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L'Unione informa
 
    2 luglio 2010 - 20 Tamuz 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino 
Qualche giorno fa, assieme ad un gruppo di ebrei milanesi, ho visitato il Museo ebraico di Berlino. Esposto in una vetrinetta ho visto uno splendido bacile in argento appartenuto a un noto esponente della cultura ebraica locale. Colto e con una formazione intellettuale poliedrica, l’uomo si prodigò, a suo dire, per svecchiare un ebraismo troppo legato alla tradizione e promosse attività, dialoghi e giornate di formazione intellettuale per integrare finalmente la Comunità nel clima culturale e sociale della città. In questo bel bacile erano incisi i nomi dei nipoti e bisnipoti accanto ai quali compariva la data della loro nascita e anche quella quella della loro…conversione. 
Janusz Korczack (Varsavia 1878 - Treblinka 1942), medico ed educatore nella Casa dell’Orfano a Varsavia era un personaggio molto conosciuto tra gli uomini del suo tempo. La sua vita è la testimonianza di chi ha lottato per dare  speranza e  dignità a bambini segnati da un destino ineluttabile. I ragazzini dell’orfanotrofio di via Krochmalna, da lui fondato, saranno dapprima rinchiusi dai nazisti nel ghetto di Varsavia (1940) e, il 5 agosto 1942 ,verranno deportati nel campo di sterminio a Treblinka accompagnati da Korczack stesso e dagli altri educatori. Il rispetto e la comprensione per il bambino sono i principi e i punti di riferimento sui quali egli fonda e organizza la vita dell’Orfanotrofio realizzando straordinarie esperienze pedagogiche tra le quali “il giornale” che così concepiva: “Un’istituzione educativa senza giornale mi appare come un disordinato e disperato andirivieni e brontolare del personale, un girare in cerchio dei bambini senza direzione né controllo, qualcosa di discontinuo e occasionale, senza tradizione, senza ricordi, senza linea di sviluppo per il futuro. Il giornale costituisce un forte vincolo, che lega una settimana all’altra e unisce i bambini e gli educatori in un insieme indivisibile.. ”       Sonia
Brunetti Luzzati,

pedagogista
sonia brunetti  
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  Quali rabbini, quale futuro - Reazioni e sdegno sugli attacchi

