se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
11 dicembre 2009 - 24 Kislev 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Roberto Colombo, rabbino |
“E'
necessario riaccendere un lume di chanukkà che si è spento” (Talmud) Il
lume è come l’anima perché è detto: “L’anima dell'uomo è il lume del
Signore” (Proverbi 20, 27). Quando l’anima di un uomo si spegne il vero
educatore prova a riaccenderla. Chi non si addolora nel vedere anime
spente non faccia l’educatore (Kedushat Hallevi). |
 |
E’
morto due giorni fa a New York uno dei maggiori storici dell’ebraismo,
Yosef Hayim Yerushalmi. Era uno di quei pochi studiosi in grado di
colpirti con un’illuminazione improvvisa, di importisi con una
suggestione. Aveva tenuto fino all’anno scorso alla Columbia University
la cattedra di storia ebraica che già era stata del suo maestro, Salo
W. Baron, la prima cattedra di storia ebraica creata in un’università
laica americana. Aveva scritto libri fondamentali sul marranesimo, su
Freud, sul rapporto tra Haggadah e storia. Ma il libro che lo aveva
reso ovunque famoso era un libricino sottile, Zakhor, una riflessione
dottissima ma di assai piacevole lettura sul rapporto tra storia e
memoria e sull’irruzione della storia nella cultura degli ebrei.
Ricordo, era il 1982, quel libro ci entusiasmò, noi ebrei italiani
tormentati dai nostri problemi identitari e dalla guerra del Libano. Lo
agitavamo entusiasti, quel libretto bianco pubblicato da Pratiche
editrice, che ci apriva un mondo e ci toglieva fuori dal nostro
provincialismo. |
Anna Foa,
storica |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Qui Rieti - Testimonianze ebraiche nello Stato pontificio
Secondo
appuntamento, dopo quello che si è svolto a Cassino qualche mese fa,
per l'associazione per la Storia degli ebrei nel Lazio e nei territori
dell'ex Stato della Chiesa, che ha organizzato nella Biblioteca
comunale "Paroniana" di Rieti un convegno dal titolo 'Gli ebrei nel territorio. Comunità e percorsi nello Stato della Chiesa (secc. XIV-XIX)', un incontro per approfondire lo studio sulla storia, le attività, le abitudini degli ebrei che vivevano fuori dalla Capitale. Al
convegno, organizzato in collaborazione con la Provincia e il Comune di
Rieti, con la Comunità Ebraica di Roma, l'Archivio Storico della
Comunità Ebraica di Roma e con il Dipartimento di Scienze
economiche dell'Università di Cassino, hanno partecipato numerosi
studiosi del settore fra cui Marina Caffiero, professore
ordinario di Storia Moderna presso il Dipartimento di storia moderna e
contemporanea della Università di Roma La Sapienza e autrice di molti
volumi fra cui Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei Papi (2004), in corso di traduzione negli USA e in Francia, e Rubare le anime. Diario di Anna del Monte ebrea romana (2008 ), Anna Esposito,
docente di Soria Medievale del Dipartimento di studi sulle società e le
culture del Medioevo della Università di Roma La Sapienza, Giuliano Lazzarini dottorando in Storia medievale all'università di Pisa, gli studiosi Pierluigi De Rossi, Paolo Pellegrini e Sivia Haia Antonucci giornalista pubblicista e archivista all'Archivio Storico della Comunità di Roma. L'incontro è stato coordinato dal professor Eugenio Sonnino, docente di demografia alla Facoltà di Scienze Statistiche dell'Università di Roma La Sapienza. "Una
delle missioni dell'associazione - ha spiegato Marina Caffiero aprendo
il convegno - è quella di creare un centro di promozione, di
organizzazione e di comunicazione delle ricerche degli studiosi sulla
storia degli ebrei e dei rapporti fra ebrei e cristiani con particolare
interesse per i territori pontifici e per le comunità ebraiche locali.
