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13 ottobre 2010 - 5 Cheshvan 5771
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova

"Giunse un superstite e raccontò ad Abramo l'ebreo..." (Genesi 14:13). In questo verso per la prima volta un individuo è definito ebreo. Il midrash (Bereshit Rabbà 42:8) spiega che l'attributo 'Ivrì - ebreo, indichi che Abramo provenisse me'ever hanahar - al di là del fiume (infatti il nostro patriarca veniva dalla Mesopotamia dall'altra parte del fiume Eufrate) e che parlasse la leshon 'ivri - la lingua ebraica. Sempre il midrash, ipotizza che l'espressione 'Ivrì indichi che Abramo fosse discendente di 'Ever, nipote di Noè. Una terza ipotesi è formulata nello stesso midrash da rabbì Yehudà: tutto il mondo era me'ever echad - da una parte e Abramo me'ever echad - dall'altra. In sostanza il midrash ci propone tre categorie di possibili identificazioni con l'ebraismo: la prima geografico-linguistica, la seconda di tipo genealogica e la terza di carattere ideologico-culturale e direi anche comportamentale. Noi ebrei, oggi più che mai, non possiamo permetterci di rinunciare a nessuna delle tre...
Aushwitz-Birkrnau, 5 Cheshvan 5771 - 13 Ottobre 2010
Marina
Arbib,
germanista


