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5 giugno 2011 - 3 Sivan 5771
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino


"Il difetto del bigotto ė che rende ciò che è essenziale secondario, e ciò che è secondario essenziale" (Rabbi Menachem Mendel di Kotzk)


David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
La discussione sulla reciproca estraneità o sulla contiguità  tra antisemitismo e islamofobia ha riscaldato gli animi di molti. Quando si scatena l’odio nei confronti di qualcuno (ma oltre gli islamici e gli ebrei, io non dimenticherei i cinesi, più generalmente i “gialli”) l’indagine deve porre attenzione non sui perseguitati, ma sugli spaventati e sui suggestionabili. E gli indicatori da valutare sono le retoriche che si mettono in atto. Ovvero ciò che gli spaventati dicono e ciò che i suggestionabili assorbono. Lavorando seriamente sull’immaginario antisemita, proprio adottando questo doppio punto di osservazione,  Francesco Germinario ha pubblicato un libro (“Argomenti per lo sterminio”, Einaudi) su cui varrebbe la pena riflettere seriamente. Al centro non ci sono le vittime, ma l’immaginario degli spaventati e dei suggestionabili nella seconda metà dell’Ottocento. Ovvero i nonni e i bisnonni di coloro che nel Novecento dopo diventano carnefici e spettatori plaudenti dei massacri.
davar
Qui Torino - Ucei e Comunità contro il razzismo antisionista
Monito e ferma reazione in una nota congiunta
gattegnaleviIl Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e il Presidente della Comunità ebraica di Torino Tullio Levi hanno emesso la seguente nota congiunta riguardo agli episodi di razzismo e intolleranza registrati sabato nella città.
"La violenza si può anche nascondere in un gioco, trasformandolo in un veicolo di odio e di intolleranza. Un classico e vergognoso esempio è quello escogitato dall'"International Solidarity Mouvement palestinese", sigla apparentemente innocua, che nel parco Ruffini di Torino, al prezzo di un euro, forniva una scarpa da lanciare contro una sagoma raffigurante il presidente dello stato di Israele Shimon Peres con una stella di David.
 L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Comunità di Torino danno atto al sindaco Fassino e alla Forze dell'ordine di essere prontamente intervenuti per far cessare la vergognosa e illecita esibizione e si augurano che in futuro un'accurata attivitá di prevenzione eviti che simili episodi si ripetano, a Torino come in ogni altro luogo che ambisca a far parte del mondo progredito".

Qui Venezia - Shimon Peres alla Comunità:
“Condividete con noi speranza e ottimismo”
Peres e LuzzattoUn momento storico per la Comunità ebraica di Venezia, che venerdì sera, subito prima di shabbat, ha accolto il presidente di Israele Shimon Peres nel centro comunitario in Ghetto. Per l’occasione la sala Montefiore, gremita di persone, è stata addobbata a festa, con composizioni di fiori bianchi e sullo sfondo le bandiere dell’Italia e di Israele. Presenti tra il pubblico anche alcune autorità della Regione Veneto: l’assessore alle politiche di bilancio, Roberto Ciambetti, il consigliere diplomatico, Stefano Beltrame, e il responsabile segreteria dell’assessorato alle politiche di bilancio, Antonio Franzina. Presente anche il consigliere dell’Unione della Comunità Ebraiche Italiane, Riccardo Hofmann, e il presidente della Comunità ebraica di Padova, Davide Romanin Jacur.
Imponente l’apparato di sicurezza per il leader israeliano: gli uomini della security personale l’hanno seguito per l’intera visita, coadiuvati dagli agenti delle forze dell’ordine italiane che hanno presidiato la zona con uno dispiegamento di forze straordinario. Misure di sicurezza eccezionali anche per quanto riguarda l’accesso acqueo, con il blocco dei vaporetti nel canale di Cannaregio e della fermata alle Guglie nelle vicinanze dell’entrata al Ghetto. Al suo arrivo in motoscafo il presidente è stato ricevuto sulla riva dai due vicepresidenti della Comunità ebraica, Corrado Calimani e Mario Gesuà Sive Salvadori, per poi essere scortato subito alla sede comunitaria, dove ad attenderlo ha trovato il presidente della Comunità Amos Luzzatto, con cui aveva già avuto modo di confrontarsi nella mattinata in un incontro privato al padiglione israeliano della Biennale in occasione della cerimonia di apertura.
In una sala Montefiore blindatissima l’ambasciatore di Israele in Italia, Gideon Meir ha introdotto, con un breve discorso, l’intervento di Shimon Peres, ricordando l’accoglienza particolare che gli viene riservata ogni volta che passa per Venezia: “Non è un segreto che la vostra Comunità di Venezia sia una delle Comunità che io amo visitare di più, dove trovo sempre una accoglienza calorosa e un profondo legame con lo Stato di Israele. La visita di oggi è però una visita particolare, speciale, perché per la prima volta un presidente israeliano fa visita alla vostra antica Comunità”. Parlando del presidente Peres, l’ambasciatore ha voluto inoltre ribadire l’importanza della figura di Peres nella promozione dello Stato di Israele nel mondo: “ Il presidente di Israele, Shimon Peres, è uno dei più stimati e rispettati in Israele e nel mondo e con la sua personalità rappresenta tutto ciò che c’è di meglio e di più bello nel popolo ebraico e nello Stato di Israele”.