La scelta dell'ottica per così dire "provinciale" nasce dalla
constatazione relativa allo sviluppo recente delle ricerche su Roma e
alla scarsità di quelle relative alle aree periferiche". Ha proseguito
la Caffiero concludendo poi che uno degli obiettivi che l'Associazione
si propone è infatti quello di fare una "mappatura" della presenza
ebraica nel territorio nel '400, una presenza sicuramente più incisiva
nel nord del Lazio che non al sud e poi capire che cosa è successo dopo
il 1555 anno in cui con la bolla Cum nimis absurdum di Paolo IV,
tutti gli ebrei dovevano essere rinchiusi nei ghetti, non avere più di
una sinagoga, vendere ogni immobile, commerciare solo roba usata e
portare il contrassegno. "Il dubbio - ha concluso la Caffiero - è che
anche dopo tale data ci siano state delle formazioni ebraiche" fuori
dai ghetti e quindi, in sostanza, che l'editto di espulsione degli
ebrei dalle varie località nello stato pontificio non sia stato
rispettato ovunque e allo stesso modo. Gli interventi degli altri
relatori si sono focalizzati sul racconto della vita di alcune famiglie
di ebrei in località come Siena, Firenze, Cori, Terni, Rieti, e
Magliano Sabina, negli anni compresi fra il '400 ed il '500 e alla
gestione dei banchi di prestito che rappresentavano una delle attività
più sviluppate fra le famiglie in vista, oltre alla professione medica,
unica arte nobile concessa, tanto è vero che fino alla metà del '500
quasi tutti i papi scelgono di avvalersi di medici ebrei. Paolo
Pellegrini ha spiegato tuttavia che spesso i medici ebrei associavano
la professione medica a quella del prestito per alimentare i magri
guadagni che essi riuscivano a ricavare come medici condotti. Con
l'intervento di Silvia Antonucci, l'obiettivo si è spostato nel tempo
ai secoli XVI-XIX e alla Comunità israelitica di Senigallia. Lo studio
della Antonucci si è basato sulla documentazione rilevata all'Archivio
storico della Comunità Ebraica di Roma individuando cinque punti
attraverso i quali l'autorità pontificia avrebbe articolato il proprio
rapporto con gli ebrei: il controllo sulla vita ordinaria nel
ghetto, limitare al massimo i rapporti fra ebrei e cristiani, condurre
gli ebrei alla conversione attraverso l'attuazione delle pratiche
coatte, fare in modo che gli ebrei pagassero le regolarmente le
tasse, arginare le molestie contro gli ebrei. Questo ultimo punto
va inteso, tuttavia, nel senso negativo del termine: "Gli ebrei a Roma
riescono a vivere ma non è che stiano bene, - ha chiarito la
Antonucci - l'atteggiamento papale non è volto all'eliminazione fisica
degli ebrei ma alla loro conversione".
Lucilla Efrati
Qui Milano - Bioetica e tradizione ebraica
Il
Dipartimento educazione e cultura (Dec) dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane assieme alla Comunità Ebraica di Milano e in
collaborazione con il teatro Franco Parente danno il via ad un ciclo di
conferenze dal tema Ebraismo e modernità, domenica 13 dicembre a
Milano. Il primo incontro verterà sul tema della Bioetica, il titolo: Bioetica e tradizione ebraica: i problemi di inizio e fine vita, realizzato assieme all’AME (Associazione Medica Ebraica Italia) . Fra coloro che prenderanno la parola sul tema: Daniela Dawan, avvocato penalista e professore dell’Università Statale di Milano, il rav Gianfranco Di Segni, biologo al CNR di Roma e docente del Collegio Rabbinico Italiano, il dottor Cesare Efrati, medico dell’Ospedale Israelitico di Roma e Maskil del Collegio Rabbinico Italiano e Giorgio Mortara, medico e presidente dell’AME. A moderare il dibattito il direttore del Dec, il rav Roberto Della Rocca. Sono previsti, fra gli altri, i saluti del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib e del presidente della Comunità milanese Leone Soued.