La nomina a rabbino capo della Comunità Ebraica di Torino del rav Eliahu Birnbaum e il dibattito tenutosi in seno al Consiglio della Comunità riguardo a questo argomento continuano a destare considerazioni e prese di posizione.
In una lettera privata e non destinata alla divulgazione, lo stesso rabbino si rivolge ad alcuni ebrei torinesi per comprendere i motivi degli attacchi di cui è stato oggetto nelle scorse ore e offrire un dialogo aperto e sereno riguardo alle prospettive del suo nuovo incarico. Traendo spunto e rincarando il contenuto di un editoriale firmato dal rabbino Alberto Moshe Somekh, che appare sul numero di luglio di Pagine Ebraiche, nel corso del Consiglio voci dell'opposizione avevano creduto di attribuire al rav Birnbaum affermazioni e comportamenti inusuali al solo fine di avvicinare persone allontanatesi dall'ebraismo, come per esempio autorizzare in locali comunitari lo svolgimento di cene in coincidenza con le festività natalizie. Queste affermazioni, registrate nel corso della seduta di Consiglio e poi riprese senza una verifica della loro effettiva veridicità e senza l'opportuna contestualizzazione da scritti apparsi su notiziari online, hanno finito per disseminare disorientamento, preoccupazione e fastidio in molti ambienti ebraici e in molti si sono espressi nelle scorse ore in particolare per tutelare l'autorevolezza di una figura rabbinica di chiara fama, nota molto apprezzata in campo internazionale.
In particolare molti hanno stigmatizzato la grave mancanza di etica professionale da parte di siti che riprendono scritti apparsi su altre fonti (compreso questo notiziario quotidiano) citandone in maniera incompleta la provenienza e modificandone la titolazione al solo fine di suggestionare la percezione del lettore. Altri hanno rivelato come sia grave porre in circolazione notizie distorte e non verificate al solo fine di disseminare sfiducia e confusione.
Il presidente emerito dell'Assemblea rabbinica italiana, rav Giuseppe Laras, ha dal canto suo emesso un documento in cui denuncia come fatti gravi e intollerabili gli accenni all'autorizzazione di un "cenone natalizio" quali “un'estrapolazione, incompleta e decontestualizzata, di un discorso più generale di cui non vengono riportati i riferimenti puntuali necessari per comprenderne senso e scopi” e ricorda come il rav Birnbaum sia un rabbino “capace e rispettato”. Si ricorda anche che il contenuto degli scritti posti in circolazione sono aggravati “da un titolo e da un "cappello" che suonano in senso volutamente irridente e scandalistico”. “Da ultimo – si aggiunge nel documento - sia la lettera che la diffusione mediatica della stessa sembrano, conseguentemente, anche sollevare dubbi sulla lucidità e competenza dei membri della Consulta Rabbinica (rabbini Alfonso Arbib, Luciano Caro e Giuseppe Laras) che hanno approvato la nomina a Rabbino Capo di Torino dello stesso Rav Birnbaum”.
In una nota redatta dal rav Shalom Bahbouth si ricostruisce invece minuziosamente quanto accaduto, con l'intento dichiarato di recuperare la realtà dei fatti e di fornirne la giusta chiave interpretativa.
“Conosco da anni rav Eliahu Birnbaum - si legge nel documento - e le affermazioni circolate ieri mi avevano molto meravigliato, tanto da ritenere che fossero dovute, nella migliore delle ipotesi, a un fraintendimento da parte sua”.
Sulla base di tale ricostruzione emerge in effetti che il rav Birnbaum ha partecipato a un congresso rabbinico nel corso del quale non ha dato alcuna lezione, ma ha assunto l'incarico di coordinatore di un dibattito di una delle riunioni in cui è stata illustrato un responso (pubblicato su Marè Habazak vol. 5 pag. 123). In quell’occasione non furono espresse opinioni personali, ma riferito di un caso simile accaduto in Francia e al quale il gran rabbino rav Joseph Sitruk aveva dato la sua approvazione. Il caso verificatosi a Parigi, si riferisce a una festa organizzata un 24 dicembre, al solo scopo di svagarsi e non per motivi religiosi, per giovani che sarebbero comunque andati a feste organizzate al di fuori dell'ambiente ebraico. “Il rav Birnbaum – riferisce il rav Bahbouth - ha semplicemente riportato questo caso senza esprimere opinioni in merito”.
Al di là di quanto riferito nello specifico, con dettagli che richiederebbero molto studio prima di poter offrire interpretazioni fondate e allo scarto da epidermiche reazioni emozionali, i commenti raccolti concordano nel mettere in luce che la diffusione di notizie incontrollate e strumentali corre il rischio di disseminare turbamenti e interrogativi che non hanno ragione di essere, a tutto discapito del diritto del lettore di essere correttamente informato e del diritto di ognuno di vedersi tutelato nella propria onorabilità.


Qui Firenze - Un laboratorio per imparare e divertirsi


laboratorioImparare divertendosi. Con questo spirito alcuni giovani ebrei fiorentini dagli 11 ai 13 anni hanno appena concluso il laboratorio giornalistico del Talmud Tora, esperienza che li ha portati a respirare per una settimana l’atmosfera delle redazioni. Radio Toscana Network, Il Corriere Fiorentino, Rai Firenze: una stazione radio, un quotidiano cartaceo e la più importante emittente televisiva nazionale. Accompagnati nella visita da giornalisti ed esperti di comunicazione, i ragazzi hanno avuto un primo approccio a 360 gradi con il mondo dell’informazione. Al rientro in Comunità dalle visite fuori sede, il gruppo è stato seguito da un madrich (Adam Smulevich, praticante giornalista per Pagine Ebraiche e Moked), che si è occupato di accompagnarli nell’apprendimento di alcuni concetti e regole alla base della professione, aiutandoli nella stesura di un breve articolo.
Il laboratorio giornalistico, nato dal confronto tra la coordinatrice del Talmud Tora Barbara Giannozzi Servi e le due ex coordinatrici Marta Conti Forti e Carla Neppi Sadun, è il proseguimento ideale del laboratorio teatrale organizzato lo scorso inverno. Nel complimentarci con la Comunità ebraica di Firenze per la lodevole iniziativa, pubblichiamo alcuni estratti dei pezzi scritti dai giovani redattori in erba.
 
