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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Quando
la pirateria infestava i traffici del Mediterraneo, con rapimenti e
richieste di riscatti, le grandi comunità ebraiche che vivevano di
commerci marittimi, come Venezia e Livorno, si erano organizzate
tassando tutte le merci in entrata nei porti a favore di un fondo
destinato al riscatto dei prigionieri. il "pidion shevuim",
precetto tradizionale e prioritario che veniva assolto con una sorta di
assicurazione obbligatoria e collettiva. Il prezzo che si pagava era in
denaro contante e la regola codificata (SH. 'Ar. Y. D. 252) prescriveva
(e ancora prescrive) che non dovesse mai essere eccessivo, per non fare
saltare gli equilibri precari di un meccanismo che benché perverso,
aveva le sue regole. Per non abituare il nemico, chiunque esso fosse,
ad alzare la posta del gioco, uno dei più grandi maestri del medioevo
ashkenazita, Meir ben Baruch di Rothenburg, quando fu sequestrato dal
re Rodolfo (nel 1286), preferì morire in prigionia piuttosto che cedere
alla domanda di riscatto. Da qualche anno le regole del gioco sono
saltate e la libertà tanto desiderata di un soldato israeliano, Ghilad
Shalit, che si spera torni a casa entro domani, è pagata con la
liberazione di più di mille detenuti palestinesi, molti dei quali con
le mani letteralmente sporche di sangue versato. Dilemma terribile per
chi deve decidere e per le famiglie del rapito e delle vittime e non
possiamo giudicarli non vivendo il loro dramma. In questi giorni di
Sukkot, festa delle capanne, preghiamo, usando le parole del profeta
Amos (9:11), per il sostegno della "capanna di David che cade"; in
ebraico nofèlet, al presente, "cadente", non caduta. La nostra Sukkà è
da sempre traballante. Lo era il 16 ottobre del 1943, ricordato ieri,
che allora fu di Sabato, terzo giorno di Sukkot; preceduto da giorni di
lavoro febbrile delle SS a preparare le liste di migliaia di innocenti
da prelevare casa per casa e da deportare e uccidere. In questi giorni
alla rovescia il governo d'Israele ha preparato le liste di un migliaio
di persone non innocenti da liberare. Davvero un mondo traballante.
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Anna
Foa,
storica
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Quanto scriveva ieri Bidussa,
collegando il problema della memoria, nella ricorrenza del 16 ottobre,
non soltanto a quello dell'impegno civile, ma anche a quello della
conoscenza e della sua trasmissione, tocca in me tasti dolenti da ormai
molto tempo. Insegnando storia in una facoltà di Lettere, mi sono resa
contro con sempre maggior chiarezza del precipitare del livello
culturale dei miei studenti, che ha raggiunto negli ultimi anni livelli
paurosi. Questo implica, evidentemente, un giudizio negativo non solo
sull'organizzazione, il funzionamento, i curricula della scuola
superiore, ma anche sul livello di chi insegna, di chi trasmette
conoscenza e sapere. Non è naturalmente un discorso generale, sono
convinta che esistano insegnanti validissimi e appassionati, ma perché
sono così pochi da non riuscire a frenare questo processo di degrado? I
fattori sono tanti, certo. Ma una cosa che colpisce è che nessuno si
vergogni più della sua ignoranza: né il nostro presidente del consiglio
quando colloca l'assassinio di Matteotti e l'Aventino nel 1929,
confondendolo con la crisi economica, né il dottorando, già vincitore
di dottorato, che ti fa leggere il suo progetto di ricerca sul sionismo
confondendo "israeliano" e "israelita". Non si vergognano per una
ragione molto semplice: perché nella nostra società la
cultura ha smesso di essere un valore. E' successo altre volte, in
altre società e in momenti di cambiamento, ma non ha mai portato nulla
di buono. Per quanto mi riguarda, ce la sto mettendo tutta, nel breve
periodo di insegnamento che ancora mi resta, a cercare di suscitare nei
miei studenti almeno un filo di interesse, di passione, perché solo da
lì può partire il desiderio di capire, di imparare, di leggere. Solo
questo, ne sono convinta, può far scattare la scintilla in grado
di riattizzare il fuoco. Ma non posso fare a meno di sentirmi
una sopravvissuta. Scusate il pessimismo, anticamera della rinuncia.