Qui Milano - Revivim, Aliza Lavie presenta “La Tefillà delle donne”
Alcuni anni fa Aliza Lavie
trascorse uno Shabbat a Roma. Il sabato mattina, la quarantaquattrenne
israeliana, docente al dipartimento di Scienze politiche
dell’Università di Bar Ilan, andò a pregare al Tempio Maggiore, dove
fece una scoperta che le aprì un nuovo mondo. Oltre ai vari Mishèberach
(la Benedizione recitata da coloro che vengono chiamati alla Torah) per
i malati, per Israele, e altro, ne venne pronunciato uno per “Sara,
Rebecca, Rachele, Lea, tutte le figlie d’Israele che cuciono un panno o
aggiustano un lume”. Affascinata, chiese spiegazioni, per un fatto che
invece era considerato da tutti normale. “Ho scoperto che nella
tradizione ebraica italiana c’è sempre stata un’attenzione speciale al
ruolo della donna, come questo Misheberach
che è presente solo nel rito italiano testimonia - spiega la Lavie - Da
qui ho iniziato a fare delle ricerche e ho scoperto moltissime
Tefillot, preghiere scritte da o per le donne nel corso dei secoli”.
Nel suo libro “Tefillat Nashìm”, presentato alla comunità milanese
nell’ambito del progetto Revivim, Aliza Lavie ne ha raccolte
tantissime, provenienti da tutto il mondo, scritte nei periodi più
diversi (nell'immagine un momento della presentazione).
Quando
l’opera è stata pubblicata quattro anni fa in Israele, ha avuto un
successo enorme e inaspettato, anche fra le comunità ultraortodosse, e
fra le donne non ebree, e l’edizione inglese uscita nel 2008,
intitolata “A Jewish Woman’s Prayer Book”, non è stata da meno,
vincendo anche il prestigioso premio National Jewish Book Award. Secondo
l’autrice il segreto sta nel fatto che queste preghiere sono sgorgate
direttamente dal cuore di molte donne, nei momenti più speciali, come
quella scritta solo alcuni anni fa da Shulamit Eisenbach, una donna
ortodossa di Gerusalemme, un’ora prima delle nozze del figlio, che
esprime il desiderio di essere una buona suocera: “(…) Rendimi gradita
agli occhi di mio genero e mia figlia / e di mio figlio e mia nuora /
Fai sì che io non veda in loro alcuna mancanza, ne senta alcun difetto
/ non farmi provare alcun risentimento verso di loro, né comportarmi in
modo meschino / Che non sia destata in me alcuna gelosia, né alcun
vizio si celi in me”.
Rossella Tercatin
Sinti e Rom, musica per la Memoria
Porrajmos
nel linguaggio Rom significa "divoramento" e indica la persecuzione e
lo sterminio che il Terzo Reich attuò durante la Seconda Guerra
Mondiale uccidendo oltre 500 mila esseri umani. Nel 1936, alla vigilia
dei giochi olimpici di Berlino, Hitler decide che la città deve essere
ripulita. La politica razzista dei nazisti porta alla costruzione di un
campo di concentramento a Marzahn, dove vengono internati centinaia di
Rom e Sinti. La persecuzione di Rom e Sinti è l'unica,
unitamente a quella ebraica, a essere dettata da motivazioni
pseudo-razziali, ma la tragedia delle popolazioni sinte e rom non si
conclude con la fine della Guerra: la Repubblica Federale Tedesca
infatti, riconoscerà la loro persecuzione molto tempo dopo, concedendo
i risarcimenti con grandissimo ritardo. Francesco Lotoro ha
cercato di ricostruire un importante tassello della letteratura
concentrazionaria aggiungendo all'opera da lui curata, l'Enciclopedia
discografica KZ Musik pubblicata dalla Musikstrasse di Roma giunta al
dodicesimo CD-volume, l'intero corpus musicale creato da Sinti e Rom
nei campi di sterminio durante il Secondo Conflitto Mondiale. Il
risultato di questa prestigiosa opera di ricostruzione sarà presentato
sabato 12 dicembre all'Auditorium dell'Assunta a Trinitapoli alle ore
20. [...]
La versione integrale dell'articolo è sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it
Elie Wisel: sopravvivere per testimoniare
Il
ciclo di incontri organizzato dal CeRSe della facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata si è concluso
il 9 dicembre 2009, presso la Società Geografica Italiana, con la
relazione di Marcello Massenzio, professore ordinario di Storia delle Religioni presso la stessa Università. Dopo una breve riflessione del Consigliere alla Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Victor Magiar,
sull'importanza della Giornata della Memoria e sulla nuova attenzione
rivolta dai giovani a questo tema, il convegno è proseguito con un
saluto di Francesco Scorza Barcellona, coordinatore del CeRSE, e con l’introduzione di Carla Roverselli,
docente di Pedagogia Interculturale, che ha riassunto le principali
vicende autobiografiche narrate da Elie Wiesel (nell'immagine) nel
libro “La notte”. [...]
