La grande opera sulla
storiografia
ebraica di Yosef Haim Yerushalmi, tornata
nuovamente in libreria grazie
alla casa editrice Giuntina con introduzione di Harold Bloom, sarà nel
pomeriggio protagonista di una giornata di studio a più voci al
Centro Bibliografico dell’UCEI. Al convegno interverranno
David Bidussa (Zakhor: ripensare il passato),
Manuela Consonni (Zakhor: tra la memoria dell’esilio e l’esilio della
storia), Daniel Fabre (Memoria collettiva e ricordo individuale. Il
problema dell’autobiografia nella cultura ebraica), Anna Foa (Cambiare
la storia degli ebrei, cambiare la storia) e Marcello Massenzio
(Memoria e coazione a ricordare: Da Zakhor al Mosè di Freud). Tra gli
altri ha annunciato la sua presenza Ariel Yerushalmi, figlio del grande
intellettuale newyorkese che ci ha regalato pagine uniche di
riflessione su cosa gli ebrei abbiano scelto di ricordare e
su come lo abbiano di volta in volta preservato, trasmesso e
rivissuto.
Nel numero di maggio di Pagine Ebraiche, attualmente in distribuzione,
commentano la grande opera storiografica Anna Foa e David Bidussa.
Una
riflessione di stretta attualità
La scomparsa nel 2009 di
Yosef Hayim Yerushalmi, uno dei maggiori storici della nostra epoca e
uno dei più importanti fra gli storici degli ebrei, prestigioso docente
di storia ebraica alla Columbia University di New York, continua a
sollecitare riflessioni, convegni, riedizioni e traduzioni delle sue
opere. Mentre il 21 aprile andrà in libreria, ripubblicata da Giuntina,
una delle sue opere più significative e conosciute, Zakhor - Storia
ebraica e memoria ebraica, un libro ormai introvabile nella sua prima
edizione per Pratiche del 1982, in Francia la casa editrice Allia fa
uscire la traduzione di una sua importante conferenza del 1993 sul
pensiero politico ebraico sotto il titolo Serviteurs des rois et non
serviteurs des serviteurs, un tema arendtiano classico che suscita
tuttora vivaci discussioni fra gli storici (e non solo) e che
Yerushalmi rivisita in questo breve testo con la consueta finezza.
Ancora, il numero di dicembre di Critique riporta tre interventi su
Yerushalmi sotto il titolo Yerushalmi, historien de la mémoire et de
l’oubli. Pochi giorni fa, inoltre, si è tenuto a Parigi, al Musée d’art
et d’histoire du Judaïsme, un colloquio organizzato dalla storica
Sylvie Anne Goldberg sotto il patrocinio dall’Ecole des hautes études
en Sciences Sociales, dalla Fondation Maison des sciences de l’homme,
dal Centre des Recherches Historiques e dalla Fondation du Judaïsme
Français, dove studiosi di vari paesi si sono confrontati sulle
tematiche affrontate da Yerushalmi, sul contributo da lui dato non solo
alla storia degli ebrei ma alla disciplina storica tutta e sulla
recezione delle sue opere nei vari paesi europei e negli Stati Uniti.
Tre i principali filoni d’indagine e di discussione di un colloquio
denso e decisamente riuscito. Nel primo, quello sugli studi sui
conversos e i marrani, a cui Yerushalmi ha dato un contributo
fondamentale con il suo libro Dalla corte al ghetto. La vita, le opere,
le peregrinazioni del marrano Cardoso nell’Europa del Seicento (apparso
nel 1971 e tradotto da Garzanti nel 1991), Yosef Kaplan e Nathan
Wachtel, tra i principali studiosi di questo campo ormai divenuto un
campo autonomo di studi, hanno messo in luce le caratteristiche
fondamentali dell’approccio di Yerushalmi alla questione marrana:
l’attenzione costante al rapporto con la modernità, la sottolineatura
della svolta rappresentata dal fenomeno del marranesimo nella storia
degli ebrei e in quella più ampia dell’Europa del Cinque-Seicento, la
discussione del ruolo di Spinoza nella laicizzazione della storia
ebraica, tutte suggestioni che hanno introdotto nuovi campi di ricerca
e che hanno rinnovato profondamente la storiografia ebraica.
