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    11 dicembre 2009 - 24 Kislev 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Roberto Colombo Roberto
Colombo,

rabbino 
“E' necessario riaccendere un lume di chanukkà che si è spento” (Talmud) Il lume è come l’anima perché è detto: “L’anima dell'uomo è il lume del Signore” (Proverbi 20, 27). Quando l’anima di un uomo si spegne il vero educatore prova a riaccenderla. Chi non si addolora nel vedere anime spente non faccia l’educatore (Kedushat Hallevi).
E’ morto due giorni fa a New York uno dei maggiori storici dell’ebraismo, Yosef Hayim Yerushalmi. Era uno di quei pochi studiosi in grado di colpirti con un’illuminazione improvvisa, di importisi con una suggestione. Aveva tenuto fino all’anno scorso alla Columbia University la cattedra di storia ebraica che già era stata del suo maestro, Salo W. Baron, la prima cattedra di storia ebraica creata in un’università laica americana. Aveva scritto libri fondamentali sul marranesimo, su Freud, sul rapporto tra Haggadah e storia. Ma il libro che lo aveva reso ovunque famoso era un libricino sottile, Zakhor, una riflessione dottissima ma di assai piacevole lettura sul rapporto tra storia e memoria e sull’irruzione della storia nella cultura degli ebrei. Ricordo, era il 1982, quel libro ci entusiasmò, noi ebrei italiani tormentati dai nostri problemi identitari e dalla guerra del Libano. Lo agitavamo entusiasti, quel libretto bianco pubblicato da Pratiche editrice, che ci apriva un mondo e ci toglieva fuori dal nostro provincialismo. Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Qui Rieti - Testimonianze ebraiche nello Stato pontificio

