E'
stato assassinato da un commando di sicari senza volto nel campo
profughi della cittadina palestinese dove lavorava. Juliano Mer-Khamis,
di padre arabo e madre ebrea, attore e direttore del Teatro della
Libertà di Jenin (Cisgiordania) pagato con la vita il suo impegno per
la convivenza . Secondo i media locali l'automobile su cui Mer-Khamis
era appena salito è stata centrata da cinque proiettili sparati da
almeno due aggressori, a tutt'oggi non identificati. Autore anche del
celebre documentario 'Arna's Children', Mer-Khamis aveva fondato il
teatro di Jenin insieme con Zacharia Zbeidi, l'ex comandante locale
delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, braccio armato di Fatah dai tempi
della Seconda Intifada. Negli ultimi mesi sembra avesse ricevuto
minacce da ambienti islamico-radicali che non vedevano di buon occhio
la sua origine, né la sua attività artistica di stampo secolare. “La
polizia palestinese ha compiuto una ventina di arresti nel tentativo di
identificare gli assassini”, ha affermato Zacharia Zbeidi a Radio
Gerusalemme e “l'eliminazione di Mer-Khamis è stata voluta da un
gruppo molto organizzato, o forse addirittura da uno stato straniero".
Ancora Zbeidi ha escluso che il regista-attore - che quando era a Jenin
viveva nella sua abitazione, con la moglie e il figlio piccolo - possa
essere stato ucciso per ragioni di carattere personale. Radio
Gerusalemme ha aggiunto che a Jenin la polizia palestinese ha arrestato
un attivista di Hamas, che è stato sottoposto a un interrogatorio in
proposito. Il premier dell'Anp, Salam Fayyad, ha condannato
l'uccisione a nome di tutto il popolo palestinese. E in Italia pochi
giornali hanno dato spazio alla notizia, fra questi la Repubblica e il
Corriere della Sera. Alcuni dei nostri lettori ne sono rimasti
delusi, fra gli altri, Fiammetta Bises del Gruppo Martin Buber di Roma,
che ha scrive affermando: “Mi sorprende il totale silenzio circa la
barbara, inconcepibile, truce, infame, indescrivibile uccisione di un
personaggio quale Mer-Khamis, uomo israelo-palestinese con residenza a
Haifa e a Jenin, autore e attore teatrale di enorme valore artistico,
umano e morale. Tutto il mondo ne parla, Le Monde online ne porta una
pagina intera, Haaretz e immagino il resto della stampa israeliana
pure, ma la stampa ebraica italiana no; come mai"? Nel
notiziario quotidiano l'Unione informa di ieri il professor Ugo Volli
scriveva commentando la rassegna stampa: “Argomento significativo - ha
scritto - è l’esecuzione da parte di terroristi palestinesi dell’attore
pacifista di madre ebrea e padre palestinese Mer-Khamis che aveva
aperto il Teatro della Libertà a Jenin. Che gli assassini siano
terroristi palestinesi e non genericamente 'estremisti' (Francesco
Battistini sul Corriere della Sera) o 'integralisti' (Fabio Scuto su
Repubblica) in questi pezzi non viene assolutamente sottolineato;
eppure è un tema importante, perché mostra che essere davvero pacifisti
(non “utili idioti” che lottano contro Israele con altri mezzi, ma
volere davvero la pace) nei territori palestinesi costa la vita. In
particolare impressiona il silenzio dei 'pacifisti' a senso unico della
sinistra, che si considerano repressi sempre e solo da Israele, dove
sono liberi di organizzarsi e manifestare”. Sul Corriere
Francesco Battistini, denuncia: “Cinque colpi annunciatissimi” e nel
suo articolo si domanda “che cosa l'abbia fregato”, probabilmente la
satira contro la resistenza armata, che gli aveva procurato non poche
minacce di morte”, afferma. Ma solo in chiusura del suo pezzo diventa
chiaro ed evidente il movente dell'omicidio di colui che si
autodefiniva 'al cento per cento israeliano e al cento per cento
palestinese', e a fare chiarezza è lo stesso Mer-Khamis, di cui vengono
riportate le confessioni fatte più volte ai giornalisti in occasione
delle aggressioni e delle minacce subite qualche tempo fa (come
l'incendio del suo Teatro): “Li fa impazzire il fatto che un mezzo
ebreo sia a capo di uno dei più importanti progetti della Cisgiordania
- aveva confessato Mer-Khamis ai giornalisti - Razzisti ipocriti. Non
sono mai stato così ebreo come da quando vivo a Jenin”. E ancora: “Dopo
tanta fatica sarebbe davvero una sfortuna morire per una pallottola
palestinese”. E Battistini rileva: “Ora piovono condanne del premier
palestinese Salam Fayyad 'non possiamo tacere davanti a simili
crimini', ma quando i jihadisti l'avevano accusato d'essere 'una quinta
colonna' dei servizi israeliani e avevano distribuito volantini
contro i suoi spettacoli immorali, la minaccia era già scritta: 'Se le
parole non aiuteranno, dovremmo parlare con le pallottole' e nessuno
gli aveva dato protezione”. “La situazione a Jenin - afferma dal
canto suo la Repubblica - sotto una calma apparente nasconde una
grandissima tensione fra i gruppi palestinesi: gli integralisti cercano
di imporre una islamizzazione forzata”.
