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L'Unione informa |
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10 novembre 2009 23 Cheshwan 5770 |
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alef/tav |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
Dopo l’esperienza della legatura di Isacco la Torah ci dice che Abramo… “ tornò dai suoi ragazzi…” (Genesi, 22; 19). Molti si chiedono dove fosse finito Isacco, perché padre e figlio non sono più jachdàv,
insieme? A questo proposito vengono riportate alcune diverse
interpretazioni tra cui quella che Isacco sarebbe andato a studiare
Torah da Shem ed Ever, una sorta di scuola intergenerazionale. C’è
quindi una drammatica separazione tra Abramo e Isacco appena dopo la
legatura. È ora che il ragazzo abbia un Maestro che non può più essere
solo suo padre. Secondo un’altra suggestiva esegesi Isacco si
sarebbe rifugiato per tre anni nel Gan Eden per essere guarito dalle
ferite che il padre gli avrebbe procurato. E’ come se un po' di
sacrificio si fosse realizzato. Se nella prima interpretazione ci viene
insegnato che anche dopo aver toccato vette spirituali molto alte si
deve tornare con i piedi per terra, nella seconda viene messa in
evidenza la necessità di un periodo di convalescenza conseguente a
esperienze profonde e traumatiche.
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Qualsiasi grande opera umana possiede una personalità dichiarata dai suoi autori. Solo il tempo riesce a rivelarne l'anima. |
Vittorio Dan Segre, pensionato |
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Vent'anni dalle Intese - La minoranza ebraica in Italia fra legge, pluralismo e identità religiosa
In
che modo la fioritura culturale e la riscoperta identitaria che hanno
caratterizzato l’ebraismo negli ultimi vent'anni può esser messa in
relazione con la firma dell'Intesa ebraica con lo Stato italiano? Può
la stabilità della condizione giuridica e l’uguaglianza dei diritti
aver avuto un riflesso nell’apertura del mondo ebraico verso la società
italiana? Sono questi alcuni fra gli interrogativi emersi nel
corso del convegno di studi “Il ventesimo anniversario dell’Intesa
ebraica”, organizzato dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea (Cdec) e dalla Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre, con
il patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (nell'immagine Arrigo Levi, Renzo Gattegna e Claudia De Benedetti al convegno). Come affermato dal professor Giorgio Sacerdoti,
giurista e presidente del Cdec: “L’intesa impose alle comunità di
attivarsi e competere per mantenere l’identità religiosa e la coesione
sociale pur nel rispetto del pluralismo interno”, costituì quindi per
l’ebraismo non soltanto un punto di arrivo ma di partenza. Fu un punto
di arrivo perché assicurò nel concreto la piena uguaglianza dei diritti
che dalla Carta Costituzionale erano riconosciuti formalmente, ma fu
anche un punto di partenza perché riconobbe all’ebraismo italiano
l’autonomia statutaria, rendendolo concretamente autonomo. “Il
riconoscimento dell’autonomia statutaria segnò la fine dei controlli
statali e l'affermazione dell’originarietà dell’ordinamento ebraico,
non più emanazione dello Stato ma espressione di un autogoverno che
affonda le sue radici nella tradizione ebraica”, così ha scritto il
giurista Guido Fubini in un messaggio inviato per l'occasione vista l'impossibilità a partecipare fisicamente al convegno. L’Intesa
segnò quindi per l’ebraismo italiano l’inizio dell'indipendenza e della
possibilità di auto-organizzarsi senza limitazioni e controlli esterni. Redatta
nel 1987 e convertita in legge due anni dopo, diede attuazione ai
principi e alle norme della Costituzione italiana e, come affermato dal
presidente Ucei Renzo Gattegna,
costituì per gli ebrei “la riconquista della libertà, la fine del
periodo più tragico della loro storia e la salvezza da quel genocidio
scientificamente pianificato e attuato che chiamiamo Shoah”. “Ma non è
possibile comprendere in pieno l'umiliazione, la rabbia e l'incredulità
con la quale gli ebrei subirono l'emanazione e l'attuazione delle leggi
razziste - ha spiegato Gattegna - se non si ricorda la generosità e
l'entusiasmo con i quali essi avevano partecipato alla costruzione
dello Stato unitario, di cui furono una componente essenziale
combattendo nelle guerre risorgimentali e nella Prima Guerra Mondiale”.
