Noterelle – Il povero Sacerdote

Si ritorna a parlare di scuola. Immancabilmente ritorna il vecchio problema, che da sempre investe la vita degli ebrei italiani, dai tempi dello Stato liberale, alla riforma Gentile con le norme sull’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nella scuola elementare giù fino all’art. 7. Come hanno reagito e soprattutto come pensano di reagire gli ebrei italiani a questa forma di ingerenza ecclesiastica nella sfera dell’istruzione? In passato è (quasi) sempre prevalsa una aprioristica adesione alle posizioni dei laici. La cosa non mi ha mai molto convinto, l’etichetta “ebreo laico” logicamente penso sia infruttuosa. E’ immaginabile un ebreo che non si pone il problema del suo rapporto con Dio e con l’esperienza della fede, sia pure graduandola o sottoponendola al vaglio della ragione? Credo che per ogni ebreo l’idea vichiana secondo cui l’infanzia sia l’età dei miti, dunque la più fertile per far scoccare la scintilla della fede religiosa, sia un’idea condivisibile. Tutto dipende dalla capacità dei Maestri che dovrebbero essere chiamati a svolgere questo compito educativo, perché no, anche all’interno di una rinnovata scuola pubblica, garantita da una democrazia forte e “plurale”. Certo, non può essere imposta “una” religione nelle scuole pubbliche. Ma nemmeno l’ipotesi laicista che affiderebbe a storici della filosofia agnostici – sul modello Odifreddi – mi persuade. Le cose non promettono bene per il futuro.

Contro l’ipotesi di docenti maliziosi e impertinenti, costretti, pur di non perdere lo stipendio, “a biascicare increduli e irriverenti” i dogmi dei credenti, nel 1923, dopo la controversa riforma Gentile, insorgeva Benedetto Croce, rievocando l’aneddoto del povero Sacerdote, che mi sembra non abbia perso di attualità e perciò penso sia bene rileggerlo a futura memoria: “Era in Napoli, nel 1860, un povero ebreo affamato, a nome Sacerdote, il quale si piantava da più giorni in mezzo alla folla dei postulanti, innanzi alla casa di Garibaldi, cercando vanamente di consegnargli nelle mani una supplica per ottenere un impiego. Garibaldi, che aveva notato la fisionomia, finalmente gli domandò con una certa impazienza: ‘Ma chi siete? Che volete?’. E l’ebreo: ‘Generale, sono il povero Sacerdote, che versa in grande miseria… “. Garibaldi, che credette che fosse un ‘povero sacerdote’, si rivolse al suo ufficiale di ordinanza e dispose: ’Fatelo cappellano militare’. E colui si vestì da cappellano militare” (Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bibliopolis, 1993, pp. 250).

Alberto Cavaglion