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28
ottobre
2010 - 20
Cheshvan 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Quattrocento
sicli di argento - una cifra considerevole per l'epoca - è il prezzo
che Abramo paga senza battere ciglio per acquistare la grotta per
seppellire Sarà e i suoi discendenti. E' l'esordio del brano (Genesi
23:16) che, con caparbia ostinazione giudaica teologico-biblica,
leggeremo questo Shabbat. Bisogna capire come mai la Torah si dilunghi
tanto sui dettagli dell'acquisto. Una possibile risposta la dette R.
Yudan figlio di R. Simon, un Maestro vissuto in terra d'Israele nel
terzo secolo: "Questo è uno dei tre luoghi per i quali le nazioni del
mondo non possono tormentare Israele accusandoli di averli rubati"
(Bereshit Rabba 79:7). Perché sull'acquisto di questi luoghi c'è una
precisa informazione biblica. Oltre alla grotta acquistata da Abramo,
l'area del Santuario (1 Cron. 21:25) e la tomba di Giuseppe (Genesi
33:19). Almeno su questi tre luoghi, dice R. Yudan, ci dovrebbero
lasciare in pace. Eppure, sentendo le dichiarazioni dei reverendi Padri
Sinodali (che, almeno per l'abito che indossano, nella Bibbia ci
dovrebbero credere), R. Yudan sembra un incorreggibile ottimista.
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Sergio
Della Pergola
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Con un certo imbarazzo si
fanno strada i pensieri e le parole di commento al rozzo e aggressivo
documento del Sinodo dei vescovi cattolici mediorientali. Ci si poteva
aspettare toni simili da un documento degli Imam, e di fatto la Chiesa
cattolica in Medio Oriente dimostra di essere un consesso di
nazionalisti arabi. Ma questo non serve: le comunità dei fedeli
cristiani sono in fuga lo stesso, eccettuata una, quella che vive nello
stato d'Israele. Quella del Sinodo è una Chiesa impaurita, perdente,
mendace. Nell'analisi di Benedetto XVI, la Chiesa che nega le sue
radici nell'Antico Testamento finisce col dissolvere se stessa. Ma la
retorica satura di pregiudizio, di dottrina alienata, di negazione
dell'altro del documento sinodale ricorda da vicino l'epoca
pre-conciliare, ci riporta ai tempi di Pio XII. Vengono in mente gli
scontri verbali e politici che da ragazzi avevamo con Don Giussani. La
delusione è per chi aveva creduto nel dialogo, non certo per gli
scettici. Restano sul terreno le vittime del ciclone, le persone che
credevamo amiche come Monsignor Pizzaballa. Ma evidentemente se uno il
coraggio non ce l'ha, non se lo può dare.
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torna su ˄
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Qui Lucca
- Comics and
Jews su Pagine Ebraiche |
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Lo sapevate che, per
disegnare Batman, Bob Kane e Bill Finger si sono ispirati al Golem? O
che Superman può essere letto come la proiezione in calzamaglia di Mosè
e Sansone? E vi è mai capitato di soffermarvi sul legame tra le
avventure degli X-Men e la tragedia della Shoah? I nessi tra i
protagonisti dei comics e il mondo ebraico sono molteplici e riguardano
al tempo stesso la matrice culturale degli autori, il profilo dei
personaggi e i contenuti delle storie.
Il nuovo numero di Pagine Ebraiche, presto in distribuzione, dedica un
ampio dossier al tema. Intitolato Comics and Jews, il dossier
sarà presentato insieme al giornale ebraico per bambini Daf
Daf questo venerdì, 29 ottobre, alle 11.30 nella Sala Incontri della
Camera di Commercio di Lucca in occasione di Lucca Comics, la più
importante rassegna nazionale dedicata al fumetto e alla fantasia in
tutte le sue possibili declinazioni.