L’Art. 17 dell'Intesa definisce le comunità “formazioni sociali
originarie” i cui compiti investono l’intera vita ebraica in conformità
a una tradizione millenaria. Quindi l’Intesa ebbe il merito di “rendere
compatibili due ordinamenti”: l'aspetto religioso in primis ma anche
l'estensione al controllo delle istituzioni. L’intesa infatti non
regola soltanto il culto ma anche, fra le altre cose, l’educazione
ebraica, prevede il diritto per gli studenti ebrei di esser dispensati
dall’ora di religione cattolica nelle scuole e il diritto dei
dipendenti statali e privati al riposo sabbatico. L’Intesa non ha
soltanto inciso profondamente nella vita delle comunità ebraiche ma
anche nella percezione che i cittadini italiani hanno dell’ebraismo. La
condanna della Shoah e di ogni forma di antisemitismo sono divenuti
patrimonio comune della società italiana, così come il riconoscimento e
l'interesse ritrovato per quegli innumerevoli beni culturali ebraici,
ciò a contribuito all'istituzione della Giornata della Memoria e della
Giornata europea della cultura ebraica. Il convegno non si è
quindi limitato all’esame dell’Intesa nella sua componente strettamente
giuridica ma, come affermato dal professor Carlo Cardia,
docente di Diritto ecclesiastico dell’Università di Roma Tre, è andato
volutamente oltre. “Il dato giuridico in questo convegno verrà
esaminato assieme a ciò che ha preceduto ed è seguito a quegli storici
accordi”, così Cardia ha inaugurato la giornata di studi. “Nel
nostro Paese si va sviluppando da tempo un pluralismo religioso
consistente, aperto a diverse preferenze e tradizioni, garantito da
principi costituzionali di laicità e libertà religiosa - ha spiegato
ancora il professore di Diritto ecclesiastico nel suo intervento - ma
il nostro è un pluralismo acerbo, segnato da polemiche che investono i
rapporti fra le confessioni, al quale lo Stato cerca di rimanere
estraneo, e che costituisce l'eredità della nostra storia nazionale.Ho
sempre pensato che l’attuazione dell’articolo 7 e dell’articolo 8 della
Costituzione, oltre a rendere operante il principio di eguale libertà
delle confessioni, potesse svolgere anche la funzione di rasserenare il
clima dei rapporti interconfessionali, facendo crescere il dialogo tra
le religioni, superare almeno le punte più aspre di una polemica che da
noi si trascina più che altrove. Naturalmente ciò in parte è avvenuto.
E’ avvenuto proprio nel rapporto tra cristiani ed ebrei, ad esempio con
gli incontri indimenticabili tra Giovanni Paolo II, la Comunità Ebraica
di Roma, il suo Rabbino Capo Elio Toaff”. “D’altra parte l’ Intesa - ha
spiegato ancora Cardia - è frutto della storia millenaria degli ebrei
italiani e costituisce il portato della raggiunta emancipazione e
integrazione nella società italiana e ha riconosciuto l’apporto storico
e culturale che essi hanno saputo dare alla società italiana ed è
quindi a suo modo un unicum difficilmente estendibile ad altre confessioni religiose”.
