delle nostre società. È nostra intenzione, di conseguenza, promuovere una ricognizione completa delle diverse forme che l’antisemitismo assume nel nostro Paese".
“Oggi più che mai è fondamentale ribadire l’importanza di uno sforzo senza tregua contro le parole dell’odio, troppo spesso egemoni nelle curve degli stadi. Una minaccia che non si limita ai novanta minuti di gioco, ma che dagli stadi finisce per propagarsi in tutta la società italiana. Dare un calcio al razzismo è impegno non più procrastinabile”.
È lo spirito con cui Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha ideato l’evento “Un calcio al razzismo” svoltosi ieri pomeriggio nella sede del Centro Bibliografico UCEI. La presidente dell’Unione ha convocato i vertici di sport e calcio italiano, che hanno prontamente aderito. Un momento prezioso per fare il punto sulla consistenza della minaccia ma anche per annunciare nuove iniziative sia di contrasto all’odio sugli spalti (come riconoscimento facciale ad alta definizione e radar passivo) che di sviluppo valoriale, in particolare tra i giovani. “I calciatori – ha detto Di Segni nel corso dell’evento, raccontato in queste ore su tutti i più importanti media italiani – devono avere il coraggio di dire no, in questa partita non gioco. E le società devono prendersi delle responsabilità nel gestire tifoserie di estrema destra, perché le curve non sono dei partiti politici”.
Accanto a Di Segni, protagonisti dello spazio istituzionale, il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori Damiano Tommasi, l’ad della Lega Calcio Serie A Luigi De Siervo e il presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli. A portare una testimonianza anche Javier Zanetti, vicepresidente dell’Inter, da sempre in prima linea contro razzismo e parole di odio. A seguire è poi intervenuto il patron della Lazio Claudio Lotito, che pure ha richiamato l’urgenza di questo impegno. Al suo fianco il calciatore biancoceleste Jordan Lukaku. Anche la vicepresidente del Coni Alessandra Sensini ha ribadito l’importanza della posta in gioco.
Numerose le delegazioni di club professionistici presenti in sala. Tra loro tante giovane e tanti giovani calciatrici. Tutti hanno poi firmato il “Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport” realizzato dall’associazione Parole O_Stili. Un documento che, come ha ricordato la sua ideatrice Rosy Russo, è il risultato di una sintesi dei tanti contributi raccolti tra gli addetti ai lavori. Significativa in questo senso la decisione del direttore di Sky Sport Federico Ferri di donare all’UCEI i dvd di alcuni speciali che intrecciano narrazione sportiva e sfida della Memoria, con l’obiettivo di portarli insieme nelle scuole.
Nel corso dell’incontro, moderato dalla giornalista Paola Severini Melograni, il ministro Spadafora ha dato un importante annuncio: “Sto già lavorando con il presidente della Figc, Gabriele Gravina, all’introduzione di nuove tecnologie che possano aiutarci anche facendo pressione, legittima, sulle società affinché le applichino. Gravina ha avuto un’ottima idea sulla quale ci siamo confrontati, anche insieme ai suoi tecnici”. Ha poi aggiunto il ministro: “Credo davvero che, nel giro di molto poco, avremo nuove misure tecnologiche estremamente avanzate e mai ancora utilizzate nel nostro paese”. Per Spadafora l’UCEI “ha fatto benissimo a organizzare questo incontro, perché da quando mi sono insediato l’ho detto subito, dobbiamo mettere in atto strumenti molto concreti, non solo quando ci sono i cori e occasioni gravi”.
Ha confermato lo stesso Gravina: “Nel medio termine speriamo di arrivare alla sperimentazione di quello che abbiamo chiamato radar passivo, mentre a lungo termine c’è il fatto culturale con il lavoro nelle scuole verso quelli che saranno i tifosi di domani”.
Parlando a nome di tutti i calciatori italiani, Tommasi ha detto: “È fondamentale essere allineati contro il razzismo e l’antisemitismo negli stadi, un tema che ci sta a cuore e del quale si sta parlando a livello internazionale da più mesi”. Così invece De Siervo: “Il razzismo ci sta mangiando da dentro. Non c’è tempo da perdere, dobbiamo fare in due anni quello che in Inghilterra la Thatcher ha fatto in 10 anni”.
Tra i presenti il direttore dell’Unar Triantafillos Loukarelis, che in marzo inaugurerà un osservatorio sul razzismo negli stadi che si candida ad essere un punto di riferimento per tutto il sistema. Un tema che sta a cuore anche all’associazione Gariwo, rappresentata in sala dal suo presidente Gabriele Nissim, che ha da poco lanciato una “carta delle responsabilità” per lo sport.
