QUATTRO MEMBRI DELLA COMUNITÀ SONO STATI INCARCERATI DURANTE LE PROTESTE
Ebrei iraniani, tra lotta per la libertà
e propaganda di regime
L'8 maggio del 1979 Habib Elghanian, dopo un processo di venti minuti, fu condannato a morte e giustiziato da un plotone d'esecuzione. Il tribunale islamico del regime khomeinista lo ritenne colpevole di essere “una spia sionista” e di “aver fatto guerra a Dio e al suo Profeta”. Elghanian era sia uno degli uomini d'affari più importanti dell'Iran pre-rivoluzione sia il punto di riferimento della comunità ebraica del paese. Aveva passato la vita a far rifiorire quest'ultima e allo stesso tempo a facilitare gli ebrei che desideravano fare l'aliyah in Israele. Imprigionato il 16 marzo 1979, Elghanian divenne il primo ebreo, come raccontò il Time all'epoca, ad essere ucciso dal nuovo potere islamista installatosi a Teheran. Il suo assassinio contribuì a convincere decine di migliaia di ebrei iraniani a lasciare il paese. La stragrande maggioranza degli 80mila membri della Comunità emigrarono. Chi rimase, dovette sottostare alle rigide regole del regime degli Ayatollah, alla sua repressione e alle sue minacce. E in questo clima, spiegano oggi gli analisti, vanno letti i recenti comunicati della Comunità ebraica a sostegno del governo e non di chi manifesta nelle piazze nel nome di Mahsa Amini e della libertà. “Purtroppo gli sgherri del regime costringono sempre i leader ebrei e di altre minoranze religiose in Iran a rilasciare nei media dichiarazioni favorevoli al governo. - spiegava al Jerusalem Post Karmel Melamed, giornalista e voce della Comunità ebraica iraniana in esilio - Oppure spesso li fanno sfilare davanti ai programmi televisivi occidentali per elogiare il regime come parte di uno sforzo propagandistico per far apparire il regime in buona luce”.
Proprio Melamed, che copre e sostiene a distanza le manifestazioni in Iran, ha rivelato che di recente cinque ebrei sono stati arrestati dalle autorità. Uno è stato rilasciato mentre sugli altri la comunità ebraica sta ancora mediando per la scarcerazione. La loro partecipazione, spiega il giornalista, rappresenta una rottura rispetto all'atteggiamento delle generazioni più anziane.
LE PAROLE DELL'AMBASCIATORE MAROCCHINO IN ISRAELE SUL SUCCESSO AI MONDIALI
"Marocco, una vittoria che unisce"
Per quanto riguarda lo sport, ovunque oggi si celebra il risultato del Marocco, prima squadra africana a raggiungere le semifinali di un Mondiale. Anche i media israeliani si sono uniti al coro di chi omaggia la selezione dei “Leoni dell'Atlante”. “Il mondo è impazzito” titola ad esempio l'edizione odierna del popolare quotidiano Yedioth Ahronoth, con l'immagine della squadra nordafricana in festa dopo aver battuto il Portogallo. Un risultato celebrato in Israele dalla grande comunità ebraica marocchina - oltre 250mila persone - così come dai cittadini arabi e dai palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. I media locali hanno raccontato i diversi festeggiamenti, senza dimenticare un episodio saltato agli occhi di molti: la bandiera palestinese mostrata da alcuni giocatori marocchini per esultare dopo il fischio finale. Un tema di cui l'ambasciatore del Marocco in Israele Abdel Rahim-Biod non ha parlato, ma ad Haaretz ha voluto dare una sua lettura della vittoria, celebrata in un locale di Tel Aviv, adibito per l'occasione con bandiere marocchine. “Quello che avete visto è magico. Stiamo cercando di sviluppare tutto: sport, infrastrutture, tutto ciò che riguarda i giovani. E ora si vedono i risultati. - ha spiegato il diplomatico - Il successo della squadra non è venuto dal nulla”. E così, ha aggiunto, anche i rapporti tra Rabat e Gerusalemme non sono venuti dal nulla.
