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L'Unione informa |
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27 maggio 2009 - 4 Sivan 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
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del matàn Torà, comè noto, gli ebrei dicono naasè venishmà - faremo e
ascolteremo -. Questa frase può essere interpretata in vari modi ma
l'interpretazione più diffusa è che il popolo ebraico si impegna a fare
anche senza capire. Quest'impegno del popolo sembra contraddire uno dei
principi fondamentali dell'ebraismo, l'importanza dello studio ma non è
così. E' fuori discussione che si debba tentare per quanto possibile di
approfondire e di capire. Qui però si parla del patto di Dio che
precede il dono della Torà. Questo patto è paragonato nella tradizione
ebraica a un matrimonio. E un legame matrimoniale si stabilisce per una
serie di motivazioni razionali ma anche per qualcosa di indefinibile,
di non razionale. Anche il nostro legame con l'ebraismo può e deve
essere un legame razionale ma contiene alcuni elementi che vanno al di
là della ragione. |
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Fin
dall'anno dell'indipendenza, nel 1948, il problema del terrorismo ha
piagato il paese, e la sua longa manus ha colpito anche all'estero. I
continui sanguinosi atti di violenza esprimono la non accettazione, da
parte della minoranza, della sovranità nazionale della maggioranza
della popolazione, e l'esigenza di due Stati per due popoli. Il
problema dei profughi è annoso e angosciante. Centomila finora i morti
nella tragica spirale dell'estremismo. Questa settimana, però, lo Stato
ha riaffermato il proprio incontrastato dominio su tutto il territorio
nazionale con l'uccisione dei capi del movimento indipendentista, con
l'espulsione dalle loro zone residenziali e con la riduzione allo stato
di rifugiati dei membri della minoranza. A parte qualche debole
eccezione, i mezzi di comunicazione e le organizzazioni internazionali
hanno manifestato scarso interesse alla vicenda. Nessuna carovana
umanitaria, nessuna raccolta di miliardi di euro per la ricostruzione.
Gli 8000 morti solo quest'anno nel conflitto non hanno fatto notizia.
Nessuna protesta dell'ONU o della Croce Rossa Internazionale. I nostri
sagaci lettori lo hanno capito subito: stiamo parlando del conflitto
fra lo Stato dello Sri Lanka e la minoranza Tamil. Ancora un volta
abbiamo avuto una testimonianza indimenticabile dell'ipocrisia della
politica dei due pesi e delle due misure, e dei suoi portavoce. |
Sergio Della Pergola,
demografo, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Qui Trieste - La diversità umana, tra biologia, narrazione e storia
Il
colore della pelle, la religione, l'appartenenza nazionale o
l'orientamento sessuale. La logica del pregiudizio e dei razzismi si
nutre di una costellazione di stereotipi, spesso cristallizzati da
secoli, che alimentano intolleranza e odi. Ma cosa distingue gli esseri
umani tra loro? Cosa origina le differenze che li separano? Le
diversità sono un dato immodificabile di natura o il frutto reversibile
di circostanze legate all'ambiente, alla storia, alla cultura su cui si
può intervenire in modo efficace attraverso gli strumenti
dell'educazione e della riflessione? Alla diversità umana e ai mille
stereotipi che la circoscrivono è dedicato un importante convegno che
da oggi vede riuniti a Trieste neuroscienziati, genetisti, tra cui Luca
Luigi Cavalli Sforza della Stanford university, storici, narratori ed
esperti di letteratura. L'incontro, organizzato dal Dipartimento
di storia e storia dell'arte dell'ateneo triestino e dalla Scuola
dottorale in scienze umanistiche in collaborazione con la Sissa –
Scuola superiore di studi avanzati con il supporto della della
Fondazione Kathleen Foreman Casali, si propone infatti di affrontare il
tema delle differenze in una marcata ottica interdisciplinare. “Vogliamo
considerare gli stereotipi della diversità – spiega Giacomo Todeschini,
direttore del Dipartimento di storia e storia dell'arte – sia sul
fronte della realtà biologica, e dunque alla luce delle ultime
acquisizioni nel campo delle neuroscienze e della genetica sia sul
versante della storia e della letteratura”. “In altre parole – continua
– vorremmo riuscire a capire in che modo il cervello percepisce la
diversità umana, se vi sono delle differenze genetiche tra l'una e
l'altra popolazione o se siamo tutti una grande famiglia e quali sono
infine i meccanismi che costruiscono lo stereotipo per poi veicolarlo e
diffonderlo attraverso la narrazione”. Parlare di razzismi e diversità mettendo insieme umanisti e scienziati è un'idea piuttosto originale. E' senz'altro un approccio nuovo. A dare spunto a quest'iniziativa è la pubblicazione del primo volume Terra e popoli
