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L'Unione informa |
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3 giugno 2009 - 11 Sivan 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
In queste settimane abbiamo iniziato a leggere il quarto libro della Torà, il libro di Bemidbàr.
Il libro racconta la storia del popolo ebraico in 40 anni di permanenza
nel deserto. Una storia complicata in cui si vivono vari momenti di
crisi, alcune molto profonde. Questo libro però è considerato
fondamentale a tal punto che si deve cominciare a leggerlo prima della
festa di Shavuòt, come preparazione al Mattàn Torà. Come mai? Si
possono dare varie risposte a questa domanda. Ne proponiamo due. 1) E'
il libro in cui la Torà passa dalla spiegazione teorica alla realtà
concreta. Questo comporta difficoltà di vario tipo e momenti di crisi
profonda. Ma queste crisi vengono comunque superate e il popolo ebraico
riesce a realizzare il progetto che ha cominciato con l'uscita
dall'Egitto. 2) Il libro di Bemidbàr descrive minuziosamente la
disposizione dell'accampamento intorno al Mishkàn, al Santuario. Gli
ebrei nel deserto vivono momenti estremamente pericolosi da un punto di
vista spirituale ma riescono comunque a superarli perché mantengono
fermo il loro punto di riferimento che è il Santuario. |
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La Israel Parade
quest'anno lungo la Fifth Avenue ha avuto per tema i cento anni di Tel
Aviv. Hanno sfilato oltre cinquantamila persone, in maggioranza giovani
e giovanissimi, in una grande festa dell'identità ebraica
contemporanea. Ad aprire la sfilata è stato un drappello di poliziotti
a cavallo di New York in alta uniforme: conoscono Tel Aviv per avervi
frequentato un corso di antiterrorismo dopo gli attacchi dell'11
settembre. |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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Laicità significa libertà e dignità per tutti
La gustosa noterella di Alberto Cavaglion
pubblicata ieri, con tanto di aneddoto crociano, nel riproporre
opportunamente l'irrisolta questione, per certi versi ultimamente
aggravatasi ulteriormente, dell'insegnamento nella scuola pubblica
della sola religione cattolica, a carico però dei contribuenti tutti
(credenti vari o non credenti che siano), mi costringe a insorgere,
peraltro ben volentieri, da liberale senza prefissi o suffissi per
puntualizzare la visione liberale di una società aperta, quindi laica,
ma non per questo in contrasto con la pratica di una religione oppure
laicista nel senso di antireligiosa.
E' infatti proprio di
una vera società laica assicurare la libertà di tutti nel rispetto tra
tutti, pur rimanendo essa imparziale tra le parti e, proprio per
questo, avendo quindi la capacità di essere garante per ciascuno,
mentre è laico l'individuo che, qualora anche credente e praticante,
riconosce semplicemente di non dover cercare di imporre la propria
visione e le proprie regole agli altri, ovviamente tutelato
contestualmente egli stesso nel diritto a rispettare le proprie scelte
e le proprie modalità di vita.
Il problema è che la
laicità delle istituzioni è purtroppo sempre più compromessa in questo
Paese e la scuola pubblica ne è solo un esempio.
Eppure
sarebbe assai semplice ovviare alla questione scolastica prevedendo
semplicemente che a tutti venissero applicate le norme che, ad esempio,
sono previste al riguardo nella nostra Intesa e che marcano la
disparità in atto non solo nei nostri confronti: noi possiamo accedere
a nostre spese nella scuola pubblica, mentre gli insegnanti di
religione cattolica sono a carico del pubblico bilancio (situazione che
si ripropone in numerose diverse situazioni, a esempio quelle dei
cappellani militari, carcerari, ospedalieri).
Unire ciò a
una reale alternativa all'ora di religione darebbe una soluzione
rispettosa del concetto di società aperta, pur non disdegnando, per
quanto mi riguarda, anche la radicale alternativa secondo la quale in
un Paese libero non è certo l'istruzione pubblica a doversi preoccupare
dell'educazione religiosa degli alunni, non mancando la possibilità di
accedere alle singole e varie istituzioni religiose liberamente
operanti.
L'aneddoto centra però il problema italiano,
ovvero che spesso anche da parte di chi dovrebbe essere maggiormente
predisposto a una visione da società aperta, si preferisce non smuovere
le acque, magari anche in virtù del sempre presente concetto del "tengo
famiglia".
Sono testimone della risposta che l'allora
ministro della Difesa Spadolini dette a noi giovani liberali (di quei
tempi) che richiedevamo l'istituzione di cappellani militari anche per
le fedi diverse da quella cattolica: "Già abbiamo abbastanza cappellani
cattolici, ci mancherebbe di averne anche di altre religioni...". Ma
non per questo mise mano alla questione abrogando del tutto la figura
del cappellano militare e risolvendo così il problema.