Strettamente collegato a queste tematiche è il secondo tema trattato
dal colloquio di Parigi, quello di Yerushalmi storico di Freud e del
suo mondo nel suo ultimo, straordinario libro del 1991 Il Mosè di Freud
- Giudaismo terminabile e interminabile (tradotto in Italia da Einaudi
nel 1996).
Il terzo tema è quello appunto sulle novità introdotte da Yerushalmi
nel campo della storiografia ebraica, novità di cui egli stesso era
perfettamente consapevole se in Zakhor nel 1982 poteva scrivere che “è
proprio la natura stessa dei miei studi, e il metodo in cui li affronto
- se vogliamo, ciò che insegno e quel che scrivo – che rappresenta un
fenomeno del tutto nuovo. Paradossalmente, ironicamente, sono
consapevole che il modo in cui cerco di immergermi nella storia ebraica
equivale a una rottura decisiva con quella storia” (p. 113
dell’edizione Giuntina 2011). Un tema storiografico che riporta al
ruolo determinante giocato dall’apparizione di Zakhor sulla scena
culturale europea, che introduce quindi il tema della recezione: perché
la grande fortuna di questo piccolo testo, in che modo esso ha finito
per rappresentare qualcosa di più simile a un manifesto che a un libro?
Esso introduce, evidentemente anche altri due problemi importantissimi:
da una parte, il rapporto tra la storiografia ebraica di Yerushalmi e
la storiografia tout court.
Yerushalmi è storico, punto. I suoi libri sono opere di storiografia,
senza aggettivi o limitazioni. Dalla finestra della storia ebraica, lo
storico si affaccia sul mondo intero, un’ottica questa che è stata
presente in tutti gli interventi del colloquio parigino. Dall’altra, il
tema del rapporto tra memoria e storia ebraica, un tema che è alla base
della riflessione di Zakhor e che ha avviato mutamenti radicali sia nel
campo della storiografia ebraica, e vorrei sottolinearlo della
storiografia tout court, che in quelli della storia della memoria.
Perché in Zakhor Yerushalmi non si limita a proporre una visione della
memoria ebraica come nettamente opposta alla storia ebraica, con una
struttura e una funzione cioè radicalmente diverse, ma storicizza tanto
la nascita della memoria che quella della storiografia, aprendo così la
strada a tutte le riflessioni di “storia della memoria” che nel corso
degli ultimi anni hanno contestualizzato la nascita della memoria
ebraica, ne hanno seguito il percorso nel tempo.
Il tema è evidentemente collegato a quello della memoria della Shoah,
che prendeva slancio proprio in questo periodo, all’inizio degli anni
Ottanta, e di cui Yerushalmi non parla quasi, concentrato invece a
riflettere sulla perdita della memoria ebraica rispetto al crescente
sviluppo della storiografia ebraica. Una sorta di profezia mancata,
questa, che è stata rimproverata allo storico in anni recenti, in
particolare nel corso di un importante dibattito a lui dedicato nel
2007 dalla rivista americana Jewish Quarterly Review, fitto di
suggestioni e di stimoli per una riconsiderazione della storia e della
storiografia degli ebrei. In realtà, da una parte la memoria di cui
Yerushalmi deplora la perdita non è la memoria della Shoah, ma semmai
quella della tradizione, cioè una ripetizione rituale fuori dal tempo
attraverso cui il passato può diventare presente, la struttura entro la
quale la cultura ebraica tradizionale ha organizzato e tenuto sotto
controllo il suo passato. Dall’altra, lo stesso Yerushalmi rispondeva a
quanti avevano interpretato il suo libro come un rifiuto della storia
nel colloquio sull’oblio tenutosi nel 1987 a Royaumont, e poi divenuto
una postfazione all’edizione americana del 1996 (e opportunamente
presente nell’edizione che Giuntina sta ripubblicando), riaffermando
invece la dignità essenziale della vocazione storica. Un semaforo verde
a quanti, come me oggi, se non allora, hanno interpretato il libro più
come una riaffermazione della storia che come una sua negazione, e
hanno scoperto in quelle pagine il valore rivoluzionario dell’irruzione
della storia nel campo della cultura e delle modalità di pensiero
dell’ebraismo. Il fatto che Yerushalmi sia stato essenzialmente, come è
stato detto, uno “storico delle rotture”, non è certo il minore dei
motivi della sua attrazione per gli storici di oggi e per il semplice
let tore. Come si vede, nonostante quasi trent’anni siano passati dal
momento dell’apparizione di Zakhor, le tematiche affrontate da
Yerushalmi non hanno perso nulla della loro novità e della loro
incisività. Sono ancora vive e presenti, sia fra gli addetti ai lavori
che fra i lettori comuni, in ciò che si scrive, si dibatte, in ciò su
cui ci si interroga.
