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12 settembre 2011 - 13 Elul 5771
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l'Unione informa
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Riccardo Di Segni Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Una delle differenze tra le due versioni dei dieci comandamenti è a proposito del giorno del Sabato; in Shemot 20:7 è detto zakhor, ricordalo, in Devarim 5:11 shamor, rispettalo. Secondo il midrash un unico suono conteneva due implicazioni, memoria e rispetto, o anche obblighi e divieti. E' in rapporto a questa duplicità che all'entrata del Sabato, come spiega lo Shulchan 'arukh (o. ch. 263), si accendono due lumi. È un'icona dell'ebraismo, radicata e potentemente evocativa. Da dieci anni, dopo l'11 settembre, un'altra icona, con strane somiglianze, ma di segno opposto, angoscia il nostro mondo, quella di due torri gemelle che bruciano con migliaia di vittime (tra cui tanti ebrei). Un'immagine di pace e armonia, come i due lumi del Sabato, ha il suo parallelo drammatico e opposto nelle due torri che bruciano. Qualcosa di profondo, però, dovrebbe esserci in comune: l'obbligo di ricordare e rispettare.

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Primo giorno di scuola, i giornali sono pieni di riflessioni sullo stato disastroso della nostra scuola e di auguri per il nuovo anno a studenti e docenti. Quanto a me, vorrei riallacciarmi a quanto ha detto ieri su queste colonne Bidussa su questo tema ed augurare a tutti un anno pieno di passione e innamoramenti. Innamorarsi per gli studenti di un'immagine, di un verso, dell'inflessione di voce di un insegnante mentre spiega... innamorarsi per i docenti dello sguardo sorpreso di uno studente, del lampo di comprensione che ne illumina un altro. Passione per un libro, per una scintilla di conoscenza, per un frammento che va a posto e sembra ricostruire il tutto, fino al prossimo frammento. Se questo potesse rinascere come una fenice dalle sue ceneri, forse tutto il resto sarebbe meno importante.

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davar
Qui Mantova - Signori, l'Archivio 
Un anno fa Piazzalberti, quotidiano del Festival, pubblicava la presentazione di un nuovo, grande progetto. Si sa che non tutti i progetti reggono alla prova del tempo ma in questo caso la scommessa non solo è stata vinta ma addirittura Manuela Soldi, appassionata coordinatrice dell’Archivio, ha dovuto improvvisare un sistema di prenotazioni per cercare di accontentare tutti coloro che in questi giorni vorrebbero utilizzare le postazioni allestite in via Accademia e consultare la selezione di materiali preparata per l’occasione, disponibile per la prima volta al pubblico del Festival.
A distanza di un anno si può azzardare un primo bilancio: dal 1997 ad oggi a Mantova sono già passati oltre duemila ospiti, protagonisti della letteratura contemporanea, dando vita a una mole di materiale enorme. Tutti gli eventi del festival vengono registrati, molti vengono filmati, e la riflessione sul patrimonio documentario e sulle sue modalità di conservazione e fruizione si è avviata durante l’edizione 2009 del Festival. Da allora l’archivio ha iniziato la sua attività, collaborando alla preparazione del nuovo sito e ospitando da subito studenti e studiosi e appassionati interessati al materiale disponibile in via Accademia, che è diviso in diverse sezioni: fotografica, sonora, audiovisiva, grafica. Sono disponibili in archivio anche tutte le pubblicazioni di Festivaletteratura, a partire dai programmi, l’intera rassegna stampa sulla manifestazione, una piccola biblioteca ed una emeroteca; e nella sua fase finale il progetto prevede la digitalizzazione di gran parte del patrimonio, che verrà reso disponibile sul web per raggiungere un pubblico ancora più vasto di quello che ogni anno si raduna a Mantova.
Una scommessa più che vinta, dunque, e una dimostrazione ulteriore di come passione, progettualità, competenza e attenzione alla propria storia e al proprio patrimonio culturale possano portare grandi risultati.

