se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui

6 aprile 2011 - 2 Nisan 5771
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
Adolfo Locci
Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova

“Questa è la Torà (norma) riguardo al colpito dalla tzar’at, nel giorno della sua purificazione... E il Kohem uscirà dall’accampamento e vedrà se il malato di tzar’at sia guarito dalla tzar’at.” (Vaiqrà 14:2-3). Moshè David Valle (Padova 1696-1777) spiega che questo verso indica quanto siano cari i figli d’Israele al Signore. Per mezzo del Kohen, il Signore “fa uscire il Suo Chesed (amore divino) dalla parte più intima dell’accampamento d’Israele (il Mishkan-Tabernacolo) per portarlo nella parte più esterna, visitare una scintilla d’Israele - che si è resa impura - e occuparsi della sua purificazione”. Insegnamento quanto mai attuale: tutti noi dovremmo saper dimostrare questo “Chesed”, perlomeno una “ahava” (amore di livello umano) tale da ricercare e aiutare quelle “scintille” che necessitano - e aspettano - di essere riportate dentro i nostri “accampamenti”...
Anna
Foa,
 storica


Anna Foa

"Dopotutto, si nasce sempre nell'epoca sbagliata. Ma se nessuno può scegliere l'epoca in cui è destinato a nascere, questo non significa che ne debba accettare le depravazioni come inevitabili"! (Yosef Hayim Yerushalmi).
torna su ˄
davar
Juliano Mer-Khamis, arabo-israeliano
e artista per la coesistenza ucciso dai terroristi di Jenin
Mer-KhamisE' stato assassinato da un commando di sicari senza volto nel campo profughi della cittadina palestinese dove lavorava. Juliano Mer-Khamis, di padre arabo e madre ebrea, attore e direttore del Teatro della Libertà di Jenin (Cisgiordania) pagato con la vita il suo impegno per la convivenza . Secondo i media locali l'automobile su cui Mer-Khamis era appena salito è stata centrata da cinque proiettili sparati da almeno due aggressori, a tutt'oggi non identificati. Autore anche del celebre documentario 'Arna's Children', Mer-Khamis aveva fondato il teatro di Jenin insieme con Zacharia Zbeidi, l'ex comandante locale delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, braccio armato di Fatah dai tempi della Seconda Intifada. Negli ultimi mesi sembra avesse ricevuto minacce da ambienti islamico-radicali che non vedevano di buon occhio la sua origine, né la sua attività artistica di stampo secolare. 
“La polizia palestinese ha compiuto una ventina di arresti nel tentativo di identificare gli assassini”, ha affermato Zacharia Zbeidi a Radio Gerusalemme e “l'eliminazione di Mer-Khamis  è stata voluta da un gruppo molto organizzato, o forse addirittura da uno stato straniero". Ancora Zbeidi ha escluso che il regista-attore - che quando era a Jenin viveva nella sua abitazione, con la moglie e il figlio piccolo - possa essere stato ucciso per ragioni di carattere personale. Radio Gerusalemme ha aggiunto che a Jenin la polizia palestinese ha arrestato un attivista di Hamas, che è stato sottoposto a un interrogatorio in proposito.
Il premier dell'Anp, Salam Fayyad, ha condannato l'uccisione a nome di tutto il popolo palestinese. E in Italia pochi giornali hanno dato spazio alla notizia, fra questi la Repubblica e il Corriere della Sera.
Alcuni dei nostri lettori ne sono rimasti delusi, fra gli altri, Fiammetta Bises del Gruppo Martin Buber di Roma, che ha scrive affermando: “Mi sorprende il totale silenzio circa la barbara, inconcepibile, truce, infame, indescrivibile uccisione di un personaggio quale Mer-Khamis, uomo israelo-palestinese con residenza a Haifa e a Jenin, autore e attore teatrale di enorme valore artistico, umano e morale. Tutto il mondo ne parla, Le Monde online ne porta una pagina intera, Haaretz e immagino il resto della stampa israeliana pure, ma la stampa ebraica italiana no; come mai"?
