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29
dicembre
2010 - 22 Tevet 5771
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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La
gioia intima nel cuore provata da Aron per la designazione del fratello
quale leader del popolo ebraico, nonostante Moshè fosse più giovane,
distante dalle sofferenze del suo popolo perché cresciuto a palazzo, e
con notevoli problemi di linguaggio, sarà il motivo per cui il Sommo
Sacerdote meriterà di portare nel pettorale, che è posto sul suo cuore,
i nomi dei figli di Israele. Il pettorale è indissolubilmente ancorato
al dorsale sul quale sono altresì incisi i nomi dei figli di Israele.
Le cordicelle che legavano il dorsale al pettorale non potevano mai
essere slegate neppure quando il Sommo Sacerdote si spogliava dei suoi
abiti sacri. Chi esibisce con onore i figli di Israele sul suo petto
deve portarne anche tutto il peso sul suo dorso. Per un leader onore e
onere sono inscindibili. Sarà Aron il primo a indossare questi abiti,
indicandoci tra l’altro quanto è più difficile gioire per la
soddisfazione di un fratello piuttosto che piangere per un suo lutto.
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Alfredo
Mordechai
Rabello,
giurista
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E' stato
inaugurato il Centro Aharon Barak per la ricerca giuridica
interdisciplinare presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università
Ebraica di Gerusalemme. Nella sala si sono trovati i colleghi di Barak
della facoltà, vecchi e giovani, e vari giudici, fra cui la presidente
della Corte suprema, la giudice Dorit Beinish, che è intervenuta,
assieme al decano Barak Medina. A dirigere il Centro sarà il professor
Eyal Zamir, che assieme alla moglie Dafna Lewinsohn Zamir, sono stati
gli ultimi allievi del professor Guido Tedeschi, che fu tra i fondatori
della Facoltà: è appunto all'insegnamento formativo e fondamentale di
Guido Tedeschi che si sono richiamati, nel loro discorso augurale, Eyal
Zamir e Aharon Barak con gratitudine, ricordando come i suoi allievi
abbiano svolto una notevole funzione nella vita giuridica del paese e
facendo presente come la Facoltà sia stata per lui una seconda casa. La
parte scientifica della serata è stata dedicata a una discussione
sull'Interpretazione e il potere della Corte suprema di controllare,
costituzionalmente, anche l'operato legislativo del Parlamento. Il
nuovo Centro, come del resto anche l'attuale Facoltà, si trovano su una
linea di continuità da un lato e innovazione dall'altro.
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Eroi, ciclisti e giornalisti
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La
redazione del Portale dell'ebraismo italiano, che offre un contributo
determinante anche nella realizzazione del notiziario quotidiano
l'Unione informa e del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche,
ha chiamato a raccolta collaboratori formidabili e giovani giornalisti
che lavorano in silenzio dimostrando sul campo, giorno per giorno, il
proprio valore. Ogni redattore, come è giusto che sia, ha i suoi punti
di forza e le sue debolezze. Non mi sentirei di definire una scala di
bravura fra i colleghi. Mi accontento di dire che per me lavorare con
questa redazione è un immenso onore. Il collega Adam Smulevich
(nell'immagine, a destra, durante i lavori estivi di Redazione aperta
assieme al presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna e ai colleghi Daniel Reichel e Michael Calimani, ospiti
a Trieste del presidente della Comunità e Consigliere UCEI delegato ai
rapporti con le realtà dell'Est Europa Andrea Mariani), protagonista di
uno scoop dedicato all'eroismo di Gino Bartali che appare sul numero di
gennaio di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione, è stato
ripreso con paginate intere nelle scorse ore da tutta la stampa che
conta (dall'Osservatore romano, che ha proposto ai suoi lettori la
versione integrale dell'articolo, alla Gazzetta dello Sport, che ha
offerto a Adam l'onore di scrivere con la sua firma per la prima volta
una intera pagina in carta rosa, da Repubblica al Corriere della Sera).
