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2 luglio 2012 - 12 Tamuz 5772
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rav Jonathan saks

Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova



Nel trattato di 'Eruvin (13b) i maestri insegnano che: "per due anni e mezzo la scuola di Hillel e la scuola di Shammay hanno discusso riguardo alla creazione dell'uomo: secondo la scuola di Shammay sarebbe stato meglio che non fosse stato creato; secondo la scuola di Hillel è meglio che sia stato creato. Alla fine hanno concluso: è meglio che non fosse stato creato e adesso che esiste, "scruti" tra le sue azioni; mentre altri dicono "tasti" le sue azioni". Sulla differenza tra "scrutare" e "tastare" le proprie azioni, si esprime Rabbì Moshe Chayym Luzzatto (1707-1746) nella Mesillat Yesharim (cap. 3): "scrutare le proprie azioni significa ricercare in generale tra i propri atti e distinguere ciò che non si dovrebbe fare…"tastare" le proprie azioni vuol dire ricercare anche tra le azioni buone e scoprire se, tra queste, qualcuna non sia poi così buona. Come si fa, per esempio, quando si tocca un abito per valutare se la stoffa di cui è fatto sia veramente buona, forte e non debole e scadente…" Hillel e Shammay, dopo due anni e mezzo di studio e di "vera" discussione leshem shamaim e il cabalista patavino Ramchal con la sua interpretazione, ci pongono davanti una fondamentale domanda: siamo veramente quelle persone che diciamo o ci proponiamo di essere? Compiere una 'Averà, nella convinzione che sia una Mitzwà, è più pericoloso di quando, la 'Averà, la si compie in piena consapevolezza...

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Non domandiamoci più come è potuto succedere che i nazisti ci hanno sterminato nel silenzio del mondo intero. Lo vediamo ogni giorno. Il fatto è che anche chi non è d'accordo finisce per abituarsi. Hannah Arendt ci racconta di come in America si fece l'abitudine  ai suicidi di tanti profughi ebrei giunti dalla Germania. Noi ci siamo abituati a tanti orrori che non li ricordiamo nemmeno più. Negli ultimi tempi al massacro dei bambini in Siria e poi anche all'assassinio dei cristiani riuniti nelle chiese la domenica. La settimana scorsa è toccata alla Nigeria, oggi al Kenia, a chi domenica prossima? Per chi suona la campana?

