“La prevenzione è la prima difesa”. Lo ha sottolineato più volte a Pagine Ebraiche il medico e vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Mortara, analizzando il lavoro dei servizi sociali UCEI e delle residenze per anziani delle diverse Comunità. Proprio le case di riposo, o nel senso più ampio le Rsa, sono al centro delle cronache di queste settimane di emergenza sanitaria: gli anziani sono la fascia più a rischio e l'adozione tempestiva di misure per prevenire il contagio da Covid-19 nelle Rsa è un fattore chiave per tutelarli. Lo ricorda a Pagine Ebraiche chi si occupa direttamente della gestione di alcune delle case di riposo dell'Italia ebraica. “Abbiamo effettuato i tamponi su tutti i nostri ospiti della Residenza Arzaga e tutti sono risultati negativi – spiega Antonella Musatti, assessore della Comunità ebraica di Milano con delega alla casa di riposo – La nostra equipe diretta da Antonio Rizzo ha agito immediatamente e sono stati molto molto previdenti, attuando tutte le misure di prevenzione da subito: riduzione degli assembramenti, utilizzo dei dispositivi di protezione personali come mascherine e guanti, distanziamento sociale, sospensione delle attività di animazione ed eventi, riduzione e poi sospensione delle visite dei parenti. L'unico operatore risultato positivo al Covid-19, aveva avvertito tempestivamente di non sentirsi bene ed è stato allontanato subito dalla struttura”. All'inizio (si parla di fine febbraio), spiega Musatti, i familiari non capivano: “erano state contingentate le entrate con la possibilità per un parente alla volta di entrare e poi già da inizio marzo, in anticipo sui tempi, è stato completamente vietato l'ingresso. I parenti, comprensibilmente, si erano lamentati di non poter più vedere i propri cari ma poi hanno capito e ci hanno ringraziato”. Le Rsa delle Comunità ebraiche di Torino, Firenze e Roma si sono tutte mosse per tempo. “Non abbiamo casi positivi – conferma il presidente della Casa di Riposo di Roma David Barda - Tutte le misure di sicurezza, in raccordo con l'Asl, sono state applicate. Nessuno può visitare gli ospiti e abbiamo ridotto alcune attività. Fortunatamente disponiamo di un parco nella struttura e le persone, con le dovute precauzioni, possono utilizzarlo. La nostra difficoltà al momento è nell'approvvigionamento del materiale sanitario, in particolare dei camici monouso ma ci stiamo lavorando”. In caso emerga un caso di contagio, aggiunge Barda, è stata disposta una stanza “che si era liberata per mettere subito in quarantena la persona positiva. L'impegno è a tutelare tutti”.
A Torino si è provveduto in anticipo a isolare la struttura, racconta la vicepresidente della Comunità ebraica Alda Guastalla, che si occupa della casa di riposo “Salomon e Augusto Segre”. “Grazie alla direzione, già a metà febbraio la struttura è stata sigillata. Tanti controlli sono stati fatti seguendo protocolli molto rigidi che per fortuna hanno avuto i loro effetti”. Alla Rsa era arrivata una richiesta rispetto alla disponibilità ad ospitare pazienti positivi al Covid-19 provenienti da fuori ma la Casa di riposo era, come spiega Guastalla, sigillata per tutti.
All'Ospizio Israelitico Ospedale "Settimio Saadun" della Comunità ebraica di Firenze la situazione è sotto controllo, spiega Ugo Caffaz, a lungo presidente della struttura e oggi parte del Consiglio. “Stiamo aspettando i risultati dei tamponi per una signora e due operatori per escludere contagi. Abbiamo effettuato diversi esami sul personale e sugli ospiti e impedito l'accesso ai parenti quasi da subito. Ci rifacciamo all'azienda sanitaria per le misure da prendere anche in futuro. Ci rendiamo conto che sia difficile per tutti l'isolamento e usiamo le videochiamate per mettere in contatto gli ospiti con i familiari fuori. Purtroppo non è la stessa cosa ma il personale fa di tutto per garantire che il contatto ci sia”. Un elemento, quest'ultimo, che accomuna tutte le esperienze: da Roma a Milano, da Torino a Firenze, la videochiamata è il ponte che permette a chi è nelle case di riposo di mantenere i contatti con il mondo di fuori. “A Torino è stato organizzato anche un mini Seder di Pesach a cui hanno partecipato quattro donne. - racconta Guastalla - Monica Fucetti, con noi da tanti anni, ha organizzato tutto e loro erano felicissime di questa opportunità”. Bisogna infatti immaginarsi, ricordano tutti i referenti sentiti da Pagine Ebraiche, quanto sia complicato per gli ospiti psicologicamente questo momento. “Devo dire che a Milano le testimonianze di chi lavora nella residenza Arzaga sono commoventi. - afferma Musatti – Mi raccontano di persone che con le proprie capacità residue quasi confortano e danno forza a infermieri e operatori. Persone che hanno affrontato la tragedia della guerra, non dimentichiamolo, e che oggi ancora dimostrano la loro forza”.