Ada Treves


"L’archivio. Già, l’archivio. Proprio lui. Non il sottoscala, il solaio, lo sgabuzzino, il capanno per gli attrezzi, il garage, il magazzino dove accatastare, occultare, consegnare all’oblio e alla polvere. Mica una delle tante “teche”: biblio, cine, disco, emero, foto, gipso, video, ecceterateca. Bensì l’archivio, in tutto il suo discretamente fascinoso splendore. Un luogo, anzi, IL luogo fisico, mentale e digitale della memoria. Un metodo, anzi, IL metodo per porre, riporre e riproporre i segni lasciati dalle “cose” accadute. Trovare qualcosa quando non la si cerca è un’inutile piacevole sorpresa, trovarla quando la si cerca è un utile e sorprendente piacere. Tutti dovrebbero averne uno, di archivio. E’ creativo (come e quanto il caos, solo più fruibile), dinamico, performante e, in certe favorevoli condizioni, addirittura figo.
E Festivaletteratura? Festivaletteratura ha deciso di fare il “grande salto”, come altri hanno già fatto, come altri si accingono a fare. Perché è tempo, perché ci sono le esigenze, gli strumenti e le risorse (queste ultime, a dire il vero e senza offesa, tendono purtroppo a latitare quando devono arrivare) per ricavare dalle proprie esperienze, siano esse il saper fare o il semplice esistere, conferme, idee e materiali per dar vita a nuove “cose”.
E’ un progetto ambizioso, dove le complicazioni sono direttamente proporzionali alla qualità e alla quantità dell’attività di quel fecondissimo “soggetto produttore” che è Festivaletteratura. Quasi tre lustri di vita, una lunga e piena gioventù. Ma non è obbligatorio invecchiare o morire per avere una storia. Mentre è necessario e sufficiente raggiungere la consapevolezza di quanto il disordine dei supporti disperda e distrugga i ricordi e le tracce dei fatti, anche in meno di quindici anni. E’ un progetto oneroso che Festivaletteratura ha potuto avviare nell'ambito del progetto La rete dei Festival aperti ai giovani promosso dall'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e sostenuto dal Ministro della Gioventù, con il contributo del Comune di Mantova. E’ un progetto generoso, che non lesina sul titolo e neppure sul sottotitolo: “Un archivio per l’innovazione. I giovani e i documenti di Festivaletteratura”, dove l’innovazione sta nella scelta di trasformare una normale campagna archivistica in un’occasione di formazione teorica e pratica per una dozzina di ragazzi (i “giovani” del sottotitolo, ovviamente) provenienti da tutta Italia, nella migliore tradizione della kermesse mantovana. Sono loro i brillanti, preparati, partecipi e affiatati “manovali” che meritano palco, riflettori e un applauso sincero, perché puntano a un traguardo importante e gratificante, ma ancora distante. Le “misure” del nascente archivio sono di tutto rispetto (non troppa carta, ma tante immagini, tanti dati, tanto lavoro di fino) e, come per i passisti, il ritmo è sostenuto, ma si deve apprezzare lo sforzo in prospettiva.
Dunque l’Archivio (a questo punto sia consentita la maiuscola maiestatis) di Festivaletteratura. In fieri, ma vivo fin da subito. Talmente vitale, dopo soli sei mesi di operatività effettiva, da essersi guadagnato una pagina sulla presente testata per tutti i giorni del Festival con l’intento di dare un contributo alla causa, magari incuriosendo, stuzzicando e coinvolgendo. A domani". (Piazzalberti, settembre 2010)


Qui Mantova - Le ragioni di un successo

Un contesto complesso: quello della crisi, dei tagli alla cultura in tutto il Paese, cui fa da contraltare, a Festivaletteratura, una partecipazione che cresce, un numero maggiore di incontri - è aumentato il numero dei luoghi di fruizione, a capienza inferiore rispetto al passato, per consentire al pubblico un ascolto e una ricezione migliori.
E' uno scenario confortante quello che lascia in eredità la quindicesima edizione di Festivaletteratura: nonostante la congiuntura economica, la domanda di cultura della piazza - Agorà, terreno di discussione e di confronto, di partecipazione - non accenna a diminuire.
64mila i biglietti staccati. 40mila circa le presenze stimate agli eventi gratuiti.
Come sempre i soli numeri - sottolineano gli organizzatori - non sono importanti. Non è l'incremento registrato a segnare soddisfazione, ma l'avvio di progetti di approfondimento, destinati a durare nel tempo, a produrre studio e riflessione. Da qui può scaturire un motivo dicompiacimento. Più precisamente: l'Archivio del Festival è ormai a disposizione della collettività – e alcuni materiali hanno già offerto il destro per alcuni spunti per il programma dedicati alla Primavera araba. La “Biblioteca della fantascienza”, i “Quaderni di scuola”, la “Sciarà” sono rassegne che, contraddistinte da un buon successo, avranno seguito non solo attraverso il festival e si caratterizzeranno come progetti aperti che produrranno pubblicazioni e ulteriori coinvolgimenti del pubblico. Una piccola sintesi si può trarre: nel tempo sembrano aggiungersi altre possibilità alla manifestazione. E se l'identità del Festival resta legata a un’idea di confronto e di avvicinamento tra gli autori e i lettori, la produzione in autonomia di contenuti da rielaborare e discutere, di materiali che restano a disposizione di tutti, è ormai una realtà.
Peraltro anche gli spazi del web, i social network della manifestazione, riflettono attorno a Festivaletteratura il desiderio di confronto.
Sono nell'ordine di diverse migliaia le visite on line -spesso protratte nel tempo, per una consultazione accurata - al portale della Manifestazione. E, anche in questo caso, i numeri sono solo l'indice di una partecipazione che, anche quest'anno, si è diretta all'ascolto di scrittori poco noti, per la prima volta di passaggio in Italia grazie al Festival.
Che tornerà l'anno prossimo dal 5 al 9 settembre 2012 ancora contraddistinto da quella vocazione per la tradizione letteraria, da quella passione civile per il dialogo e la lettura che caratterizzano la manifestazione fin dalle sue origini.