La versione integrale dell'articolo è sul Portale dell'ebraismo italiano moked.it
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Comix - Kafka secondo Robert Crumb
Kafka
e Crumb insieme. Può sembrare eccessivo vista la distanza anagrafica,
eppure possiamo proprio affermare che questi due grandi autori si sono
incontrati. Robert Crumb sui testi di David Zane Mairowitz ha
ripercorso la storia di Kafka in un libro pubblicato dalla Bollati
Boringhieri dal semplice titolo “Kafka”. E’ un percorso
biografico dell’autore praghese, dall’infanzia fino alla morte. La
maggiore particolarità è che Mairowitz ha raccolto e narrato con
particolare attenzione la vita ebraica di Kafka, nel bene e nel male.
Nel suo rapporto così dialettico (ma sarebbe potuto essere diverso?) e
contrastato con le sue radici. Può sembrare banale ma affianco
all’ebraismo si pone anche il disastroso rapporto con il padre, con le
donne, compresa la sessualità. Crumb è se stesso nel disegno, ma non
nel suo ruolo di autore underground del fumetto. L’autore è molto
concentrato nel dare forma a Kafka quanto alle sue stesse paranoie e ai
personaggi dei suoi romanzi o racconti più famosi.
Così
il disegno che poteva apparire dissacrante e ironico, diventa invece un
modo particolare e originale di rappresentare i momenti più importanti
della vita dell’autore praghese così come le persone che hanno
condizionato maggiormente la sua vita, principalmente il padre, oppure
il grande amore di Milena Jesenska, che per qualche tempo riuscirà a
mitigare le paure e le fissazioni di Kafka. Crumb disegna la sua
vita e allo stesso tempo mette in scena “Il processo”, oppure “La
metamorfosi” o ancora “Il castello”. E’ molto suggestivo vedere storie
famose nella letteratura mondiale disegnate, i personaggi prendono
forma. Lo scarafaggio assume pose ed espressioni umane che ci
trasmettono l’inadeguatezza di quel corpo mutato rispetto ai rapporti
familiari e sociali. Il percorso verso la morte di Josef K. è pesante e
profondamente drammatico. Il libro si conclude con la fortuna di
Kafka, come avrebbero scritto in manuale di letteratura, presso i
regimi sovietici, e la sorte, forse amara, della Praga di oggi. Resta
il fatto che questa versione a fumetti della vita di Kafka ha, tra i
tanti meriti, quello di aver dato forma e immagine ai personaggi dello
scrittore praghese, quindi a lui stesso e alle persone che hanno avuto
un ruolo importante.
