David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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Gadi Luzzatto Voghera pochi giorni
fa su queste pagine ha invitato a riflettere sul senso della parola
hatzèr. Vorrei riprendere il suo ragionamento. Ci sono abitudini che si
formano nella persona o in un popolo al tempo della schiavitù e
tuttavia non vengono abbandonate nemmeno dopo aver conquistato la
libertà. Quelle abitudini, pur nella costrizione, fanno parte degli
ambiti di libertà costruiti per poter dire a se stessi di avere una
storia e dopo di ricordarsela. Non solo quell’insieme di segni consente
di trovare un senso, in condizione di amarezza, al proprio vivere che
non sia solo un “sopravvivere”. Comunque non lasciando alle cose il
compito di parlare per noi, bensì di sottolineare che tutto quel “corpo
di cose” - gesti, parole, atti, abitudini, consuetudini - sono il luogo
geometrico, instabile e mutevole nel tempo, della propria duttilità e
anche della propria creatività, più precisamente della propria concreta
esperienza nella storia. In altre parole della vita reale, non lo
specchio di un normario.
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Hanukkah, è terminata da poco,
ma il grande candelabro a otto braccia che ogni anno gli ebrei milanesi
accendono durante la festa delle luci in piazza San Carlo, a due passi
dal Duomo, aveva ancora un compito da svolgere prima di essere
smontato. Il presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto
Jarach, il vicepresidente Daniele Nahum e Dounia Ettaib
dell’Associazione donne arabe d’Italia, hanno acceso una delle sue luci
per chiedere la liberazione di Gilad Shalit, il giovane dell’esercito
israeliano da quattro anni nelle mani di Hamas. La cerimonia è stata
organizzata da Comunità ebraica, Adei-Wizo e International Association
of Jewish Lawyers and Jurist, in occasione della Giornata mondiale dei
diritti dell’uomo. “Il fatto che Gilad Shalit non sia mai stato
visitato nemmeno dal personale della Croce rossa internazionale è un
fatto di gravità estrema - ha sottolineato Jarach. Per sensibilizzare
la Croce rossa sul tema è si è svolto in Comune una conferenza stampa
con Alberto Bruno, presidente provinciale della Croce rossa italiana,
“perché la prossima volta che accenderemo questo candelabro Gilad
Shalit possa essere con noi” ha messo in evidenza Nahum. Nel corso
dell’incontro il rappresentante della JAJLJ Maurizio Ruben, il
presidente della Comunità ebraica Jarach e il vicepresidente Nahum
hanno consegnato al dottor Bruno un “Appello alla Coscienza”, chiedendo
un intervento della Croce rossa internazionale a favore di Shalit e
l’immediata cessazione delle violazioni delle Convenzioni
internazionali da parte di Hamas. Bruno ha dichiarato di condividere il
contenuto dell’appello e ha assicurato che lo trasmetterà alla sede
centrale di Ginevra.
rt
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Davar Acher
- Google, lo Zeitgeist e i pregiudizi
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La rete è una straordinaria
miniera di notizie, anche perché di ogni
azione che vi si compie resta traccia da qualche parte. Ogni anno, in
questo periodo, Google - che come molti sanno è il principale "motore
di ricerca" del web - rende pubbliche le chiavi di ricerche più
popolari che gli sono state sottoposte durante i dodici mesi
precedenti, e anche quelle che sono cresciute o diminuite di più. In
maniera ironicamente corretta questa indagine viene chiamata
"Zeitgeist", cioè "spirito del tempo": il termine coniato da Herder per
indicare il modo in cui si manifesta in un certo momento storico lo
"spirito oggettivo" di hegeliana memoria.
In realtà quello che testimonia la ricerca di Google mode, più o meno
velocemente contagiose, più o meno permanenti, negli interessi e nelle
curiosità del pubblico. Mi è stato fatto notare che nella ricerca
riguardante l'Italia,
nella categoria delle "Ricerche associate alla parola “significato” di
crescente popolarità" cioè quando le persone usano la rete come
dizionario, nei dieci termini più ricercati, accanto a "bunga bunga",
"waka waka", "probiviri", "bischero" e "sarcasmo" compaiono due termini
che ci riguardano: al secondo posto "kippà" e al decimo "Shoà".
Controllando per gli altri paesi, non ho trovato domande analoghe, e il
Medio Oriente e la difficile partita che vi si gioca non sembra
appassionare affatto il pubblico della rete, che appare piuttosto
interessato a Lady Gaga e alla "chatroulette" (il termine la cui
popolarità cresce di più in Italia e in tutto il mondo, corrispondente
a un sito che mette in contatto e fa chiacchierare gente che non si
conosce).