nell'opera edita da Utet dedicata alla Storia della cultura italiana
diretta da Luca Cavalli Sforza, uno dei maggiori genetisti del mondo,
che partecipa al nostro incontro. Un contributo importante è venuto poi
dalla Scuola dottorale in scienze umanistiche diretta da Guido
Abbattista che al tema delle diversità ha dedicato quest'anno una serie
di approfondimenti. Con questo convegno vorremmo infatti lanciare un
messaggio alla comunità scientifica perché discipline diverse imparino
a lavorare insieme allo smontaggio degli stereotipi. Il razzismo di solito viene invece trattato in ottica storica o etica. La
realtà ci dimostra che il tentativo di educare in chiave democratica e
antirazzista non ha avuto successo. Su questo argomento i discorsi sono
stati finora molto frammentati, umanisti e scienziati hanno detto la
loro ciascuno per conto suo. Ma si può produrre educazione solo a
partire da una riflessione più complessiva. Altrimenti si rischia di
predicare a vuoto. E' un tentativo di mobilitare gli scienziati contro i razzismi? Senz'altro.
Siamo convinti che da questo punto di vista il clima sia ormai
inquietante. Gli atteggiamenti razzisti si esprimono in un linguaggio
sempre più pervasivo mentre meccanismi antichi di discriminazione
rischiano di trovare forme specificatamente giuridiche. E' un momento
di emergenza in cui vediamo riaffacciarsi antichi fantasmi accompagnati
da un'ignoranza che viene diffusa e coltivata così favorire un clima di
oblio. Eppure mai come in questi anni si è parlato di lotta al razzismo e di Shoah. Il
ricordo della Shoah, come sottolineato anche dalla storica Annette
Wieviorka, è un meccanismo di santificazione. Ciò è funzionale alla
legalizzazione di attività discriminatorie nei confronti di altri: in
modo paradossale il discorso è utilizzato per sdoganare nuovi discorsi
e stereotipi profondamente intrisi di razzismo.
SkyLink e Comunità Ebraica di Roma ancora aiuti umanitari per gli abruzzesi
Proseguono gli aiuti umanitari per i terremotati d'Abruzzo. Nell'immagine un momento dell'incontro di Roma fra
i rappresentanti della Comunità Ebraica della capitale, della SkyLink
(società canadese che collabora per conto di numerosi governi a
missioni di aiuto in zone di emergenza in tutto il mondo) e della
Protezione Civile, in cui è avvenuta la donazione di medicinali per la popolazione abruzzese. All'incontro di Roma hanno partecipato fra gli altri: Riccardo Pacifici (presidente della Comunità), Emanuele Di Porto (segretario generale della Comunità), Jacques Luzon (Consigliere della Comunità), il responsabile della Protezione Civile di Roma dottor Aldo Aldi, David Zard, e l'amministratore delegato della SkyLink Italia Luciano Merenda. |
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pilpul |
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Il problema della macellazione rituale ebraica e la libertà delle minoranze religiose
Gli interventi del Rav Giuseppe Laras, del Rav Riccardo Di Segni e poi del Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Valerio Di Porto, su moked.it - il portale dell'ebraismo Italiano hanno messo in luce la gravità della situazione della Schechità ebraica nell'Unione Europea e come bisogna essere sempre preparati anche nell'offire spiegazioni valide. Vorrei
permettermi di segnalare a proposito un recente articolo che ho
preparato assieme a un docente israeliano di diritti degli animali, il
dottor Pablo Lerner e pubblicato sulla rivista americana Journal of Law and Religion
(XXII, 2007): "The Prohibition of Ritual Slaughtering (Kosher Shechita
and Halal) and Freedom of Religion of Minorities", proprio per
rispondere ad argomenti che sentivamo avanzare nei gruppi di bioetica
con cui eravamo in contatto. L'Istituto Italiano di Bioetica ha
ottenuto il permesso di riprodurre il nostro studio nel suo sito, onde
il lettore interessato potrà trovarlo anche all'indirizzo www.istitutobioetica.org. Non
meno interessante è che il preside della facoltà di Giurisprudenza di
Trento, professor Roberto Toniatti, titolare della cattedra di Diritto
Costituzionale Comparato, ha creduto opportuno farne preparare una
traduzione italiana (a cura della dottoressa Cinzia Piciocchi); essa
verrà pubblicata con una prefazione del professor Toniatti fra le
pubblicazioni della facoltà di Giurisprudenza di Trento. Naturalmente le autorità rabbiniche competenti dovranno pronunciarsi anche sul fatto se sia ammissibile uno stordimento dopo la Shechità. È già stato ricordato il collegamento con l'antisemitismo; può essere interessante notare come anche il giornale La Stampa
abbia ravvisato un legame tra tale divieto e l’antisemitismo. Il
giornale evidenzia come uno dei primi atti di Hitler, dopo aver preso
potere il 30 gennaio 1933, fu di proibire la Shechità ebraica (a partire dal 21 aprile dello stesso anno).