Andrea Grilli |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ma
i muri si equivalgono? Ovvero, la loro costruzione e il loro
mantenimento, come strumenti di separazione tra gli appartenenti alla
medesima «razza», quella umana, assumono lo stesso significato? Non di
meno, laddove occorre raccolgono uguale riprovazione? Domande
pertinenti per molti di noi, figli di una grande barriera, quel muro di
Berlino, costruito dall’allora Germania dell’Est, tra il 1961 e il
1963, e divenuto da subito lo sgradevole simbolo di una Europa - non
meno che di una umanità - divisa al suo interno, ossia spaccata come
una mela in due parti. Domande che oggi si pone Pierluigi Battista, su
il Corriere della sera,
in un articolo di commento alla notizia che il governo egiziano
starebbe costruendo una opera in grado di isolare il poroso confine
meridionale della Striscia di Gaza, impedendo ai suoi abitanti di
proseguire nelle attività, perlopiù illecite, di transito e commercio
con il territorio cairota. Altri muri hanno preceduto e seguito quello
berlinese; sarebbe ancor meglio dire che altri muri sono sopravvissuti
al felice abbattimento di quello tedesco, nel novembre del 1989,
allegramente divelto e sbriciolato dalla gioia popolare in una
memorabile notte, quella del 9 novembre. In genere, però, a fare più
male, sono i muri dei quali non si parla, come ad esempio, la dead line
che separa il Messico dagli Stati Uniti, dove centinaia di persone
perdono la vita tutti gli anni nel tentativo disperato di superarla. Si
è parlato a lungo, invece, del «muro», ovverosia della barriera di
separazione, che corre tra Israele e una corposa parte del confine
cisgiordano. Costruita in questi ultimi anni come strumento di
protezione dopo una lunga ondata, l’ennesima, di attentati suicidi a
firma dell’irriducibile radicalismo islamico, la barriera, che corre
per centinaia di chilometri, anche se buona parte d’essa non è un’opera
in muratura ma un sistema di sicurezza elettronico, ha raccolto non
infrequentemente la riprovazione di una parte degli osservatori
internazionali. Non pochi, ed anche qui con un malcelato disappunto,
hanno colto il fatto che dietro questa costruzione poteva disegnarsi
quanto meno l’idea di un futuro confine tra Israele e i Territori
dell’autonomia palestinese. E, in tutta probabilità, se ciò non è
ancora per davvero avvenuto non è perché così non fosse nelle
intenzioni iniziali ma, piuttosto, a causa dello stallo che qualsiasi
ipotesi negoziale ha conosciuto in questi ultimi anni. A volere
accreditare il pensiero di Ariel Sharon, quando diede inizio al
progetto, in fondo si trattava di prefigurare, insieme al ritiro da
Gaza, un assetto territoriale compatibile con i futuri equilibri
regionali, mandando inoltre un inequivocabile e indiscutibile segnale a
tutti, ovvero che Israele avrebbe saputo come fermare l’ondata di
violenze ai suoi danni, garantendosi con un segno di tangibile
sicurezza i suoi confini verso l’esterno, con i vicini, ma anche - nel
contempo - dall’interno, contro le costanti intrusioni degli
attentatori. La barriera di protezione c’è ancora, insomma, anche se il
suo ideatore non è più in grado di difenderne le ragioni. Come si
comporterà, ora, la comunità internazionale, nei confronti di quanto
l’Egitto intende erigere? Una sua accurata descrizione ci è offerta da
Francesco Battistini per il Corriere della Sera, e, soprattutto, da Alberto Stabile su Repubblica.
Si dice - poiché conferme non ce ne sono ancora - che già da una
ventina di giorni gli egiziani stiano provvedendo alla sua completa
edificazione, per la quale già quattro chilometri risulterebbero così
completati. Mentre il Cairo parla, con involontaria ironia, di
«rifacimento delle tubature», i lavori proseguirebbero con sorprendente
celerità, sia pure nel segreto più assoluto, così come ci resoconta
Anna Momigliano su il Riformista.
Quel che si sa per certo, riguardo all’opera, è che si tratta di una
struttura con l’anima d’acciaio, rinforzata in più punti, a prova di
bomba e di fiamma, estesa per una decina di chilometri e posizionata a
Rafah, nel confine meridionale della Striscia di Gaza, laddove si sono
ripetuti, negli anni scorsi, i tentativi, coronati da successo, di
sfondare l’attuale linea confinaria, letteralmente esondando in
territorio egiziano. Tuttavia, più che la parte in superficie, che è
solo uno degli aspetti, e forse neanche il più importante, di questo
sistema di separazione e sicurezza, ciò su cui stanno lavorando
alacremente gli egiziani, parrebbe grazie anche ad un apposito
finanziamento arrivato dagli Stati Uniti, è la costruzione di una