Nel notiziario quotidiano l'Unione informa di ieri il professor Ugo Volli scriveva commentando la rassegna stampa: “Argomento significativo - ha scritto - è l’esecuzione da parte di terroristi palestinesi dell’attore pacifista di madre ebrea e padre palestinese Mer-Khamis che aveva aperto il Teatro della Libertà a Jenin. Che gli assassini siano terroristi palestinesi e non genericamente 'estremisti' (Francesco Battistini sul Corriere della Sera) o 'integralisti' (Fabio Scuto su Repubblica) in questi pezzi non viene assolutamente sottolineato; eppure è un tema importante, perché mostra che essere davvero pacifisti (non “utili idioti” che lottano contro Israele con altri mezzi, ma volere davvero la pace) nei territori palestinesi costa la vita. In particolare impressiona il silenzio dei 'pacifisti' a senso unico della sinistra, che si considerano repressi sempre e solo da Israele, dove sono liberi di organizzarsi e manifestare”.
Sul Corriere Francesco Battistini, denuncia: “Cinque colpi annunciatissimi” e nel suo articolo si domanda “che cosa l'abbia fregato”, probabilmente la satira contro la resistenza armata, che gli aveva procurato non poche minacce di morte”, afferma. Ma solo in chiusura del suo pezzo diventa chiaro ed evidente il movente dell'omicidio di colui che si autodefiniva 'al cento per cento israeliano e al cento per cento palestinese', e a fare chiarezza è lo stesso Mer-Khamis, di cui vengono riportate le confessioni fatte più volte ai giornalisti in occasione delle aggressioni e delle minacce subite qualche tempo fa (come l'incendio del suo Teatro): “Li fa impazzire il fatto che un mezzo ebreo sia a capo di uno dei più importanti progetti della Cisgiordania - aveva confessato Mer-Khamis ai giornalisti - Razzisti ipocriti. Non sono mai stato così ebreo come da quando vivo a Jenin”. E ancora: “Dopo tanta fatica sarebbe davvero una sfortuna morire per una pallottola palestinese”. E Battistini rileva: “Ora piovono condanne del premier palestinese Salam Fayyad 'non possiamo tacere davanti a simili crimini', ma quando i jihadisti l'avevano accusato d'essere 'una quinta colonna'  dei servizi israeliani e avevano distribuito volantini contro i suoi spettacoli immorali, la minaccia era già scritta: 'Se le parole non aiuteranno, dovremmo parlare con le pallottole' e nessuno gli aveva dato protezione”.
“La situazione a Jenin - afferma dal canto suo la Repubblica - sotto una calma apparente nasconde una grandissima tensione fra i gruppi palestinesi: gli integralisti cercano di imporre una islamizzazione forzata”.  

Valerio Mieli

torna su ˄
pilpul
(Dis)unità d’Italia 
Gianfranco Di SegniSto scrivendo un articolo, insieme ad Angelo Piattelli, sui rabbini italiani dal 1861 in poi. Uscirà nel numero della Rassegna Mensile d’Israel curato da Mario Toscano per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Uno dei rabbini su cui ci soffermiamo è Vittorio Castiglioni (Trieste 1840 - Roma 1911 ), vice-rabbino a Trieste e poi rabbino capo di Roma. Ho iniziato a spulciare il Vessillo Israelitico (la rivista ebraica più importante dell’epoca) alla ricerca di notizie sull’illustre rabbino e ne ho trovate molte (e molto interessanti) nella rubrica sulle comunità ebraiche italiane. Però, solo dal dicembre 1903 in poi, ossia da quando diventò Rav di Roma. Prima di questo anno, il nome di Castiglioni compare come autore di articoli ma non nelle notizie dalle comunità. Mi è sembrato strano. Castiglioni fu scelto, come indicato nel Vessillo stesso, per le sue grandi doti di rabbino e studioso. Possibile che non ci fosse niente su di lui nelle notizie provenienti dalla sua comunità d’origine? A metà della mia ricerca, mi è cascato l’occhio sulla rubrica riguardante le comunità ebraiche estere (Austria, Francia, Germania, Inghilterra ecc.). Sotto la prima di queste voci, vedo le notizie dalla comunità di Trieste. Allora ho capito. Il rabbino Castiglioni, di nome, lingua e cultura italiana, era pur sempre uno straniero. In altre parole, arrivò a Roma da immigrato (immagino non clandestino). O forse faceva parte dell’equivalente dell’epoca dell’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero). Conclusione, mi è toccato riiniziare la ricerca da capo.