davar
Lo Yad Vashem rivede e mitiga il suo giudizio su Pio XII
Per il Rav Di Segni un gesto che lascia "l'amaro in bocca"
Opinioni ebraiche profondamente diversificate, e per certi versi anche contrapposte, di fronte alla revisione del testo che l'istituto Yad Vashem di Gerusalemme espone sotto le immagini del papa Pio XII. Il giudizio storico che ne emerge riguardo alle ambiguità del comportamento di papa Pacelli negli anni bui delle persecuzioni e della Shoah risulta nella nuova formulazione meno categorico e più prudente, lasciando aperte diverse interpretazioni.
Severo il giudizio del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni. "Il pannello di Yad Vashem critico nei confronti di Pio XII - commenta a caldo il Rav della prima comunità ebraica italiana - è stato sostituito con un testo più lungo che presenta due diversi e contrapposti giudizi lasciando le conclusioni in sospeso in attesa di ulteriori chiarimenti (timida allusione all'apertura degli Archivi vaticani). "Malgrado le patetiche smentite d'ufficio della direzione dello Yad Vashem - aggiunge - è difficile allontanare il dubbio che questo non sia il risultato delle pressioni diplomatiche vaticane. Accettando queste pressioni non era più possibile una critica del papa, ma anche una sua difesa sarebbe stata problematica, e allora è stata scelta questa strana soluzione. Che comunque non farà contenti i difensori di Pio XII e che a noi lascia l'amaro in bocca. Perché in un luogo come Yad Vashem la politica dovrebbe rimanere lontana e distinta. Perché non è accettabile che un gruppo di burocrati, diplomatici e forse anche di politici considerino le richieste vaticane - in cambio di chissà che cosa - più importanti per Israele delle nostre memorie dolorose".
Altrettanto duro l'ambasciatore Sergio Minerbi, esponente di spicco della comunità degli Italkim e considerato fra i massimi esperti delle relazioni fra Israele e il Vaticano.
"Che vergogna - commenta - è bastata una protesta del Nunzio della Santa Sede, per far cambiare allo Yad Vashem il testo della didascalia sotto la fotografia di Pio XII. Non so se sia per incompetenza in materia o per voler andar d'accordo con tutti, ed ignoro fino a qual punto abbia influito l'ebreo americano Gary Krupp, di Pave the Way, fiero della sua decorazione vaticana, la “patacca” di San Gregorio Magno. Nel nuovo testo, se verrà confermato, Yad Vashem agisce come se fosse neutrale in materia e si limita ad affermare che alcuni critici “sostengono che ci fu un fallimento morale”. Ma l'istituto non ha un'opinione propria su una questione tanto sensibile? E allora a che serve questa mastodontica istituzione, cosa insegna ai suoi numerosi ricercatori? Come è possibile ammettere che Yad Vashem si limiti a constatare che la reazione “di Pio XII è questione controversa fra gli studiosi”? Va in ogni caso ricordato che Pio XII non pronunciò una sola volta in pubblico la parola ebrei durante tutta la Seconda Guerra mondiale, questo punto almeno non è oggetto di controversia. Alla deportazione degli ebrei di Roma, Pio XII non reagì né in pubblico né in segreto. I suoi incontri diplomatici in quei giorni vertevano su Roma città aperta o sui rifornimenti alimentari e nulla più. Yad Vashem potrebbe agire secondo l'esempio di un gesuita, John Morley, che termina il suo libro sulla Shoah con queste parole:”Bisogna concludere che la diplomazia vaticana fallì nei confronti degli Ebrei durante l'Olocausto non facendo quanto era possibile fare (per venire) in loro aiuto.”
Molto diversa la prospettiva della storica Anna Foa: "Il cambiamento della didascalia su Pio XII al Museo di Yad Vashem era da tempo in programma. Contrariamente a quel che si è subito detto dai media, non mi sembra che la nuova didascalia rappresenti un ammorbidimento del giudizio rispetto a quella precedente, che esprimeva una recisa condanna della posizione di Pio XII verso lo sterminio degli ebrei europei. Quello che la nuova didascalia riflette è, mi sembra, un giudizio più che morale, storico: la consapevolezza che ci si trova all’interno di un dibattito ancora aperto, in cui molta nuova documentazione ha già contribuito a modificare le valutazioni e in cui ci si aspetta che l’apertura degli archivi per gli anni della guerra porti altri contributi rilevanti. La didascalia precedente era frutto, a mio avviso, di un giudizio dogmatico, assoluto, che prescindeva dall’esistenza di un dibattito a livello storiografico e dell’esistenza di nuova documentazione a livello dell’individuazione dei fatti. La nuova apre la strada ad ulteriori modifiche, in un senso o nell’altro, a dimostrazione che la storia si basa sui documenti e sulle interpretazioni, non sui pregiudizi politici o sul senso comune. E i responsabili di Yad Vashem hanno dimostrato, con questo gesto coraggioso, di esserne pienamente consapevoli".
"L'esigenza di una revisione della scritta illustrativa apposta sotto l'immagine di Pio XII allo Yad Vashem - conclude infine il diplomatico e saggista Vittorio Dan Segre - era da tempo avvertita e il fatto che l'istituto abbia ora deciso di metterci mano dimostra che siamo vicini a nuovi accordi complessivi fra Israele e Vaticano su cui si è a lungo lavorato e che potrebbero essere presto siglati. La battaglia di chi da parte ebraica vorrebbe condannare la figura di papa Pacelli a restare perennemente rinchiusa in una dimensione di condanna morale senza appello non è alla lunga sostenibile sotto il profilo politico e forse anche sotto quello storiografico. Ma quello che più conta è comprendere che l'argomento, da qualunque parte lo si voglia guardare, oggi è in grado di suscitare solo un interesse limitato nelle opinioni pubbliche che le parti in causa dovrebbero rappresentare. Certo interessa poco all'opinione pubblica israeliana e certo ancora di meno a un mondo cattolico che comincia a temere il moltiplicarsi di massacri ai danni delle popolazioni cristiane in Africa e nel mondo islamico. C'è un contenzioso da chiudere, fra Israele e il Vaticano, e questo deve avvenire nel migliore dei modi possibili senza lasciarsi condizionare eccessivamente dalle ferite che la storia ci ha lasciato in eredità".