Michael Calimani

Clicca qui per leggere il testo integrale dei discorsi del presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto.

 

Qui Venezia – Israele protagonista alla Biennale

Peres biennale“One man’s floor is another man’s feelings”. Una variazione del modo di dire “one man’s floor is another man’s ceiling”. Questo il titolo dell’installazione di Sigalit Landau inaugurata oggi all’interno del padiglione israeliano in occasione della 54esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia.
Nei tre piani della palazzina modernista del padiglione israeliano ai Giardini della Biennale,  troviamo la rappresentazione di tematiche esistenzialiste e di problemi legati alla sopravvivenza. Al centro dell’apparato simbolico c’è il sale, simbolo della precarietà dell’esistenza umana che si cristallizza in un effimero attimo, e l’acqua, metafora della conoscenza e dei sentimenti. Curata da Jean de Loisy e Ilan Wizgan, la mostra ha come fulcro l’idea di libertà, il sogno di confini tracciati nella sabbia e cancellati dalle onde del Mediterraneo. Una messa in discussione del concetto di confine tra uomo e uomo, dove, come dice il titolo, non solo il pavimento di un uomo è il soffitto di un altro, ma dove anche i sentimenti di uno equivalgono sul piano valoriale a quelli di un altro. Un viaggio che esplora il legame tra israeliani e palestinesi, che traccia una via seppur onirica sul futuro che li accomuna.
Ed è proprio il sogno al centro del messaggio del presidente di Israele Shimon Peres, Premio Nobel per la Pace, arrivato ai Giardini della Biennale per inaugurare il padiglione israeliano : “Bisogna allargare la portata dei sogni affinché essi si sostituiscano a una realtà già troppo amara. La nostra testa è divisa in due parti: il cervello e la mente. La mente controlla il cervello e quando si va a dormire essa cade addormentata, mentre il cervello rimane vigile. Non si può sognare, fantasticare o sentirsi liberi senza l’utilizzo della mente. L’arte di Sigalit Landau è priva di un controllo razionale, prescinde da ogni forma di protocollo e da ogni legge. Questo è il vero messaggio che ci trasmette l’arte moderna israeliana.”
Tra gli interventi anche quello dell’ambasciatore di Israele a Roma, Gideon Meir, che ha ringraziato il responsabile del padiglione israeliano, Arad Turgeman e le molte autorità intervenute  per l’occasione alla cerimonia tenutasi al Bar Paradiso della Biennale: dal Ministro israeliano della Cultura e dello Sport, Limor Livnat, al sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, a Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto, Amos Luzzatto, presidente della Comunità ebraica di Venezia, e Paolo Baratta, presidente della Fondazione Biennale di Venezia. “Questo è il quinto anno in cui prendo parte all’apertura della Biennale di Venezia” ha spiegato l’ambasciatore Meir. “Ma quest’anno è diverso per tre motivi. Prima di tutto per l’artista Sigalit Landau che onora Israele e offre una visione diversa dal solito del nostro Stato. Il secondo motivo è la presenza qui oggi della persona che ha in mano le sorti della cultura israeliana, il ministro Limor Livnat. Ultimo, ma non certo in ordine di importanza, la presenza qui oggi del presidente di Israele, Shimon Peres, istituzione che gode della massima stima da parte di tutti i cittadini e che rappresenta con la sua personalità il volto migliore del nostro paese”.