All’incontro con il coordinatore dei dipartimenti Informazione e
Cultura dell’UCEI Guido Vitale, parteciperanno grandi autori del
disegno italiano e internazionale, alcune firme che illustrano Pagine
Ebraiche e Daf Daf (ai giornali collaborano fra gli altri Giorgio
Albertini, Enea Riboldi, Vanessa Belardo, Paolo Bacilieri, Maurizio
Rosenzweig e Viola Sgarbi e il critico Andrea Grilli). Ha annunciato la
sua presenza anche il Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane con delega alla Cultura Victor Magiar.
“A
spasso per Lucca con Eisner e altri miti”
Lucca
Comics 2010 sta per aprire i battenti e per Vittorio Giardino, il
grande maestro del fumetto italiano che ha dato vita a eroi ebrei
indimenticabili come Max Fridman e Jonas Fink, è il momento di aprire
il cassetto dei ricordi. Dal suo tavolo da disegno a Bologna ha
ricostruito meticolosamente luoghi e incontri strettamente legati
all’Europa ebraica, ora tornano alla luce alcune delle esperienze più
significative della sua carriera, come il primo faccia a faccia con il
mitico Will Eisner.
Giardino, che
rapporto ha con Lucca Comics?
Ottimo.
Ho tanti e splendidi ricordi relativi a questa rassegna, la più
importante in assoluto su scala nazionale. La prima volta che
partecipai ero agli inizi del mestiere. Avevo ambizione di fare fumetti
professionali ma non avevo idea di come si facesse. Fu una rivelazione
straordinaria vedere miti del fumetto in carne e ossa passeggiare per
le strade di Lucca: all’epoca entrare in quella ristretta cerchia di
professionisti mi sembrava un sogno irrealizzabile. Tanto che quando
nel 1982 ricevetti lo Yellow Kid (il maggior riconoscimento del
fumetto) al Teatro del Giglio il premio arrivò totalmente inaspettato.
Le telecamere possono provare che ero seduto nelle ultime file del
loggione. Quando arrivò l’annuncio impiegai una eternità per salire sul
palcoscenico. Mi tremavano le gambe, anche perché nella giuria sedevano
mostri sacri come Preccia e Pratt. Ricordo con emozione la cornice
meravigliosa del Teatro del Giglio, un vero peccato che le premiazioni
non si svolgano più al suo interno perché è un luogo pieno di
suggestione.
Altri
ricordi?
Qualche
anno dopo ricevetti il mio primo premio da autore professionista. In
quell’occasione veniva omaggiato anche il grande Will Eisner, a cui la
giuria aveva assegnato un premio alla carriera. Eisner benché bravo a
dissimulare mi parve comunque molto emozionato e quando lo incontrai in
seguito a Bologna gli chiesi se la mia impressione fosse stata
corretta. Lui mi rispose di sì aggiungendo sarcasticamente che avrebbe
preferito ricevere un premio all’opera prima piuttosto che un premio
alla carriera. Adesso che inizio ad avere una certa età, capisco
appieno quella battuta, che non era solo spiritosa, ma anche molto
realistica.
Qual è il suo
padiglione preferito?
Ho
una passione per il padiglione delle autoproduzioni, dove si trovano
tanti ragazzi di talento che faticano a trovare un editore ma che
sfruttando i moderni mezzi tecnologici riescono comunque a produrre in
proprio. Lì è facile trovare lavori imperfetti, ma dotati di una grande
carica di originalità, che spesso è maggiore rispetto a quella che si
può riscontrare in situazioni più consolidate. Altra mia passione sono
le mostre, anche se in realtà cerco di ficcare il naso dappertutto.
Dopo un periodo di eclissi, non saprei dire se per colpa mia o per
colpa del programma proposto, ho ripreso a frequentare la
manifestazione e sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla
straordinaria affluenza di pubblico. Il rinnovato interesse dei lettori
è indice della buona salute del settore dopo anni di crisi.
In che
direzione sta andando il fumetto?