rav Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano

Il pregiudizio dei buonisti
Francesco LucreziIn un suo lucido e, inevitabilmente, amaro intervento, pubblicato sul numero di aprile di Pagine Ebraiche, Sergio Della Pergola passa in rassegna alcuni fra i casi più evidenti ed eclatanti di pregiudizio antiebraico nella cultura italiana contemporanea, tanto più tristi e avvilenti in quanto riconducibili a personaggi di sicuro spicco e rilievo nel mondo intellettuale (quali Benedetto Croce, Vittorio Messori, Sergio Romano: ma l’elenco, com’è noto, potrebbe di molto allungarsi, includendo tanti altri nomi…). L’antiebraismo “colto e raffinato”, purtroppo, non è affatto una rarità, è un fenomeno diffuso e radicato, col quale occorre confrontarsi, e rappresenta la più evidente smentita dell’idea (ingenua e assolutoria, ma fuori dalla realtà) secondo cui l’intolleranza sarebbe esclusivamente frutto dell’ignoranza e della superstizione. È vero che l’intellettuale usa, almeno in pubblico, parole e argomenti molto diversi da quelli delle volgari battute da osteria, e che le due forme di linguaggio (quello ‘alto’ e quello ‘basso’) sembrano alquanto separate e indipendenti: ma si tratta di una separazione apparente, il collegamento tra i due tipi di espressione è ben evidente, anche se l’“antipatizzante” colto preferirebbe nasconderlo.
Se, però, l’antisemitismo intellettuale è stato ed è, in vario modo, oggetto di commento e analisi, meno attenzione si dedica generalmente allo studio del suo “gemello” “popolare”, “di strada”, che si tende a confinare nella semplice ricerca di tipo folkloristico o sociologico, atta a rivelare, più che altro, le conseguenze dell’incultura, dell’inciviltà, più che la ragion d’essere del pregiudizio. Ma se il pregiudizio, come abbiamo detto, è comune, in pari misura, tanto alla stupidità e all’ignoranza quanto all’intelligenza e all’istruzione, per comprenderlo occorre studiarlo in tutte le sue forme, con un’analisi completa, a 360 gradi.
Vivo interesse, da questo punto di vista, dimostra uno studio, non ancora pubblicato, di una valente studiosa di Pozzuoli, Giovanna Buonanno (ex insegnante e dirigente scolastico, oggi in pensione), dal titolo “Buonisti - Modi e funzioni dell’insulto razziale nelle relazioni tra i popoli”, in cui sono presentati la storia, i significati, i percorsi, le ragioni per cui sono stati coniati, nel tempo, migliaia di insulti razziali, con una disamina della loro funzione nell’articolarsi delle relazioni tra popoli diversi e all’interno degli stessi. Una ricerca in cui, purtroppo, la parola “ebreo”, usata come insulto, occupa un intero capitolo, venendo ampiamente analizzata, nei suoi vari significati dispregiativi, così come vengono presi in esame i tanti epiteti offensivi riservati agli ebrei (più di duecento quelli riportati: i più numerosi tra quelli rivolti a qualsiasi altra popolazione), che coprono tutti gli spazi delle definizioni che si costruiscono per indicare la diversità, o, meglio, l’alterità, quasi sempre in senso negativo.
“Gli ebrei, - spiega la Buonanno - infatti, hanno rappresentato, molto spesso, il polo negativo di ogni dicotomia indicante il “noi e gli altri”. L’ebreo è diventato “marrano” e “chueta” nella dicotomia religiosa “puri-impuri”; “braicu” o “scilinguato”, nella dicotomia “parlare corretto-scorretto”; “unarél”, o il più recente “diecipercento”, nella polarità “circonciso-incirconciso”; è stato chiamato “perro-cruel” o “chien-puant”, simbolo di empietà. La parola “ebreo” ha rappresentato la metafora dell’importunità, della maleducazione, della molestia e della crudeltà, così come ha indicato l’avido, l’avaro, il truffatore. Una “judiada”, in portoghese, ha significato una “carognata” e “porre al giudeo” “dare in pegno”. A volte l’ebreo è stato considerato riconoscibile a causa del suo presunto aspetto disgustoso: “snozzo”, “verruca”, “naso di tucano” o “a uncino”, “sciamannato”. E, soprattutto, è stato il capro espiatorio su cui addossare le responsabilità dei momenti difficili e le conseguenze delle proprie incapacità: “jøde” o “jude” (come dicono i danesi e i tedeschi) è stato il “nemico” per eccellenza, qualcuno da cui stare sempre alla larga.
Certo, potrà rappresentare motivo di consolazione constatare che il fenomeno analizzato sembra riguardare, prevalentemente, il passato. Ma la ricerca della Buonanno - che attendiamo di leggere, fra breve, nell’edizione stampata -, dà comunque testimonianza di una realtà imponente e complessa, la cui conoscenza appare utile e necessaria ai fini del suo completo e definitivo sradicamento. Ringraziamo perciò la studiosa per il suo lodevole impegno, che - al di là dell’evidente valore storico - ci pare anche una forma di solidarietà retroattiva verso tutti coloro che, negli anni e nei secoli passati, hanno tanto sofferto per l’umana grettezza e meschinità.