Daniel Reichel
(Nell'immagine, gli operatori sanitari della Residenza Anziani Arzaga
della Comunità ebraica di Milano)
"Anche una telefonata è importante per non sentirsi soli". Medici e membri della piccola realtà ebraica calabrese, i coniugi Roque Pugliese e Ivana Pezzoli raccontano nell'ultimo video pilpul – l'approfondimento curato dalla redazione di Pagine Ebraiche - cosa significa essere in prima fila nell'emergenza sanitaria e mantenere una vita ebraica lontana dalle grandi comunità.
L'ANNIVERSARIO DELLA RIVOLTA DI VARSAVIA E L'INIZIATIVA UCEI
Gli eroi del Ghetto, il ricordo in rete
Ogni 19 aprile, nell’anniversario dell’insurrezione del Ghetto di Varsavia, Marek Edelman deponeva un mazzo di fiori gialli sotto il monumento agli Eroi della rivolta. Un modo per ricordare chi, nel 1943, combatté al suo fianco contro i nazisti. Edelman infatti – scomparso nel 2009 a Varsavia – era il vicecomandante di quella famosa insurrezione (750 eroi che per un mese tennero testa alla ferocia nazista) che l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ricorderà questo 19 aprile con un appuntamento in rete: sul canale Facebook UCEI infatti, a partire dalle 10.30, diversi interventi ricorderanno l'importanza della rivolta del Ghetto di Varsavia, i suoi protagonisti e la cultura ebraica di cui facevano parte. Tra gli ospiti dell'iniziativa, gli storici Andrea Bienati e Dario Teitelbaum, il giornalista Wlodek Goldkorn e l'attore Olek Mincer.
Nomi
Diamo un nome ad ogni numero. Le carneficine del Novecento ci hanno insegnato che i grandi numeri, tanto impressionanti quanto astratti, non ci hanno aiutato ad assegnare il giusto peso ad ognuna delle perdite umane che rappresentano.
Dall’inizio della diffusione del virus Covid-19 in Italia abbiamo avuto oltre 20mila morti. Per la fine della crisi, che ancora fatichiamo a intravedere con precisione, il numero avrà probabilmente oltrepassato i 25mila. In due mesi abbiamo cioè perso una cittadina di medie dimensioni.
Dopo aver descritto un lungo elenco di animali proibiti e uno meno lungo di quelli permessi per l’alimentazione la Torà conclude dicendo: “Poiché Io sono il Signore vostro D-o, vi santificherete e sarete santi, poiché Io sono santo e non renderete impure le vostre persone a causa di tutto il brulicame che striscia sulla terra".
Mangiare solo a casa propria, rinunciare alle cene con gli amici, non poter prendere neppure un caffè al bar. Fino a un anno fa (ma sembra che siano passati secoli) queste limitazioni duravano solo otto giorni e già prima dell’inizio di Pesach pregustavamo le piccole gioie della fine: la pizza fragrante appena uscita da un forno a legna, il conforto di un buon caffè prima di entrare al lavoro o bevuto con i colleghi, e tante altre piccole cose che forse in otto giorni neppure avremmo avuto il tempo o la voglia di fare ma che la proibizione rendeva straordinariamente desiderabili.
“Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? / Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. / Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra? […]” così si chiede il “lettore operaio” in una poesia di Bertolt Brecht, perché la storia delle “classi subalterne” non è raccontata nella “storia ufficiale” quella dei “grandi uomini” e delle “grandi imprese”? Le vestigia del mondo passato sono state costruite con il sudore e il sacrificio di umili lavoratori: artigiani, manovali, muratori, facchini… poi in gran parte dimenticati. Brecht cerca con questo scritto di tracciare una coscienza di classe universale post litteram che superi il tempo e la storia.