Per
motivi generazionali sono legato a un modo di fare fumetti all’antica e
non sono sempre al corrente delle ultime novità. Sintetizzando al
massimo direi che dopo un primo momento in cui sembrava che i mezzi
digitali avessero messo in crisi il fumetto, adesso ho la sensazione
che vi sia una sorta di scambio osmotico di influenze reciproche. Il
momento è senz’altro vivace ma un punto resta inderogabile:
l’immaginazione visuale degli artisti fa sempre premio su tutto. Non
c’è mezzo tecnologico che tenga, per quanto raffinato resta sempre un
mezzo.
Come evolve
la realtà italiana?
Mi
sembra che ci sia la tendenza al formarsi di tribù stilistiche che
hanno pochi contatti tra loro. Faccio un esempio: da una parte ci sono
i disegnatori bonelliani che hanno evidenti vincoli stilistici,
dall’altra giovani disegnatori che si rifanno al linguaggio graffiante
dell’underground americano. Sono ambienti molto diversi, figli delle
scuole di fumetto che tendono a settorializzare gli allievi, ma sarebbe
bello se comunicassero perché ne verrebbero fuori delle belle.
E il fumetto
d’autore invece come sta?
Nel
panorama europeo ci sono paesi che sviluppano grande attenzione
culturale e importanti volumi di vendita come Francia, Belgio e
Germania oltre ad alcune realtà di recente vivacità tra cui cito
volentieri la Spagna, ma ci sono anche noti dolenti come quelle che
arrivano dal nostro paese, dove la situazione è assai complessa e
arretrata. Ciò è in parte dovuto all’assurdo ostracismo e snobismo
mostrato da chi si occupa di critica letteraria. In genere i critici
non digeriscono il fatto che possano esistere fumetti con alto valore
culturale. Così non li leggono. E se per caso gli capita di leggerne
uno si guardano bene dal dirlo in giro quasi se ne vergognassero. Per i
critici è come se i fumettisti d’autore non esistessero. La conseguenza
è che i lettori spesso si stupiscono quando scoprono che abito a
Bologna: sembra impensabile che uno viva in Italia e faccia delle cose
buone in ambito fumettistico! Lo stesso discorso vale per Sergio Toppi
e per altri grandi autori a cui raramente capita di essere profeti in
patria. È un vero peccato che esistano barriere di questo tipo perché
il fumetto d’autore conquista sempre più consensi tra uomini di cultura
e semiologi, con l’esempio più noto di Umberto Eco che è stato il primo
a portarlo nelle aule universitarie.
In
conclusione, ottimista o pessimista sul futuro del fumetto italiano?
Direi
ottimista, visto che il numero di lettori e dei giovani che provano a
fare del fumetto il mestiere di una vita è in crescita. Il fatto che
siano scelte maturate non per tornaconto economico ma per passione è un
segnale importante. Sono tanti anni che disegno ma questa straordinaria
propulsione dei giovani a disegnare per soddisfare un bisogno interiore
è rimasta la stessa di quando ho iniziato.
Adam Smulevich
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Dossier -
I falsi dell'odio
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Dal
Golem a Jean Luc Godard la bugia è sul grande schermo
L’ antisemitismo
d’ispirazione cristiana, largamente diffuso nella società europea, ha
influenzato fortemente la rappresentazione degli ebrei nella
letteratura e le arti visive. Neanche il cineasta Jean Renoir, le
grande humaniste, riuscì a evitare stereotipi antisemiti quando mise in
scena personaggi ebrei. In La Grande Illusion il tenente Rosenthal,
interpretato da Marcel Dalio, è un ricco ebreo, proveniente da una
famiglia di banchieri di origini straniere, mentre il party decadente
de La Règle du Jeu è organizzato dall’ebreo Robert de La Chesnaye.
L’ebreo ricco, straniero, immorale, decadente. Sono solo alcuni degli
stereotipi dell’antisemitismo tradizionale dell’Europa cristiana che
saranno poi ripresi e amplificati dalla propaganda nazista.
