Com’è noto, un’antica tradizione cabalistica ebraica interpreta la nascita dell’Universo non come un un atto di “potenza” di Dio, come irrompere dell’essere nel nulla del vuoto preesistente, ma, al contrario, come uno tzimtzum, una “ritirata del Signore”, un suo “arretramento”. …
È una fotografia interessante dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo quella proposta dalla Biblioteca Nazionale d’Israele (NLI) nell’imminenza del primo anniversario dei pogrom di Hamas. Mentre le commemorazioni sono ormai in vista e ci troviamo alla vigilia anche …
«Sono nato del 1955 e spesso mi sono chiesto come mai, nel mondo della cultura e tra le persone qualunque, verso la fine degli anni Trenta nessuno si accorse, o volle non accorgersi, non che il mondo in generale, ma il mondo ebraico in particolare stesse precipitando lungo una china catastrofica, culminata nella Shoah. Era difficile da decifrare? C’era indifferenza, quieto vivere, incredulità di fronte a quella lenta discriminazione, che poi sarebbe diventata persecuzione e infine Apocalisse? Mancavano gli strumenti concettuali per capire dove si stesse andando? Per paura, ottusità, meschinità. Ecco, oggi credo di aver capito come mai». Una consapevolezza, quella del giornalista Pierluigi Battista, maturata con l’ondata di antisemitismo seguita al 7 ottobre. Per mesi, scrivendo i suoi pezzi per il Foglio e l’Huffington Post, Battista ha annotato gli episodi di odio contro gli ebrei avvenuti nel mondo, in particolare in Occidente. L’elenco si è dimostrato lungo, troppo lungo, denuncia il giornalista nel suo ultimo pamphlet La nuova caccia all’ebreo (Liberilibri).
«Alto è solo Kafka», scriveva Gustav Janouch, per aver superato «ogni condizione di misura» e «per quel mondo immane che aveva in testa». Da questa icastica definizione Prisco De Vivo ricava il titolo (Kafkalto. Del quaderno e delle metamorfosi,…
Ambientato nell’Italia del dopoguerra, Certe promesse d’amore è uno dei libri più poetici dello scrittore torinese Aldo Zargani (1933-2020). Se nella sua opera di maggior successo Per violino solo, La mia infanzia nell’Aldiqua. 1938-1945 si era soffermato sugli anni delle persecuzioni antisemite, in questo testo uscito nel 1997 che ne è l’ideale continuazione descrive il «supermercato delle utopie» del periodo della ripartenza post-bellica, dedicandosi in particolare all’ideale sionista di ricostruzione di una sovranità ebraica nell’allora Palestina mandataria, il nascente Stato di Israele. Protagonisti del romanzo sono proprio il giovane Aldo e una ragazza di nome Dlilah, cioè Dalida come la Dalida di Sansone, «pallida fanciulla ebrea di Trieste» con cui condivide i sentimenti di quella promettente ma anche illusoria stagione tra bagni di mare e campeggi, discussioni e baci.
Paolo Mieli, com’è noto, oltre a essere un grande giornalista, è certamente uno storico di alto valore, e anche un raffinato scrittore. La sua prosa, sempre chiara, limpida, essenziale, riesce a conquistare il lettore, come anche la serenità e l’equilibrio …
Silvia Forti Lombroso pensava di chiudere il suo libro-diario il 25 luglio del 1943. La caduta del fascismo doveva essere l’ultimo capitolo della sua testimonianza di ebrea italiana perseguitata. E invece le pagine continueranno a essere riempite per altri due …
«Anni dopo, quasi ottuagenario, Niccolò Introna per la prima volta nella sua vita avrebbe sentito il bisogno di difendersi. Come se sul banco degli imputati ci fosse finito lui, non loro. Non gli altri due, incluso l’emissario di Hitler che gli era ronzato avidamente intorno per oltre un anno e mezzo». Un attacco da poliziesco, da spy-story all’americana. Le pagine che seguono non sono da meno, ma L’oro e la patria, l’ultimo libro di Federico Fubini, si apre con una nota per il lettore: «Niente di quello che leggerai qui è inventato e neppure abbellito; tutto si basa su documenti originali o, più di rado, testimonianze dirette e studi storici».
Eppure gli elementi del giallo ci sono tutti: il caveau di una banca, 120 tonnellate di oro, un manipolo di ufficiali nazisti nel ruolo dei cattivi.
Il 28 novembre del 1938 l’editore Angelo Fortunato Formiggini parte in treno da Roma con un biglietto di sola andata per la sua Modena. Il pretesto per il viaggio è una riunione di soci della tipografia. In realtà ha ben altri piani in testa. E il giorno successivo li realizzerà gettandosi dall’alto della torre Ghirlandina del Duomo, precipitando su un tratto di selciato oggi conosciuto come il “Tvajol ed Furmajin”, il tovagliolo del Formaggino. «Non posso rinunciare a ciò che considero un mio preciso dovere. Io debbo dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti», aveva scritto in un messaggio destinato alla moglie, affinché fossero chiare le ragioni di quel suo gesto di denuncia contro la violenza delle leggi antisemite approvate poche settimane prima.
Da piazza Unità d’Italia a Trieste, il 18 settembre del 1938 Benito Mussolini annuncia l’entrata in vigore delle leggi razziste. Per gli ebrei italiani inizia la stagione della persecuzione dei diritti, preludio a quella delle vite. A Trieste vivono tra gli altri i Dorfles: buona borghesia, grande cultura. Dovranno presto andarsene per riparare nella toscana Chiassovezzano, tra Pisa e Volterra, non lontano dal parco di San Rossore dove il re Vittorio Emanuele III aveva firmato i provvedimenti antisemiti.
Qui ritroveremo Giorgio con la moglie Alma, e il futuro critico d’arte di fama Gillo con la consorte Lalla.
In Chiassovezzano Piero Dorlfes, figlio di Giorgio, racconta la storia di questa famiglia ebraica “assimilata” salvatasi anche con «una buona dose di incoscienza». Il termine che l’autore trova più adatto per descrivere l’atteggiamento dei suoi cari «è quello di temerarietà; non so se c’è un’altra definizione per una propensione che mi pare fosse comune, in una famiglia né bellicosa né portata all’uso delle armi, ma che si è lasciata andare, alle volte, a sfide pericolose».
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