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17 dicembre 2010 - 10 Tevet 5771
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Roberto Colombo
Roberto
Colombo,
rabbino 

Il digiuno del 10 di Tevet - inizio dell’assedio di Gerusalemme che porterà alla distruzione del Tempio -  è paragonato al yom kippur e per  questo si  conclude anche se lo shabbat è già iniziato. L’unico digiuno  permesso  di Shabbat è infatti proprio quello di Yom Kippur. Yom Kippur  e il 10  di Tevet hanno questo in comune: in entrambi i casi la  punizione è  soltanto annunciata e si attende un cambiamento prima che la stessa  diventi realtà. Matrimoni misti e ebrei che si allontanano,  giovani e adulti ormai incapaci a leggere e capire un testo di Torà, maestri e leader comunitari in cerca di Kavod ci devono far pensare alla necessità di un intervento immediato e importante nelle Kehillòt senza attendere il punto di non ritorno.     
Sonia
Brunetti Luzzati,
pedagogista



sonia brunetti luzzati
‪ Il progetto di legge presentato nei giorni scorsi dall’onorevole Giovanna Melandri propone l’istituzione dell’insegnamento “Dell’introduzione alle religioni” nella scuola secondaria di primo grado e nella secondaria superiore. Ne ha scritto Tobia Zevi su queste pagine evidenziando le possibili implicazioni politiche sul nostro dibattito pubblico. L’analisi comparata dell’Unesco sui modelli di educazione religiosa nelle scuole pubbliche  dimostra che non esiste un "standard europeo” e che la gamma di approcci e di politiche è molto ampia. Politici ed esperti si interrogano su come affrontare contenuti, preparare materiali, sperimentare metodologie che favoriscano negli studenti la comprensione di sé e dell’altro, dei propri valori e dell’impegno sulle questioni etiche in modo da contribuire allo sviluppo di una comunità scolastica che sia microcosmo e modello di una società aperta. La commissione incaricata giunge però alla conclusione che è comunque ancora necessaria una discussione più ampia sulla vita interiore, sulla spiritualità e sul  loro ruolo nella creazione di valori e atteggiamenti. Una buona proposta che è anche un invito a riflettere sull’attuale  “ritorno” al religioso molto visibile nello spazio pubblico.
 
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davar
Il telepsicanalista di Tel Aviv abbatte le frontiere
treatmentVi ricordate quando agli inizi degli anni novanta tutti pensavano, specialmente negli Stati Uniti, di essere pazzi o di avere qualche problema di natura psicologica? Ognuno correva ai ripari affidandosi con una certa diffidenza allo strizzacervelli di turno. Nella società odierna così labirintica, che predilige ai rapporti umani la totale anonimia, recarsi dallo psicoterapeuta per una seduta settimanale di analisi è ormai una pratica abituale, come anche la terapia di coppia è diventata nell’immaginario collettivo un rituale largamente diffuso che anticipa il divorzio.
L’elemento più peculiare di questa tendenza è la necessità di dover trovare a tutti i costi qualcosa che non vada in se stessi o negli altri. Se una persona pecca di coerenza lo si indica subito come bipolare, se si hanno reazioni inconsulte allora il nostro comportamento sarà per forza borderline. Non ci si rende conto che l’uomo tendenzialmente non può essere rinchiuso in anguste gabbie di razionalità e che per sua natura altro non è se non pura contraddizione.
La guerra dei sani contro i folli riesce a investire inevitabilmente anche l’ambito politico. Spesso quando viene raggiunto il limite di sopportazione, invece di ammettere la possibilità che la controparte possa avere un’opinione più o meno condivisibile, ma pur sempre legittima, si preferisce ridurre il tutto a un problema di sanità mentale: si parla dell’avversario politico come di una persona “fuori di testa”, che non si confronta con l’esame di realtà.