ORA DI RELIGIONE: NECESSARIA?
Pagare il divertimento dei ragazzi
L’ora di religione è stata introdotta nel 1859 per i primi due anni di elementari. Dal 1929 il regime fascista la introdusse per tutti gli anni delle scuole medie e superiori. È presente in quasi tutti gli stati europei escluse Francia, Repubblica Ceca, Slovenia e Albania, con diverse modalità, approcci e contenuti. Frutto di un accordo tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica, viene considerata un’ora di svago e divertimento da tanti ragazzi.  Chi ha scelto di non fare quest’ora si ritrova smistato in altre classi o in una classe più piccola con un’altra insegnante o in alcuni casi con la bibliotecaria di scuola. Non tutti esultano. Il motivo? Stare un’ora tra le aule (perché pagare una professoressa è troppo caro…) non è sempre piacevole. Molti credono che l’ora di religione si potrebbe sostituire con materie attualmente ai margini come arte, musica o inglese.
Prendiamo una classe media di una scuola pubblica fiorentina: 16 ragazzi fanno religione e gli altri 8 sono smistati nelle aule dai custodi senza poter parlare o ripassare con gli amici, come programmato invece nell’ora precedente. Anche i problemi economici non mancano: i professori non lavorano gratis. Nel 2001 circa 25000 insegnanti di religione sono costati allo Stato 620 milioni di euro e pagandoli (comunque giustamente) ci si ritrova con tagli qua e là: senza gite (perlomeno in quelle classi che non hanno professori vicepresidi), senza attrezzature (computer e televisioni), senza personale ATA (custodi e addetti alle pulizie) e senza molte altre cose.
Adele, 13 anni
 
TANTI AUGURI RAV TOAFF
Festeggiati i 95 anni del grande rabbino
Il rabbino Elio Toaff ha da poco compiuto 95 anni. Nato a Livorno e arrivato a Roma nel 1951, è uno dei rabbini italiani più importanti e amati. Durante la Seconda Guerra Mondiale è entrato nella Resistenza e ha anche assistito alla strage di Sant’Anna di Stazzema. Sostenitore del dialogo, è stato il primo rabbino a ricevere un papa nella sinagoga di Roma. A festeggiarlo non solo politici e istituzioni, ma anche alcuni ragazzi della scuola media Angelo Sacerdoti di Roma: al suo arrivo hanno cantato dei salmi in suo onore. Anche chi non ha avuto occasione di incontrarlo di persona può conoscerlo tramite racconti di parenti e amici. Rabbino storico della Comunità Ebraica di Roma, per gli ebrei e non solo di questa città ha significato e significa ancora moltissimo. Questi 95 anni sono stati segnati da momenti intensi. Adesso c’è solo una cosa da dire: tanti auguri caro rav.                  
Keren, 11 anni

MAZAL TOV BLACK EYED PEAS
Un tocco di ebraico in I gotta a feeling
Mazaltov, Lehaim: non tutti sanno che dietro al grande successo di I gotta a feeling, i Black Eyed Peas hanno introdotto un tocco di ebraico nel testo della canzone. Congratulazioni e salute sono le parole usate da David Guetta, autore di una hit che ha conquistato milioni di persone. Ma non tutti riescono a capire il vero significato di queste espressioni e quindi tendono a storpiarle con altre parole dal significato buffo o ironico: Mazaltov ad esempio diventa Maybe off. La sensazione è che la canzone sia stata compresa nel suo insieme, tranne quelle due espressioni molto meno semplici da decifrare. Recentemente un artista sconosciuto ha fatto girare su YouTube un video intitolato I got tefilin, in cui viene ulteriormente ebraicizzata la canzone I gotta a feeling con parole e immagini di ortodossi che usano i Tefillin. Decine di migliaia di contatti e centinaia di commenti di utenti: il remix della hit dei cinque di Los Angeles ha fatto il boom sulla rete.
Sara, 13 anni
 
MACCABI DAY: AMICIZIA E DIVERTIMENTO
Oltre cento ragazzi dalle Comunità a Firenze
Nuove amicizie e tanto divertimento. Questo il risultato di una giornata negli spazi all’aperto della palestra Virgin di Firenze, in occasione del Maccabi Day, una serie di gare amichevoli disputate il 30 Maggio 2010 tra  ragazzi di molte Comunità ebraiche italiane. Una giornata dal tempo bellissimo ha favorito lo svolgimento delle gare. Significativo il fatto che i partecipanti abbiano avuto modo di staccarsi dal gruppo della propria Comunità per socializzare con ragazzi e ragazze di differenti realtà. La giornata è iniziata con la presentazione dei ragazzi e degli organizzatori. Dopo alcuni minuti di relax, questi ultimi hanno distribuito le maglie della squadre ai partecipanti. Un tabellone segnava il punteggio ottenuto dai ragazzi e i progressi ottenuti dalle rispettive squadre. Basket,calcio-tennis, pallavolo e calcio: ecco alcuni degli sport previsti nel programma. Al termine della partita di basket, tutti sotto l’albero della propria squadra per il pranzo. Birchat Hamazon e dopo ulteriori competizioni la consegna della medaglie, anche se le squadre non sono state classificate. Si è conclusa così, col sorriso, con la voglia di rincontrarsi e all’insegna della sportività, una giornata di sport e tanto divertimento sotto il cielo terso e il sole caldo di una bella giornata fiorentina.
Micol, 13 anni
Noa, 13 anni
 