Il 19 maggio, l’Unione delle Comunità Ebraiche e la Giuntina daranno
vita, al Centro bibliografico dell’UCEI, a un nuovo dibattito,
significativamente intitolato Rileggere Zakhor. Una rilettura che è
sempre nuova, offre sempre nuove possibilità all’interpretazione, come
succede con i libri che risvegliano davvero la nostra mente e danno via
libera al nostro pensiero.
Anna Foa,
Pagine Ebraiche, maggio 2011
La generazione che scoprì
Zakhor
Che cosa gli ebrei hanno
scelto di ricordare del loro passato e in che modo lo hanno, di volta
in volta, preservato, trasmesso e rivissuto. Il tema di lavoro e la
domanda di Yerushalmi stanno essenzialmente tutti radunati intorno a
queste due questioni. La storia al passato è dunque soggettiva, e
riguarda contemporaneamente la messa in ordine del passato e la
costruzione del profilo culturale, emozionale e identitario nel proprio
presente.
Ma il tema che sta dentro a Zakhor e le sollecitazioni che suscita non
sono destinate ad esaurirsi in un saggio magistrale. Perché proprio
quelle domande e il loro senso obbligano a domandarsi, in questi giorni
in cui questo testo esile, ma denso, torna in libreria (ristampato oggi
da Giuntina, e arricchito di una introduzione di Harold Bloom e da
Riflessioni sull’oblio, un saggio che Yerushalmi scrive alla fine degli
anni ‘80 e che opportunamente è riproposto in questa nuova edizione)
non solo perché rileggerlo o leggerlo, ma che cosa ha significato
trovarselo davanti, trenta anni fa, improvvisamente. Tanti ne sono
passati da quando uscì la prima edizione per una piccola casa editrice
(Pratiche di Parma). Yerushalmi era allora uno sconosciuto nel panorama
degli studi storici in Italia e soprattutto occuparsi del mondo ebraico
(altri, all’inizio degli anni ‘90 avrebbero parlato di “società
ebraiche”) significava indagare una storia dell’antisemitismo. Era il
1983. Oggi quel testo è percepito come un classico, ma allora il testo
di Yerushalmi costituiva una novità in un panorama culturale che ancora
non aveva chiaro che cosa dovesse intendersi per storia ebraica o per
storia degli ebrei. La “seconda vita” di questo testo in Italia
probabilmente seguirà un percorso suo, ma non è improprio e forse può
essere utile capire che cosa era il panorama trent’anni fa. In ogni
caso serve per comprendere il peso del testo di Yerushalmi.
Dunque prima di tutto la storia degli ebrei. Pochi mesi prima
dell’arrivo in libreria del testi di Yerushalmi (novembre 1983) in
primavera di quello stesso anno Sofia Boesch Gajano e Michele Luzzati
curano il numero di Quaderni storici dedicato alla presenza ebraica in
Italia (Ebrei in Italia, Quaderni storici, XVIII, 1983, n. 54) e ancora
intorno a quegli anni escono le prime indagini sulla presenza ebraica
in Italia condotte su una ricognizione sistematica degli archivi
italiani.