incontro rietiSecondo appuntamento, dopo quello che si è svolto a Cassino qualche mese fa, per l'associazione per la Storia degli ebrei nel Lazio e nei territori dell'ex Stato della Chiesa, che ha organizzato nella Biblioteca comunale "Paroniana" di Rieti un convegno dal titolo 'Gli ebrei nel territorio. Comunità e percorsi nello Stato della Chiesa (secc. XIV-XIX)', un incontro per approfondire lo studio sulla storia, le attività, le abitudini degli ebrei che vivevano fuori dalla Capitale.
Al convegno, organizzato in collaborazione con la Provincia e il Comune di Rieti, con la Comunità Ebraica di Roma, l'Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma  e con il Dipartimento di Scienze economiche dell'Università di Cassino, hanno partecipato numerosi studiosi del settore fra cui Marina Caffiero, professore ordinario di Storia Moderna presso il Dipartimento di storia moderna e contemporanea della Università di Roma La Sapienza e autrice di molti volumi fra cui Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei Papi (2004), in corso di traduzione negli USA e in Francia, e Rubare le anime. Diario di Anna del Monte ebrea romana (2008 ), Anna Esposito, docente di Soria Medievale del Dipartimento di studi sulle società e le culture del Medioevo della Università di Roma La Sapienza, Giuliano Lazzarini dottorando in Storia medievale all'università di Pisa, gli studiosi Pierluigi De Rossi, Paolo Pellegrini e Sivia Haia Antonucci giornalista pubblicista e archivista all'Archivio Storico della Comunità di Roma. L'incontro è stato coordinato dal professor Eugenio Sonnino, docente di demografia alla Facoltà di Scienze Statistiche  dell'Università di Roma La Sapienza.
"Una delle missioni dell'associazione - ha spiegato Marina Caffiero aprendo il convegno - è quella di creare un centro di promozione, di organizzazione e di comunicazione delle ricerche degli studiosi sulla storia degli ebrei e dei rapporti fra ebrei e cristiani con particolare interesse per i territori pontifici e per le comunità ebraiche locali. La scelta dell'ottica per così dire "provinciale" nasce dalla constatazione relativa allo sviluppo recente delle ricerche su Roma e alla scarsità di quelle relative alle aree periferiche". Ha proseguito la Caffiero concludendo poi che uno degli obiettivi che l'Associazione si propone è infatti quello di fare una "mappatura" della presenza ebraica nel territorio nel '400, una presenza sicuramente più incisiva nel nord del Lazio che non al sud e poi capire che cosa è successo dopo il 1555 anno in cui con la  bolla Cum nimis absurdum di Paolo IV, tutti gli ebrei dovevano essere rinchiusi nei ghetti, non avere più di una sinagoga, vendere ogni immobile, commerciare solo roba usata e portare il contrassegno. "Il dubbio - ha concluso la Caffiero - è che anche dopo tale data ci siano state delle formazioni ebraiche" fuori dai ghetti e quindi, in sostanza, che l'editto di espulsione degli ebrei dalle varie località nello stato pontificio non sia stato rispettato ovunque e allo stesso modo.
Gli interventi degli altri relatori si sono focalizzati sul racconto della vita di alcune famiglie di ebrei in località come Siena, Firenze, Cori, Terni, Rieti, e Magliano Sabina, negli anni compresi fra il '400 ed il '500 e alla gestione dei banchi di prestito che rappresentavano una delle attività più sviluppate fra le famiglie in vista, oltre alla professione medica, unica arte nobile concessa, tanto è vero che fino alla metà del '500 quasi tutti i papi scelgono di avvalersi di medici ebrei.
Paolo Pellegrini ha spiegato tuttavia che spesso i medici ebrei associavano la professione medica a quella del prestito per alimentare i magri guadagni che essi riuscivano a ricavare come medici condotti.
Con l'intervento di Silvia Antonucci, l'obiettivo si è spostato nel tempo ai secoli XVI-XIX e alla Comunità israelitica di Senigallia. Lo studio della Antonucci si è basato sulla documentazione rilevata all'Archivio storico della Comunità Ebraica di Roma individuando cinque punti attraverso i quali l'autorità pontificia avrebbe articolato il proprio rapporto con  gli ebrei: il controllo sulla vita ordinaria nel ghetto, limitare al massimo i rapporti fra ebrei e cristiani, condurre gli ebrei alla conversione attraverso l'attuazione delle pratiche coatte,  fare in modo che gli ebrei pagassero le regolarmente le tasse, arginare le molestie contro gli ebrei.
Questo ultimo punto va inteso, tuttavia, nel senso negativo del termine: "Gli ebrei a Roma riescono a vivere ma non è che stiano bene,  - ha chiarito la Antonucci - l'atteggiamento papale non è volto all'eliminazione fisica degli ebrei ma alla loro conversione".

Lucilla Efrati


Qui Milano - Bioetica e tradizione ebraica

locandinaIl Dipartimento educazione e cultura (Dec) dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane assieme alla Comunità Ebraica di Milano e in collaborazione con il teatro Franco Parente danno il via ad un ciclo di conferenze dal tema Ebraismo e modernità, domenica 13 dicembre a Milano. Il primo incontro verterà sul tema della Bioetica, il titolo: Bioetica e tradizione ebraica: i problemi di inizio e fine vita, realizzato assieme all’AME (Associazione Medica Ebraica Italia) . Fra coloro che prenderanno la parola sul tema: Daniela Dawan, avvocato penalista e professore dell’Università Statale di Milano, il rav Gianfranco Di Segni, biologo al CNR di Roma e docente del Collegio Rabbinico Italiano, il dottor Cesare Efrati, medico dell’Ospedale Israelitico di Roma e Maskil del Collegio Rabbinico Italiano e Giorgio Mortara, medico e presidente dell’AME. A moderare il dibattito il direttore del Dec, il rav Roberto Della Rocca. Sono previsti, fra gli altri, i saluti del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib e del presidente della Comunità milanese Leone Soued.


