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3 maggio
2011 - 29 Nisan 5771 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Durante lo Shabàt scorso
nei Pirqè Avòt abbiamo letto: “Shemaià e Avtalion ricevettero
la Torah dai predecessori. Shemaià dice: ama il lavoro e odia il
potere, e non essere vicino al governo” (Avòt,
1; 10). Si trattta del Presidente del Sinedrio, il
Nasì, e del Capo del Tribunale, l' Av Bet Din, i
Maestri di Hillel e Shammai. Il Rabbino Ovadià di
Bertinoro, ricordandoci che Shemajà e Avtalion sono due
convertiti, commenta che l’amore per il lavoro deve essere
perseguito "persino
se abbiamo di che alimentarci, dobbiamo occuparci di un
lavoro. Altrimenti la nullafacenza conduce alla noia...... e
odia il potere: non dire che sei una persona importante e
trovi vergognoso occuparti di un lavoro…" Esiste
pertanto un valore etico del lavoro che rafforzerebbe lo
studio diversamente dal potere politico che
ci allontana dalla Torah. I Maestri ci stanno
insegnando a odiare quella dimensione del potere che è nel
lavoro richiamandoci alla sostanza e prendendo le distanze
dalle apparenze. Si deve amare il lavoro e non il biglietto da visita! |
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Vittorio
Dan
Segre,
pensionato
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Tutto quello che non uccide rende più forti.
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Giovanni Paolo II -
Voci ebraiche a confronto
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“Che ci fa lei da queste
parti, dovrebbe essere un sacerdote”. Anche solo una battuta scherzosa
rivolta a un alto esponente politico israeliano inviato ad accogliere
il papa nella sua missione, servì a frantumare gli imbarazzi e
cominciare con un sorriso una delle missioni più difficili. Rievocando
con affetto i giorni intensi della visita in Israele di Giovanni Paolo
II nel 2000, poi i colloqui cordiali che condussero all'abbattimento
delle barriere e all'allacciamento delle relazioni diplomatiche fra
Israele e Santa Sede, tornano alla luce momenti di grande umanità. Oggi
Yossi Peled (nell'immagine), alto grado di Tsahal, le forze israeliane
di difesa e stretto collaboratore del premier Benjamin Netanyahu, li
racconta con affetto, alludendo alla sua drammatica vicenda personale.
“La mia visita a Roma ha un solo significato: rendere omaggio alla
figura di Giovanni Paolo II. Da quando sono salito in Israele, all'età
di nove anni, è la prima volta che accetto di essere lontano dal mio
Paese proprio nel giorno in cui gli ebrei commemorano le
vittime della Shoah, che ha inizio fra poche ore. L'ho fatto ora per
essere a Roma, in mezzo a questa folla, e dire grazie a nome di tutto
il popolo ebraico”. Appena varcato il perimetro vaticano, nel
pomeriggio di domenica, il ministro israeliano pensa al momento in cui
in Israele le sirene fermano ogni attività, al Giorno del ricordo di
tutte le vittime dell'odio. In questo giorno il ministro ha da
ricordare molte persone care, a cominciare da suo padre, che fu ucciso
ad Auschwitz. Nato a Anversa come Yozef Mendelevich fu allevato,
nascosto, infine restituito alla madre che lo portò in Israele, da una
famiglia di cristiani.
“Per noi – prosegue il ministro, che nel corso della cerimonia ha avuto
modo di intrattenersi cordialmente con il rappresentante designato
dall'Autorità palestinese – fu un papa unico, non uno dei tanti. Questa
grande giornata a Roma ha rappresentato il modo migliore di rendergli
omaggio”.
“Di Giovanni Paolo II –
aggiunge l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Mordechai Lewy che accompagna il
ministro – vorrei ricordare che la sua relazione con l'ebraismo non
derivava solo da un processo dell'intelligenza, ma anche da un profondo
coinvolgimento emozionale”. Fra le molte le reazioni in campo ebraico
alla giornata di domenica, anche le considerazioni del Rabbino capo
della Capitale Riccardo Di Segni si riallacciano al grande potenziale
umano espresso da Giovanni Paolo II.
“Una considerazione ebraica – spiega la guida spirituale della prima
comunità ebraica italiana – deve necessariamente distinguere il valore
umano messo in campo da questo papa da ogni considerazione teologica
che ancora può dividerci.
Giovanni Paolo II ha operato
una rivoluzione, abbattendo il millenario muro di diffidenza eretto nei
confronti del mondo ebraico. Emanava un grande sentimento di simpatia.