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme |
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rassegna stampa |
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Oggi
iniziamo il commento alla rassegna stampa con un omaggio, dovuto quanto
sentito. Si è spento ieri a Baggiano, sulle colline intorno a
Montecatini, Amos Elon, grande intellettuale storico e giornalista
israeliano nato a Vienna nel 1926. Risiedeva in Toscana dal 2004. Il
suo esilio volontario, critico e sofferto da Israele (dove era giunto
nel 1933 fuggendo dal nazismo), aveva fatto molto discutere cinque anni
fa, quando lo scrittore aveva spiegato la sua scelta ad Ari Shavit sul
“suo” Haaretz, il giornale di cui era stato per anni una delle firme
più prestigiose. Ce ne parla su Repubblica
un commosso e intenso ritratto tracciato da Sandro Viola. Ne esce a
tutto tondo lo storico dell’ebraismo europeo e del sionismo: basta
citare en passant gli insostituibili saggi sui Rothschild, sugli ebrei
tedeschi dal 1743 al 1933 (“Requiem tedesco”), su Theodor Herzl, su
“Gerusalemme città degli specchi”. Ne esce soprattutto il profilo di un
israeliano che per quasi quarant’anni ha messo in guardia con passione
davanti ai rischi dell’espansionismo interno successivo alla Guerra dei
Sei Giorni. Un israeliano dalla radicata identità nazionale ma ormai
“deluso dal suo paese”, avvolto dall’ “amarezza” per le occasioni
perdute rispetto al nodo fondamentale (la questione
israelo-palestinese) e avvinto da una “stanchezza mortale” per
l’immobilismo della politica israeliana. Bello e importante l’articolo
di Viola, teso a farci riflettere. Certo scomodo e forse “sgradevole”,
esattamente come per molti versi era Elon. Ma l’autoanalisi critica del
passato non è forse preferibile all’auto-apologia? Molto meno incisivo,
al confronto, un altro pezzo sullo storico israeliano, pubblicato da
Umberto De Giovannangeli sull’Unità.
Una perla rivelatrice: per un lapsus freudiano l’articolista parla di
“focolaio” nazionale ebraico in Palestina guidato da Ben Gurion.
Insomma, posta in questi termini, una fonte di infezione! L’analisi
critica della realtà israeliana ci porta alla cronaca politica di
questi giorni. L’immobilismo sembra purtroppo dominare anche la linea
del nuovo governo. Attendismo e assenza di iniziative concrete.
Mancanza di creatività politica e rischio effettivo di perdere un ruolo
forte nel presente e nel futuro della questione mediorientale. Si vede
poco altro all’orizzonte. Si può anche arrivare a capire la ritrosia
del governo Netanyahu nell’aggregarsi passivamente al carrozzone oggi
vuoto dei “due popoli, due Stati”, cavalcato con una certa faciloneria
da un Obama in cerca di risultati tangibili. Ma questo è il punto. E’
proprio il rifiuto pregiudiziale a denunciare la passività dell’attuale
linea politica israeliana. Una passività che rivela nel fondo
un’ostinata chiusura, rischiando in definitiva di tagliare fuori
Israele dai giochi che contano e accentuando oltretutto in modo
pericoloso l’ostilità palestinese. Quando invece un’accettazione di
massima del principio potrebbe dare a Netanyahu la forza e
l’opportunità politica di avanzare precisi distinguo, di presentare
proposte equilibrate nel contesto specifico della divisione
territoriale. Ciò che farebbe di Israele un protagonista trainante e
vincente, non uno scoglio recalcitrante quale oggi appare all’opinione
pubblica mondiale. E invece non si fa molta strada, finché a dominare
la scena sono la proposta di legge di Lieberman tesa a chiedere agli
arabi israeliani un giuramento preventivo di fedeltà al carattere
ebraico, sionista e democratico dello Stato (Stefania Podda su Liberazione)
o la conferenza del Likud alla Knesset volta a riproporre l’ “opzione
giordana” come soluzione alla questione palestinese (Michele Giorgio
sul Manifesto).