M.C.


Madre, Patria
davar 2Sarà presentato questa sera alle 19 a Roma alla libreria Fandango Incontro di via dei Prefetti 22, il libro di Bozena Keff, Madre Patria. Assieme all'autrice interverranno Imma Battaglia, Luigi Marinelli e Laura Quercioli Mincer, musiche di Marco Valabrega, letture di Olek Mincer. Ne abbiamo parlato con Laura Mincer, traduttrice e curatrice del volume.
Madre Patria è stato definito uno dei testi più significativi della letteratura polacca degli ultimi anni, perché?
In Polonia i testi letterari relativi alla Seconda guerra mondiale e ai suoi contraccolpi sono numerosissimi. Solo la letteratura riguardante i lager conta molte centinaia di titoli a stampa. Bisogna infatti ricordare che anche diverse centinaia di migliaia di polacchi non ebrei sono stati internati ad Auschwitz e in altri lager e che la Polonia è stato il paese  in assoluto più distrutto durante la seconda guerra mondiale...
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Lucilla Efrati



pilpul
Davar acher - Shavuot e la lettura infinita
Ugo VolliLe Asseret hadibrot (dieci parole), cioè il Decalogo o i "dieci comandamenti", come li si cita normalmente oggi secondo una traduzione prevalentemente cristiana, sono uno dei culmini della  Rivelazione ebraica, tant'è vero che ne è prescritta la lettura solenne per Shavuot, la festa del dono della Torah. Anche se i saggi scelsero di escluderle dalla liturgia quotidiana, per non farne  oggetto di culto eccessivo, le usiamo spesso come simbolo della nostra religione, per esempio rappresentandole sopra l'Aron, sugli ornamenti dei Sefarim, dovunque si tratti di rappresentare la fede ebraica.
A differenza di altri brani della Torah, normalmente si agisce come se quel che esse dicono sia chiarissimo, non bisognoso di commento, autoevidente: il rifiuto dell'idolatria, l'osservanza dello Shabbat, l'onore dei genitori, la proibizione dell'omicidio e del furto, eccetera. Tutti obblighi che sembrerebbe bisognosi di  pedagogia, spiegazioni, esortazioni,, ma non di discussioni sul senso. E però le cose non stanno mai così nei rapporti fra ebraismo e testi sacri: il significato letterale va sempre conservato, ma il lavoro di interpretazione continua per rivelare nuovi strati, nuovi sensi, nuove prospettive. E il testo dice di più di quel che appare in un primo momento. La lettura ebraica è infinita per questo.
 Nell'imminenza di Shavuot, viene dunque molto opportuna, dunque, la pubblicazione di un libro sulle asseret hadibrot di Haim Baharier ("Le dieci parole" , Edizioni San Paolo 2011, € 10): un libro sottile ma esigente, che si può leggere in un paio d'ore ma resta nel pensiero a lungo. Nel Talmud si incontra qua e là il confronto fra due tipi di maestri, quelli che sono come "una montagna incrollabile" (un "Sinai") o una "cisterna che non perde" una goccia d'acqua (i maestri che mantengono intatta e pura la tradizione) e quelli che sono come "fonti inesauribili" o "sradicano le montagne" (coloro che producono nuovo interpretazione e nuovo pensiero, beninteso a partire dalla tradizione). Nella mia esperienza di allievo, Baharier è il più creativo dei maestri di Torah oggi in Italia, il più "sradicatore", con maggior vocazione teorica e più passione della provocazione ermeneutica: è il maestro di molti che ha saputo anche far brillare lo splendore del pensiero ebraico davanti a platee non ebraiche larghe e qualificate. Da un commentatore come lui il tema del Decalogo non può certo venir affrontato dal punto di vista, pur importantissimo, del puro insegnamento morale, come per esempio fece André Chouraqui (I dieci comandamenti, Mondadori 2002, € 7,80). Diventa un monumento di pensiero ebraico, un'espressione della specifica comprensione del divino che appartiene all'ebraismo e non solo un codice di condotta fra i diversi anche più originali che si trovano nella Torah.
