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12 dicembre 2010 - 5 Tevet 5771
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino 


Il potere, dice Shem miShmuel, non è mai oggetto di invidia: è infatti un semplice strumento per garantire il bene collettivo. Il fatto che ai giorni nostri ne susciti tanta, indica  che è troppo spesso utilizzato per raggiungere un interesse personale.  

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Gadi Luzzatto Voghera pochi giorni fa su queste pagine ha invitato a riflettere sul senso della parola hatzèr. Vorrei riprendere il suo ragionamento. Ci sono abitudini che si formano nella persona o in un popolo al tempo della schiavitù e tuttavia non vengono abbandonate nemmeno dopo aver conquistato la libertà. Quelle abitudini, pur nella costrizione, fanno parte degli ambiti di libertà costruiti per poter dire a se stessi di avere una storia e dopo di ricordarsela. Non solo quell’insieme di segni consente di trovare un senso, in condizione di amarezza, al proprio vivere che non sia solo un “sopravvivere”. Comunque non lasciando alle cose il compito di parlare per noi, bensì di sottolineare che tutto quel “corpo di cose” - gesti, parole, atti, abitudini, consuetudini - sono il luogo geometrico, instabile e mutevole nel tempo, della propria duttilità e anche della propria creatività, più precisamente della propria concreta esperienza nella storia. In altre parole della vita reale, non lo specchio di un normario.

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davar
Qui Milano - Una luce per Gilad Shalit
MilanoHanukkah, è terminata da poco, ma il grande candelabro a otto braccia che ogni anno gli ebrei milanesi accendono durante la festa delle luci in piazza San Carlo, a due passi dal Duomo, aveva ancora un compito da svolgere prima di essere smontato. Il presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto Jarach, il vicepresidente Daniele Nahum e Dounia Ettaib dell’Associazione donne arabe d’Italia, hanno acceso una delle sue luci per chiedere la liberazione di Gilad Shalit, il giovane dell’esercito israeliano da quattro anni nelle mani di Hamas. La cerimonia è stata organizzata da Comunità ebraica, Adei-Wizo e International Association of Jewish Lawyers and Jurist, in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’uomo. “Il fatto che Gilad Shalit non sia mai stato visitato nemmeno dal personale della Croce rossa internazionale è un fatto di gravità estrema - ha sottolineato Jarach. Per sensibilizzare la Croce rossa sul tema è si è svolto in Comune una conferenza stampa con Alberto Bruno, presidente provinciale della Croce rossa italiana, “perché la prossima volta che accenderemo questo candelabro Gilad Shalit possa essere con noi” ha messo in evidenza Nahum. Nel corso dell’incontro il rappresentante della JAJLJ Maurizio Ruben, il presidente della Comunità ebraica Jarach e il vicepresidente Nahum hanno consegnato al dottor Bruno un “Appello alla Coscienza”, chiedendo un intervento della Croce rossa internazionale a favore di Shalit e l’immediata cessazione delle violazioni delle Convenzioni internazionali da parte di Hamas. Bruno ha dichiarato di condividere il contenuto dell’appello e ha assicurato che lo trasmetterà alla sede centrale di Ginevra.