Grazie a questo collega, a tutti i colleghi che gli sono stati accanto
e alla sua Comunità di Firenze, presieduta da Guidobaldo Passigli, che
ha consentito la realizzazione del suo praticantato giornalistico. Il
lettore avrà modo di constatare come a Adam e al suo ottimo lavoro in
questo numero, forse per un eccesso di severità, non abbia concesso
nemmeno un richiamo in prima pagina. Vorrei però dire pubblicamente
quanto mi abbia emozionato fare da gregario e tirare la volata a un
collega di 25 anni che crede e fa onore, nel nome degli ebrei italiani,
a questo lavoro che è il nostro. Con i suoi articoli ha reso
giustizia a un grande campione sportivo che al protagonismo degli
imbecilli preferì il coraggio silenzioso degli eroi. Ma soprattutto ha
reso giustizia a una comunità ebraica, quella di Fiume da cui è
originaria la sua famiglia, che fu italiana e che soffrì più di ogni
altra delle persecuzioni. Una realtà oggi dimenticata e devastata dalla
distruzione e dell'esilio, di cui si era voluta cancellare anche la
memoria, che guarda ancora e non ha dimenticato la propria città
adriatica posta alla cerniera della nuova Europa. L'incontro fra Adam,
il fiumano Giorgio Goldenberg che ha offerto da Israele la sua
testimonianza e molti altri segni e persone di questa gente coraggiosa
che nel secolo scorso ha pagato il prezzo più alto e continua ad
affrontare dignitosamente la dispersione, lontana dall'orizzonte del
golfo del Quarnero, ha rappresentato il soffio in più per trovare, nel
nome dell'ebraismo italiano e degli ebrei di Fiume e di Abbazia,
l'ultimo slancio. Nei prossimi giorni, quando saremo chiamati a
partecipare alle molte celebrazioni dedicate al Giorno della Memoria,
ricordiamoci che la nostra affermazione della Memoria non può ridursi a
vittimismo o celebrativa ripetizione, ma deve essere solo ancora un
colpo di pedale verso il futuro.
gv
Bartali su Pagine Ebraiche - Il servizio di Tgtnews
Clicca sull'immagine e guarda il filmato
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Harry Houdini, il figlio del rabbino che incantava il mondo
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Il favoloso maestro delle fughe
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grande mostra allestita dal Jewish Museum di New York appassionerà
questo inverno i visitatori. Fra i misteri del misteri del mitico mago
Harry Houdini, il figlio del rabbino che tenne per decenni il mondo con
il fiato sospeso, l’intreccio fra la sua arte e l’identità ebraica è
forse il più affascinante. All’anagrafe Erik Weisz, Houdini nacque nel
marzo del 1874 a Budapest in Ungheria. All’età di quattro anni si
trasferì con la famiglia negli Stati Uniti: qui il nome viene
parzialmente modificato per allinearsi alla lettura anglosassone, da
Erik a Ehrich Weiss. La famiglia si stabilisce prima ad Appleton, nel
Wisconsin, dove il padre Mayer Samuel Weiss presta servizio come
rabbino nella locale congregazione ebraica riformata. Poi nel 1887
Mayer si trasferisce a New York con il piccolo Erik; qui vivono in una
pensione sulla settantanovesima strada, fino a quando la famiglia non
sarà in grado di riunirsi in un alloggio definitivo. Il giovane e
aspirante mago Erik Weiss, in arte Harry Houdini, non materializzò il
nome che lo renderà famoso dal nulla. Seguendo una tradizione
consolidata nei circoli di maghi e illusionisti, il suo nome rende
omaggio al suo predecessore Jean Robert-Houdin, prestigiatore di cui
era un fervente ammiratore. L’aggiunta della “i” alla fine del cognome
è anch’essa riconducibile a una tradizione: un richiamo velato al
grande illusionista italiano del 18esimo secolo Giovanni Giuseppe
Pinetti, contemporaneo e assiduo frequentatore del celeberrimo
Cagliostro. Il nome Harry, d’altro canto, è semplicemente un
adattamento del soprannome poco americano “Ehrie”, con cui veniva
chiamato da ragazzino. Houdin, nato a Blois nel 1805, è da molti
considerato il più grande illusionista di tutti i tempi e il padre
della moderna prestidigitazione. Orologiaio e figlio di orologiai, Jean
Eugene Robert, si interessò da subito di meccanica studiando gli
ingranaggi complessi degli orologi che il padre per mestiere riparava e
costruiva. La passione per la magia e le arti illusorie lo colse per
puro caso sotto forma di due grossi volumi di magia bianca e fisica
dilettevole che Jean Eugene ricevette per sbaglio al posto di due libri
sull’orologeria.