Marina Arbib
Riflettendo con Scholem e con Kafka. Pochi giorni fa è cominciata nuovamente la lettura della Torah dal suo inizio, con i primi capitoli del Libro della Genesi, dalla creazione del mondo alla cacciata di Adamo e di Eva dal Giardino dell'Eden. Dopo aver mangiato il frutto proibito, "si aprirono" gli occhi di Adamo e di Eva, che acquistarono la consapevolezza del loro stato, con quel che segue. La haftarah che accompagna questa parashah è tratta da Isaia 42 : la creazione del mondo, già dal suo inizio, viene corredata dal suo necessario "correttivo", il Messia. Isaia ce lo descrive come il "cieco" per eccellenza: "Chi è cieco come il perfetto? Cieco come il servo del Signore? […] Il Signore vuole, per via della Sua giustizia, che egli dia un grande e forte insegnamento" (Isaia,42: 19-21). Mentre l'esegesi rabbinica interpretava la cecità come incapacità di Israele di comprendere le opere di Dio, per cui solo Dio stesso avrebbe potuto ammaestrarlo (cioè "aprirgli gli occhi" in un senso diverso da quello che derivò all'uomo dall'aver mangiato il frutto dell'albero della conoscenza). Gershom Scholem giungeva a conclusioni diverse. Nelle sue "95 Tesi sull'ebraismo", scritte nel 1918 (poco più che ventenne), scriveva con intuizione folgorante:"Solo il cieco contempla il tempo messianico". Laddove gli occhi di Adamo si sono "aperti" a quella che, dopo di lui, è apparsa come la comune realtà umana, gli occhi del Messia ad essa sono chiusi, per riuscire a scorgere quello che l'occhio umano non può cogliere. In questo senso, Scholem interpreta le parole di Isaia sulla cecità messianica :"Molto vede, ma non ne tiene conto. [...]": il mondo va come, in realtà, è sempre andato, ma bisogna lasciar entrare il vento dell'utopia per scompigliare l'ordine risaputo e permettere al "nuovo" di far capolino. Il negativo, dice Scholem rifacendosi a Kafka, è sempre ben presente di fronte ai nostri occhi, ma val la pena di ricordare che allude con richiamo potente alla ricerca del positivo, che è il nostro compito di esegeti di un testo di cui abbiamo perso la chiave.
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davar
Qui Roma - Festival di letteratura tra filosofia e femminismo
pubblicoÈ iniziata con un approfondimento sulla figura di Carlo Michelstaedter, inquieto filosofo goriziano suicidatosi a 23 anni di cui ricorre in questi giorni il centenario dalla morte, la quarta giornata del terzo Festival Internazionale di Letteratura Ebraica. Numeroso il pubblico presente alla Casa dell’Architettura nonostante il giorno feriale e l’orario mattutino. Sul palco Sergio Campailla, uno dei massimi esperti di Michelstaedter nonché curatore della grande esposizione e del convegno di studi a lui dedicati che si svolgerà nei prossimi giorni a Gorizia, ha dialogato col Rav Benedetto Carucci sul pensiero e sugli studi del filosofo. Nato in una famiglia poco osservante ma di solide tradizioni ebraiche, Michelstaedter aveva un forte interesse per la Kabbalah e per i testi sacri che emerge in molti suoi scritti anche se non in modo organico. Gli interventi di Campailla e Rav Carucci si sono soffermati proprio sulle sfumature ebraiche dei lavori di Michelstaedter, “ebreo che non va in sinagoga” ma che nei suoi lavori lascia trasparire un legame importante con la propria identità culturale e religiosa. Il dialogo tra i due interlocutori è stato stimolato anche da alcuni studenti presenti tra il pubblico che hanno proposto domande e spunti di riflessione. Nel pomeriggio il protagonista assoluto del Festival è stato l’umorismo ebraico con mattatori l’editore Daniel Vogelmann, il critico letterario Bruno Gambarotta e il produttore cinematografico Enrico Vanzina. I tre hanno analizzato temi e origini dello humour yiddish, elemento permeante della società nordamericana e in parte anche di quella europea. Vanzina, che ha spiegato al pubblico romano di essere un grande fan dei fratelli Coen e dell’umorismo ebraico in tutte le sue sfumature, ha individuato alcune analogie con l’umorismo italiano sottolineando come in entrambi i filoni della risata i personaggi descritti molto spesso debbano appropriarsi di identità diverse dalla propria per arrangiarsi e sopravvivere. Numerosi gli spaccati di ilarità regalati da Gambarotta e Vogelmann, in particolare quando quest’ultimo ha raccontato alcune delle storielle raccolte nel libro di barzellette che ha da poco pubblicato e di cui è autore. Così Lord Rotschild, la terribile yiddish mame, abitanti degli shtetl e rabbini di località ormai scomparse dal mappamondo ebraico hanno popolato la sala, suscitando a più riprese applausi e risate (anche malinconiche) tra gli spettatori. Lo humour ha caratterizzato anche il terzo incontro di giornata, che ha visto interloquire Alessandra Farkas con la scrittrice statunitense Erica Jong, una delle penne più note della letteratura ebraica al femminile. Incalzata dalle domande della Farkas e del pubblico, Jong ha ripercorso le tappe più importanti della sua carriera e parlato di alcuni suoi romanzi tra cui il celebre Paura di Volare (1973) che a suo tempo suscitò non poco scalpore per la schiettezza con cui erano trattati temi molto intimi e delicati. Affabile e simpatica, la scrittrice newyorkese ha affrontato con garbata e sottile ironia situazioni attuali soffermandosi soprattutto sulle nuove icone del femminismo e sui rapporti spesso difficili tra sessualità e religione.

Il Festival Internazionale di Letteratura Ebraica si chiude in data odierna con due appuntamenti. Alle 19.30 alla Casa dell’Architettura in programma un dialogo a due voci tra Alessandro Piperno e Howard Jacobson mentre alle 22.00 al Palazzo della Cultura Raiz e Radicanto proporranno un concerto dedicato alle musiche del mediterraneo.