IL DIALOGO TRA EBREI E CRISTIANI PERDE UNA PROTAGONISTA
Maria Vingiani (1921-2020)
Figura carismatica del mondo cattolico italiano, fondatrice nel 1996 del Segretariato attività ecumeniche, Maria Vingiani ha svolto un ruolo fondamentale nella nuova stagione del Dialogo tra ebrei e cristiani sviluppatasi a partire dalla pubblicazione della Nostra Aetate. Fu infatti lei, nel 1960, a propiziare l’incontro in Vaticano tra lo studioso ebreo Jules Isaac e papa Giovanni XXIII. L’inizio di un’amicizia che avrebbe avuto un peso determinante nella stesura del documento conciliare. “Mi era ormai chiaro – ha scritto Vingiani, ricordando quei giorni – che l’unica vera grave lacerazione era alle origini del cristianesimo e che, per superare le successive divisioni tra i cristiani, bisognava ripartire insieme dalla riscoperta della comune radice biblica e dalla valorizzazione dell’ebraismo”.
Si apre con le voci dei Testimoni della Shoah, la puntata di Sorgente di Vita in onda su Rai Due domenica 19 gennaio.
Un racconto corale, in cui i sopravvissuti allo sterminio nazista raccontano la loro terribile esperienza: il viaggio nei vagoni piombati, la selezione sulla rampa di Auschwitz-Birkenau, la solitudine, la fame, la paura, la vita e la morte nel campo.
Nel momento in cui i testimoni, per ragioni anagrafiche, stanno scomparendo, il testimone della Memoria passa ai giovani.
“In Italia, dove la persecuzione c’è stata, si vorrebbero abolite, non sulla carta soltanto, ma nei cervelli, anche le premesse per le quali la persecuzione stessa ha potuto essere, non dirò approvata, ma sopportata, senza che da parte di molti ci fosse una vera, profonda, sincera rivolta morale.”
Sono poche, lapidarie parole scritte nella Roma liberata già a novembre 1944 da Silvia Forti Lombroso, autrice del libro Si può stampare pubblicato poche settimane dopo dalla casa editrice Dalmatia e ora riproposto in versione anastatica dalle edizioni Il Prato nella collana Scale Matte della Fondazione CDEC. Una testimonianza preziosa e attuale, uno strumento utile ad affrontare la riflessione sulle persecuzioni antiebraiche e sulla Shoah in Italia.
“E quanto più li opprimevano, tanto più aumentavano e la popolazione si estendeva” (Shemòt 1;12).
Chiesero gli alunni al proprio maestro: “perché per celebrare l’uscita dall’Egitto mangiamo l’uovo sodo?” Allorché egli rispose: “l’uovo è diverso da qualsiasi altro cibo. Più i cibi vengono cotti, più divengono morbidi, masticabili e digeribili; l’uovo, a differenza di essi, diviene sempre più duro e resistente. Così avviene per il popolo ebraico: se gli altri popoli subiscono una persecuzione, spariscono dalla faccia della terra, così come è avvenuto per gli egiziani, i babilonesi, i greci e i romani, di cui non c’è più alcuna traccia vivente.
Capita spesso di valutare cause e conseguenze solo sul breve periodo e di trascurare gli effetti che si manifestano con il trascorrere del tempo. Nel 1815, per esempio, si sarebbe potuto pensare facilmente che la rivoluzione francese, con tanto di dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, fosse stata un completo fallimento, oggi è chiaro a tutti che quei principi sono alla base delle democrazie moderne. Bisognerebbe sospendere il giudizio e aspettare che le conseguenze diluite nel tempo si manifestino, ma non sempre si ha la possibilità (e la volontà) di farlo, soprattutto se si deve andare a votare ogni quattro o cinque anni. Queste riflessioni si possono applicare a innumerevoli ambiti, dalla politica italiana ed europea alla vita delle nostre Comunità, dai mutamenti climatici al processo di pace in Israele. In molti di questi ambiti, anche se purtroppo non in tutti, la prospettiva del lungo periodo può offrire uno spiraglio di cauto ottimismo.
Spesso i popoli che abitano il Medio Oriente vengono raccontati da certi sostenitori radicali dello “scontro di civiltà” come dei barbari non troppo lontani dalle bestie, senza troppe distinzioni. Come fanatici che lapidano le donne per le strade, partecipano esultanti alle esecuzioni pubbliche, e a seguito di un attentato terroristico si riversano poi per le strade a distribuire dolcetti e bevande per festeggiare. Le proteste nelle piazze di questi mesi in Iran, come quelle ultime correlate al ricordo delle vittime del Boeing ucraino abbattuto dalle Guardie rivoluzionarie, dovrebbero cercare di smontare questa visione monolitica e stereotipata.