Il
numero che caratterizzò maggiormente la sua carriera non era altro che
una rivisitazione del trucco intitolato Second Sight, letteralmente
seconda vista, nel quale il figlio, intervenuto sul palco e bendato,
identificava correttamente gli oggetti che il padre reperiva tra il
pubblico. Il valore del numero non era però legato all’originalità
dello stesso o per la sua complessità nel realizzarlo, ma per le
modalità con le quali Houdin, abile showman, lo metteva in atto. Una
capacità, quella di galvanizzare il pubblico, che ritroviamo anche nel
suo degno successore, Harry Houdini, famoso per reinterpretare e
spettacolarizzare grazie al suo ingegno, i numeri di prestigio di
coloro che l’avevano preceduto. Probabilmente fu proprio questo
elemento in comune tra i due che spinse, più tardi, Harry Houdini a
cambiare in modo radicale il suo pensiero nei confronti del famoso
predecessore. Nel 1908 il giovane illusionista fece infuriare i
professionisti del settore con la pubblicazione del volume The
Unmasking of Robert- Houdin, un mordace attacco in cui il prestigiatore
francese veniva definito “un mero impostore, un uomo che specula
sull’ingegno e il lavoro degli altri” e dove venivano svelate le
origini della maggior parte dei trucchi di Robert Houdin. L’estremo
zelo di Houdini nello screditare totalmente il suo celebrato
predecessore sembra però avere più di una spiegazione plausibile. Di
certo il suo comportamento è in linea con la volontà di intraprendere
una vera e propria guerra contro i suoi imitatori per cui non provava
che un sentimento di disprezzo, ma per altri versi può essere invece
interpretato come l’espressione più sincera del suo ego, del suo
disperato bisogno di elevarsi al di sopra di ogni altro illusionista,
anche del passato. Nel 1893 Harry Houdini incontra Wilhelmina
Beatrice “Bess” Rahner, anch’ella illusionista, che sposò dopo un
corteggiamento durato solo tre settimane. Bess ricoprirà un ruolo
fondamentale nella vita professionale di Houdini, diventando la sua
personale assistente di scena per l’intera durata della sua carriera. Agli
inizi della sua carriera Houdini studiò i giochi di carte e le arti
illusionistiche tradizionali, autoproclamandosi “re delle carte”, ma la
grande occasione per dimostrare il suo talento innato arrivò solo nel
1899, quando incontrò lo showman Martin Beck. Beck rimase talmente
impressionato dalla maestria con la quale Houdini riusciva a liberarsi
da un paio di manette, che gli consigliò di abbandonare la carriera del
prestigiatore ordinario e di concentrarsi sullo studio dell’escapologia
e inserì i suoi numeri in un circuito di spettacoli di varietà. Nel
giro di pochi mesi Houdini si esibì nei principali teatri degli Stati
Uniti per poi andare alla conquista dell’Europa. Quando ritornò nel
1904 negli Stati Uniti, il suo nome era ormai diventato leggenda. Nel
primo ventennio del ‘900 Houdini si esibì con grande successo nei
teatri di tutto il mondo presentando i numeri che lo renderanno un
mito: quello della Metamorfosi, nel quale Harry cambiava
istantaneamente posto con la moglie Bess rinchiusa in un baule, quello
soprannominato The Milk Can, che lo vedeva liberarsi da un bidone
metallico pieno di liquido, infine il celeberrimo numero della tortura