Certo, anche in questi articoli le due testate della sinistra radicale
non perdono occasione per dimostrare il loro pesante pregiudizio
anti-israeliano. Ma l’emergere di tendenze così chiuse dalla politica
di Gerusalemme offre loro la polemica su un piatto d’argento. Paradossalmente,
l’immagine dell’apertura politica alla trattativa arriva oggi – almeno
sulla carta stampata – dal settore palestinese, sinora bloccato dalle
faide interne e incapace di darsi un’autentica prospettiva politica. In
un’interessante intervista all’Unità,
a cura di uno specialista un po’ “di parte” come il solito De
Giovannangeli, Abu Ala (negoziatore di Oslo ’93 e incaricato Anp per il
dopo-Annapolis) parla a tutto campo di progressi essenziali verso un
accordo con Hamas in vista di un nuovo governo palestinese unitario, di
possibile ripresa della trattativa con Israele a fronte di una rinuncia
totale allo sviluppo degli insediamenti nei Territori (neppure il
cosiddetto “sviluppo naturale”), di un problema risolto al 70% se ci si
accorderà sui confini. E poi, naturalmente, grandi elogi
all’attivissimo Obama e ricetta vincente vista nel piano saudita.
Niente di nuovo, come si vede: cose dette e stradette. Ma l’immagine è
e sarà quella del coinvolgimento, della ricerca di dialogo, della
disponibilità. L’esatto contrario dell’identikit della politica
israeliana di questi giorni. Chissà se gli scenari che Obama tenterà di
disegnare al Cairo il 4 giugno riusciranno finalmente a spingere
Netanyahu verso proposte costruttive. Nel frattempo dalla regione mediorientale giungono segnali di varia natura, che è bene non sottovalutare. Attilio Geroni sul Sole 24 Ore
ci segnala la nascita di una base militare francese ad Abu Dhabi,
inaugurata ieri da Sarkozy insieme a una sorta di filiale mediorientale
del Louvre a Saadyat Island. Come dire che, tra strategia
militare-politica e promozione culturale, la Francia si è catturata una
posizione di primo piano in un punto nevralgico vicino allo stretto di
Ormuz e a duecento chilometri dalle coste iraniane. Ma anche l’Italia
non demorde, e cerca di essere protagonista in quest’area decisiva. Il
pervicace ministro Frattini rilancia: in un’intervista a Repubblica
ripropone il progetto – già abortito due volte – di una sua missione a
Teheran, utile per cercare una soluzione al nodo Af-Pak, come si chiama
oggi il caos afghano-pakistano, e per coinvolgere, anche al di là della
questione del “nucleare”, uno Stato comunque decisivo per gli equilibri
della zona. Peraltro dai servizi segreti israeliani giungono notizie di
più che sospetti traffici di uranio tra Sudamerica (Venezuela e
Bolivia) e Iran, nonché di cellule Hezbollah nella stessa regione.
Notizie allarmanti che ci vengono da Avvenire.