Valerio Mieli
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(Dis)unità
d’Italia
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Sto scrivendo un articolo,
insieme ad Angelo Piattelli, sui rabbini italiani dal 1861 in poi.
Uscirà nel numero della Rassegna Mensile d’Israel curato da Mario
Toscano per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Uno dei rabbini su cui ci
soffermiamo è Vittorio Castiglioni (Trieste 1840 - Roma 1911 ),
vice-rabbino a Trieste e poi rabbino capo di Roma. Ho iniziato a
spulciare il Vessillo Israelitico (la rivista ebraica più importante
dell’epoca) alla ricerca di notizie sull’illustre rabbino e ne ho
trovate molte (e molto interessanti) nella rubrica sulle comunità
ebraiche italiane. Però, solo dal dicembre 1903 in poi, ossia da quando
diventò Rav di Roma. Prima di questo anno, il nome di Castiglioni
compare come autore di articoli ma non nelle notizie dalle comunità. Mi
è sembrato strano. Castiglioni fu scelto, come indicato nel Vessillo
stesso, per le sue grandi doti di rabbino e studioso. Possibile che non
ci fosse niente su di lui nelle notizie provenienti dalla sua comunità
d’origine? A metà della mia ricerca, mi è cascato l’occhio sulla
rubrica riguardante le comunità ebraiche estere (Austria, Francia,
Germania, Inghilterra ecc.). Sotto la prima di queste voci, vedo le
notizie dalla comunità di Trieste. Allora ho capito. Il rabbino
Castiglioni, di nome, lingua e cultura italiana, era pur sempre uno
straniero. In altre parole, arrivò a Roma da immigrato (immagino non
clandestino). O forse faceva parte dell’equivalente dell’epoca
dell’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero). Conclusione, mi
è toccato riiniziare la ricerca da capo.
rav
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
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Il pregiudizio dei
buonisti
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In un suo lucido e,
inevitabilmente, amaro intervento, pubblicato sul numero di aprile di
Pagine Ebraiche, Sergio Della Pergola passa in rassegna alcuni fra i
casi più evidenti ed eclatanti di pregiudizio antiebraico nella cultura
italiana contemporanea, tanto più tristi e avvilenti in quanto
riconducibili a personaggi di sicuro spicco e rilievo nel mondo
intellettuale (quali Benedetto Croce, Vittorio Messori, Sergio Romano:
ma l’elenco, com’è noto, potrebbe di molto allungarsi, includendo tanti
altri nomi…). L’antiebraismo “colto e raffinato”, purtroppo, non è
affatto una rarità, è un fenomeno diffuso e radicato, col quale occorre
confrontarsi, e rappresenta la più evidente smentita dell’idea (ingenua
e assolutoria, ma fuori dalla realtà) secondo cui l’intolleranza
sarebbe esclusivamente frutto dell’ignoranza e della superstizione. È
vero che l’intellettuale usa, almeno in pubblico, parole e argomenti
molto diversi da quelli delle volgari battute da osteria, e che le due
forme di linguaggio (quello ‘alto’ e quello ‘basso’) sembrano alquanto
separate e indipendenti: ma si tratta di una separazione apparente, il
collegamento tra i due tipi di espressione è ben evidente, anche se
l’“antipatizzante” colto preferirebbe nasconderlo.
Se, però, l’antisemitismo intellettuale è stato ed è, in vario modo,
oggetto di commento e analisi, meno attenzione si dedica generalmente
allo studio del suo “gemello” “popolare”, “di strada”, che si tende a
confinare nella semplice ricerca di tipo folkloristico o sociologico,
atta a rivelare, più che altro, le conseguenze dell’incultura,
dell’inciviltà, più che la ragion d’essere del pregiudizio. Ma se il
pregiudizio, come abbiamo detto, è comune, in pari misura, tanto alla
stupidità e all’ignoranza quanto all’intelligenza e all’istruzione, per
comprenderlo occorre studiarlo in tutte le sue forme, con un’analisi
completa, a 360 gradi.