Resta il fatto che i significati di kippà e Shoà incuriosiscono gli
italiani. La cosa dovrebbe indurci a qualche riflessione: evidentemente
una buona parte della popolazione anche più evoluta, quella che
possiede un computer, ha un collegamento internet e li usa per ottenere
informazioni, dell'ebraismo non sa nulla, né dei suoi costumi rituali e
tradizionali ("kippà"), né della sua storia ("Shoà"). Qualunque ebreo
consapevole si sia trovato a discutere di politica e religione avrà
notato un'analoga distanza. Io ricordo una simpatica cena in cui
illustri intellettuali mi dissero con convinzione che lo stato di
Israele era una teocrazia... perché non aveva una costituzione. Vi è
naturalmente anche il rovescio della medaglia, cioè che l'ebraismo
incuriosisce, suggerisce alla gente di informarsi e di capire.
Non si tratta solo di un problema ebraico. Tullio De Mauro ha mostrato,
in una serie di fondamentali ricerche, che in generale il lessico dei
giornali, della politica e della burocrazia è incomprensibile a buona
parte della popolazione italiana. Ma per l'ebraismo il caso è più
grave, perché la difficoltà linguistica si sovrappone a un pregiudizio
millenario. Credo che questi risultati dovrebbero farci meditare. Molti
di noi per esempio tendono a considerare con distacco e perfino
fastidio circostanze "rituali" e "formali" come le giornate della
cultura ebraica e della memoria, o i viaggi ad Auschwitz; molti non
capiscono la funzione dei musei ebraici, che, come quello di Casale,
ricostruiscono in piccoli ambienti un seder, una sukkà o perfino un
pasto sabbatico. Lo Zeitgeist di Google ci conferma che queste cose
sono ignote ai più, probabilmente sospette ai più per i nomi stranieri,
filtrate certamente da antichi pregiudizi teologici e razziali e da
nuovi stereotipi diffusi dai media. Quanti sanno le cose basilari sullo
stato di Israele, quando è stato fondato, che cosa c'era prima, le
guerre che ha subito, la sua struttura geografica e politica? Quanti
conoscono il numero esiguo degli ebrei italiani? Quanti conoscono la
differenza fra ebreo e israeliano? La lezione è che non bisogna
stancarsi di spiegare, di mostrare, di discutere, di contrastare i
pregiudizi; che non bisogna dare per scontato quel che ci appare più
che banale dell'ebraismo, che non bisogna aver paura di ripeterci e di
aprirci, perché ce n'è un grande, urgente bisogno.
Ugo
Volli
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Congresso UCEI - “Sdegno e disagio”
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Doveva essere un congresso
decisivo e significativo per il futuro dell’ebraismo italiano, dove si
sono discussi importanti argomenti per la vita delle nostre Comunità e
ciò si è visto soprattutto all’interno delle sei commissioni che sono
state istituite per i lavori del VI congresso dell’UCEI.
A mio parere doveva essere creata una settima commissione. Poteva
essere denominata in questo modo:“codice etico comportamentale nelle
istituzioni ebraiche”. Ce ne sarebbe stato bisogno viste le scene a cui
abbiamo assistito sia pubblicamente che dietro le quinte nelle stanze
in cui si riunivano i vari delegati romani, milanesi e delle piccole
comunità, devo ammettere queste ultime le più trasparenti.
Abbiamo perso l’occasione, nell’anno in cui si sono proposte nuove
modifiche dello Statuto, di dare un’immagine moderna e di vero
rinnovamento anche nei modi e soprattutto dal punto di vista etico e
comportamentale della cosa pubblica ebraica.
Come non concordare con l’amico Dario Calimani che parla addirittura di
“violenza personale e istituzionale”. Io mi limito a definirla slealtà
e mancanza del senso delle Istituzioni.
Sono anch’io lusingato che nel nuovo Consiglio siano entrate persone
degne di rappresentare l’ebraismo italiano come Giulio Di Segni e
Andrea Mariani.
Sono altrettanto amareggiato che siano state estromesse alcune di esse
che invece nei quattro anni passati hanno degnamente rappresentato le
istituzioni.
Viviamo un periodo difficile e tormentato. E’ inutile fare finta che
non sia vero. Si è voluto importare all’interno delle istituzioni il
meccanismo politico del bipolarismo italiano:
o sei con me o sei contro di me. Bel risultato!
Abbiamo assistito ad uno scontro sia dietro le quinte che in pubblico
tra la componente romana e quella milanese. Evidentemente quando si
vince, e di solito se si vince si è maggioranza nel più dei casi, si ha
la tendenza a mostrare i muscoli. Lo si è fatto in maniera rozza,
subdola e a volte apparentemente elegante.
Uno spettacolo indecoroso e non ci si chieda perché diminuiscono gli
ebrei e gli iscritti delle nostre comunità. Tutto ciò contribuisce ad
alimentare distacco e rigetto.
Avvicinare gli ebrei lontani è un dovere. Con questo tipo di
atteggiamenti c’è il rischio che si allontanino quelli più vicini e più
attivi.
L’auspicio che il nuovo Consiglio mediti anche su questi aspetti di
quella che poteva essere una settima commissione del VI congresso
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Yoram
Ortona, Milano
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