La sua visita alla sinagoga di Roma, le missioni in Israele,
l'allacciamento delle relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico,
hanno costituito passi fondamentali. Ovviamente di fronte al processo
di beatificazione l'ebraismo avverte una totale estraneità al nostro
modo di concepire, ma deve comprendere questa grande giornata romana in
onore di Giovanni Paolo II come un'importante manifestazione del
sentimento religioso, un fatto che dimostra come il sentimento
religioso sia un'esigenza avvertita da milioni di cittadini. Forse, al
di là della grande simpatia umana, al di là delle importanti differenze
teologiche (dalla formazione della dichiarazione Dominus Iesus alla
beatificazione di Edith Stein), è proprio questo diverso modo di
intendere la religiosità che segna poi un confine. Lo vediamo ancora
oggi anche in occasione di significativi incontri interreligiosi, come
ad Assisi. Noi non crediamo che da solo il sentimento religioso possa
bastare a dividere gli uomini fra buoni e cattivi. E non crediamo che
il dialogo possa crescere, andare al di là dell'emozione iniziale, se
non in un clima di confronto alla pari”.
Il rabbino capo emerito di
Roma Elio Toaff, che accolse Giovanni Paolo II nella sua visita alla
sinagoga di Roma del 1986, ha festeggiato il suo novantaseiesimo
compleanno proprio nella grande giornata romana. “Il ricordo di papa
Karol Wojtyla – ripete oggi - resterà indelebile nella memoria
collettiva del popolo ebraico con il suo richiamo alla fratellanza e
allo spirito della tolleranza alieno da ogni violenza. Nella
travagliata storia dei rapporti tra i pontefici di Roma e gli ebrei,
all'ombra del ghetto in cui furono reclusi per oltre tre secoli in
condizioni umilianti e deprimenti, la sua immagine infatti emerge
luminosa in tutta la sua eccezionalità. Nei rapporti tra le nostre
grandi religioni, in questo nuovo secolo già macchiato da guerre
cruente e dalla piaga del razzismo, l'eredità di Giovanni Paolo Il
rimane una delle poche isole spirituali a garanzia della sopravvivenza
e del progresso spirituale dell'uomo”.
“Giovanni Paolo II –
commenta dal canto suo Sergio Minerbi, diplomatico israeliano di
origine italiana, voce critica e esperto di relazioni ebraico cristiane
- ha dimostrato straordinarie doti di comunicatore, ma se
analizziamo i testi delle dichiarazioni e allocuzioni, non c’è dubbio
che dal punto di vista ebraico Benedetto XVI ha compiuto progressi che
superano il lavoro del suo predecessore. Mi riferisco in particolare al
grande merito di aver corretto l’incolpazione per il deicidio con
un’originale lettura dei Vangeli. Per comprendere le straordinarie e
importanti qualità di comunicatore di Giovanni Paolo II vorrei
ricordare come nel 2000, durante la sua visita in Israele, il papa
introdusse un biglietto fra le pietre del Muro del pianto a
Gerusalemme. Pochi però ne lessero il contenuto, che non conteneva una
specifica richiesta di perdono e non includeva neppure le parole
Cristiani o Ebrei”.
Proprio di questo episodio,
la storica Anna Foa offre un'interpretazione del tutto diversa.
“Durante il suo pontificato Giovanni Paolo II ha compiuto nei confronti
degli ebrei gesti di grandissimo valore simbolico, rendendo visibile e
definitiva la svolta che era stata attuata dal Concilio e dalla
dichiarazione Nostra Aetate, su cui profondamente aveva lavorato, sul
terreno dell’insegnamento e della catechesi, in modo meno clamoroso ma
altrettanto significativo, il suo predecessore Paolo VI. La visita
nella Sinagoga di Roma, i documenti sul perdono in occasione del terzo
millennio, lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con lo Stato
d’Israele, la visita al Muro Occidentale sono fatti e gesti di cui non
c’è certo bisogno di sottolineare la valenza. L’ideologia ufficiale
della Chiesa ha apertamente condannato la tradizione antigiudaica, come
nelle parole del documento del 1998 Noi ricordiamo: una
riflessione sulla Shoah, emanato dalla Commissione per i rapporti
religiosi con l’ebraismo: “Il fatto che la Shoah abbia avuto luogo in
Europa, cioè in paesi di lunga civilizzazione cristiana, pone
la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli
atteggiamenti dei cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli
ebrei”. Ugualmente significativa in questo senso la preghiera recitata
dal Papa al Muro Occidentale il 26 marzo 2000: “Dio dei nostri padri,
tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse
portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il
comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire
questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in
un'autentica fraternità con il popolo dell'alleanza”.
“Sono – aggiunge - dichiarazioni e gesti che proprio perché
immediatamente comunicativi e fortemente simbolici non possono non
avere avuto effetti importanti sulla mentalità e la percezione comune.