cinese dell’acqua (o pagoda della tortura cinese), nel quale veniva
calato testa in giù, con manette ai polsi, in una cabina trasparente
piena d’acqua, chiuso con lucchetti e cinto da corde. In questa scomoda
posizione e senza respirare, Houdini doveva trovare la forza per
liberarsi prima di morire soffocato. Tutti questi numeri erano come
sempre accompagnati dalla grande presenza scenica di Houdini, vero
trascinatore di folle, con una spiccata capacità nel creare ogni volta
la giusta atmosfera. Dopo la morte della madre, Houdini dedicò le sue
energie a smascherare medium e parapsicologi. Houdini era solito
recarsi nelle città in cui doveva tenere uno spettacolo con uno o due
giorni di anticipo; indossando un travestimento faceva visita ai medium
più famosi della città e chiedeva di contattare famigliari mai
esistiti. Appena i medium cominciavano a raccontare dettagli su questi
parenti immaginari Houdini li registrava come ciarlatani. Poi, la sera
dello spettacolo, Houdini rivelava le sue visite ai medium della città
e raccontava per filo e per segno gli imbrogli di cui era stato
vittima. Houdini entrerà a far parte anche del comitato di indagine sui
fenomeni paranormali dello Scientific American, una delle più antiche e
prestigiose riviste di divulgazione scientifica. In lui il confine tra
illusionismo e vera magia risultò sempre piuttosto labile. Basti
pensare che Sarah Bernhardt gli chiese di sfruttare la sua magia per
farle ricrescere la gamba amputata, o che il presidente Roosevelt,
sconvolto dai numeri di lettura del pensiero, si convinse che
quell’uomo doveva per forza di cose possedere poteri paranormali. Per
quanto riguarda invece le sue fantomatiche fughe, Conan Doyle, il padre
di Sherlock Holmes, era fermamente convinto che Houdini riuscisse a
scampare da ogni situazione grazie al dono della smaterializzazione. E
alcuni elementi inspiegabili di certo permangono ancora oggi, come il
famoso trucco dell’albero d’arance, portato alla ribalta nel corso del
XIX secolo dall’illusionista francese Robert Houdin, che venne poi
replicato da molti altri illusionisti e dallo stesso Houdini, che nella
sua versione del numero fu l’unico a utilizzare arance vere e non
artefatte, una variante la cui esecuzione è ancora oggi avvolta nel
mistero. Il 31 ottobre del 1926 Houdini muore di peritonite
all’età di 52 anni. Due settimane prima aveva infatti subito un colpo
all’addome, causato da uno studente della McGill University a Montreal,
che mettendo alla prova i leggendari addominali dell’illusionista lo
colse di sorpresa. Dal giorno della sua morte, avvenuta alla vigilia di
Halloween, molti furono i medium che affermarono di essersi messi in
contatto con lo spirito di Houdini, ma nessuno tuttavia riuscì mai a
fornire la minima prova. Di reale e accreditato rimane soltanto
un’amara battuta dello stesso Harry Houdini, che interrogato sulla vita
dopo la morte affermò: “Se c’è qualcuno che è in grado di fuggire dal
mondo dei morti, quello sono di certo io”.
Michael Calimani, Pagine Ebraiche, dicembre 2010
Fantasmi e sortilegi a stelle e strisce
A
ottant’anni dalla morte Harry Houdini è al centro di una grande mostra
al Museo ebraico di New York intitolata Houdini: Art and Magic.