È Shlomo Simonsohn ad aprire la serie con la sue ricerche su Mantova,
lo seguirà poi Renata Segre sugli ebrei in Piemonte. Nello stesso
periodo inizia la sua avventura editoriale Beniamino Carucci.
Pur con differenza di qualità, si apre un campo di indagine che presto
acquisisce anche le sue pratiche e le sue scadenze, per esempio le
Conferenze internazionali di Italia Judaica. Il mondo ebraico in Italia
cessa di essere la storia dei ricorsi e inizia a presentarsi non solo
come un mondo complicato, ma anche “esigente”, ovvero un mondo che per
essere indagato chiede che si abbia la pazienza di raccogliere,
ordinare e interpretare serie ordinate di dati. E dunque: spoglio di
fonti seriali (protocolli notarili, estimi, catasti,...) che mettono
costantemente in relazione ebrei e non ebrei; scavo intorno ai
conflitti interni, agli scontri interni, tanto sul piano delle identità
culturali fondate sulle rispettive esperienze, quanto su quello sociale
ed economico; analisi del rapporto tra storia nazionale e storie dei
gruppi che sono presenti sul territorio, di come questi si confrontino
e anche si scontrino nei processi di costruzione delle storie
nazionali. È evidente tuttavia che occorra anche dotarsi di domande che
riguardano il metodo. In breve non basta accumulare, oppure
collazionare commenti, confrontare storie. Occorre anche avere delle
chiavi interpretative storiografiche. Ovvero delle domande sul senso
della storia, e sul modo di costruirla, e sulla fisonomia nel tempo di
una coscienza storica. L’incontro con Zakhor ha questo valore. Dunque
se vogliamo capire qualcosa di più quel testo (anche in relazione alla
funzione che svolse trent’anni fa) da quelle questioni occorre prendere
le mosse. Una per tutte: la memoria non è solo un costrutto, è anche
una procedura e riguarda i meccanismi e le pratiche mentali con cui si
pensa il presente in relazione a un passato e in riferimento a un’idea
di futuro che si ha in testa.
Yerushalmi ci arriva per due vie: da una parte perché lo studio sulla
memoria significa per lui riprendere in mano le pagine di un sociologo
da tempo dimenticato, Maurice Halbwachs (in Italia inizierà a circolare
solo alla fine degli anni ‘80).
In particolare le pagine de I quadri sociali della memoria, dove
Halbwachs, studia che cosa accada a quei gruppi umani, e che cosa sia e
rappresenti per loro la memoria, allorché si produce una traumatica
cesura storica nella loro vita quotidiana. Dall’altra parte
abbandonando il modello proposto da Scholem intorno alla nascita delle
correnti mistiche nel mondo ebraico moderno. Zakhor, per quei pochi che
conoscono Yerushalmi alla fine degli anni ‘70, non è un prodotto
improvviso. Yerushalmi, infatti, ha alle spalle vari studi che in un
qualche modo alludono a quel laboratorio: una lunga monografia (From
Spanish Court to Italian Ghetto, pubblicata nel 1971; un’edizione
italiana esce nel 1991 per Garzanti) e alcuni studi specifici. Ha già
avviato da tempo le sue ricerche sulle persecuzioni nella penisola
iberica tra ‘400 e ‘500 (il suo saggio fondamentale sul massacro di
Lisbona del 1506 è del 1976), e ha già aperto il laboratorio di ricerca
sulla comparabilità tra antigiudaismo iberico e antisemitismo nazista
che poi si concretizzerà nella sua lectio magistralis al Leo Baeck
Institut del 1982 (la traduzione italiana è comparsa nel 2010 per
Giuntina con il titolo Assimilazione e antisemitismo razziale: i
modelli iberico e tedesco). Quando dunque esce Zakhor la proposta di
Yerushalmi è quella di riprendere il mano quel dossier di storia. Il
significato e la rilevanza di Zakhor non sta solo lì. Quelle pagine
attraggono una generazione che è in cerca di un senso storico e allo
stesso tempo ha un rapporto inquieto con la propria identità ebraica.