Adam Smulevich

 Qui Roma - "La Memoria e l'immagine: 16 ottobre 1943"
pubblico"Con il rastrellamento del 16 ottobre 1943, la storia di civiltà e di umanità del nostro popolo e dei popoli d'Europa, dopo la violenta repressione già da tempo attuata dai regimi nazista e fascista, era ancora una volta infranta e la speranza sembrava come murata da una pietra inamovibile, spietatamente invincibile". Lo ha detto il Presidente del Senato Renato Schifani intervenendo questa mattina alla presentazione del progetto 'Pietre d'Inciampò, secondo appuntamento del percorso culturale 'La Memoria e l'immagine: 16 ottobre 1943', promosso dall'Osservatorio della fotografia della Provincia di Roma in collaborazione con il Senato della Repubblica che si è svolto nella sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama, alla presenza della senatrice Silvana Amati, del Consiglio di Presidenza del Senato, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma, Paola Rita Stella, assessore alle Politiche della scuola della Provincia di Roma Adachiara Zevi curatrice del progetto Pietre d'inciampo, Sandra Terracina responsabile del Progetto Memoria del Centro di cultura ebraica di Roma e dei due testimoni Alberta Levi Temin e Piero Terracina. Protagonisti dell'iniziativa culturale sono stati i docenti e gli studenti di diverse scuole e istituti di Roma fra cui Ipsia Cattaneo di Roma, Liceo scientifico Keplero, Ipsia CineTv Rossellini del Liceo Visconti, scuola media G. Belli; scuola elementare Ada Negri; liceo artistico De Chirico; IIS Viale di Villa Pamphili. Sul maxi schermo sono poi mostrate le immagini realizzate dagli studenti dell'Ipsia Cine Tv Rossellini riprendendo l'iniziativa avviata a Colonia nel 1995 dall'artista tedesco Gunter Demnig in memoria di cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti e portate in Italia da Adachiara Zevi curatrice del progetto che ha coinvolto sei Municipi romani dove sono state installate 30 stolpersteiner letteralmente dal termine tedesco ‘pietre d’inciampo’ inventati Demnig, piccoli sampietrini di cemento ricoperti di ottone con su scritto nome, cognome, anno di nascita, data e luogo di deportazione e anno di morte che dal lontano 1993 l’artista dedica non soltanto agli ebrei ma anche a militari, oppositori politici, partigiani, zingari e omosessuali che furono assassinati nei campi di concentramento nazisti. A Roma infatti sono state installate oltre alle pietre d'inciampo in memoria di alcuni componenti della famiglia Calò nel cuore del vecchio Ghetto, della famiglia Terracina a Piazza Rosolino Pilo, in via Flaminia dove abitava la famiglia Levi (gli zii della Temin), anche davanti alla Caserma allievi carabinieri di viale Giulio Cesare, per ricordare i dodici carabinieri da lì deportati il 7 ottobre 1943 perché giudicati inaffidabili in vista della deportazione degli ebrei la settimana successiva e in via Taranto, dove abitava il colonnello Eugenio Paladini.
Ed è proprio sull'aspetto della vigilanza perché forme di intolleranza e di razzismo che attraversano quotidianamente la nostra società che si sono soffermati tutti i relatori intervenuti.
“Credo che quando si parla di vigilanza bisognerebbe riferire il concetto non al passato ma al presente - ha osservato infatti Riccardo Pacifici - per far comprendere ai giovani qual è il significato di un'azione come quella di Adachiara Zevi. La deportazione non è avvenuta solo il 16 ottobre, non solo a Roma e non ha coinvolto soltanto gli ebrei. La genialità delle pietre d'inciampo sta nel ricordare gli eventi, ma nel ricordare anche che questo è un fatto su cui dovremmo soffermarci a riflettere ogni giorno”.
Commoventi le testimonianze di Alberta Levi Temin e Piero Terracina che hanno concluso la mattinata “Per quasi cinquanta anni non ho più parlato di quei giorni terribili - ha detto la Temin nel ricordare i terribili giorni che hanno preceduto e seguito il 16 ottobre 1943 - ma quando ho sentito che qualcuno cercava di negare la Shoah ho detto non posso più stare zitta”. Sullo stesso concetto si è soffermato Piero Terracina “Colgo l'occasione per parlare con la forza dell'Io c'ero per contrastare la tesi negazionista” ha detto Terracina nel parlare del professore di Teramo che in un'aula universitaria qualche giorno fa ha negato l'esistenza dei campi di concentramento “A quel professore vorrei domandare - ha concluso infatti Terracina - dei 1023 ebrei deportati da Roma solo 16 hanno fatto ritorno gli altri sono scomparsi?”.