agai leviCerto è che in una società che dimostra sempre più una spiccata tendenza al pragmatismo, una serie televisiva incentrata sull’analisi psicologica dei personaggi come “In Treatment” appare quasi anacronistica. Mentre le altre serie sono caratterizzate in prevalenza da dialoghi rapidi e brucianti o da veloci sequenze d’azione, i ritmi di “In Treatment” sono cadenzati dalla stessa calma e moderazione che potremmo trovare in una rappresentazione teatrale. Entrati nell’ufficio dello psicoterapeuta Paul Weston, interpretato da Gabriel Byrne, ci si trova immersi nella vita dei suoi pazienti. Un viaggio lungo mezz’ora nei profondi recessi della mente umana, alle prese con meccanismi mentali di difesa, processi di rimozione, disturbi ossessivo compulsivi o da stress post traumatico. Le sedute, puntata dopo puntata, si svolgono per nove settimane dal lunedì al giovedì. Il venerdì è invece il dottor Weston ad andare a sua volta in terapia da un collega.
Come nella realtà di tutti i giorni anche i pazienti di Paul raramente vogliono conoscere tutta la verità e nient’altro che la verità su se stessi: cercano di divagare con fuorvianti digressioni sul loro passato, si colpevolizzano inutilmente o attribuiscono agli altri colpe inesistenti evitando generalmente di affrontare il fulcro dei loro problemi.
Questa pluripremiata serie televisiva americana, prodotta dalla emittente via cavo HBO, in realtà è a sua volta un adattamento dell'originale israeliano Be'Tipul, che in patria ha ottenuto indici d’ascolto altissimi. Non ci sono dati ufficiali sugli ascolti dei canali via cavo, ma è stata la prima serie disponibile in Vod (video on demand) nella tv israeliana, con milioni di visualizzazioni.
Il segreto del suo successo? Secondo lo scrittore e regista Hagai Levi (nell'immagine), giunto in Italia quest’estate per presenziare al Roma Fiction Fest, Be’Tipul prende in esame uno dei requisiti fondamentali per una società equilibrata, l’ascolto:  “Oggi è diffuso il bisogno di essere ascoltati. Penso ai talk show televisivi, dove tutti parlano e nessuno ascolta. Un ascolto attivo e vibrante è già un passo verso la verità. In un’epoca di crisi le parole e gli effetti che producono, rivendicano più che mai la loro importanza”.
Non solo gli Stati Uniti, ma molti altri paesi sono attualmente alle prese con diversi tentativi di adattamento di Be’Tipul, tra questi la Serbia, l’Olanda, la Romania, il Portogallo, il Messico, la Russia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Germania.
L’Italia dal canto suo sta lavorando da più di un anno a una sua versione, realizzata dalla società di produzione Wildside fondata da Lorenzo Mieli, Saverio Costanzo, Mario Gianani, Fausto Brizzi e Marco Martani. La fiction dovrebbe andare in onda su Rai 4, nuovo canale in digitale della RAI e un team di sceneggiatori è già a lavoro per adattare i personaggi e le situazioni ai gusti e alle abitudini del pubblico italiano. Il cast, non ancora ufficiale, sarà composto principalmente da attori nostrani e tra questi spicca il nome di Nanni Moretti.
Ad oggi non è però chiaro quale ruolo interpreterà l’irriverente attore e regista, anche se in un primo momento le voci lo vedevano vestire i panni del dottor Paul Weston, lo psicoterapeuta alle prese con i drammi esistenziali dei suoi pazienti. Secondo invece le dichiarazioni di Hagai Levi, il regista di Caos Calmo potrebbe vestire i panni di un super agente antimafia sotto stress per le continue missioni, ruolo che farà da contraltare a uno dei discussi personaggi della versione americana: Alex, giovane pilota della marina reduce da una missione in Iraq.

Michael Calimani

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pilpul
Centoventi congressi?
Anna SegrePer la prima volta da molti anni non ho potuto partecipare al congresso UCEI. Dopo quelli precedenti ogni volta che tornavo a casa e cercavo di scrivere un resoconto mi accorgevo di quanto fosse difficile far capire a chi non era stato presente cosa fosse successo. Questa volta ero io a cercare di capire, e non è stato facile: per tentare di venirne a capo ho trascorso una domenica a inseguire delegati su per una torre antica, tra le sale di un museo, su e giù per una funicolare, rubando il cellulare di uno per parlare con un altro, inseguendoli dentro i ristoranti; senza contare le mail e le newsletter, frequenti ma talvolta criptiche, che ho cercato di interpretare. Alla fine ho raccolto un po’ di resoconti: c’è chi parla di risse e giochi di corridoio, chi di concordia, clima sereno e grandi novità; chi è soddisfatto e chi è deluso, con molte sfumature intermedie. Se due ebrei hanno tre opinioni, a quanti congressi hanno partecipato ottanta delegati?

Anna Segre, insegnante

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notizieflash   rassegna stampa
Congresso Usa: No a Stato palestinese senza accordo con Israele
17 dicembre 2010
 
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Se Israele non è d’accordo nessun riconoscimento di uno Stato palestinese entro i “confini del 1967” sarà possibile. E’ questa la decisione presa dalla Camera dei rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti. La mozione è stata approvata all’unanimità e afferma che gli Stati Uniti non riconosceranno uno Stato palestinese proclamato unilateralmente.
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