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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pilpul |
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Intese e Otto per mille, qualcosa si muove
La
Commissione Affari costituzionali della Camera ha definitivamente
approvato, il 26 maggio scorso, le leggi concernenti integrazioni delle
intese con la Tavola valdese e l'Unione italiana delle Chiese cristiane
avventiste del 7° giorno.
La prima consentirà ai valdesi
di partecipare – con riguardo al riparto della quota dell'8 per mille
del gettito Irpef – all'ulteriore riparto delle somme risultanti dalle
scelte inespresse assegnate in proporzione alle scelte effettuate dai
contribuenti.
La seconda riguarda il riconoscimento da
parte dello Stato della laurea in teologia e dei diplomi in teologia e
in cultura biblica rilasciati dall'Istituto avventista di cultura
biblica.
Se la Commissione Affari costituzionali ha
proceduto all'approvazione delle leggi senza alcun ulteriore dibattito
rispetto a quello già svolto, le attività in sede consultiva delle
altre Commissioni offrono due spunti interessanti, uno per ciascuna
legge.
Sull'integrazione dell'intesa con la Chiesa valdese
relativa alla partecipazione al riparto anche delle scelte inespresse,
la Commissione Bilancio ha riproposto, nel proprio parere, una
questione già sorta durante l'esame al Senato, relativa alla copertura
finanziaria del provvedimento. La questione nasce dal fatto che negli
ultimi anni la quota dell'8 per mille di spettanza dello Stato è stata
utilizzata anche per finanziare leggi di spesa, riducendo moltissimo
(fino agli 80 milioni di euro per il 2009) la somma destinata agli
interventi sociali ed umanitari. Si è così trasformata una somma
comunque aleatoria in una copertura di spese a carattere pluriennale,
con il rischio, oggi, che, subendo una decurtazione, seppure piccola,
per l’ingresso della Tavola valdese tra le confessioni che partecipano
al riparto anche delle scelte inespresse, non sia più in grado di
coprire tali spese.
La Commissione Bilancio ha rilanciato
tale preoccupazione, cavandosela – come ogni tanto succede – con una
formula dal sapore di escamotage: ha espresso infatti parere favorevole
sul provvedimento “nel presupposto che l'attribuzione alla Tavola
valdese delle somme dell'otto per mille anche in relazione alle scelte
inespresse non incida sulla quota delle risorse dello stesso otto per
mille di competenza statale già destinate, a legislazione vigente, alla
copertura di specifici provvedimenti legislativi”. La speranza è che il
presupposto si riveli tale....
Sulla modifica dell'intesa
con la Chiesa cristiana avventista ha invece espresso un parere
favorevole la Commissione Cultura, al termine di un dibattito nel corso
del quale il deputato del Popolo delle libertà Fabio Garagnani ha
rilevato (cito dal resoconto sommario della seduta della Commissione
Cultura del 26 maggio) “che il disegno di legge in esame privilegia
eccessivamente una confessione religiosa, che non ha seguito
sufficiente per un provvedimento di legge e una cultura adeguata per
una facoltà teologica: si delegittima di fatto in questo modo la Chiesa
Cattolica, largamente maggioritaria e presente da duemila anni nel
nostro paese. Preannuncia, pertanto il proprio voto di astensione sulla
proposta di parere presentata”.
Lascio al lettore qualsiasi commento.