Lucilla Efrati


Sacha Baron Cohen sarà Freddie Mercury
pubblicoL’attore Sacha Baron Cohen, famoso per le dissacranti interpretazioni di personaggi quali l’aspirante rapper e gangster, Ali G, il giornalista kazako Borat e il giornalista omosessuale di moda, Brüno, affronterà a breve una delle sfide più ardue della sua carriera artistica. L'attore inglese incarnerà infatti sul grande schermo Freddie Mercury, all’anagrafe Frederick Farroukh Bulsara, carismatico e compianto vocalist dei Queen nato a Zanzibar e scomparso a Londra nel novembre del 1991. Cohen, che sembra si sia guadagnato la scrittura sbaragliando candidati del peso di Johnny Depp, è stato selezionato oltre che per l’incredibile somiglianza fisica con i Leader dei Queen anche per il suo poliedrico talento nell’arte del trasformismo, che gli è valso il successo a livello internazionale.
Le indiscrezioni sulla possibile uscita di questo film giravano già da tempo tra le pagine della rete, ma la conferma è arrivata pochi giorni fa proprio dalla viva voce di Brian May, storico chitarrista del gruppo: “Molti saranno rimasti stupiti dalla nostra scelta - ha detto il chitarrista ai microfoni della Bbc - ma Sacha è stato coinvolto nel progetto fin da quando se ne parlava con Peter Morgan più di due anni fa e fin dall’inizio si è sempre dimostrato molto attento al ruolo”. Il progetto vedrà l'appoggio degli eredi di Freddie Mercury e degli altri tre membri dei Queen. Il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor supervisioneranno la parte musicale che comprenderà sia i pezzi storici del gruppo che le realizzazioni da solista del vocalist. A questo proposito risultano già acquistati i diritti di canzoni come “Bohemian rhapsody”, “We will rock you”, “We are the champions”, “Another one bites the dust”, ma risulta poco chiaro se l’attore dovrà esibirsi in una difficile prova di canto o se verranno invece utilizzate le versioni originali cantate da Mercury, con buona pace dei fan più accaniti.
Le riprese del film, prodotto da Graham King e dalla Tribeca di Robert De Niro e Jane Rosenthal in collaborazione con Jim Beach, manager dei Queen, inizieranno nel 2011. Non si hanno ancora informazioni precise sul regista che dirigerà la pellicola il cui titolo provvisorio è “Queen”, mentre invece lo script è stato da tempo affidato a Peter Morgan, sceneggiatore e drammaturgo britannico autore di film come “The Queen”, “L’ultimo re di Scozia”, “Frost/Nixon - Il duello”.
La pellicola ripercorrerà il periodo d’oro della famosa band inglese, culminando con la straordinaria performance al Live Aid del 1985, quando la band infuocò lo stadio londinese di Wembley, completamente invaso dai fan. L'esibizione venne giudicata come la migliore dell'evento, al quale parteciparono artisti del calibro di Elton John, Sting, David Gilmour, Phil Collins, Paul Mc Cartney e David Bowie, con Freddie Mercury che trascinò l'intero stadio al ritmo di canzoni come “Radio Ga Ga", "We Will Rock You" e "We Are the Champions".
Un‘impresa titanica si prospetta quindi per l’irriverente Baron Cohen, attualmente impegnato nelle riprese di “Hugo Cabret” di Martin Scorsese: riportare in vita un mito della musica rock mondiale distintosi non solo per la sua irriverente originalità, per le innovazioni in campo musicale, ma soprattutto per quelle ottave che spingevano la sua voce più in alto di qualsiasi altra.