Daniele Ascarelli e Valerio Mieli
Le versioni integrali dei discorsi del Presidente Ucei Renzo Gattegna, del professor Carlo Cardia e del Professor Giorgio Sacerdoti sono disponibili sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it
primolevi.it occasione di incontro e conoscenza sull'opera dell'autore di Se questo è un uomo
Da
questa settimana il web offre nuove occasioni di conoscenza dell'opera
di Primo Levi. La presentazione ufficiale del Centro Sudi
Internazionale Primo Levi di Torino ha costituito l'occasione per
rendere pubblico il sito www.primolevi.it Gli
utenti avranno la possibilità di scoprire, attraverso uno strumento
semplice e diretto, l’opera, il pensiero e la personalità di uno dei
più grandi autori italiani del Novecento. “Per Primo Levi era
essenziale il dialogo con il pubblico; noi vorremmo continuare e
facilitare questo rapporto” ha dichiarato il direttore del Centro,
Fabio Levi, durante la conferenza stampa. Il sito pertanto si presta
come mezzo ideale per coltivare questo obbiettivo: tutti avranno la
possibilità di consultare, in italiano o in inglese, un incredibile
quantità di documenti e informazioni riguardanti la vita e le opere
dello scrittore torinese, testimone della tragedia della Shoah ma anche
osservatore privilegiato della realtà contemporanea. “L’esperienza
di Primo Levi è nostra, è attuale” ha sottolineato Amos Luzzatto,
presidente del Centro, che ha poi aggiunto “la lettura delle sue opere
non ci dà delle risposte ma degli spunti drammaticamente veri. Lui ha
cominciato un discorso che deve continuare; ci invita a riflettere e
analizzare la realtà”. Appare dunque molto importante il lavoro di
cerniera fra autore e pubblico che l’associazione si propone di portare
avanti. D’accordo sull’attualità del pensiero di Levi, Domenico
Scarpa, curatore del lavoro di ricerca bibliografica, che ha spiegato
“non vogliamo fare archeologia ma restituire al presente il pensiero di
uno dei più grandi autori moderni. Se conosciamo male la
contemporaneità avremo uno sguardo nebuloso sul passato e cammineremo a
stento nel futuro”. Oltre al sito, si potrà consultare, presso la
biblioteca dell’Istituto storico della Resistenza di Torino il fondo
bibliografico di circa duemila titoli, che comprende edizioni italiane
e straniere degli scritti di Primo Levi. Questa sera nell’aula
magna della facoltà di Scienze Naturali, Fisiche e Matematiche, avrà
inizio il ciclo di incontri “Lezione Primo Levi”. L'iniziativa ha
cadenza annuale e si rivolge in particolare ai giovani, a cui Levi
dedicò sempre un occhio di riguardo. Non a caso quest’anno, alla
lezione "Sfacciata fortuna" (Se questo è un uomo): la Shoah, il caso e l’uomo normale"
tenuta dal professor Gordon, docente dell’università di Cambridge, sono
state invitate due classi del liceo D’Azeglio (lo stesso di Primo
Levi). Gli alunni, oltre a seguire la conferenza, avranno la
possibilità di confrontarsi in classe con il relatore sul tema da lui
trattato.
Daniel Reichel
Qui Trieste – Le velenose ambiguità dello storico Nolte
Si
celebra in Germania ma anche nel resto d’Europa, il ventennale dalla
caduta del Muro di Berlino. Manifestazioni, concerti, convegni, il
ricordo di quei giorni che cambiarono il corso della storia è avvenuto
in molteplici modi. Quello scelto dall’amministrazione cittadina
triestina è stato però alquanto discutibile. Ospite d’onore di un
convegno organizzato dall’assessorato alla cultura e intitolato “Le premesse storiche della costruzione e del crollo del Muro di Berlino”, infatti, è stato lo storico tedesco Ernst Nolte (nella foto in alto).
Un personaggio estremamente ambiguo, più volte accusato di voler
riabilitare il nazionalsocialismo. Nolte, dal canto suo, ha sempre
negato qualsiasi genere di simpatia nei confronti di quell’ideologia, e
lo stesso farà durante l’appuntamento triestino, quando, rivolto alla
platea, dirà: “Non sono mai stato filonazista, né conosco alcun tedesco
che stia aspettando l’arrivo di un nuovo fuhrer”. Sarà. Le sue
spiegazioni, però, non devono essere state così convincenti visto che
ieri sera, poco prima di prendere la parola, una cinquantina di persone
hanno protestato con veemenza per la presenza di un individuo così
controverso in sala. Sono volate parole forti (“fascisti vergogna” e
“voi non siete la nostra storia”), indirizzati verso gli organizzatori
dell’evento. Poi, scortati dalle forze dell’ordine, i dimostranti sono
usciti (o sono stati fatti uscire, non si è ben capito) dalla sala.
Nolte, durante quei minuti è rimasto immobile e apparentemente
imperturbabile, probabilmente abituato a scene del genere in occasione
dei convegni ai quali partecipa come relatore. “La causa
principale dell’avvento del nazionalsocialismo è da ricondursi ai
massacri compiuti dei bolscevichi” la sua tesi, che vede l’elezione di
Hitler come reazione al timore di una sempre maggiore pressione e
influenza sovietica da Est. “Il nazionalsocialismo aveva nella
sua testa un nemico e questo nemico era il marxismo”, sarà questa la
contrapposizione alla base di quella che Nolte chiama guerra civile
europea, conflitto ideologico intestino al Vecchio Continente che si
sarebbe protratto per quasi un trentennio, dal 1917, anno della
Rivoluzione Russa, al 1945, quando fu firmato l’armistizio che pose
fine al secondo conflitto mondiale. A farne le spese gli ebrei.