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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E’
il giorno di cui si parla da mesi. Oggi, con la visita in Arabia
Saudita, inizia il viaggio del presidente Barack Obama in Medio
Oriente, la missione politica che vedrà il suo clou nel discorso
pronunciato domani all’Università del Cairo. I riflettori della stampa
sono tutti puntati su questo evento, circondato da grande attesa,
accompagnato da umori differenti e da reazioni divergenti. Per
interpretare una fase così importante con cognizione di causa occorre
però, innanzitutto, tenere presenti due interviste che Obama ha
rilasciato alla vigilia della partenza. La più citata è quella a Justin
Webb della BBC (riportata da Repubblica),
in cui il presidente delinea il senso di questa virata totale della
politica americana in direzione di un dialogo autentico, basato su
principi universali di democrazia che in quanto tali appartengono al
mondo intero e non solo all’Occidente. Una logica che a suo dire deve
investire anche gli interessi israeliani, difesi anch’essi dall’ottica
dei “due Stati per due popoli”. L’altra intervista, forse meno
divulgata ma ancora più rivelatrice degli attuali orientamenti
americani, è quella concessa alla National Public Radio, network
radiofonico pubblico statunitense, nella quale Obama è molto chiaro nei
confronti di Israele: agli amici si parla apertis verbis, e per il bene
suo e di tutti Israele deve bloccare gli insediamenti nei Territori
(anche i cosiddetti sviluppi naturali), altrimenti l’atteggiamento
americano verso lo Stato ebraico potrà conoscere qualche cambiamento…A
buon intenditor… Su questa base, le pagine di molti quotidiani ci
offrono dell’itinerario presidenziale un quadro d’assieme carico di
sfumature significative, che è interessante prendere in considerazione. La Stampa dà spazio a due delle sue penne più prestigiose. Lucia Annunziata,
aprendo in prima pagina con l’efficace titolo “Se Obama va a Maometto”,
sottolinea lo straordinario rilievo di questa iniziativa americana: un
ruolo affermato già a priori dagli indici di gradimento che il mondo
musulmano riserva all’attuale presidente Usa, assai più elevati di
quelli scarsissimi destinati a suo tempo a Bush; e soprattutto voluto
con forza per creare le condizioni di una vera e propria svolta
nei rapporti col mondo arabo, per crearla oltretutto non nel cuore
dell’Impero – dagli uffici della Casa Bianca, ma dall’interno del mondo
musulmano. E’ la prima volta, con questa “forte pagina culturale”, che
“la montagna va a Maometto”. Dal canto suo Igor Man
è attratto da un’istintiva simpatia per “il giovine Obama”, che
con cuore antico si pone di fronte ai problemi senza fare viaggi
turistici ma affrontando “una inedita full immersion nella crisi”. Ad
aspettarlo è soprattutto la città del Cairo, che Man ci descrive
sapientemente, offrendoci l’immagine viva di una megalopoli
caratterizzata dagli abissali contrasti tra la ricchezza più sfrenata e
la miseria più nera, dagli incontri-scontri fra tradizione e modernità. Sul
Corriere della Sera la presentazione del viaggio presidenziale diviene
meno profetica e suggestiva, ma acquista toni di concretezza. Guido Olimpo
tratteggia sinteticamente gli orizzonti di novità ma anche le numerose
difficoltà che si schiudono davanti alla missione di Obama, dai
rapporti con un Israele recalcitrante ai rischi di un’apertura a un
Iran poco affidabile. Paolo Lepri
evidenzia la novità dell’attuale linea americana e il forte consenso
che essa è capace di suscitare, sottolineando il non trascurabile
particolare che gli Stati Uniti si muovono in questa direzione senza
umiliarsi, senza chiedere scusa per i loro atteggiamenti passati. Differenti
certo tra loro, ma tutte tese a cogliere in anticipo il significato di
fondo della missione di Obama per il futuro del Medio Oriente, le
analisi del Foglio, di Gian Micalessin sul Giornale, di Alberto Flores D’Arcais su Repubblica, di Martino Mazzonis su Liberazione, di Anna Guaita sul Messaggero, di Umberto De Giovannangeli sull’Unità.
Ed è significativo come, nonostante le divergenti linee politiche e
nonostante le incertezze e gli scogli evocati da tutti gli articolisti,
ovunque si guardi con attesa e con un rispetto di fondo all’impegno con
cui il presidente americano si spende per cambiare il clima dei
rapporti internazionali. I contrasti tra i commentatori si
accentuano quando andiamo al di là dei principi o della nuova atmosfera
mondiale e proviamo invece a muoverci all’interno di questioni più
specifiche, come la reale linea politica di molti Stati arabi o
l’andamento e il futuro dei rapporti USA/Israele. Su Europa
Janiki Cingoli analizza con realistico equilibrio la posta in gioco per
Israele, oggi davvero difficile. Una situazione che appare priva di
sbocchi per Netanyahu: se insiste a non aprirsi alle condizioni poste
da Obama rischia gravi conseguenze internazionali per il suo Paese; se
accetta di bloccare davvero ogni politica degli insediamenti rischia di
perdere il sostegno al suo governo e di dover rassegnare le dimissioni.
Sandy Berger, ex consigliere politico di Bill Clinton intervistato da
Alessandra Farkas per il Corriere della Sera,
appare più fiducioso sul futuro buon esito degli attuali sforzi
americani, in grado a suo giudizio di coinvolgere anche Gerusalemme.