Il Golem del 1920 è una rappresentazione ambivalente degli ebrei visti,
nello stesso tempo, come vittime e oppressori. Ispirandosi alla nota
leggenda del rabbino Loew di Praga e della creazione del Golem, il
regista Paul Wegener raffigura gli ebrei come una minoranza senza
diritti, vittima di un potere autoritario ma, anche, come outsider
pericolosi, capaci di trasformarsi e nascondersi tra i gentili e
corromperne la purezza. In seguito, Paul Wegener lavorò in film di
propaganda nazista e non a caso troviamo somiglianze tematiche e
strutturali tra Il Golem e il tristemente famoso Suss l’Ebreo, il film
paradigma del cinema nazista, nel quale tutte le potenzialità
antisemite de Il Golem furono realizzate.
Centrale, nel Suss di Veit Harlan, è l’idea dell’ebreo capace di
camuffarsi in un non ebreo mantenendo intatta la sua essenza ebraica: è
l’ossessione nazista per l’ebreo assimilato, impossibile da distinguere
dagli altri. Insieme a questo tema, il film propone altri stereotipi:
il cosmopolita senza patria, il parassita, il depravato che corrompe le
donne gentili e rappresenta un pericolo per la purezza della razza, lo
sfruttatore/capitalista che succhia il sangue delle classi popolari, il
rivoluzionario, l’anarchico e il cospiratore. Il film ebbe un
grandissimo successo e fu proiettato per preparare la popolazione alle
deportazioni dei concittadini ebrei. Speciali proiezioni furono
organizzate per i soldati incaricati dei rastrellamenti e delle
deportazioni. Suss l’Ebreo fu un potente mezzo di trasmissione di
costrutti antisemiti alle masse.
Questi stereotipi continueranno, seppure in maniera più sottile, a
essere usati nel cinema europeo: un esempio è La Terra della Grande
Promessa del 1974. Qui, il regista Polacco Andrzej Wajda introducendo
il personaggio della tentatrice ebrea, insaziabile di cibo e denaro,
che porta alla rovina gli uomini che incontra, all’interno di una
storia di nobili polacchi decaduti e un gruppo di ebrei stranieri
arricchiti, perpetua stereotipi antisemiti.
Assistiamo a una sorta di cortocircuito quando il cinema, usato in
Europa per attaccare gli ebrei, è, negli Stati Uniti, a sua volta,
attaccato perché in mano agli ebrei. Hollywood, creata da immigrati
europei chiamati Goldwyn, Fox, Mayer, Warner, ispirati dalla tradizione
del teatro Yiddish, fu, infatti, oggetto di attacchi virulenti da parte
degli antisemiti. Già negli anni che precedettero la Grande
Depressione, rappresentazioni dell’ebreo ispirate a Shylock o Giuda,
(l’antico pregiudizio usato per esprimere una crescente antipatia verso
gli immigrati) e storie di cospirazioni ebraiche (alimentate dalla
diffusa paura per i cambiamenti sociali causati dalla modernità)
iniziarono a comparire sui giornali e nella letteratura americani.
In un libro per ragazzi, Tom Swift and His Talking Pictures (Tom Swift
e i suoi film) scritto da Victor Appleton nel 1928, il giovane
protagonista Tom Swift deve confrontarsi con un gruppo di magnati del
cinema ebrei e il loro anarchico agente Jacob Greenbaum, per il
controllo di una favolosa invenzione: la televisione. Nel 1941 il
celebre aviatore e isolazionista Charles Lindbergh (lo stesso Lindbergh
che Philip Roth immagina presidente di un’America sempre più ostile
verso gli ebrei ne Il Complotto contro l’America) dichiarò: “il più
grande pericolo per questa Nazione (gli USA) risiede nella grande
influenza e controllo che gli ebrei hanno sul cinema”.