Notizie tanto più inquietanti se coniugate con gli amichevoli rapporti
Ahmadinejad-Chavez e Iran-Hezbollah sino a collegarsi in un esiziale
intreccio politico-militare. Ma l’inquietudine Hezbollah non è finita,
se diamo ascolto a Tariq Alhomayed su Liberal: cosa potrebbe mai
accadere in Libano, a livello di sconvolgimento politico e di violenza
diffusa, qualora come pare sempre più probabile il partito-esercito di
Nasrallah apparisse a giudizio della Corte Internazionale il vero
responsabile dell’omicidio Hariri? Si profilano scenari minacciosi, se
come è doveroso la giustizia farà il suo corso. Per venire in chiusura all’Italia, Messaggero, Repubblica e Corriere della Sera
pubblicano con rilievo in cronaca di Roma la notizia della visita
a Yad Vashem di scolaresche romane guidate dai presidenti di Regione e
Provincia. Importantissima l’occasione di conoscenza storica, di
memoria, di riflessione sul passato e sul presente. Centrali i
confronti degli stessi studenti e del governatore Marrazzo tra le
peregrinazioni tragiche della nave St. Louis carica di ebrei in fuga,
respinta dagli Usa verso la Shoah alla vigilia della guerra e la massa
di disperati proveniente dall’Africa respinta dalle nostre coste oggi
per volere di Maroni&C. Centrali certo e ricchi di umanità, ma da
“maneggiare con cura”, da proporre con grande cautela, con tutte le
contestualizzazioni storiche e attuali del caso. Ad avvertirci in
questo senso è Tobia Zevi sull’Unità,
che assennatamente ci mette in guardia dal “torvo buonismo” (secondo la
terminologia di Manconi) di chi in sostanza dice “per non farli stare
in lager li buttiamo a mare”. O di chi, dall’altra parte, parla con
disinvoltura di nuove “leggi razziali” adottate dall’Italia. E’ una
terminologia pericolosa e malata, da qualunque parte la si usi.
Soprattutto fuori dalla storia. Occorre invece essere consci della
specificità della storia. Di ieri e di oggi. A destra e a sinistra. David Sorani |
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notizieflash |
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Demoliti
due insediamenti in Cisgiordania,
un gesto di buona volontà nei confronti dei palestinesi Gerusalemme, 27 mag - Sono
stati demoliti stamane due avamposti di insediamenti eretti senza
permesso in Cisgiordania. L’azione fa parte dell’impegno preso dal
premier Benyamin Netanyahu e dal ministro della Difesa Ehud Barak, nei
confronti degli Stati Uniti che aveva chiesto ad Israele gesti di buona
volontà nei confronti dei palestinesi. L'impegno israeliano è di
rimuovere gli avamposti eretti abusivamente dopo il marzo 2001. I due
avamposti rimossi non rientrano nell' elenco di 26 avamposti destinati
alla demolizione. Un altro avamposto, Maoz Ester, era stato demolito
circa una settimana fa. Nel primo avamposto, Givat 18 (Collina 18),
vicino all'insediamento urbano di Kiriat Arba, alle porte di Hebron, i
soldati hanno demolito due baracche. Sul posti si trovavano sei giovani
coloni che non hanno opposto resistenza. Nel secondo, denominato Havat
Federman (Fattoria Federman), é stata rimossa una grande tenda piena di
vettovaglie. Nello stesso sito l'anno scorso erano state demolite
quattro grandi case. La demolizione dei due avamposti ha suscitato duri
attacchi dell'estrema destra al premier Benyamin Netanyahu, il cui
governo é stato definito “più pericoloso di quello che lo ha preceduto”.
Roma: Alemanno, raccolti fondi per un asilo a Gerusalemme Roma, 26 mag - Una
raccolta fondi per la costruzione a Gerusalemme di un asilo per le tre
religioni, questa la missione portata a termine dal sindaco di Roma
Gianno Alemanno. Sono stati raccolti, con i Mercatini per la pace di
Roma, 70 mila dollari, poi consegnati alla Jerusalem Foundation per la
realizzazione del progetto di costruzione. La donazione è avvenuta nel
corso di una cerimonia all'hotel Excelsior di Roma organizzata da
Kadima Italia e da Ebraismo e Dintorni. "Sono reduce da un viaggio in
Israele che è stata una esperienza entusiasmante ma anche drammatica -
ha spiegato Alemanno - ora abbiamo di fronte due scenari: uno di odio,
di chi vuole cancellare il diritto di esistere di Israele. L'altro é
fatto di tolleranza e di rispetto dei popoli e delle religioni". "Ciò
che abbiamo fatto oggi con i Mercatini per la pace - ha aggiunto
Alemanno - va in questa direzione, perché non dobbiamo dimenticare che
chi porta attacchi contro Israele li porta contro tutto l'occidente e
la sua cultura. Sono convinto che prevarranno il buonsenso e la buona
volontà. In questo Roma può impegnarsi, e speriamo che questo asilo
possa contribuire a far crescere i bambini in un clima di rispetto
reciproco". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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