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pilpul
11 settembre - Chi ha vinto
Visto da New York, sul terreno e attraverso i media, l'anniversario dell'11 settembre ricorda da vicino la commemorazione di Yom Hashoah in Israele. Scorrono sugli schermi le immagini e i nomi delle vittime, persone ricordano i loro cari, testimoni rievocano i loro ricordi, i politici dicono cose edificanti sul luogo del nuovo memoriale. Il messaggio predominante: oggi siamo più forti. Qualche acuto analista dirà certo che gli americani strumentalizzano quello che loro chiamano 9/11 per giustificare le loro proprie azioni. Ma proviamo a chiederci che cosa è cambiato in questi dieci anni dalla spettacolare distruzione delle torri gemelle del World Trade Center – uno dei simboli della società capitalista occidentale. Non è solo l'immagine, è l'intera posizione globale degli Stati Uniti che è stata ferita e indebolita strategicamente. La reazione militare (emotiva) in Irak e (più razionale) in Afghanistan ha sortito risultati parziali e poco decisivi, mentre il fondamentalismo e il terrorismo di ispirazione islamica sembrano più vivi che mai. I forti costi militari hanno appesantito l'economia americana che sta oggi lontanissimo dalla prosperità dove si trovava, per fare un confronto, dieci anni dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor. L'aggiunta decisiva di inauditi errori di teoria e di gestione economica ha indebolito enormemente la posizione egemone della potenza americana, la cui persistente debolezza ha a sua volta trascinato nel gorgo l'economia europea. Se Osama Ben Laden intendeva infliggere un colpo mortale all'America satanica e all'occidente cristiano, lassú nei cieli, o laggiú negli inferi, si sta certo strofinando le mani. È lui il vero vincitore dell'11 settembre.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

Un errore della redazione e il patrimonio del civile confronto
Per un grave errore avvenuto in redazione il testo del professor Ugo Volli apparso nell'edizione di ieri del notiziario quotidiano è stato pubblicato in una forma che ne distorce sensibilmente la comprensione. L'articolo, infatti, è stato corredato da un titolo che non faceva riferimento al testo in questione, ma a tutto altro intervento e a tutto altro tema, e in questo modo la combinazione dei due elementi finiva per distorcere la possibilità di comprensione del lettore.
Ce ne scusiamo con l'autore, che ha giustamente e vivacemente protestato, anche perché il suo testo, come talvolta avviene, conteneva una vivace carica polemica nei confronti di un precedente scritto firmato da Tobia Zevi, un altro stimato collaboratore. “Al di là di ogni evidente e del tutto legittima differenza di vedute, Zevi – ha tenuto a specificare Volli – è un interlocutore stimato e considerato rappresentativo e significativo. Le mie critiche, talvolta molto accese, vorrei fossero sempre intese come un leale contributo al confronto, non hanno certo bisogno di ulteriori elementi aggiuntivi, come un titolo fuori posto, che rischiano di distorcerne il contenuto”.
Ovviamente non possiamo che sottoscrivere e rinnovare le nostre scuse per la svista. Anche perché preservare in una stagione tanto difficile il valore del civile confronto fra idee talvolta radicalmente diverse è proprio il principio ispiratore che tiene assieme i collaboratori della redazione. Molte voci autorevoli, un immenso patrimonio di diversità di opinioni e di comportamenti sulla scia della tradizione di tolleranza, pluralismo e civile confronto che ha da sempre segnato le vicende dell'ebraismo italiano. Resto convinto che tutti, su queste pagine, vogliamo preservarne assieme il valore. gv