barriera sotterranea, della profondità di venti o trenta metri,
parallela al disegno della vecchia, inoperosa struttura confinaria,
fatta di ferro. La sua funzione è soprattutto quella di impedire la
costruzione di nuovi tunnel. Infatti, l’obiettivo non dichiarato ma
evidente a tutti è la volontà di fermare il flusso, pressoché
ininterrotto, di merci ma anche di armi, di animali come di uomini, che
viene praticato pressoché quotidianamente attraverso la rete di
passaggi clandestini che da anni vengono caparbiamente costruiti e
ricostruiti malgrado i tentativi di distruggerne la ramificazione da
parte egiziana e israeliana. Vedremo, quindi, quale sarà la reazione da
parte della comunità internazionale dinanzi ad un’opera che, dal punto
di vista di chi la sta costruendo, si giustifica abbondantemente con la
situazione che da troppo tempo agita il confine meridionale di Gaza ma
che è destinata inesorabilmente a segnarne ancora di più l’isolamento
dal mondo circostante. Contro il quale, peraltro, Hamas, continua a
lanciare i suoi strali di distruzione. Ragionevole pensare, quindi, che
gli egiziani, mai teneri nei confronti dei palestinesi, intendano in
tale modo non solo stroncare i copiosi commerci illeciti ma mettere
sotto pressione gli islamismi, cercando così di ingenerare una crisi di
consenso. Quali saranno gli effetti, tuttavia, in Medio Oriente non è
mai facile preventivare. La scienza delle previsioni - che poi tale non
è - in questa regione del mondo è destinata a continue, sonore
smentite. Eric Salerno, su il Messaggero,
fa poi un po’ la sintesi di queste ultime settimane in Israele
riportando la notizia, in sé tutto fuorché inedita, delle rumorose
rimostranze degli abitanti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania
contro il proposito governativo di bloccarne la crescita. Le pressioni
americane in tal senso (ma anche quelle egiziane e giordane) non sono a
loro volta una novità nel pallido panorama politico delle politiche
mediorientali. Benché la stampa nostrana batta frequentemente il chiodo
di una ipotetica sollevazione dei cosiddetti «coloni», il cui numero
varia a seconda delle stime e dei sistemi di calcolo da 350mila a
500mila, è chiaro ai buoni frequentatori della regione che solo un
nucleo relativamente contenuto di essi sia motivato ideologicamente
alla scelta di rimanere, indipendentemente da qualsiasi altro ordine di
considerazioni, laddove attualmente risiede. Non è meno chiaro il
fatto, peraltro, che una parte corposa degli insediamenti - di fatto
vere e proprie comunità urbane, anche di più di 30mila residenti, come
nel caso di Kiryat Arba - non possano essere smantellati tanto
facilmente. Almeno non a prezzo di causare una ingovernabile crisi tra
le autorità d’Israele e una parte dei suoi cittadini, tenendo conto che
la popolazione residente in Cisgiordania rappresenta circa lo 0,5 per
cento dell’intera comunità nazionale (a titolo di paragone, e citiamo
le cifre a memoria, si consideri che il numero di abitanti dei
kibbutzim è di poco più grande). Il destino dei residenti negli
insediamenti di Gaza (un piccolo segmento di popolazione che non
superava, complessivamente, gli 8 mila individui), infatti, non è
ancora stato definitivamente identificato a quattro anni dal loro
trasferimento in terra israeliana. E questo per gli altissimi costi che
ogni politica di reinstallazione di segmenti di popolazione comporta,
nonché per le scarse risorse alle quali anche l’amministrazione
pubblica israeliana può fare affidamento. Chiudiamo questa veloce
incursione nel mondo della carta stampata ricordando (ce n’è bisogno,
forse?) ai nostri lettori che questa sera ingressa Channukkà,
ricorrenza quanto mai gradita nella copiosa messe di festività che
accompagnano ogni anno il calendario ebraico. Auguri a tutti, quindi! Claudio Vercelli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Israele, referendum sul Golan, i siriani non apprezzano Beirut, 11 dic - Una
bozza di legge, che introduce l'obbligo di indire un referendum se un
futuro governo decidesse un ritiro dalle alture occupate del Golan nel
quadro di accordi di pace con Damasco, è stata approvata dal parlamento
israeliano. Ma
i siriani non ci stanno e replicano: “E' una bozza che non ha alcun
valore legale perché è in contraddizione col diritto internazionale che
proibisce l'acquisizione con la forza di territori altrui", ha spiegato
una fonte ufficiale siriana, che ha concluso: "Israele è ben cosciente
che la Siria non riprenderà i colloqui indiretti di pace fino a quando
il premier israeliano non esprimerà il suo impegno per un totale ritiro
dal Golan". |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|