Francesco Lucrezi, storico

torna su ˄
notizieflash   rassegna stampa
M.O.: Conflitto israelo-palestinese
ex ufficiali propongono piano di pace

  Leggi la rassegna

Pronto un piano di pace fra israeliani e palestinesi. A idearlo sono stati una quarantina di ex ufficiali della difesa e delle forze armate israeliane. Il piano prevede la costituzione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza entro i confini antecedenti il 1967, a eccezione di limitati scambi di territori con Israele. Secondo la stampa israeliana il progetto degli ex ufficiali prevede anche che Gerusalemme Est diventi la capitale del futuro Stato palestinese, il ritiro di Israele dalle alture del Golan siriano e la costituzione di meccanismi di sicurezza e di cooperazione economica. Sono previsti anche indennizzi finanziari per i profughi palestinesi. Nessun commento ancora, almeno in pubblico, da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che comunque in passato aveva già accettato il principio di una soluzione del conflitto basato sulla formula dei due Stati. 




 

Nella settimana trascorsa l'articolo del giudice Goldstone, riportato anche sul Portale dell'ebraismo italiano  www.moked.it, è rimasto purtroppo ignoto alla maggior parte dei lettori italiani; alcuni giornali, come giustamente scriveva ieri in questa rubrica Ugo Volli, ne hanno parlato, altri, come Repubblica (in abbondante compagnia) hanno preferito astenersi dal parlarne per non andare contro la loro evidente posizione politica, a tutti ben nota.  E il silenzio, vergognoso nei confronti dei lettori, è mantenuto anche oggi. Ma non si deve credere che all'estero le cose vadano in modo diverso: il New York Times ha rifiutato addirittura di pubblicare un articolo simile che gli era stato offerto dal giudice in prima battuta, scegliendo in seguito di non motivare il rifiuto... »

Emanuel Segre Amar








torna su ˄
linee
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
ucei
linee
Dafdaf
Dafdaf
  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.