SPORT E RAZZISMO
Quando agonismo e intolleranza vanno a braccetto
Spesso sport e razzismo si intrecciano a doppio filo. In particolare qua in Italia. Prendiamo il terzino israeliano Eyal Golasa ad esempio: ha fatto appena in tempo a visitare la Comunità ebraica di Roma che è stato subito fischiato dai tifosi laziali. Il problema è noto: l’Italia è impregnata dal razzismo e dalla xenofobia. La paura dello straniero e del diverso porta alla violenza, che non si manifesta solo con i fischi a un giocatore di calcio: casi di razzismo stanno diventando sempre più frequenti. Talvolta vi è discriminazione anche da parte dello Stato, che rende difficile la vita agli stranieri. Lo sport che molti considerano un mezzo per unire, spesso ottiene l’effetto contrario. Mario Balotelli, fortissimo centravanti dell’Inter fischiato negli stadi di mezza Italia nonostante il suo evidente talento, ne sa qualcosa. Sale la tensione e emerge la convinzione che sia necessario interrompere questo circolo vizioso per non rendere l’Italia un paese chiuso e ostile al cambiamento.
Noam, 13 anni 

 
 
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pilpul    
 
  Kasherut: siamo tutti responsabili

anna segreLa kasherut non può essere un privilegio di pochi che se la possono permettere o vivono in grandi Comunità: chi vuole mangiare kasher dovrebbe avere la possibilità di farlo. Credo che tutti concordiamo su questo. Eppure siamo sicuri che le cose stiano così? Possiamo affermare con tranquillità che non c’è nessun ebreo in Italia che avrebbe l’intenzione di mangiare kasher ma non se lo può permettere o non ne ha la possibilità? Direi proprio di no. Forse non si tratta di molti, ma basterebbe anche una sola persona per costringerci a riflettere. Un diritto per qualcuno implica responsabilità e doveri per qualcun altro. In questo caso, poi, parliamo di un diritto che è anche un dovere: non è una mitzvà garantire a tutti la possibilità di osservare le mitzvot? In questo caso, però, non è chiaro chi si debba considerare responsabile e chi abbia il dovere di agire. I rabbini? Le comunità? L’UCEI? Negli ultimi anni il problema è stato posto e sono state proposte e sperimentate soluzioni, in qualche caso con risultati positivi, ma quasi sempre a livello comunitario. La proposta, che è stata recentemente avanzata da più parti, di un marchio di kasherut nazionale non risolverebbe sicuramente tutti i problemi pratici, né quelli economici, ma potrebbe avere un importante valore simbolico: rappresenterebbe un’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli ebrei italiani.