Di fronte al problema interpretativo preliminare delle asseret hadibberot (come mettere assieme la prima affermazione: "Io sono il D. che ti ha fatto uscire dall'Egitto" ecc. con gli ordini successivi in un insieme coerente), Baharier rovescia la strategia più comune, cioè non assimila la prima parola alle altre leggendo anch'essa come un ordine, quello più o meno implicito di professare il monoteismo. Al contrario, legge tutte le altre alla luce di questa, mettendo al centro della sua interpretazione la parola '"anokhi" iniziale (il pronome ebraico che si usa tradurre come un "io" enfatico, quasi fosse un plurale majestatis "noi" senza la connotazione di molteplicità). Baharier vede nelle altre nove parole non comandi ma altrettante "promesse" mediate da quell'"anokhi" e condizionate ciascuna dalla realizzazione di altrettante "premesse" da individuare nella lettura dei versetti che introducono alla Rivelazione. Le "premesse" descrivono i passi da compiere per entrare in rapporto con "anokhi"; le "promesse" sono conseguenza e conducono all'instaurazione di uno stato di giustizia nei rapporti fra gli uomini, fra gli uomini e la Terra e soprattutto fra gli uomini e il divino.
Quest'ultima relazione è la più importante, il cuore segreto del testo: il Decalogo, nella lettura di Baharier, diventa una sorta di matrice per costruire il rapporto di Israele col divino e anche dove sembrano prescrivere regola nei rapporti interumani (per esempio "non commettere falsa testimonianza" o "non ammazzare"), forniscono istruzioni sul modo in cui si deve porsi di fronte al divino. Per ottenere questo strato di senso Baharier lavora da vicino il testo ebraico, con tecniche etimologiche e combinatorie caratteristiche del pensiero ebraico, se ne appropria nel profondo, schivando la traduzione più ovvia.
Tutto ciò comporta che nelle Dieci Parole, il luogo testuale della Torah cui è stato dato da sempre maggior valore universalistico, si debba leggere anche un messaggio specificamente ebraico, che esse dicano cioè qualcosa di essenziale sulle condizioni a cui si realizza il rapporto fra Israele e Hashem. Il carattere universale del testo sarebbe dunque una specie di conseguenza del suo senso ebraico. E anche questa è una lezione che riguarda Shavuot e la Torah che vi si legge: ricordo di un momento cardinale della storia universale dell'umanità e della formazione piena della specifica anima ebraica, nello stesso tempo, attestazione che solo restando ebraico e non diluendosi in un generico umanitarismo Israele può dire qualcosa di decisivo per tutta l'umanità.

Ugo Volli


notizieflash   rassegna stampa
A Sorgente di Vita uno speciale
sulla Guerra dei Sei Giorni
  Leggi la rassegna

Il 5 giugno 1967 aveva inizio la Guerra dei sei giorni tra Israele e i Paesi Arabi confinanti: è il tema di apertura della puntata di Sorgente di vita di questa sera. In pochi giorni lo Stato ebraico si trovò a occupare  la Cisgiordania, le alture del Golan, il Sinai, la striscia di Gaza e la città vecchia di Gerusalemme. 
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