Assai critico invece, sul Giornale,
il commento di Fiamma Nirenstein, che vede un Obama troppo precipitoso
e “innamorato della sua stessa bontà”, ingenuo o cinico quando parla di
valori democratici universali a popoli che da sempre soffrono per la
repressione attuata da regimi spietati. Ma non può darsi che il
presidente americano volesse davvero con quelle parole ammonire
indirettamente una parte (spietata) del mondo musulmano a un
comportamento differente e più rispettoso dei valori umani? Tentativo
palesemente ingenuo e certo inefficace, ma perché cinico? Quale leader
può procedere senza le armi della retorica? Certo la Nirenstein è più
convincente quando nota la pecca fondamentale dell’itinerario di Obama:
l’assenza di Israele. E’ vero, così Gerusalemme sarà ancora più
isolata, e ancora più facilmente bersaglio del mondo arabo nel suo
complesso (incluso, e in testa a tutti il non arabo Iran). Ma non è il
governo israeliano stesso ad autoescludersi dalla considerazione
internazionale rifiutando, per i motivi interni che abbiamo visto
sopra, ogni minima apertura? E poi, Obama con questo viaggio non
persegue tanto il legame con Israele al quale – si spera – offrirà
altre concrete chances, quanto la svolta culturale e politica nei
confronti dell’Islam, questione aperta almeno dall’11 settembre 2001
(ma anche dagli anni precedenti, a ben guardare). Questione decisiva
per una nazione che con la sua forte minoranza islamica è “uno dei più
grandi Paesi musulmani”, per dirla con le stesse parole del presidente
che Il Giornale sceglie non a caso come titolo di un suo articolo. In
conclusione, non è giusto né utile guardare solo con sfiducia
all’iniziativa di Obama. Potrà rivelarsi davvero importante, se avrà
gli appoggi e l’equilibrio adeguati. Certo l’apertura al mondo arabo
andrà bilanciata da esigenze inderogabili, come quella di garantire
vita e sicurezza allo Stato di Israele. E anche l’apertura all’Iran
dovrà apparire un po’ meno “facile” e un po’ meno generica rispetto
alla pura mano tesa di questo momento. Anche per non trovarsi poi a
stringere una mano che nasconde un’ogiva atomica. Altre due brevi segnalazioni in chiusura. Sul Corriere
un bel pezzo di Bernard-Henry Lévy in risposta alle generiche e
inaccettabili scuse di Farouk Hosny, candidato egiziano antisemita alla
direzione generale dell’UNESCO. Sulla questione della stella
gialla adottata impropriamente come simbolo politico dai radicali, due
lucidi interventi di disapprovazione costruttivamente critica. Elena
Loewenthal su La Stampa
nota che l’adozione pannelliana della stella gialla non è degna delle
nobili pannelliane battaglie dei radicali sostenute sempre per scopi
non egoistici. Sul Riformista
Fernando Liuzzi aggiunge alle giuste riserve sin qui avanzate un
rilievo non secondario: parlare in questi termini di stella gialla e
usarla come simbolo politico della discriminazione avalla l’equazione
politica ebreo uguale vittima, prodotto della storia ma oggi non più
accettabile.
David Sorani |
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Barack
Obama e il suo atteso discorso al Cairo
Wasghington, 2 giu - "Portare
avanti una discussione in corso" questo sarebbe, secondo il portavoce
di Obama, Robert Gibbs, l'unico scopo del discorso del presidente
americano al Cairo. La Casa Bianca "non si aspetta di cambiare
tutto con un discorso" in Medio Oriente, ha sottolineato Gibbs
poche ore prima della partenza del presidente per il viaggio che lo
porterà dal 3 al 7 giugno in Arabia Saudita, Egitto, Germania e
Francia. L'atteso discorso che Obama pronuncerà all'Università del
Cairo, ha quindi affermato il portavoce, fa parte di un percorso di
dialogo con il mondo mussulmano, che dovrà continuare nel tempo. Sul
fronte invece degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, tema
destinato ad emergere nel viaggio del presidente americano, Gibbs ha
ribadito che "il messaggio del presidente è sempre stato lo
stesso: quello di esortare Israele a interrompere ogni nuova
costruzione”.
Russia e Israele: l'incontro fra Lavrov e Lieberman, uniti nell'appoggiare la ripresa dei negoziati in Medio Oriente. Mosca, 2 giu - "Israele
e la Russia appoggiano attivamente gli sforzi attualmente in corso allo
scopo di creare le condizioni per la ripresa del processo negoziale in
Medio Oriente” così il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha
affermato al termine del colloquio con il collega israeliano Avigdor
Lieberman. E ha aggiunto: “Si tratta anche dell'attività del Quartetto,
che conta di tenere la sua prossima riunione questo mese a livello di
ministri, e dell'azione insistente dell'Egitto diretta a risolvere il
problema del raggiungimento dell'unità palestinese". “La Russia, ha
detto ancora Lavrov, non vende armi in Medio Oriente attraverso paesi
terzi. Se vende armi ai paesi della regione mediorientale Mosca lo fa
seguendo il principio della inammissibilità di una
destabilizzazione della situazione e della rottura dell'equilibrio
delle forze esistenti". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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