Qui Milano - Revivim, Aliza Lavie presenta “La Tefillà delle donne”

Incontro Aliza LavieAlcuni anni fa Aliza Lavie trascorse uno Shabbat a Roma. Il sabato mattina, la quarantaquattrenne israeliana, docente al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bar Ilan, andò a pregare al Tempio Maggiore, dove fece una scoperta che le aprì un nuovo mondo. Oltre ai vari Mishèberach (la Benedizione recitata da coloro che vengono chiamati alla Torah) per i malati, per Israele, e altro, ne venne pronunciato uno per “Sara, Rebecca, Rachele, Lea, tutte le figlie d’Israele che cuciono un panno o aggiustano un lume”. Affascinata, chiese spiegazioni, per un fatto che invece era considerato da tutti normale. “Ho scoperto che nella tradizione ebraica italiana c’è sempre stata un’attenzione speciale al ruolo della donna, come questo Misheberach che è presente solo nel rito italiano testimonia - spiega la Lavie - Da qui ho iniziato a fare delle ricerche e ho scoperto moltissime Tefillot, preghiere scritte da o per le donne nel corso dei secoli”. Nel suo libro “Tefillat Nashìm”, presentato alla comunità milanese nell’ambito del progetto Revivim, Aliza Lavie ne ha raccolte tantissime, provenienti da tutto il mondo, scritte nei periodi più diversi (nell'immagine un momento della presentazione).

copertina ingleseQuando l’opera è stata pubblicata quattro anni fa in Israele, ha avuto un successo enorme e inaspettato, anche fra le comunità ultraortodosse, e fra le donne non ebree, e l’edizione inglese uscita nel 2008, intitolata “A Jewish Woman’s Prayer Book”, non è stata da meno, vincendo anche il prestigioso premio National Jewish Book Award.
Secondo l’autrice il segreto sta nel fatto che queste preghiere sono sgorgate direttamente dal cuore di molte donne, nei momenti più speciali, come quella scritta solo alcuni anni fa da Shulamit Eisenbach, una donna ortodossa di Gerusalemme, un’ora prima delle nozze del figlio, che esprime il desiderio di essere una buona suocera: “(…) Rendimi gradita agli occhi di mio genero e mia figlia / e di mio figlio e mia nuora / Fai sì che io non veda in loro alcuna mancanza, ne senta alcun difetto / non farmi provare alcun risentimento verso di loro, né comportarmi in modo meschino / Che non sia destata in me alcuna gelosia, né alcun vizio si celi in me”.

Rossella Tercatin


Sinti e Rom, musica per la Memoria

locandinaPorrajmos nel linguaggio Rom significa "divoramento" e indica la persecuzione e lo sterminio che il Terzo Reich attuò durante la Seconda Guerra Mondiale uccidendo oltre 500 mila esseri umani. Nel 1936, alla vigilia dei giochi olimpici di Berlino, Hitler decide che la città deve essere ripulita. La politica razzista dei nazisti porta alla costruzione di un campo di concentramento a Marzahn, dove vengono internati centinaia di Rom e Sinti.
La persecuzione di Rom e Sinti è l'unica, unitamente a quella ebraica, a essere dettata da motivazioni pseudo-razziali, ma la tragedia delle popolazioni sinte e rom non si conclude con la fine della Guerra: la Repubblica Federale Tedesca infatti, riconoscerà la loro persecuzione molto tempo dopo, concedendo i risarcimenti con grandissimo ritardo. 
Francesco Lotoro ha cercato di ricostruire un importante tassello della letteratura concentrazionaria aggiungendo all'opera da lui curata, l'Enciclopedia discografica KZ Musik pubblicata dalla Musikstrasse di Roma giunta al dodicesimo CD-volume, l'intero corpus musicale creato da Sinti e Rom nei campi di sterminio durante il Secondo Conflitto Mondiale. Il risultato di questa prestigiosa opera di ricostruzione sarà presentato sabato 12 dicembre all'Auditorium dell'Assunta a Trinitapoli alle ore 20. [...]

La versione integrale dell'articolo è sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it


Elie Wisel: sopravvivere per testimoniare

Elie WiselIl ciclo di incontri organizzato dal CeRSe della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata si è concluso il 9 dicembre 2009, presso la Società Geografica Italiana, con la relazione di Marcello Massenzio, professore ordinario di Storia delle Religioni presso la stessa Università.
Dopo una breve riflessione del Consigliere alla Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Victor Magiar, sull'importanza della Giornata della Memoria e sulla nuova attenzione rivolta dai giovani a questo tema, il convegno è proseguito con un saluto di Francesco Scorza Barcellona, coordinatore del CeRSE, e con l’introduzione di Carla Roverselli, docente di Pedagogia Interculturale, che ha riassunto le principali vicende autobiografiche narrate da Elie Wiesel (nell'immagine) nel libro “La notte”. [...]