Dopo la guerra e la scoperta dei campi di concentramento nazisti,
s’iniziarono a registrare delle reazioni all’antisemitismo della
società americana. Il 1947 è l’anno di due film molto diversi tra loro:
Barriera Invisibile e Oliver Twist. Elia Kazan, firmando la regia di
Barriera Invisibile, mette in scena la storia di Philip Green, un
affermato giornalista, che, incaricato di scrivere un reportage
sull’antisemitismo nella società americana, si finge ebreo
sperimentando, così, in prima persona il diffuso pregiudizio
antiebraico. Nel film l’ebreo Green, essendo in verità non ebreo, manca
dei manierismi dello stereotipoantisemita, ma è odiato lo stesso per la
sua presunta identità. Prodotto da Daryl Zanuck, Barriera Invisibile è
un film interessante: la discriminazione antiebraica è denunciata
perché ingiusta in quanto nega l’uguaglianza tra gli uomini, ma la
condanna arriva nel momento in cui a soffrirne è un non ebreo, al quale
lo status di eguale non può essere negato. Fresco del successo ottenuto
in Inghilterra, l’Oliver Twist di David Lean, fu oggetto di pesanti
polemiche che ritardarono la sua distribuzione negli Stati Uniti. Il
Consiglio rabbinico di Manhattan e l’Anti Defamation League
esercitarono pressioni sul governo americano affinché il film fosse
vietato. Albert Deutsch, in un editoriale del New York Star, dichiarò
che il film avrebbe provocato ondate di antisemitismo. Se alcuni videro
dietro queste proteste un sentimento antibritannico che rifletteva la
critica dell’opinione pubblica ebraica alle politiche messe in atto dal
governo di Londra nella Palestina del Mandato, è vero che il Fagin
interpretato da Alec Guiness, ripugnante e malvagio, col grosso naso,
ricalcava quegli elementi dell’antisemitismo tradizionale utilizzati
più volte dai nazisti soltanto qualche anno prima. Una versione
tagliata e rimontata di Oliver Twist fu distribuita negli Stati Uniti
solamente nel 1951, mentre in Israele il film non fu ammesso.
Oggi l’antisemitismo si diffonde, senza resistenze, mascherato da
antisionismo. Gli attacchi al diritto di esistere di Israele sono
attacchi contro gli ebrei. Horsemen without a Horse è una serie
televisiva egiziana che narra i tentativi di un gruppo di ebrei di
nascondere l’esistenza dei Protocolli dei savi di Sion, mentre la serie
Siriana Al - Shattat racconta la storia degli ebrei come una storia
orientata dalla brama di controllo del pianeta. L’antisemitismo arabo
fa uso degli stessi stereotipi e immagini dell’antisemitismo europeo
cristiano metodicamente utilizzati dai nazisti. Jean- Luc Godard in Ici
et ailleurs (Qui e altrove, 1976) montava in sequenza un ritratto di
Hitler, una foto di Golda Meir e l’immagine del cadavere carbonizzato
di un palestinese. In Notre musique (2004) Godard narra una storia in
cui gli ebrei sono usciti dai campi di concentramento per cacciare i
palestinesi dalla loro terra. Il film mescolando riflessioni sul
cinema, la Shoah, Israele, la Palestina, il genocidio degli indiani
d’America e la guerra in Bosnia, utilizza il pregiudizio antisemita per
mettere in scena un presunto senso di colpa ebraico verso Israele e
allontanare così i fantasmi delle persecuzioni. Dopo tanti film usati
per attaccare gli ebrei, ecco un film intellettualistico, che equipara
vittime e aggressori e, ancora una volta, scarica le colpe
dell’Occidente sugli ebrei.
Rocco
Giansante
La mappa (a fumetti) della
menzogna
Nel 2005 Eisner produsse un lavoro totalmente differente dagli altri.
Il titolo è emblematico: Il complotto. La storia segreta dei protocolli
di Sion. Nello stesso anno l’editore italiano Einaudi lo pubblica nella
collana Stile Libero. Come racconta Eisner nell’introduzione “per la
prima volta non ho usato il fumetto per raccontare una storia
inventata. Stavolta ho tentato di impiegare questo potente mezzo di
comunicazione per affrontare un tema che ha un’importanza fondamentale
nella mia vita”.
Già, perché se le altre graphic novel raccontavano storie sicuramente
ispirate dall’esperienza e dalla creatività, questo fumetto è una
ricostruzione storica della creazione di questo falso che, con enorme
ipocrisia, viene ancora pubblicato e passato per vero o “in dubbio e
quindi ve lo proponiamo così potete valutare” (espressione ormai
diffusa nel neonazismo o neofascismo per proseguire nelle sue attività
criminali).