Vivo interesse, da questo punto di vista, dimostra uno studio, non
ancora pubblicato, di una valente studiosa di Pozzuoli, Giovanna
Buonanno (ex insegnante e dirigente scolastico, oggi in pensione), dal
titolo “Buonisti - Modi e funzioni dell’insulto razziale nelle
relazioni tra i popoli”, in cui sono presentati la storia, i
significati, i percorsi, le ragioni per cui sono stati coniati, nel
tempo, migliaia di insulti razziali, con una disamina della loro
funzione nell’articolarsi delle relazioni tra popoli diversi e
all’interno degli stessi. Una ricerca in cui, purtroppo, la parola
“ebreo”, usata come insulto, occupa un intero capitolo, venendo
ampiamente analizzata, nei suoi vari significati dispregiativi, così
come vengono presi in esame i tanti epiteti offensivi riservati agli
ebrei (più di duecento quelli riportati: i più numerosi tra quelli
rivolti a qualsiasi altra popolazione), che coprono tutti gli spazi
delle definizioni che si costruiscono per indicare la diversità, o,
meglio, l’alterità, quasi sempre in senso negativo.
“Gli ebrei, - spiega la Buonanno - infatti, hanno rappresentato, molto
spesso, il polo negativo di ogni dicotomia indicante il “noi e gli
altri”. L’ebreo è diventato “marrano” e “chueta” nella dicotomia
religiosa “puri-impuri”; “braicu” o “scilinguato”, nella dicotomia
“parlare corretto-scorretto”; “unarél”, o il più recente
“diecipercento”, nella polarità “circonciso-incirconciso”; è stato
chiamato “perro-cruel” o “chien-puant”, simbolo di empietà. La parola
“ebreo” ha rappresentato la metafora dell’importunità, della
maleducazione, della molestia e della crudeltà, così come ha indicato
l’avido, l’avaro, il truffatore. Una “judiada”, in portoghese, ha
significato una “carognata” e “porre al giudeo” “dare in pegno”. A
volte l’ebreo è stato considerato riconoscibile a causa del suo
presunto aspetto disgustoso: “snozzo”, “verruca”, “naso di tucano” o “a
uncino”, “sciamannato”. E, soprattutto, è stato il capro espiatorio su
cui addossare le responsabilità dei momenti difficili e le conseguenze
delle proprie incapacità: “jøde” o “jude” (come dicono i danesi e i
tedeschi) è stato il “nemico” per eccellenza, qualcuno da cui stare
sempre alla larga.
Certo, potrà rappresentare motivo di consolazione constatare che il
fenomeno analizzato sembra riguardare, prevalentemente, il passato. Ma
la ricerca della Buonanno - che attendiamo di leggere, fra breve,
nell’edizione stampata -, dà comunque testimonianza di una realtà
imponente e complessa, la cui conoscenza appare utile e necessaria ai
fini del suo completo e definitivo sradicamento. Ringraziamo perciò la
studiosa per il suo lodevole impegno, che - al di là dell’evidente
valore storico - ci pare anche una forma di solidarietà retroattiva
verso tutti coloro che, negli anni e nei secoli passati, hanno tanto
sofferto per l’umana grettezza e meschinità.
Francesco
Lucrezi, storico
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M.O.:
Conflitto israelo-palestinese
ex ufficiali propongono piano di pace
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Pronto un piano di pace fra israeliani e palestinesi. A idearlo sono
stati una quarantina di ex ufficiali della difesa e delle forze armate
israeliane. Il piano prevede la costituzione di uno Stato palestinese
in
Cisgiordania e nella Striscia di Gaza entro i confini antecedenti il
1967, a eccezione di limitati scambi di territori con Israele. Secondo
la stampa israeliana il progetto degli ex ufficiali prevede anche che
Gerusalemme Est diventi la capitale del futuro Stato palestinese, il
ritiro di Israele dalle alture del Golan siriano e la costituzione di
meccanismi di sicurezza e di cooperazione economica. Sono previsti
anche indennizzi finanziari per i profughi palestinesi. Nessun commento
ancora, almeno in pubblico, da parte del premier israeliano Benjamin
Netanyahu, che comunque in passato aveva già accettato il principio di
una soluzione del conflitto basato sulla formula dei due
Stati.
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Nella settimana trascorsa
l'articolo del giudice Goldstone, riportato anche sul Portale
dell'ebraismo italiano www.moked.it,
è rimasto purtroppo ignoto alla maggior parte dei lettori italiani;
alcuni giornali, come giustamente scriveva ieri in questa rubrica Ugo
Volli,
ne hanno parlato, altri, come
Repubblica (in abbondante compagnia) hanno preferito astenersi dal
parlarne per non andare contro la loro evidente posizione politica, a
tutti ben nota. E il silenzio, vergognoso nei confronti dei
lettori, è mantenuto anche oggi. Ma non si deve credere che all'estero
le cose vadano in modo diverso: il New York Times ha rifiutato
addirittura di pubblicare un articolo simile che gli era stato offerto
dal giudice in prima battuta, scegliendo in seguito di non motivare il
rifiuto... »
Emanuel
Segre Amar
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