Ecco in sequenza la vecchia formulazione della frase esposta in ebraico e in traduzione inglese, elaborata nel 2005 e la nuova formulazione ora annunciata.

Pius XII

In 1933, when he was Secretary of the Vatican State, he was active in obtaining a Concordat with the German regime to preserve the Church's rights in Germany, even if this meant recognizing the Nazi racist regime. When he was elected Pope in 1939, he shelved a letter against racism and anti-Semitism that his predecessor had prepared. Even when reports about the murder of Jews reached the Vatican, the Pope did not protest either verbally or in writing. In December 1942, he abstained from signing the Allied declaration condemning the extermination of the Jews. When Jews were deported from Rome to Auschwitz, the Pope did not intervene. The Pope maintained his neutral position throughout the war, with the exception of appeals to the rulers of Hungary and Slovakia towards its end. His silence and the absence of guidelines obliged Churchmen throughout Europe to decide on their own how to react.

The Vatican

The Vatican, under Pius XI, Achille Ratti, and represented by the Secretary of State Eugenio Pacelli, signed a concordat with Nazi Germany in July 1933, in order to preserve the rights of the Catholic Church in Germany.
The reaction of Pius XII, Eugenio Pacelli, to the murder of the Jews during the Holocaust is a matter of controversy among scholars. From the onset of World War II, the Vatican maintained a policy of neutrality. The Pontiff abstained from signing the Allies' declaration of December 17, 1942 condemning the extermination of the Jews. Yet, in his Christmas radio address of December 24, 1942 he referred to “the hundreds of thousands of persons who, without any fault on their part, sometimes only because of their nationality or ethnic origin (stirpe), have been consigned to death or to a slow decline.” Jews were not explicitly mentioned.
When Jews were deported from Rome to Auschwitz, the Pontiff did not publicly protest. The Holy See appealed separately to the rulers of Slovakia and Hungary on behalf of the Jews. The Pope’s critics claim that his decision to abstain from condemning the murder of the Jews by Nazi Germany constitutes a moral failure: the lack of clear guidance left room for many to collaborate with Nazi Germany, reassured by the thought that this did not contradict the Church’s moral teachings. It also left the initiative to rescue Jews to individual clerics and laymen. His defenders maintain that this neutrality prevented harsher measures against the Vatican and the Church's institutions throughout Europe, thus enabling a considerable number of secret rescue activities to take place at different levels of the Church. Moreover, they point to cases in which the Pontiff offered encouragement to activities in which Jews were rescued. Until all relevant material is available to scholars, this topic will remain open to further inquiry.

Qui Trieste - La grande festa della sinagoga
Quasi un migliaio di persone si sono date appuntamento ieri a Trieste per la grande festa che ha celebrato il centenario della monumentale sinagoga che nel 1912 riunì, in un unico Bet HaKnesseth, gli ebrei della città.
Le celebrazioni si sono aperte, con la consegna del premio “Il rosone del Tempio” al Caffè San Marco, istituito quest’anno dalla Fondazione Stock Weinberg per la coesistenza tra i popoli in collaborazione con la Comunità ebraica di Trieste per premiare quanti si prodigano per il progresso e il benessere del popolo ebraico e dell’umanità. Il riconoscimento è stato assegnato a Edna Calò Livne, fondatrice del progetto Beresheet LaShalom, e a Mario
Levi, triestino che dal ’39 vive in Israele dove dove dagli anni Settanta ha introdotto, nel kibbutz Sde Elyahu, l’agricoltura biologica (nell'immagine a fianco). Ad accompagnare il pomeriggio, la bella esibizione del coro coro Kol HaTikvah diretto da Marco Podda.
Poi tutti in sinagoga dove, alla presenza delle istituzioni cittadine, si sono esibiti cinque Hazanim: Shai Misan di Trieste; Shmuel Barzilai di Vienna; Malach Kaufman di Verona; Ville Lignell di Linz e rav Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, di Milano. Un parterre internazionale che in un’atmosfera di grande suggestione, animata dal racconto teatrale dei cent’anni della sinagoga triestina, ha proposto una selezione di arie tradizionali.