Anna Segre, insegnante


Comix - Wolverine 131, errore spiacevole


dropsie avenueE’ il novembre del 1998 nelle edicole statunitensi arriva, appena stampato, fresco fresco dalle rotative, un nuovo episodio della serie regolare dedicata a uno dei componenti degli X-Men più densi di personalità e carisma. Wolverine.
La serie era stata lanciata nel novembre dal 1988 con storie scritte dall’allora autore di punta della Marvel, Chris Claremont, e nei primi episodi disegnato da uno dei mostri sacri della serie Conan La spada selvaggia, John Buscema. Comunque quel novembre di dieci anni dopo solo in pochi riusciranno a comprare quel volume, perché qualcuno si accorge che a pagina 6 è presente una parola antisemita. In realtà come si chiarirà dopo, è stata corretta male una parola; invece di scrivere “bike”, scrivono “kike” attribuendola a uno dei cattivi nemici storici di Wolverine, Sabretooth. Chi conosce lo slang americano ha riconosciuto subito la parola dispregiativa e decisamente antisemita che venne coniata nell’isola di Ellis Island e che fece la sua prima apparizione nel 1904. Leo Rosten nel suo The Joys of Yiddish spiega che gli ebrei che non conoscevano l’alfabeto latino oppure erano illetterati, preferivano fare un cerchio piuttosto che una X, che sembrava una croce. La parola yiddish per cerchio è kikel, e per piccolo cerchio kikeleh. Questa è la possibile origine di “kike”, che indica gli emigranti di origine ebraica. Esistono altre origini possibili di questa parola, ma, come spesso fa Leo Rosten, condisce i suoi racconti o i suoi studi di profumi, essenze vitali che possiamo solo immaginare e che rendono più credibile la sua ipotesi.
In quel grande stanzone a Ellis Island, con le mattonelle bianche da ospedale, uomini, donne e bambini cercavano di avere una nuova speranza portando con sé i valori più profondi della loro cultura. Possiamo immaginarci il rifiuto di fare la “croce” e optare per un "cerchio". Un piccolo cerchio.
Ormai è stato chiarito che fu un errore, ed è assurdo che una parola antisemita sia apparsa proprio tra le pagine di quei mutanti che raccolgono tra le loro file Kitty Pride e Magneto, personaggi creati da Stan Lee e disegnati nei loro primi episodi da Jack “the king” Kirby.

Andrea Grilli



Leggo sempre con particolare attenzione e interesse quanto scrive il rabbino capo di Roma. Nel suo articolo del primo di luglio però, sono rimasto esterrefatto di fronte al suo giustificare eventuali manifestazioni (di stampo civile, ovviamente) anti-israeliane di fronte alle sinagoghe italiane. Testuali parole: "Non ci si può lamentare di confusioni identitarie se i primi a farle, su scala industriale, siamo noi."
Non vedo "confusioni" di alcun tipo. Sono un ebreo italiano e manifesto - spesso - per Israele. Non vedo perché questo dovrebbe dare la possibilità ad altri di invadere la mia vita privata. Immaginate se applicassimo l'idea del rav Di Segni ad altre realtà: la prossima volta dovremmo andare a manifestare contro il fondamentalismo islamico davanti a una moschea? Sarebbe assurdo e provocatorio.
I principali motivi del mio dissenso sono due: Israele ha delle sedi istituzionali presso cui indirizzare eventuali proteste, non vedo perché non dovrebbero essere usate. Loro, peraltro, sono attrezzati per questo.
Io, gli ebrei in genere, gli amici di Israele non ebrei, non rappresentiamo a nessun titolo lo Stato di Israele. Difendiamo semplicemente e pubblicamente le nostre idee. Pubblicamente. Guai però a confondere la dimensione privata con quella pubblica. Il secondo motivo è quello di assicurare una tranquilla vita privata ad adulti e bambini ebrei che vanno in sinagoga. Insomma, sfera pubblica e sfera privata devono restare separate.
Così come noi manifestiamo davanti a istituzioni o comunque negli spazi pubblici (consolati iraniani, conferenze stampa, lettere a giornali, presenze in tv, ecc.) così dobbiamo pretendere che i nostri avversari facciano lo stesso.
 
Davide Romano (segretario dell'associazione Amici Di Israele)
 