Un’attenzione non casuale, quella dedicatagli, poiché la sua fama ancor
oggi rimane intatta. Insieme a personaggi del calibro di Henry Ford o
J.P. Morgan, Houdini rappresenta infatti, nell’immaginario popolare
americano, quel fermento di innovazione che ha preceduto la grande
depressione del 1929, la seconda guerra mondiale e ciò che di terribile
ne è conseguito. La sua longevità non è però solo il risultato
della sua ben nota destrezza nei panni di intrattenitore, ma è dovuta
al fatto che, a detta di Teller della coppia di illusionisti
Penn&Teller, Houdini era un personaggio dalle mille sfaccettature,
una vera e propria forza della natura: “Se c’era un nuovo mezzo
scenico, una nuova tecnologia, una nuova idea che investiva l’universo
culturale del tempo - spiega Teller - Houdini era sempre lì pronto a
coglierla” . Forse però questo ebreo immigrato in America dalla
lontana Ungheria, figlio di un rabbino di Budapest, non fu soltanto un
artista talentuoso e capace di attirare le masse, ma anche un supereroe
ante litteram, un simbolo di speranza per tutti quegli ebrei che
avevano intrapreso un viaggio dalla vecchia Europa verso gli Stati
Uniti d’America alla ricerca di prospettive di vita migliori. Con le
sue imprese Harry Houdini, all’anagrafe Ehrich Weiss, dimostrò che
anche nelle peggiori condizioni è sempre possibile trovare una via
d’uscita, un modo per ritrovare la propria libertà. Questo a
prescindere che si debba fuggire da “la pagoda della tortura cinese” o
da manette, catene, camicie di forza, penzolando da una corda a testa
in giù, sotto gli occhi di un pubblico attonito. L’esposizione,
corredata da un ampio catalogo pubblicato dalla Yale University Press,
può contare su una vasta selezione di memorabilia utili a tracciare un
profilo esaustivo di Houdini. Egli lasciò dietro di sé una riserva
inesauribile di materiale culturale: straordinarie fotografie con
effetto seppia, diari personali, litografie, manifesti pubblicitari e
altri oggetti legati al teatro, ritagli di giornali e riviste, e
pellicole cinematografiche. Non mancano poi gli accessori di scena
eternamente legati alla figura di Houdini: catene, corde, manette,
camicie di forza e vasche blindate a misura d’uomo. Un insieme di
oggetti che accompagnarono negli anni la sua incoronazione a massimo
esperto nell’arte dell’escapologia, della fuga. Una fuga da
costrizioni fisiche e ambientali che, secondo gli autori dei saggi
inseriti nel catalogo dell’esibizione, acquisisce un significato
ulteriore, un valore quasi aspirazionale per tutti gli ebrei immigrati
dell’epoca: l’affrancamento dalle pesanti catene sociali e dalle
anguste celle del pregiudizio. La mostra regala un’immagine del
personaggio nella sua totalità, considerando tutte le diverse
sfaccettature del personaggio Houdini. Prima fra tutte la sua carriera
e il suo rapporto con la moglie e assistente di scena Beatrice Rahner.
Poi la sua carriera da attore a Hollywood con pellicole come The Grim
Game (1919) e Haldane of the Secret Service (1923). Disseminati
tra foto d’epoca, cartelloni pubblicitari e pannelli esplicativi
troviamo poi una trentina di lavori realizzati da artisti contemporanei
come Vik Muniz. Un’insieme di opere che attraverso stili e visioni
diverse cerca di rievocare le atmosfere magiche dell’universo
houdiniano.