d.g. - twitter @dgrossmoked

Isacco Milesi è un Giusto tra le Nazioni
Consegnata dall'ambasciatore Amos Radian per conto dello Yad Vashem, nella sala polivalente del comune di Roncobello (Bergamo), l'onoreficenza di Giusti tra le Nazioni ai figli del podestà Isacco Milesi in ricordo del ruolo decisivo avuto dal padre e da sua moglie Teresa Ester nel salvataggio di alcune famiglie ebraiche (gli Israilovici di Milano, due sorelle jugoslave e un nucleo familiare di origine austriaca) durante le persecuzioni nazifasciste. Commovente e molto intensa la cerimonia, durante la quale sono stati ricordati i meriti di tutta la cittadinanza nell'opera di nascondimento e nel successivo muro di silenzio eretto contro gli aguzzini. “I figli di Milesi – ha affermato Isacco Israilovici, il più giovane tra i salvati, appena due anni all'epoca – sono stati così modesti e così nobili da consegnare l'onoreficenza a tutto il paese di Roncobello. Un gesto motivato dal fatto che senza l'aiuto e il silenzio di tutti i concittadini questa azione di coraggio non sarebbe stata possibile”. Era stato proprio Israilovici il primo ad attivarsi per arrivare a questo riconoscimento. “Ho cercato la famiglia Milesi una prima volta nel 1992 – racconta commosso – ma ci dissero che qui, a Roncobello, non c'era più nessuno. Poi mi dissi assieme a mia moglie che li avrei trovati a tutti i costi”. Una missione finalmente portata a termine. Con Isacco Milesi sono adesso dieci i cittadini bergamaschi iscritti nel registro dei Giusti italiani dello Yad Vashem.