Sul terreno più propriamente teologico, non possiamo dire che Giovanni
Paolo II abbia portato delle vere e proprie innovazioni. Ha sicuramente
ripreso e approfondito le importanti suggestioni della Nostra Aetate,
come quando, nella sua visita del 1986 nella sinagoga di
Roma, ha affermato che “La religione ebraica non è 'estrinseca', ma in
un certo qual modo 'intrinseca' alla nostra religione”, riallacciandosi
all’incipit stesso della Nostra Aetate: “Scrutando il mistero della
Chiesa, il sacro concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del
Nuovo testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo”.
“Sono suggestioni – conclude Anna Foa - che aprono nuove
strade all’interpretazione del rapporto teologico fra le due religioni,
e sulla genesi stessa della nascita del cristianesimo dall’ebraismo, e
che ci aspettiamo che Benedetto XVI, come già
alcune sue affermazioni fanno presagire, possa indagare e approfondire”.
Guido Vitale
Questo testo è stato scritto per l'edizione del 4 maggio 2011 dell'Osservatore romano e appare anche in lingua inglese sul sito del quotidiano vaticano (www.osservatoreromano.va)
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E se anche noi fossimo
impauriti?
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Gli ebrei, come ogni gruppo
sociale, sono permeati dai sentimenti collettivi. E basta leggere i
giornali per comprendere quanti sono i messaggi negativi che ci
colpiscono. Gli immigrati che ci invadono, i crimini in strada, il
grande fratello che spia tutti noi, il lavoro che non si trova, la
crisi. Queste notizie creano un senso di insicurezza verso il mondo
globalizzato, le istituzioni, le nostre prospettive di vita.
Intendiamoci, personalmente non mi ritengo, purtroppo, un ottimista.
Dunque sono portato a privilegiare una lettura negativa del mondo in
cui viviamo. Ma il punto è un altro. Siamo sicuri che l’intero processo
sia neutrale e non si riveli vantaggioso per qualcuno? Io credo che
l’investimento sulla paura dei cittadini possa essere molto redditizio
in termini elettorali, e che per questa ragione, in tutto l’Occidente,
questa pulsione sia usata per controllare sentimenti, desideri,
aspirazioni, e quindi anche voti delle persone.
Probabilmente accade qualcosa di molto simile anche all’interno delle
comunità ebraiche. Anziché privilegiare i tanti aspetti positivi della
vita ebraica nel mondo – tanto per citarne uno, la rinascita
dell’ebraismo nell’Europa dell’Est – si sottolineano continuamente, in
modo quasi esclusivo, i pericoli derivanti dall’odio antisemita, dalle
minacce verso Israele, dal decremento demografico. Non ho soluzioni
roboanti. Avanzo solo una proposta modesta a chi si occupa di stampa
ebraica: perché, accanto ai vari osservatori sull’antisemitismo e
sull’antisionismo di giornali e televisioni, non proviamo a immaginare
un impegno analogo per studiare le parole che usiamo sulla
pubblicistica ebraica (occorrenze, frequenze, distribuzione)? Forse ci
verrebbero buone idee, e comunque scopriremmo qualche aspetto
interessante di noi stessi.
Tobia
Zevi, Associazione Hans Jonas
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notizie
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rassegna
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Nasce
a Torino l'Associazione
Amici di Bereshet LaShalom
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la rassegna |
A sostegno delle attività di educazione al dialogo che la Fondazione
Beresheet LaShalom svolge nel mondo, nasce a Torino l'Associazione
Amici di Beresheet LaShalom. La fondazione israeliana - nata dieci anni
fa in un kibbutz dell'alta Galilea - fu creata da Angelica
Edna Calò Livnè con il proposito di educare i giovani alla pace
attraverso le arti. Presidente degli Amici di Beresheet
LaShalom è il consigliere UCEI Dario Disegni. "Lo straordinario lavoro
svolto da Angelica Calò e l'entusiasmante coinvolgimento di ragazzi
ebrei, musulmani e cristiani – spiega Disegni – ci ricorda che il
processo di pace, al di là dei negoziati tra leader politici, va
costruito giorno per giorno dentro la società civile israeliana e
palestinese, attraverso la reciproca conoscenza, il dialogo e
la collaborazione” »
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L'evento del giorno è
l'uccisione di Osama Bin Laden. Per una ricostruzione dei fatti, va
letto Guido Olimpio sul Corriere. I commenti più adeguati mi
sembrano quelli di Fiamma Nirenstein, di Magdi Cristiano Allam
sul "Giornale", di Giulio Meotti sul Foglio, di Lutwark sul Giorno. Molti legano questo fatto
alle rivolte arabe, per esempio Lucia Annunziata sulla Stampa e Gilles Kepes su Repubblica,
un legame a cui non crede Khaled Abu Toameh, intervistato da Battistini
sul Corriere. Resta il fatto che "solo
Egitto e Hamas non si uniscono alla gioia" secondo lo stesso Battistini
in un altro articolo sul Corriere
( e anche "l'Iran resta freddo", secondo Siavush su Europa)... »
Ugo Volli
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
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di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
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