Identificati dai nazisti come i fondatori e i promulgatori del
comunismo, la soluzione finale viene vista dal regime come una
necessità per mantenere la stabilità del paese e distruggere il germe
comunista . O quantomeno, nella versione un po’ soft che viene
generalmente contestata a Nolte, un bilanciamento neanche troppo
anormale con la “barbarie asiatica” dei sovietici. A sentire lo storico
tedesco, poi, la soluzione finale sembra che sia stato perpetrata
solamente da uomini in divisa, come se il coinvolgimento e molto spesso
la partecipazione entusiastica della popolazione siano stati solo dei
dettagli. Sarà che deve parlare di oltre ottanta anni di storia e deve
affrontare i vari capitoli delle vicende tedesche del secolo scorso con
una certa celerità, ma il dubbio sulle sue idee in proposito resta.
Lui, però, si schermisce: “Chi pensa che io sia un revisionista nel
senso dispregiativo del termine non ha mai letto i miei libri”. Il
sospetto che sia almeno un po’ antisemita, però, è qualcosa di molto
fondato. In occasione di un convegno filosofico organizzato nel 2003 a
Palazzo Madama, infatti, Nolte paragonò lo stato di Israele all'ex
Unione Sovietica di Stalin e alla Germania di Hitler, scatenando la
reazione dell’ex ambasciatore Ehud Gol, che lo definì “un ignorante e
un antisemita guidato da un odio viscerale verso il popolo ebraico”.
Intervistato dal Corriere della Sera qualche mese dopo, riferendosi al
termine antisemitismo, disse che “è' ora di abbandonare questa parola
al suo destino”. “Abbiamo invitato un grande storico”, con queste
parole l’assessore comunale Massimo Greco ha fatto da apripista
all’intervento di Nolte. Ma non tutti possono trovarsi concordi.
Adam Smulevich |
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Diritti e bisogni dei nuovi cittadini
“Rispettate lo straniero, perché foste stranieri...». Così recita un
importante insegnamento della tradizione ebraica. E' per questa ragione
che oggi ci pare opportuno recuperare il messaggio del filosofo tedesco
Hans Jonas: la responsabilità sul futuro delle giovani generazioni è
centrale in un Paese che, nell'arco di pochi anni, vedrà modificata la
sua identità sociale e culturale. La trasformazione socio-demografica
in atto in Italia non ha precedenti. Al 31 dicembre 2008 (Istat,
Bilancio demografico nazionale 2008) la popolazione italiana presenta
un incremento di 425.778 unità (0,7%). Questa crescita è dovuta quasi
esclusivamente alle migrazioni dall'estero, e gli stranieri sono circa
6,5 ogni 100 individui residenti. I bambini figli di immigrati sono il
12,7% di tutti i nati vivi, rispetto all'1,7% del 1995. I dati indicano
con chiarezza l'inevitabile contrapposizione tra due bisogni diversi:
la «salvaguardia dei diritti» dei cittadini a fronte di una società in
evoluzione, e la «tutela dei diritti» dell'immigrato, del rifugiato,
dello straniero. Scaturiscono, così, alcuni quesiti sui fondamenti
della convivenza civile: quali devono essere le «regole» democratiche
valide sia per gli indigeni sia per gli stranieri? Come definire
un'identità nazionale necessariamente differenziata? Come evitare che
la paura comprensibile venga tradotta in un'ostilità verso il diverso?