pilpul
In cornice - I delfini di villa Litta
daniele liberanomeLa visita al Ninfeo di Villa Litta a Lainate (appena fuori Milano) significa divertimento assicurato per bambini e non solo, con i giochi d'acqua apprezzati da Stendhal e azionati da meccanismi nascosti sotto sedie, scalini, statue. Gli spruzzi ti colpiscono quando meno te lo aspetti. Le pareti e i soffitti sono spesso decorati da forme che hanno a che fare con mare o con l'acqua in genere, ottenute con sassolini di fiume di colori diversi o dipinti uno per uno. In uno degli ambienti è stato riprodotto un delfino, o meglio quell'animale-mostro che il delfino era diventato nell'iconografia di tutta l'arte pre-ottocentesca e che poco ha a che fare con il mammifero amico dell'uomo e star di film e telefilm. La pinna caudale che ha sul dorso gli venne spostata sulla testa fino a farlo sembrare un drago marino, i suoi dentini parevano affilatissimi nella sua bocca sempre aperta, gli occhi erano sempre spalancati in uno sguardo da orca assassina, il suo corpo pareva attorcigliarsi quasi fosse un serpente. Tutto ciò nonostante che i delfini siano ricordati sempre con connotati positivi nella mitologia greca (la città di Delfi, sede dell'oracolo pare debba il suo nome a delfis-delfino; Dioniso terrorizza i pirati che volevano fuggire, che si trasformano in delfini e lo salvano) e nel mondo religioso cristiano (vengono venerati diversi personaggi che si sarebbero salvati a dorso di un delfino, anzi il mammifero stesso era considerato simbolo della salvezza). Come ha fatto allora a diventare il mito mammifero marino una specie di mostro e così venir rappresentato nella Villa Litta e in un gran numero di quadri? Pare che tutto parta da una cattiva riproduzione dell'animale nel “Bestiario” di Cambridge del XII secolo, libro utilizzato in epoche in cui solo pochi giravano il mondo; la tradizione, l'abitudine, i dogmi, l'ignoranza fece poi il resto. C'è da aspettarsi, ad esempio, che Rubens sapesse come era fatto un delfino, ma ormai nel suo “Cupido su Delfino” lo doveva riprodurre in modo irreale, perché altrimenti il suo pubblico non l'avrebbe capito. I pregiudizi, le assurdità, si sviluppano inaspettatamente e, una volta preso piede, sono difficili da estirpare. Vero per i delfini, vero per noi.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for Two - A scuola di passione
rachel silveraArrivati al trentesimo lunedì di Tea for two è tempo di bilanci. Non per un motivo in particolare, ma il numero tondo offre questa opportunità e i bilanci mi hanno sempre dato conforto. Tra poche settimane inizieranno i lavori di Redazione aperta e nella ridente villa di Opicina giovani aspiranti giornalisti si ritroveranno a condividere pasti e opinioni, idee e passioni. Ed è lì che per me un anno fa tutto ebbe inizio. Nel luglio scorso un amico che vedeva in me una sognatrice un po' repressa mi disse: "Perché non vai?", io goffamente risposi che non ne avevo alcuna intenzione, più che altro per la terribile paura di mettermi in gioco. Nessuno può dire che scrivi male se nessuno ti legge. Ero davvero pronta all'incontro con l'Altro o avrei passato l'ennesimo anno rintanata nella mia stanzetta rossa a picchiettare sul portatile senza imprevisti? Poi un esame andato a buon fine su Italo Svevo mi ha destata dal sonno. Sarei andata a Redazione aperta, l'inettitudine non mi avrebbe vinta come aveva fatto con Alfonso Nitti. Questo piglio deciso durò qualche minuto e poi lo stato di grazia venne rimpiazzato nuovamente dalla paura, una mia compagna di viaggio fin troppo affezionata. Appena arrivata sul luogo non mi sono ovviamente fatta mancare una caduta rovinosa, inciampando sul trolley che trascinavo, per fortuna in un momento di solitudine lontana da occhi indiscreti. Così è iniziata la mia Redazione aperta: in sordina e con un piccolo livido. Ho trascorso la maggior parte dei giorni triestini in silenzio, ancora incredula di essere in mezzo a persone così vivaci e interessanti. Non avevo praticamente alcun argomento da tirar fuori e ho seriamente creduto che la mia umile penna avesse finito l'inchiostro. Poi la molla è scattata, il prurito alle mani è iniziato e ho preso una decisione: volevo provarci. Fin da piccola mi sono tirata indietro, ho preferito dire 'no grazie' o 'questa volta passo': dal salto dal trampolino al tuffo di testa. E la cosa bella è che, pur acerba, sono stata accolta con entusiasmo dalla redazione, che mi ha fatta sentire necessaria più del necessario e mi ha letteralmente accudita. Perché, saranno banalità, per provare non ci vuole solo il coraggio ma anche la possibilità. La possibilità di avere un po' di spazio. Immaginate un giornale come un palazzo, ebbene avevo la possibilità di arredare una camera, allora ho montato le tende rosa, ho assemblato una di quelle librerie di Ikea dal nome ridicolo e riempito tutto di parole, cancellature e inchiostro. Così aspetto di raggiungere nuovamente la mia amata Trieste e tornare proprio sopra quei sassolini che mi hanno fatta inciampare, per poter dire a me stessa con una punta di orgoglio, non ce l'ho fatta, ma ci sto provando.

Rachel Silvera, studentessa - twitter@RachelSilvera2

notizie flash   rassegna stampa
Sorgente di vita - Il censimento dell'ebraismo italiano
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Chi sono, dove vivono e cosa pensano gli ebrei italiani di oggi? Come sono cambiati negli ultimi decenni? Al censimento diretto dal sociologo Enzo Campelli dell’Università La Sapienza di Roma, di cui si conosceranno i risultati tra pochi mesi, è dedicato il primo servizio della puntata di Sorgente di Vita in onda stasera. Attraverso il parere di intervistati e intervistatori, un viaggio nella variegata realtà dell’ebraismo italiano.
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