La versione integrale dell'articolo è sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it
 
 
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  Comix - Kafka secondo Robert Crumb

copertinaKafka e Crumb insieme. Può sembrare eccessivo vista la distanza anagrafica, eppure possiamo proprio affermare che questi due grandi autori si sono incontrati. Robert Crumb sui testi di David Zane Mairowitz ha ripercorso la storia di Kafka in un libro pubblicato dalla Bollati Boringhieri  dal semplice titolo “Kafka”.
E’ un percorso biografico dell’autore praghese, dall’infanzia fino alla morte. La maggiore particolarità è che Mairowitz ha raccolto e narrato con particolare attenzione la vita ebraica di Kafka, nel bene e nel male. Nel suo rapporto così dialettico (ma sarebbe potuto essere diverso?) e contrastato con le sue radici.
Può sembrare banale ma affianco all’ebraismo si pone anche il disastroso rapporto con il padre, con le donne, compresa la sessualità. Crumb è se stesso nel disegno, ma non nel suo ruolo di autore underground del fumetto. L’autore è molto concentrato nel dare forma a Kafka quanto alle sue stesse paranoie e ai personaggi dei suoi romanzi o racconti più famosi.

fumettoCosì il disegno che poteva apparire dissacrante e ironico, diventa invece un modo particolare e originale di rappresentare i momenti più importanti della vita dell’autore praghese così come le persone che hanno condizionato maggiormente la sua vita, principalmente il padre, oppure il grande amore di Milena Jesenska, che per qualche tempo riuscirà a mitigare le paure e le fissazioni di Kafka.
Crumb disegna la sua vita e allo stesso tempo mette in scena “Il processo”, oppure “La metamorfosi” o ancora “Il castello”. E’ molto suggestivo vedere storie famose nella letteratura mondiale disegnate, i personaggi prendono forma. Lo scarafaggio assume pose ed espressioni umane che ci trasmettono l’inadeguatezza di quel corpo mutato rispetto ai rapporti familiari e sociali. Il percorso verso la morte di Josef K. è pesante e profondamente drammatico.
Il libro si conclude con la fortuna di Kafka, come avrebbero scritto in manuale di letteratura, presso i regimi sovietici, e la sorte, forse amara, della Praga di oggi. Resta il fatto che questa versione a fumetti della vita di Kafka ha, tra i tanti meriti, quello di aver dato forma e immagine ai personaggi dello scrittore praghese, quindi a lui stesso e alle persone che hanno avuto un ruolo importante.