Qui Tripoli - L'11 settembre di un “Udai Agraulì”
david gerbi11 settembre. Sono appena arrivato al mio albergo di Tripoli. Dall’entrata riesco a vedere la cupola della Sinagoga Sla Dar Bishi. Mi sento felice che ancora esista nonostante i bombardamenti. Dalla finestra osservo sia il bellissimo tramonto sul lungomare che le case della Hara Zerera e della Hara Kebira che circondano i vecchi quartieri ebraici ormai deserti da quarantaquattro anni. Prima di arrivare in albergo sono passato davanti alla ex Piazza verde ora rinominata Piazza dei martiri. Non è più invasa dalle immagini di Gheddafi (come l'ho vista nel 2002 e nel 2007) ma di tante bandiere libiche.
Al Mahari incontro un amico berbero Amazigh del Jebel Nefusa, un rappresentante del TNC dei libici. Parliamo dei futuri rapporti tra ebrei libici e berberi libici, di democrazia e in particolare del rispetto delle minoranze etniche e religiose nella nuova Libia. All’ingresso mi è venuto da sorridere quando ho visto che il grande tappeto con il volto del dittatore è stato trasformato in uno zerbino. I ribelli ci si fermano volentieri sopra e gli ospiti dell’albergo, sia per entrare che per uscire devono calpestarlo.
I ricordi affiorano, le emozioni si moltiplicano, ma le ferite non fanno più così male. Dopo i lunghi quarantaquattro anni di crudeltà e di tirannia la mia dignità è stata finalmente recuperata perché anche se sono l’unico ebreo ribelle in Libia non ho più paura delle minacce di ritorsione. La ferita invisibile che si manifestava con la paura è finalmente svanita e mi sento libero. Significa molto per me essere protagonista attivo di questo momento storico in Libia.
Nel 2007 dopo essere stato invitato dal governo sono stato maltrattato da trenta agenti e cacciato a Malta.
Il dolore e l’umiliazione di quella cacciata e la rabbia di quell’ingiustizia non l’ho mandata giù.
Da febbraio 2011, dall’inizio della rivoluzione mi sono schierato con l’opposizione. Da psicanalista ho lavorato a maggio 2011 all’ospedale psichiatrico di Bengazi per curare la gente traumatizzata dalla guerra. Da giugno 2011 come rappresentante dell’organizzazione mondiale degli ebrei di Libia che ha sede centrale in Israele sono impegnato a costruire un ponte tra i libici Amazigh e gli ebrei libici. Loro amano e rispettano gli ebrei di Libia e ne conservano un ottimo ricordo e sono ben disposti a ricostruire i rapporti con tutti gli ebrei di origine libica. Sto facendo la mia parte e non mi sento più un ebreo passivo e vittima, ma un “Udai Agraulì” - un ebreo rivoluzionario come mi chiamano gli Amazigh con i quali ho vissuto per settimane momenti indimenticabili di vera amicizia e di rispetto . Troppi anni di sottomissione e paura di ritorsione fanno male alla salute. Ora respiro meglio e mi sento liberato dal grande macigno della paura. È davvero bello respirare il vento della libertà e della speranza.

David Gerbi

Sull’indifferenza
Donatella Di CesareVedere sullo schermo le torri crollare, vederlo parecchie volte, e continuare, quasi noncuranti, i propri pensieri, le proprie attività. Sarà capitato a molti. Si riesce a prendere parte razionalmente. Ma ciò che diventa smisurato inceppa il sentire. Il mostruoso, nella sua eccessiva grandezza, ci lascia indifferenti. È questa impossibilità di immaginare il dolore, lo strazio di chi muore all’interno di un numero troppo grande per noi, che rende analfabeti emotivi. La morte di un essere umano riempie di orrore, quella di dieci suscita ancora sgomento, ma varcata una certa quantità, il mostruoso ha via libera. L’inadeguatezza dell’immaginare e del sentire è la fonte dell’indifferenza.
In questo senso Auschwitz non è stato un interregno. Sei milioni resta una cifra, un testo quasi indecifrabile. Da quando, dopo Auschwitz, si è prodotto, per l’enormità del crimine, il fallimento dell’immaginare e del sentire, il nostro tempo è diventato il tempo non solo dell’irruzione del mostruoso, ma della sua possibile ripetizione.

Donatella Di Cesare, filosofa

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notizie flash   rassegna stampa
Scenari e strategie per i centri comunitari
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È in corso di svolgimento al centro ebraico il Pitigliani il think tank della Confederazione mondiale dei centri comunitari ebraici. Linea guida dell'iniziativa, ispirata al concetto di “Un popolo ebraico”, la discussione e la deliberazione sul prossimo piano strategico quinquennale che interesserà gli oltre mille centri aderenti alla Confederazione. Inaugurati ieri alla presenza di molti ospiti del mondo della cultura e delle istituzioni (nella foto il consigliere Ucei Vittorio Pavoncello, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e il sindaco della Capitale Gianni Alemanno), i lavori si concluderanno nella giornata di domani.
 
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