Il fumetto non è certamente paragonabile al valore delle altre opere di
Eisner e dubito che, distribuito solo nelle librerie, possa ottenere
quel risultato che Eisner spera, almeno in Italia, raggiungendo nuovi
lettori e diffondendo la falsità dei Protocolli dei savi di Sion.
L’opera è comunque ben costruita ed estremamente chiara nel disegnare
la mappa di questa menzogna. Prima di tutto il lavoro è estremamente
documentato e particolare anche nel far emergere una serie di
personaggi minori, responsabilità spesso incrociate, ma anche aspetti
culturali e sociali che potrebbero sfuggire a una trattazione troppo
attenta solo al falso in sé dei Protocolli. Così la vita di Golovinskij
o di Joly sono sicuramente utili per dare un contorno storico più
preciso e senza dubbio più credibile, che semplicemente affermare
“Golovinskij copiò da un’opera do Joly”. Eisner inoltre evita il
rischio di diventare pedante. Il percorso storico disegnato parte dalle
origini del libro da cui Mathieu Golovinskij si ispirò, anzi da cui
copiò, per scrivere l’infamia dei Protocolli di Sion. A quel primo
volume che spinse lo zar Nicola II a sostenere i pogrom e scacciare i
politici illuminati di cui si era circondato, seguono le varie
ristampe, idee, ispirazioni che hanno mantenuto viva l’esistenza di
questo falso. Spesso il racconto deve gestire fatti storici
sviluppatisi in circa cent’anni di storia, ma Eisner riesce a
maneggiarli bene e a darci un quadro decisamente “isterico”. Viene da
chiedersi se l’autore sia ottimista sperando che prima o poi si possa
porre fine della diffusione dei Protocolli. Eisner oscilla tra speranza
e pessimismo in base soprattutto al fatto che ancora oggi questo falso
continua a venire pubblicato da chi vuole sostenere e diffondere l’odio.
Andrea Grilli
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ECJC: nuovo
corso, dimissioni a catena
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Dimissioni per i consiglieri
italiani dell’European Council of Jewish Communities. Una decisione
assunta per protestare contro l’inattesa svolta dell’organizzazione. Da
trent’anni l’ECJC, ong ombrello che raccoglie le comunità e le
associazioni ebraiche di tutta Europa, si occupa di rafforzare la vita
ebraica nel vecchio continente, lavorando sull’educazione, sulla
cultura (suo l’impulso per la Giornata europea della cultura ebraica) e
sull’assistenza nei confronti delle comunità in difficoltà.
Riconosciuta come interlocutore dal Consiglio d’Europa e dall’Unione
Europea, l’organizzazione ha finora sempre mantenuto una linea precisa:
tenersi lontana dalle vicende politiche. Ma con l’ultima convention, le
cose sono cambiate, come spiega Arturo Tedeschi, membro dimissionario
del consiglio dell’ECJC, presente all’incontro di Berlino che si è
tenuto a inizio settimana. “Quella di Berlino era stata programmata
come una conferenza per i presidenti delle comunità che fanno parte
dell’ECJC - sottolinea - Invece, al posto dei consueti seminari
riguardanti i profili organizzativi della vita comunitaria, ci siamo
trovati di fronte a un’agenda improntata a contenuti politici, e a una
presenza israeliana insolitamente numerosa e importante. Fino al
momento in cui, con una procedura assolutamente illegittima e
antidemocratica, senza il necessario passaggio per l’assemblea
dell’ECJC, è stato nominato un nuovo presidente Igor Kolomoisky,
oligarca ucraino dal profilo discutibile” (nella foto, il secondo da
sinistra, insieme all’ex presidente Jonathan Joseph, e ai
vicepresidenti Tomer Orni e Vadim Rabinovich). Oltre a questo, nel
comunicato stampa conclusivo della conferenza, si legge che “l’ECJC ha
deciso che la linea artificiale che separa gli affari che riguardano le
Comunità dalle vicende politiche, che costantemente ne influenzano la
vita, verrà immediatamente a cessare”. Una virata totale dunque,
rispetto alla linea apolitica mantenuta dall’ECJC sin dalla sua
fondazione. Per protesta, oltre ad Arturo Tedeschi, hanno rassegnato le
dimissioni anche gli altri rappresentanti italiani all’ECJC, Claudia De
Benedetti e Annie Sacerdoti.