Michael Calimani

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pilpul
Fronteggiare il negazionista
pubblicoIl caso della lezione tenuta dal professore Claudio Moffa lo scorso 25 settembre presso l’Università di Teramo, nella quale si è illustrata con dovizia di argomentazioni pseudo-scientifiche la tesi della Shoah come invenzione e leggenda, solleva nuovamente il problema della possibile risposta legale al negazionismo.
In Italia, com’è noto, la negazione della Shoah non costituisce, di per sé, una forma di reato, diversamente da quanto avviene in altri Paesi, come Inghilterra, Austria o Germania. Sull’opportunità dell’introduzione, anche da noi, di una siffatta fattispecie criminosa le opinioni sono divergenti e, tutto sommato, le riserve riguardo a una tale riforma normativa appaiono consistenti. Chiariamo subito che la libertà di pensiero e di ricerca, in questa materia, non c’entra assolutamente nulla. Anche un bambino capisce la differenza tra negare l’esistenza del Colosseo e contestare la storicità della Shoah. Nel primo caso, si è semplicemente detta una fesseria, nel secondo, si è inteso deliberatamente oltraggiare la memoria delle vittime, e si è voluto evidentemente fomentare il ripetersi di atti di violenza e sopraffazione. Gli ebrei si possono anche ammazzare, perché, qualora succeda, è come se non fosse avvenuto: questo è il messaggio. In tal senso, riterrei che già la legislazione italiana vigente contro l’istigazione all’odio razziale giustificherebbe un procedimento penale contro il professore Moffa, perché appunto di questo si tratta, e non di altro.
Però, inutile negarlo, tale strada potrebbe rivelarsi di difficile percorribilità, oltre che di dubbia opportunità, e non solo per la possibile incertezza del dato normativo, ma in quanto anche un eventuale esito di condanna potrebbe apparire addirittura controproducente, risolvendosi in una grande pubblicità gratuita per il condannato, che darebbe certamente fiato alle trombe della negata libertà d’espressione, trovando - c’è da giurarci - non poca solidarietà. Molte volte abbiamo visto degli oscuri personaggi diventare delle specie di eroi, almeno in alcuni ambienti, per avere trascorso qualche ora al fresco.
Resterebbe da invocare una risposta da parte delle Autorità accademiche, e bisogna dare atto al Magnifico Rettore dell’Università abruzzese, Rita Tranquilli Leali, di essersi subito attivamente interessata alla vicenda, così come tempestivo fu l’intervento del precedente rettore, Mauro Mattioli, per impedire che , il 18 maggio del 2007, lo stesso Moffa facesse parlare nell’Università il suo maestro negazionista Faurisson. Anche in questo caso, però, si sa, le autorità accademiche possono fare piuttosto poco - per esempio sul piano disciplinare -, ed è anche vero che c’è sempre il rischio di creare precedenti pericolosi. Moffa non è certo l’unico a dire scempiaggini in aule universitarie, come si fa a intervenire sempre? E in base a quale criterio? E se un giorno uno come Moffa fosse chiamato lui stesso, per esempio come Rettore (in effetti si candidò ala carica, in passato, ed ebbe anche qualche voto), a vigilare sui contenuti delle lezioni dei suoi colleghi?
Niente da fare, dunque? Forse una strada ci sarebbe. Quella di Teramo è una sede prestigiosa, che vanta punte di eccellenze, per esempio, negli studi giuridici, politologici, di scienza dello sport (vi hanno tenuto Cattedra, solo negli ultimi anni, nomi del calibro di Michele Ainis, Franco Amarelli, Filippo Mazzonis, Luciano Russi, e tanti altri studiosi di prestigio internazionale). Perché deve essere periodicamente messa alla berlina come l’“Ateneo del negazionista”? Non potrebbe, l’Università, intentare una causa civile per danni all’immagine, chiedendo un risarcimento economico al dipendente che ne infanghi la reputazione? Se qualcuno potrebbe, forse, gradire un rapido passaggio per le patrie galere, nessuno ama mai essere colpito nel proprio portafoglio. Può essere un utile suggerimento.

Francesco Lucrezi, storico

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I miei lettori avranno certo osservato che troppo spesso, purtroppo, io ed alcuni colleghi e amici siamo costretti a prendere posizione contro un certo modo di rappresentare le questioni relative ad Israele nei media (non solo italiani, per carità). Nei giorni scorsi il Corriere ha pubblicato su internet (in buona compagnia con Al Jazeera, the Guardian e tante altre testate) un video nel quale si fa vedere, e si spiega al lettore, la vicenda del solito, cattivo israeliano (per di più vicino ai coloni, il che non guasta mai) che, con la sua auto, investe un ragazzino palestinese, gli spacca una gamba, si ferma ma subito dopo scappa senza prestare soccorso.
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Emanuel Segre Amar

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