A GENOVA IL PREMIO PRIMO LEVI ALLA MEMORIA DEL SUO FONDATORE
Piero Dello Strologo, il ricordo di un protagonista
Nel corso degli anni dalle mani di Piero Dello Strologo è transitato un riconoscimento che ha messo insieme Elie Wiesel e Simone Veil, Lea Rabin e Andrzej Wajda, Jakob Finci e Liliana Segre. Un appuntamento con le radici a Genova ma con lo sguardo rivolto al mondo il premio conferito annualmente dal Centro Culturale Primo Levi di cui è stato fondatore e anima. Ogni volta, ogni autunno, un evento speciale per la città. Quel premio così tenacemente voluto e portato a un livello qualitativo altissimo gli sarà ora conferito in memoria, a poco meno di un anno dalla scomparsa, nel corso di una cerimonia che si svolgerà nel pomeriggio nella Sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale. L’occasione per ripercorrere oltre trent’anni di lavoro e impegno: tutto, raccontava Dello Strologo, era nato “davanti a un notaio e all’interno di una libreria chiusa al pubblico”, con la partecipazione di “una ventina di persone di diverso credo religioso, origine e opinione politica”. Fu scelto di rendere omaggio all’autore di Se questo è un uomo perché, affermava, “non aveva ancora raggiunto la fama di testimone e scrittore che lo rende oggi non solo il simbolo più alto della sofferenza di un popolo, ma anche del riscatto ottenuto attraverso una testimonianza priva di odio e rancore nei confronti della violenza subita”.
(Nell’immagine: Piero Dello Strologo insieme a Liliana Segre durante la sua premiazione)
Il nome di Elena Di Porto aleggia, più o meno esplicitamente, in molta letteratura dedicata al 16 ottobre 1943 (in primis l’omonimo libro di Giacomo Debenedetti). Di “Elena la Matta”, che però “matta” non lo era per niente, si sapeva però finora troppo poco. E quel poco era spesso confuso e frammentato. A restituire un’identità a questa figura iconica dell’ebraismo romano arriva ora il saggio La matta di piazza Giudia (ed. Giuntina), a cura del funzionario archivista Gaetano Petraglia.
L’autore la segue dall’inizio alla fine della sua breve vita, dalla gioventù nell’ex Ghetto fino alla deportazione ad Auschwitz-Birkenau. Tra questi due estremi i ricoveri nell’ospedale psichiatrico, gli scontri con le squadracce fasciste, l’esperienza del confino. Il ritorno a Roma e il suo estremo tentativo, alla vigilia del 16 ottobre, di mettere in guardia dal pericolo incombente sulla Comunità.
IL NUOVO RECITAL COMPOSTO DA RICCARDO JOSHUA MORETTI
“Anime sottili”, tra acqua e cielo
Al confine tra acqua e cielo, tra realtà e mistero. Una realtà “che appartiene ai concetti misteriosi della mistica cabalistica, anche se nell’arco di tutto il lavoro compositivo e coreografico non vi è uno specifico riferimento a ciò che si intende come ‘musica nella tradizione ebraica’ ma vi è piuttosto un linguaggio reciproco di emozioni e sensazioni che possono essere date dai concetti di quel confine in cui il corpo si libera della proprio anima e della propria coscienza”.
Al Teatro Golden di Roma la prima nazionale di “Anime sottili”, il nuovo recital scritto da Riccardo Joshua Moretti. Direttore d’orchestra, musicista e compositore, Moretti è anche presidente della Comunità ebraica di Parma e Consigliere UCEI. Questo nuovo lavoro, racconta, nasce con l’idea “riavvolgere il nastro della produzione musicale e coreografica, andando alla ricerca degli aspetti più essenziali delle due forme artistiche”. Musicalmente parlando, una ricerca protesa “alla riscoperta di sonorità prive di qualsiasi forma meramente virtuosistica per dare spazio all’essenzialità, sia melodica che armonica”. Musica e danza: un dialogo costante nella produzione di Moretti e che va a riproporsi anche in questa circostanza. “Le mie musiche un po’ descrivono. La danza, di conseguenza, è la forma artistica che mi assomiglia di più”.