Andrea Grilli
 
 
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Ma i muri si equivalgono? Ovvero, la loro costruzione e il loro mantenimento, come strumenti di separazione tra gli appartenenti alla medesima «razza», quella umana, assumono lo stesso significato? Non di meno, laddove occorre raccolgono uguale riprovazione? Domande pertinenti per molti di noi, figli di una grande barriera, quel muro di Berlino, costruito dall’allora Germania dell’Est, tra il 1961 e il 1963, e divenuto da subito lo sgradevole simbolo di una Europa - non meno che di una umanità - divisa al suo interno, ossia spaccata come una mela in due parti. Domande che oggi si pone Pierluigi Battista, su il Corriere della sera, in un articolo di commento alla notizia che il governo egiziano starebbe costruendo una opera in grado di isolare il poroso confine meridionale della Striscia di Gaza, impedendo ai suoi abitanti di proseguire nelle attività, perlopiù illecite, di transito e commercio con il territorio cairota. Altri muri hanno preceduto e seguito quello berlinese; sarebbe ancor meglio dire che altri muri sono sopravvissuti al felice abbattimento di quello tedesco, nel novembre del 1989, allegramente divelto e sbriciolato dalla gioia popolare in una memorabile notte, quella del 9 novembre. In genere, però, a fare più male, sono i muri dei quali non si parla, come ad esempio, la dead line che separa il Messico dagli Stati Uniti, dove centinaia di persone perdono la vita tutti gli anni nel tentativo disperato di superarla. Si è parlato a lungo, invece, del «muro», ovverosia della barriera di separazione, che corre tra Israele e una corposa parte del confine cisgiordano. Costruita in questi ultimi anni come strumento di protezione dopo una lunga ondata, l’ennesima, di attentati suicidi a firma dell’irriducibile radicalismo islamico, la barriera, che corre per centinaia di chilometri, anche se buona parte d’essa non è un’opera in muratura ma un sistema di sicurezza elettronico, ha raccolto non infrequentemente la riprovazione di una parte degli osservatori internazionali. Non pochi, ed anche qui con un malcelato disappunto, hanno colto il fatto che dietro questa costruzione poteva disegnarsi quanto meno l’idea di un futuro confine tra Israele e i Territori dell’autonomia palestinese. E, in tutta probabilità, se ciò non è ancora per davvero avvenuto non è perché così non fosse nelle intenzioni iniziali ma, piuttosto, a causa dello stallo che qualsiasi ipotesi negoziale ha conosciuto in questi ultimi anni. A volere accreditare il pensiero di Ariel Sharon, quando diede inizio al progetto, in fondo si trattava di prefigurare, insieme al ritiro da Gaza, un assetto territoriale compatibile con i futuri equilibri regionali, mandando inoltre un inequivocabile e indiscutibile segnale a tutti, ovvero che Israele avrebbe saputo come fermare l’ondata di violenze ai suoi danni, garantendosi con un segno di tangibile sicurezza i suoi confini verso l’esterno, con i vicini, ma anche - nel contempo - dall’interno, contro le costanti intrusioni degli attentatori. La barriera di protezione c’è ancora, insomma, anche se il suo ideatore non è più in grado di difenderne le ragioni. Come si comporterà, ora, la comunità internazionale, nei confronti di quanto l’Egitto intende erigere? Una sua accurata descrizione ci è offerta da Francesco Battistini per il Corriere della Sera, e, soprattutto, da Alberto Stabile su Repubblica. Si dice - poiché conferme non ce ne sono ancora - che già da una ventina di giorni gli egiziani stiano provvedendo alla sua completa edificazione, per la quale già quattro chilometri risulterebbero così completati. Mentre il Cairo parla, con involontaria ironia, di «rifacimento delle tubature», i lavori proseguirebbero con sorprendente celerità, sia pure nel segreto più assoluto, così come ci resoconta Anna Momigliano su il Riformista. Quel che si sa per certo, riguardo all’opera, è che si tratta di una struttura con l’anima d’acciaio, rinforzata in più punti, a prova di bomba e di fiamma, estesa per una decina di chilometri e posizionata a Rafah, nel confine meridionale della Striscia di Gaza, laddove si sono ripetuti, negli anni scorsi, i tentativi, coronati da successo, di sfondare l’attuale linea confinaria, letteralmente esondando in territorio egiziano. Tuttavia, più che la parte in superficie, che è solo uno degli aspetti, e forse neanche il più importante, di questo sistema di separazione e sicurezza, ciò su cui stanno lavorando alacremente gli egiziani, parrebbe grazie anche ad un apposito finanziamento arrivato dagli Stati Uniti, è la costruzione di una barriera sotterranea, della profondità