Per ora sembra difficile che la situazione si sblocchi, nonostante la
prospettiva di mediazione dell’ex presidente Jonathan Joseph, che
manterrà la carica di vice presidente. “Da alcuni anni l’ECJC si trova
in carenza di fondi - analizza Arturo Tedeschi - Questo ha favorito
finanziamenti da parte di personaggi discutibili, provenienti dall’Est
Europa, che sono alla ricerca di una posizione pubblica. In questo
quadro si inserisce anche il desiderio dei leader israeliani di
costruire legami più stretti e diretti con le comunità ebraiche
europee. Ma l’idea che davanti al probelma dei finanziamenti si possa
forzare il processo
democratico è assolutamente inaccettabile”.
Rossella
Tercatin
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torna su ˄
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Lesso
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Ecco i giorni in cui cessano le
ragioni del contenzioso. Fra Israele e Palestina, la memorabile pace.
Pace per trattative sui confini giunte a buon fine, pace per uno
schianto militare di Teheran, pace perché Bin Laden sceglie la
contemplazione in un monastero tibetano - ma poi, la pace. Per
israeliani e palestinesi è festa. Mentre non è affatto festa per i
gruppi dei delusi, sottoposti a implosione nel cuore d'Europa. Per loro
è alle porte un futuro non amfetaminico, ma diciamo così, lesso. Niente
cortei, niente offese sui forum, stop perfino agli sputi. Le bottiglie
molotov tornano a essere bottiglie, con la benzina si va in macchina e
ogni gita al mare, ai laghi, è vita che va in frantumi. Il tempo
sereno, la campagna che luccica, e per cosa? Sai dove me la metto la
campagna che luccica. Nella nuova vita, c'è per esempio questa domenica
di pace, una gita ai colli. L'antisionista siede sul plaid, in riva al
torrente. Mastica la frittata di pasta preparata dalla moglie. E' buona
la frittata di pasta coi pezzi di scamorza, ma a che pro? Ai suoi
piedi, l'acqua scorre argentea e c'è il guizzo di una trota - anche
questo, a che pro? Sai dove se lo mette il guizzo (in ogni caso noi
l'abbiamo intuito). I figli piccoli Roberto Ismaele Abù e Antonietta
Fatima Gina giocano a palla a mano e mandano gridolini di gioia - e con
questo? In giro, non una formica assale il ciambellone - beh, che si
vuole dimostrare? Non è neanche buonissimo, il ciambellone. Un momento,
un breve sorriso si distende sulle sue labbra micragnose.
Adesso lui sa che farà, appena torna a casa dopo l'ingorgo. Quando è
buio, va allo stadio con la bomboletta e scrive il suo pensiero libero
con tutto il rosso che ha nella bomboletta. Scriverà tutto quello che
tiene chiuso nel cuore. La verità, bella gigante: "Inter ladri".
La controinformazione non deve morire.
Il
Tizio della Sera
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Museo
nazionale della Shoah
la nuova finanziaria taglia i fondi
Roma,
27 ottobre |
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Leggi la rassegna |
Ridotti del 30 per cento i fondi destinati al Museo nazionale
dell'ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, unica istituzione
museale italiana che si occupi di coltivare e trasmettere la memoria
degli ebrei italiani e del prezzo che pagarono alla Shoah.
“Un'autentica vergogna. Si tratta di un altro bel regalo della logica
tremontiana dei tagli lineari, che colpisce indiscriminatamente senza
badare all'utilità sociale e culturale dei diversi destinatari di
finanziamenti pubblici", con queste parole il senatore del PD Roberto
Della Seta ha denunciato la situazione. »
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