I processi di individualizzazione dell'attuale fase storica non
agevolano processi di accettazione e accoglienza. La precarizzazione
del lavoro, che dà vita a una stratificazione sociale marcata, complica
la situazione, mentre fenomeni di delinquenza e corruzione
contribuiscono alla crescita di un clima di sfiducia. La paura della
perdita del benessere faticosamente conquistato testimonia il rischio
dell'esclusione sociale e la concomitanza tra l'aumento della
disoccupazione e quello dell'immigrazione è una possibile scintifia di
conflitti interetnici, in un Paese di emigranti che è rapidamente
diventato Paese di immigrati. Tutto ci impone una definizione rigorosa
della nozione di «cittadinanza» e un ragionamento sull'estensione dei
diritti da attribuire anche ai non cittadini. E inoltre richiede
interventi sul sistema educativo; nuove declinazioni dei principi di
solidarietà verso i più deboli di qualunque provenienza o condizione;
risposte ai problemi, sempre più urgenti, di natura etica. Nella storia
occidentale, la genesi faticosa degli Stati nazionali ha posto le
premesse del governo democratico della società civile. In questo
processo è stata fondamentale l'ampia condivisione, malgrado le
diversità, della dignità dell'individuo come valore fondamentale. Ciò
non è sempre avvenuto e la costruzione delle nazioni moderne ha potuto
prendere, nel corso del Novecento, anche la strada del totalitarismo.
Il rischio è nuovamente presente, in forme naturalmente diverse dal
passato. Esso può essere limitato da tutte quelle forme di aggregazione
e organizzazione e da come queste verranno garantite rappresentate da
partiti, sindacati, associazioni di base. E perché sia scongiurato
occorre studiare il tema dell'inclusione nella cittadinanza e
affrontare democraticamente il problema delle culture diverse. La
laicità dello Stato assume, dunque, una nuova pregnanza di fronte alla
pluraliri di fedi e sensibifità religiose o atee, e diventa un
termometro di uguaglianza: i cittadini devono confrontarsi con usi e
abitudini diverse, mentre il diritto deve misurarsi con una
molteplicità di esigenze e compatibilità, nell'immediato e a lungo
termine. La vicenda storica della piccola minoranza ebraica italiana
può contribuire al dibattito pubblico su questi temi mostrando come
anche dopo un percorso denso di di scriminazioni le diversità possano
essere elemento d ricchezza e non fonte di esclusioni e conflitti.
Saul Meghnagi e Tobia Zevi, Il Corriere della Sera, 10 novembre 2009
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rassegna stampa |
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L'evento della giornata è l'incontro di Netanyahu con Obama definito "difficile" dal Messaggero e "gelido" da Repubblica.
In realtà i giornali con queste definizioni esprimono non dei fatti
qualsivoglia, ma solo la loro ideologia (e la scarsa deontologia
professionale): l'incontro è iniziato infatti alle 19 di ieri, secondo
l'ora americana, cioè alle 3 di notte italiane, e si è concluso
parecchio dopo, quando le pagine dei giornali erano già "chiuse" da
tempo. Insomma, si tratta di "profezie" o piuttosto di
propaganda e non di fatti. Inoltre dalla pagine web dei giornali
perbene sappiamo che alla fine non c'è stata la solita conferenza
stampa (checché ne dica una notizia anonima altrettanto confezionata
della Stampa,
che si inventa il dettaglio senz'altro non secondario che nel colloquio
gli Stati Uniti avrebbero ribadito la loro contrarietà alle costruzioni
nelle "colonie" e che "la Casa Bianca ha fornito quest'unica
precisazione nel consueto briefing con i giornalisti", il quale però
non ha avuto luogo). In realtà è uscito solo questo
comunicato, né "gelido" né "difficile": "The president reaffirmed our
strong commitment to Israel's security, and discussed security
cooperation on a range of issues," said the White House readout. "The
president and prime minister also discussed Iran and how to move
forward on Middle East peace." Sappiamo anche che metà del tempo
dell'incontro si è svolto a quattr'occhi fra il premier israeliano e il
presidente americano, e l'altra metà con tre consiglieri per parte: un
incontro di lavoro. Lo stesso giuoco propagandistico vale per l'orario
dell'incontro, di cui fino a ieri la stampa italiana sottolineava che
fosse stato fissato all'ultimo minuto e così tardo da essere quasi
insultante, perché cadeva dopo i telegiornali israeliani (così Il
Messaggero e L'Unità)
mentre oggi viene fuori che i palestinesi sarebbero furiosi perché