rt

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pilpul
Davar Acher - Google, lo Zeitgeist e i pregiudizi
Ugo VolliLa rete è una straordinaria miniera di notizie, anche perché di ogni azione che vi si compie resta traccia da qualche parte. Ogni anno, in questo periodo, Google - che come molti sanno è il principale "motore di ricerca" del web - rende pubbliche le chiavi di ricerche più popolari che gli sono state sottoposte durante i dodici mesi precedenti, e anche quelle che sono cresciute o diminuite di più. In maniera ironicamente corretta questa indagine viene chiamata "Zeitgeist", cioè "spirito del tempo": il termine coniato da Herder per indicare il modo in cui si manifesta in un certo momento storico lo "spirito oggettivo" di hegeliana memoria.
In realtà quello che testimonia la ricerca di Google mode, più o meno velocemente contagiose, più o meno permanenti, negli interessi e nelle curiosità del pubblico. Mi è stato fatto notare che nella ricerca riguardante l'Italia, nella categoria delle "Ricerche associate alla parola “significato” di crescente popolarità" cioè quando le persone usano la rete come dizionario, nei dieci termini più ricercati, accanto a "bunga bunga", "waka waka", "probiviri", "bischero" e "sarcasmo" compaiono due termini che ci riguardano: al secondo posto "kippà" e al decimo "Shoà". Controllando per gli altri paesi, non ho trovato domande analoghe, e il Medio Oriente e la difficile partita che vi si gioca non sembra appassionare affatto il pubblico della rete, che appare piuttosto interessato a Lady Gaga e alla "chatroulette" (il termine la cui popolarità cresce di più in Italia e in tutto il mondo, corrispondente a un sito che mette in contatto e fa chiacchierare gente che non si conosce).
Resta il fatto che i significati di kippà e Shoà incuriosiscono gli italiani. La cosa dovrebbe indurci a qualche riflessione: evidentemente una buona parte della popolazione anche più evoluta, quella che possiede un computer, ha un collegamento internet e li usa per ottenere informazioni, dell'ebraismo non sa nulla, né dei suoi costumi rituali e tradizionali ("kippà"), né della sua storia ("Shoà"). Qualunque ebreo consapevole si sia trovato a discutere di politica e religione avrà notato un'analoga distanza. Io ricordo una simpatica cena in cui illustri intellettuali mi dissero con convinzione che lo stato di Israele era una teocrazia... perché non aveva una costituzione. Vi è naturalmente anche il rovescio della medaglia, cioè che l'ebraismo incuriosisce, suggerisce alla gente di informarsi e di capire.
Non si tratta solo di un problema ebraico. Tullio De Mauro ha mostrato, in una serie di fondamentali ricerche, che in generale il lessico dei giornali, della politica e della burocrazia è incomprensibile a buona parte della popolazione italiana. Ma per l'ebraismo il caso è più grave, perché la difficoltà linguistica si sovrappone a un pregiudizio millenario. Credo che questi risultati dovrebbero farci meditare. Molti di noi per esempio tendono a considerare con distacco e perfino fastidio circostanze "rituali" e "formali" come le giornate della cultura ebraica e della memoria, o i viaggi ad Auschwitz; molti non capiscono la funzione dei musei ebraici, che, come quello di Casale, ricostruiscono in piccoli ambienti un seder, una sukkà o perfino un pasto sabbatico. Lo Zeitgeist di Google ci conferma che queste cose sono ignote ai più, probabilmente sospette ai più per i nomi stranieri, filtrate certamente da antichi pregiudizi teologici e razziali e da nuovi stereotipi diffusi dai media. Quanti sanno le cose basilari sullo stato di Israele, quando è stato fondato, che cosa c'era prima, le guerre che ha subito, la sua struttura geografica e politica? Quanti conoscono il numero esiguo degli ebrei italiani? Quanti conoscono la differenza fra ebreo e israeliano? La lezione è che non bisogna stancarsi di spiegare, di mostrare, di discutere, di contrastare i pregiudizi; che non bisogna dare per scontato quel che ci appare più che banale dell'ebraismo, che non bisogna aver paura di ripeterci e di aprirci, perché ce n'è un grande, urgente bisogno.

Ugo Volli

Congresso UCEI - “Sdegno e disagio”
Yoram OrtonaDoveva essere un congresso decisivo e significativo per il futuro dell’ebraismo italiano, dove si sono discussi importanti argomenti per la vita delle nostre Comunità e ciò si è visto soprattutto all’interno delle sei commissioni che sono state istituite per i lavori del VI congresso dell’UCEI.
A mio parere doveva essere creata una settima commissione. Poteva essere denominata in questo modo:“codice etico comportamentale nelle istituzioni ebraiche”. Ce ne sarebbe stato bisogno viste le scene a cui abbiamo assistito sia pubblicamente che dietro le quinte nelle stanze in cui si riunivano i vari delegati romani, milanesi e delle piccole comunità, devo ammettere queste ultime le più trasparenti.
Abbiamo perso l’occasione, nell’anno in cui si sono proposte nuove modifiche dello Statuto, di dare un’immagine moderna e di vero rinnovamento anche nei modi e soprattutto dal punto di vista etico e comportamentale della cosa pubblica ebraica.
Come non concordare con l’amico Dario Calimani che parla addirittura di “violenza personale e istituzionale”. Io mi limito a definirla slealtà e mancanza del senso delle Istituzioni.
Sono anch’io lusingato che nel nuovo Consiglio siano entrate persone degne di rappresentare l’ebraismo italiano come Giulio Di Segni e Andrea Mariani.
Sono altrettanto amareggiato che siano state estromesse alcune di esse che invece nei quattro anni passati hanno degnamente rappresentato le istituzioni.
Viviamo un periodo difficile e tormentato. E’ inutile fare finta che non sia vero. Si è voluto importare all’interno delle istituzioni il meccanismo politico del bipolarismo italiano:
o sei con me o sei contro di me. Bel risultato!
Abbiamo assistito ad uno scontro sia dietro le quinte che in pubblico tra la componente romana e quella milanese. Evidentemente quando si vince, e di solito se si vince si è maggioranza nel più dei casi, si ha la tendenza a mostrare i muscoli. Lo si è fatto in maniera rozza, subdola e a volte apparentemente elegante.
Uno spettacolo indecoroso e non ci si chieda perché diminuiscono gli ebrei e gli iscritti delle nostre comunità. Tutto ciò contribuisce ad alimentare distacco e rigetto.
Avvicinare gli ebrei lontani è un dovere. Con questo tipo di atteggiamenti c’è il rischio che si allontanino quelli più vicini e più attivi.
L’auspicio che il nuovo Consiglio mediti anche su questi aspetti di quella che poteva essere una settima commissione del VI congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

Yoram Ortona, Milano

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