Forse in questo caso, più che in altri, è vero che un testo ha “letto
una generazione” piuttosto che non il contrario. Zakhor è un testo che
coinvolge in prima persona una generazione che ha il problema di
ripensare la propria storia e che non riduca la storia ebraica a
antisemitismo.
Peraltro, si potrebbe osservare come il tema di un rapporto con la
propria storia che non passi per la vicenda dell’antisemitismo era
stato posto dalla storiografia ebraica già all’inizio del Novecento da
Salo Baron (il suo saggio sul profilo dell’identità ebraica e della
storia degli ebrei che non si schiacci sull’esperienza del ghetto e
sulla persecuzione - Ghetto and Emancipation: Shall We Revise the
Traditional View - è del 1928). Non è su questo che Yerushalmi vuole
invitare a riflettere.
Sono le fonti, il loro uso e soprattutto le suggestioni che Zakhor
propone, (per esempio il concetto di spazio e/tempo) che costituiscono
la forza di quel testo. E anche il fatto che ci sia una generazione
acculturata che torna a interrogarsi sulla propria identità e sui
percorsi culturali, politici, esistenziali della propria esperienza
storica.
In questo senso è un libro generazionale, ma è anche una riserva di
fonti metodologiche e di letture che riguardano la sociologia degli
intellettuali e delle culture.
Le prospettive di apertura che Zakhor prefigura riguardano una
possibile scrittura della storia degli ebrei che non risiede nei
processi migratori o nella produzione testuale o nella discussione, ma
nel riordino del tempo storico, e dunque non nel dizionario ovvero
nell’accumulo nel tempo di significati, nella definizione di
un’enciclopedia (ovvero di un costrutto gerarchico, orientato e
soprattutto soggettivo) di un sapere. Un sapere dunque che si
costruisce nel tempo, attraverso salti di discontinuità, e nella
ricostruzione artificiale di continuità. In breve nel come una
generazione prova a ripensare e riscrivere, consapevolmente, ciò che
eredita dal passato.
Non solo. Chiedendosi e indagando anche ciò che nel passato è stato
espulso. Un tema che, per esempio, riguarda la lunga ricerca che
contestualmente in quegli anni avvia Nathan Wachtel sulla memoria
ebraica e che poi sbocca nell’indagine sul mondo dei marrani,
soprattutto nell’America iberica.
Una storia degli ebrei che spesso è rimasta sottotraccia e che ha una
profonda connessione con le pratiche delle memorie di gruppo, le molte
fisionomie delle identità e la costruzione di una ragione delle molte
storie che quella vicenda attraversano e che ancora costituiscono un
enorme campo di ricerca e di indagine sugli ebrei moderni.
David
Bidussa, Pagine Ebraiche, maggio 2011
Yosef Haim Yerushalmi, il
profilo
Yosef Haim Yerushalmi (1932
- 2009) è nato a New York in una famiglia originaria della Russia. Il
padre era un insegnante di ebraico. Diplomatosi alla Yeshiva
University, nel 1966 conseguì il dottorato alla Columbia University.
Insegnò Storia ebraica a Harvard e poi, dal 1980 al 2008, fu docente
alla Columbia di Storia e cultura ebraica. In questo ruolo successe a
Salo Baron, che era lo aveva seguito nella sua tesi di dottorato. Tra i
suoi lavori più importanti si segnalano History and Jewish Memory del
1996; Freud’s Moses: Judaism Terminable and Interminable del 1993;
Haggadah and History del 1975 e From Spanish Court to Italian Ghetto
del 1971. Un volume di grande importanza, quest’ultimo, dedicato alla
vicenda dei marrani e dei conversos. Da Giuntina, accanto alla
riedizione di Zakhor, è anche disponibile Assimilazione e atisemitismo
razziale: i modelli iberico e tedesco.
Pagine Ebraiche, maggio 2011
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