Pagine Ebraiche, dicembre 2010
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Rosenzweig e Levinas, un ricordo
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Il
25 dicembre, giorno di Natale, è anche la ricorrenza, rispettivamente,
della nascita e della morte di due tra i più grandi pensatori che il
popolo ebraico abbia donato all’umanità: Franz Rosenzweig, nato a
Kassel nel 1886, ed Emmanuel Lévinas, scomparso a Parigi nel 1995. Di
entrambi, si può dire che, oltre a dare uno straordinario apporto alla
comprensione del mondo moderno, e alla peculiare posizione in esso
occupata dall’identità ebraica, hanno contribuito, come pochi altri, a
‘creare’ l’idea di modernità, a costruire, sulle rovine del vecchio
mondo, nuovi orizzonti di senso. Pur essendo separate, le loro
vite, solo da pochi anni (essendo Rosenzweig morto nel 1929, quando
Lévinas era già ventiquattrenne), il pensiero dei due filosofi sembra
diviso da un oceano: dall’abisso della Shoah e dalla nascita dello
Stato di Israele, dal tentativo di completa eliminazione della presenza
ebraica dalla storia e dall’orgoglioso riaffacciarsi di tale presenza,
in nuove vesti, nella famiglia delle nazioni. Eppure, pur non avendo
Rosenzweig assistito a tali eventi, le sue pagine si rivelano
insostituibili per una loro interpretazione: basti pensare alle parole
de La stella della redenzione
ove si legge che “il giudaismo, unico al mondo, si conserva per
sottrazione, per diminuzione mediante la formazione di sempre nuovi
resti… Esso separa continuamente da sé ciò che non è giudaico per
suscitare in sé sempre nuovi resti di quanto è originariamente
giudaico. Esso costantemente si adatta all’esterno, per potersi
separare sempre di più all’interno. In Israele non c’è alcun gruppo,
alcuna tendenza, quasi neppure un singolo individuo che non consideri
il proprio modo di disfarsi di ciò che è accessorio per mantenere
intatto il resto, come l’unico modo vero e che quindi non consideri sé
stesso il vero ‘resto d’Israele’”. Parole che acquistano nuovi,
inquietanti significati dopo le atroci ‘sottrazioni’ inferte al popolo
d’Israele nel secolo scorso; ma che offrono anche nuove chiavi
interpretative per la prodigiosa palingenesi dell’ebraismo operata col
ritorno degli esuli nella terra dei padri. Quanto a Lévinas,
nessuno meglio di lui ha saputo esprimere il senso della particolarità
e dell’universalità del popolo mosaico, il suo essere perennemente in
bilico tra ‘dentro’ e ‘fuori’, la forza e la condanna di una funzione
sacerdotale e profetica che è anche “eterna sospensione sull’orlo del
baratro”. Una condizione che - come spiegato in Nomi propri
- è insieme privilegio e sventura, e attesta, “con un testamento
antichissimo”, la missione metastorica di Israele, “la sua origine al
di qua delle civiltà. Civiltà che questa morale rende possibili,
chiama, suscita, saluta e benedice, mentre essa, dal canto suo, viene
saggiata e giustificata soltanto se può essere contenuta nella
fragilità della coscienza, nei ‘quattro cubiti della halachà, in questa dimora precaria e divina”.
Francesco Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Atac sospende Francesco Bianco dipendente autore di insulti razzisti "Con
riferimento alle notizie recentemente apparse sugli organi di stampa
l'azienda (Atac) informa che in data odierna si è provveduto a
sospendere, con effetto immediato, il dipendente Francesco Bianco,
autore del comportamento non conforme..." »
Israele - Sensazionale scoperta sulle origini dell'uomo moderno Sensazionale
scoperta per gli archeologi dell'Università di Tel Aviv, protagonisti
di un ritrovamento che potrebbe rivoluzionare le tesi sulle origini
dell'uomo moderno... »
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Tra
i numerosi articoli pubblicati oggi in Italia ritengo che sia
importante mettere in particolare risalto quello di Giulio Meotti sul Foglio;
si ricollega ad un argomento già affrontato da chi vi scrive la
settimana scorsa: la situazione degli ebrei olandesi. Meotti inizia
ricordando l’abbattimento, tristemente premo nitore, dell’ippocastano
di Anna Frank, per riportare subito dopo le parole del giornalista
Toussaint il quale denuncia che l’antesemitismo in Olanda è “tornato ad
essere socialmente accettabile”... »
Emanuel Segre Amar
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italiano |
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Dafdaf
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
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