l'orario serale è riservato agli incontri particolarmente
calorosi... Difficile trarre notizie da una stampa così poco seria. Un
altro implicito esempio di scarsa serietà è l'elenco dei muri del
pianeta che si ritrova (in occasione delle cronache sui festeggiamenti
per la caduta di quello di Berlino sul Messaggero (Marco Guidi) e sul Sole
(Alberto Negri). Entrambi i giornali scoprono che il mondo è pieno di
muri, che la barriera più lunga è stata fatta da un paese arabo (i 2700
del Marocco in mezzo al territorio occupato del Sahara occidentale,
dove anche ieri un ragazzo ha perso una gamba per una mina), che ci
sono muri a Cipro (eretto dai turchi), a Città del Messico, fra gli
Stati Uniti e il Messico, insomma un po' dappertutto. In sé gli elenchi
sono corretti e il moltiplicarsi delle barriere merita una riflessione
accorata come quella che propone Fiamma Nirenstein sul Giornale;
ma quasi tutti i giornali se lo dimenticano tutti quando solo la
barriera di sicurezza israeliana è messa sotto accusa (ancora
oggi in una notizia sull'Unità); una barriera che pure ha fatto
diminuire radicalmente il terrorismo suicida e che rischia di diventare
ancora più importante nel prossimo periodo se sono serie le minacce di
riaccendere il terrorismo che i palestinesi ora esprimono apertamente. Leggete qui un brano dell'articolo di De Giovannangeli sull'Unità:
"Il rischio di una nuova ondata di violenze, se gli Stati Uniti non
riusciranno a rilanciare il processo di pace israelo-palestinese, è
reale. Questo è l'avvertimento di Nabil Abu Rudeina, portavoce del
presidente dell'Anp. «La violenza - aggiunge Rudeina - riempirà il
vuoto lasciato dal fallimento degli sforzi per rilanciare il processo
di pace se l'amministrazione americana non si impegnerà a esercitare
pressioni sul governo israeliano». «Se I' America - ha continuato - si
mostrerà incapace di svolgere il ruolo che le compete, allora gli Usa e
Israele saranno ritenuti responsabili delle conseguenze disastrose che
ci saranno». Cioè: o fate come diciamo noi o ricominciamo ad ammazzare
i civili. Avete visto una condanna da qualche parte di questo
"pacifico" avvertimento, o ignobile ricatto, come lo chiamerei io?
Qualche pacifista che si stracci le vesti? No, immagino. Nella rassegna
almeno non lo trovate. Altre notizie. Al Pitigliani è iniziato un festival del cinema israeliano, ne parlano Il Corriere e Il Manifesto nelle edizioni romane. A Torino si svolge la prima conferenza del Centro Primo Levi e Papuzzi per La Stampa intervista lo studioso inglese Robert Gordon che la tiene. Infine "Il fatto quotidiano" (con un dossier di ben quattro articoli firmati Cugola, Gagliarducci, Citati, De Carolis) ma anche Il Secolo d'Italia e L'Unità
in singolare coincidenza se la prendono con Daniela Santanché che in un
dibattito televisivo aveva definito "poligamo e pedofilo" il profeta
dell'Islam. Difficile negare che Maometto avesse sposato la sua ultima
figlia quando lui era vecchio e lei aveva 9 anni; allora per
contrastare le affermazioni della Santanché chi cita il film americano
in lavorazione su Maometto, chi si affida al relativismo culturale, per
cui le cose che non piacciono a noi una volta si facevano
tranquillamente, chi rileva che il Corano parla bene di Gesù... Questo
dibattito non ci appassiona, come non ci appassiona quello un po'
isterico che si è svolto sul crocefisso, richiamato in alcuni dei
pezzi. E però vale la pena di prendere nota, nel modo in cui questi
articoli sono costruiti, di una crescente subordinazione culturale
della sinistra e di pezzi della destra, che si vogliono "più moderni",
all'islamismo.
Ugo Volli |
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Israele,
il capo di stato maggiore Eshkenazy avverte:
“Lungo i confini di
Stato regna una calma ingannevole” Gerusalemme, 10 nov - Gli
Hezbollah con un arsenale di diverse decine di migliaia di razzi,
alcuni dei quali con raggio di 300 chilometri, sono potenzialmente in
grado di colpire le maggiori città israeliane. Ad affermarlo è stato il
capo di stato maggiore israeliano Gaby Eshkenazy, in una relazione
presentata alla commissione Esteri e Difesa della Knesset. Ma non
finisce qui, anche Hamas, secondo quanto dichiarato da Eshkenazy, si
sta riarmando intensamente e si sta preparando all'eventualità di un
nuovo conflitto con Israele. Nei confini a Nord e a Sud di Israele
regna una calma “ingannevole” per il capo di stato maggiore. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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