 
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TeheranQuanto vale la vita di un uomo, ammesso che alla sua esistenza possa essere attribuito un valore misurabile in termini quantitativi? La vicenda del caporale Gilad Shalit, rapito e tenuto prigioniero da Hamas oramai dal quattro anni, ruota intorno a molti elementi, non da ultimo la quantificabilità della sua persona, ovverosia l’attribuzione di un valore politico che, in un ipotetico scambio, dovrebbe risultare accettabile per i rapitori. Il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato la disponibilità del governo di procedere ad uno scambio di «prigionieri» ma non a «qualsiasi prezzo», così come sottolineano Alberto Stabile su Repubblica e Giordano Stabile su la Stampa. Come ricordano, ricostruendo l’intera vicenda, Francesca Bertoldi e Luigi Geninazzi su l’Avvenire, non si tratta di una radicale trasformazione delle posizioni dell’esecutivo israeliano ma segna il tentativo di cercare di uscire dall’impasse nella quale l’intera vicenda era finita dopo le speranze che sei mesi fa avevano accompagnato l’evoluzione degli eventi, quando sembrò per davvero che la liberazione di Shalit fosse alle porte. Speranze che erano poi andate deluse. Hamas pratica da sempre una tattica dello sfiancamento, in un conflitto che, ancora una volta, è duramente asimmetrico. Ma in questo caso a giocare nelle vesti più comode è chi parrebbe essere il soggetto di minori dimensioni, l’organizzazione palestinese per l’appunto, la quale punta a tenere sulle corde l’intera società israeliana e le autorità politiche, possibilmente mettendo l’una contro le altre. Il registro è doppio, battendo, nel medesimo tempo, sui tasti della sofferenza e dell’insofferenza. Sofferenza dei familiari del rapito, che giorno dopo giorno (e ne sono passati più di 1.400) registrano la dolorosa separazione dal loro congiunto; ma anche insofferenza crescente da parte di chi ritiene che la mancata soluzione sia anche da attribuirsi alla presunta inerzialità del governo israeliano o, comunque, all’inefficacia della sue scelte politiche. L’una e l’altra si alimentano vicendevolmente con il passare del tempo, costituendo un piccolo capitale politico su cui Hamas cerca di incrementare la sua attendibilità dinanzi ai suoi sostenitori. Peraltro, le affermazioni di Netanyahu, che sono state accolte con scetticismo dagli stessi familiari di Shalit, poiché non introdurrebbero novità nel quadro politico delle iniziative per la liberazione del rapito, si accompagnano ad una serie di iniziative per cercare di andare oltre l’isolamento che il governo israeliano ha misurato in questi ultimi tempi. Così ancora l’Avvenire quando riporta la notizia di «colloqui segreti con Ankara», e di una serie di contatti con Abu Mazen. Maurizio Debanne su Europa, così come il Foglio e Ugo Tramballi per il Sole 24 Ore, riferiscono dell’incontro tra il ministro israeliano Benjamin Ben-Elezier e quello turco Ahmet Davutoglu, evidentemente nel tentativo di allentare la morsa della tensione tra i due paesi. L’esclusione dai colloqui del ministro degli Esteri Lieberman, sostenitore di posizioni più dure rispetto al tipo di soluzioni da applicare a molte delle questioni aperte sul tavolo della discussione (rapporti con la Turchia, Cisgiordania, Gaza, Stati Uniti), sembrerebbe andare nel senso di una marginalizzazione del suo partito nell’attuale maggioranza. Le ipotesi si spingono in avanti volendo vedere in ciò il tentativo di aprire le porte al partito di Tzipi Livni, Kadima, nell’eventualità, al momento tuttavia poco probabile, di un suo ingresso nell’esecutivo. Il nocciolo del contrasto tra le forze politiche israeliane riguarda la trattativa con i palestinesi, laddove mentre il partito Kadima intende negoziare un accordo, possibilmente definitivo, non la stessa cosa può dirsi del Likud e di altre parti dell’attuale maggioranza. L’impressione che se ne ricava è quello di una situazione incerta, di transizione. Le opzioni fin qui praticate si sono oramai esaurite ma il mutamento fatica a definirsi. In Medio Oriente non è peraltro infrequente che dopo un periodo di lunga stasi subentri un repentino cambiamento. Confidando, almeno in questo caso, che esso sia segnato dalla liberazione dell’incolpevole Shalit.
 
Claudio Vercelli

 
 
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notizieflash    
 
 
Media israeliani online informano:                                                      
“Israele pronta a risarcire le vittime della Flottiglia”
Tel Aviv, 2 lug -
Israele è pronta a risarcire le vittime della Nave Mavi Marmara. La notizia è stata divulgata dai media online israeliani, che riprendono indiscrezioni di fonte turca. Le stesse fonti riferiscono che l'offerta sarebbe stata avanzata dal ministro dell'Industria, Benyamin Ben Eliezer, nell' 'incontro segreto' avuto mercoledì a Bruxelles con il titolare degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu: incontro (reso poi di pubblico dominio) organizzato per cercare di riprendere il filo del dialogo fra i due ex alleati strategici dopo le roventi polemiche dei giorni scorsi. Ma a minare la ripresa dei contatti informali fra i due Paesi sono le polemiche interne al Governo israeliano, legate alle lamentele del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman per non essere stato informato della missione del laburista Eliezer. La stampa turca, dal canto suo, comunica che l'incontro di Bruxelles non ha diradato le tensioni sulla questione degli spazi aerei: la Turchia continuerà a vietare l'accesso ai voli militari israeliani con un provvedimento che potrebbe essere allargato ai voli civili.
 
 
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