di venti o trenta metri, parallela al disegno della vecchia, inoperosa struttura confinaria, fatta di ferro. La sua funzione è soprattutto quella di impedire la costruzione di nuovi tunnel. Infatti, l’obiettivo non dichiarato ma evidente a tutti è la volontà di fermare il flusso, pressoché ininterrotto, di merci ma anche di armi, di animali come di uomini, che viene praticato pressoché quotidianamente attraverso la rete di passaggi clandestini che da anni vengono caparbiamente costruiti e ricostruiti malgrado i tentativi di distruggerne la ramificazione da parte egiziana e israeliana. Vedremo, quindi, quale sarà la reazione da parte della comunità internazionale dinanzi ad un’opera che, dal punto di vista di chi la sta costruendo, si giustifica abbondantemente con la situazione che da troppo tempo agita il confine meridionale di Gaza ma che è destinata inesorabilmente a segnarne ancora di più l’isolamento dal mondo circostante. Contro il quale, peraltro, Hamas, continua a lanciare i suoi strali di distruzione. Ragionevole pensare, quindi, che gli egiziani, mai teneri nei confronti dei palestinesi, intendano in tale modo non solo stroncare i copiosi commerci illeciti ma mettere sotto pressione gli islamismi, cercando così di ingenerare una crisi di consenso. Quali saranno gli effetti, tuttavia, in Medio Oriente non è mai facile preventivare. La scienza delle previsioni - che poi tale non è - in questa regione del mondo è destinata a continue, sonore smentite. Eric Salerno, su il Messaggero, fa poi un po’ la sintesi di queste ultime settimane in Israele riportando la notizia, in sé tutto fuorché inedita, delle rumorose rimostranze degli abitanti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania contro il proposito governativo di bloccarne la crescita. Le pressioni americane in tal senso (ma anche quelle egiziane e giordane) non sono a loro volta una novità nel pallido panorama politico delle politiche mediorientali. Benché la stampa nostrana batta frequentemente il chiodo di una ipotetica sollevazione dei cosiddetti «coloni», il cui numero varia a seconda delle stime e dei sistemi di calcolo da 350mila a 500mila, è chiaro ai buoni frequentatori della regione che solo un nucleo relativamente contenuto di essi sia motivato ideologicamente alla scelta di rimanere, indipendentemente da qualsiasi altro ordine di considerazioni, laddove attualmente risiede. Non è meno chiaro il fatto, peraltro, che una parte corposa degli insediamenti - di fatto vere e proprie comunità urbane, anche di più di 30mila residenti, come nel caso di Kiryat Arba - non possano essere smantellati tanto facilmente. Almeno non a prezzo di causare una ingovernabile crisi tra le autorità d’Israele e una parte dei suoi cittadini, tenendo conto che la popolazione residente in Cisgiordania rappresenta circa lo 0,5 per cento dell’intera comunità nazionale (a titolo di paragone, e citiamo le cifre a memoria, si consideri che il numero di abitanti dei kibbutzim è di poco più grande). Il destino dei residenti negli insediamenti di Gaza (un piccolo segmento di popolazione che non superava, complessivamente, gli 8 mila individui), infatti, non è ancora stato definitivamente identificato a quattro anni dal loro trasferimento in terra israeliana. E questo per gli altissimi costi che ogni politica di reinstallazione di segmenti di popolazione comporta, nonché per le scarse risorse alle quali anche l’amministrazione pubblica israeliana può fare affidamento. Chiudiamo questa veloce incursione nel mondo della carta stampata ricordando (ce n’è bisogno, forse?) ai nostri lettori che questa sera ingressa Channukkà, ricorrenza quanto mai gradita nella copiosa messe di festività che accompagnano ogni anno il calendario ebraico. Auguri a tutti, quindi!
 
Claudio Vercelli

 
 
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Israele, referendum sul Golan, i siriani non apprezzano                
Beirut, 11 dic -
Una bozza di legge, che introduce l'obbligo di indire un referendum se un futuro governo decidesse un ritiro dalle alture occupate del Golan nel quadro di accordi di pace con Damasco, è stata approvata dal parlamento israeliano.
Ma i siriani non ci stanno e replicano: “E' una bozza che non ha alcun valore legale perché è in contraddizione col diritto internazionale che proibisce l'acquisizione con la forza di territori altrui", ha spiegato una fonte ufficiale siriana, che ha concluso: "Israele è ben cosciente che la Siria non riprenderà i colloqui indiretti di pace fino a quando il premier israeliano non esprimerà il suo impegno per un totale ritiro dal Golan".
 
 
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