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È stato presentato questa
mattina a Palazzo Montecitorio il documento conclusivo
sull’antisemitismo appena approvato all’unanimità dal Comitato
parlamentare di Indagine Conoscitiva presieduto dalla vicepresidente
della Commissione Affari Esteri della Camera Fiamma Nirenstein. Alla
presenza tra gli altri del sottosegretario alla presidenza del
Consiglio Gianni Letta e di autorevoli rappresentanti del mondo
istituzionale, della Chiesa e della società civile – letti inoltre in
apertura i messaggi del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
del presidente della Camera Gianfranco Fini e del ministro degli Esteri
Franco Frattini – sono stati illustrati i punti salienti di questo
prezioso documento, articolato nelle molte declinazioni più o meno
manifeste del fenomeno dell’antisemitismo, che lancia più di un
campanello di allarme sul livello di tolleranza e apertura della
società italiana. C’è un numero in particolare che fa riflettere: il 44
per cento degli italiani, stando a quanto riporta lo studio statistico
realizzato dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di
Milano, dichiara di non provare simpatia per gli ebrei. Analogo
sentimento per oltre un giovane italiano su cinque. Desta poi molta
preoccupazione, tra i vari aspetti censiti, la crescita esponenziale
del razzismo in rete con 8mila siti web nel mondo, di cui non pochi nel
nostro paese, impegnati quotidianamente nell’odio antiebraico e nella
diffusione del pregiudizio. Su questi e su molti altri punti di
criticità si è concentrata l’attività dei parlamentari del Comitato,
impegnati allo stesso tempo a individuare soluzioni per contrastare il
fenomeno. “I dati emersi sono allarmanti quanto innovativi” spiega
Fiamma Nirenstein auspicando, al pari degli altri relatori, che il
documento possa rappresentare un punto di riferimento per future
modalità di intervento pedagogico-sociali. Apprezzamento per la
conclusione della ricerca è stato tra gli altri espresso dal
vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De
Benedetti, dal presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma
Leone Paserman e dal semiologo Ugo Volli, firma autorevole e apprezzata
dei media UCEI che ha parlato di “iniziativa che onora il Parlamento”.
“Ringrazio a nome dell’ebraismo italiano il Comitato che ha lavorato
alacremente e affermo che noi siamo qui oggi per riconoscere il valore
di un’indagine che ricorda il passato guardando al futuro” ha detto
Claudia De Benedetti. Nel suo intervento la vicepresidente UCEI si è
inoltre soffermata sulla drammatica vicenda di Stefano Gay Taché,
giovanissima vittima romana dell’odio, ed ha chiuso con le seguenti
parole: “Grazie per essere venuti qui oggi a riflettere e ricordare. Ma
soprattutto grazie per ciò che farete affinché i tanti spunti che ci
vengono offerti non siano inascoltati”.
a.s
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Qui Roma - Gattegna: "Vigilanza contro ogni discriminazione"
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In
occasione della marcia silenziosa organizzata a Roma dalla Comunità di
Sant'Egidio in ricordo del rastrellamento nazista degli ebrei
capitolini in data 16 ottobre 1943, il presidente dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha pronunciato il seguente
intervento:
Tante volte abbiamo detto e ci siamo
detti che ci salva una vita salva il mondo intero. Abbiamo usato questa
frase in positivo per esaltare il valore incommensurabile dell'opera
dei Giusti, dei Giusti tra le Nazioni, di coloro che rischiarono la
propria vita per salvare quella degli altri. È stato un
comportamento di altissimo valore umano e civile di cui sono state
protagoniste persone di diverse cittadinanze, religioni e opinioni
politiche. Ma se è vero che ci salva una vita salva un mondo, purtroppo
è anche vero che chi sopprime una vita sopprime un mondo intero e
allora la nostra mente si smarrisce quando considera che milioni di
mondi sono stati annientati quando i regimi nazista e fascista
rivelarono in pieno la mostruosità del loro volto. Coloro che ebbero il
coraggio di opporsi alle dittature furono eroi che tennero acceso un
barlume di speranza quando il mondo, e soprattutto l'Europa, erano
precipitati in un baratro di barbarie e terrore. Le loro furono
imprese eroiche e disperate perché attuate quando la situazione era già
precipitata ed era ormai tardi per evitare l'immenso sterminio. Il
nazismo e il fascismo, alleati tra loro, basati su ideologie razziste
che predicavano e diffondevano il principio della superiorità dell'uomo
sull'uomo portata alle estreme conseguenze, erano già riusciti a
disumanizzare totalmente i loro uomini, trasformandoli in macchine di
morte che hanno esercitato con spietata crudeltà un “diritto”, o meglio
un presunto diritto, che non avevano e che si erano arrogati, quello di
vita o di morte verso chiunque. Anche i crimini più efferati furono
commessi come se si fosse trattato dell'esercizio di un “diritto”, che
in definitiva sarebbe stato quello di eliminare altri uomini, senza
pietà ed infliggendogli il massimo di dolore, di umiliazione, di
disperazione. Quando le stesse leggi dello Stato contengono
principi criminogeni e viene annullato il confine tra lecito e
illecito, tra il diritto e il crimine, è già troppo tardi perché non
c'è più difesa, sono già venute meno le condizioni minime
indispensabili per la convivenza umana e si cade nell'arbitrio
assoluto. La nostra aspirazione è quella di vivere in società nelle
quali non possa mai accadere che i crimini commessi o ordinati dai
governanti vengano considerati comportamenti legittimi e in paesi che
non si propongono di compiere epiche imprese, che sempre nascondono
folli e megalomani sogni di conquista. Sono ormai 18 anni che
ogni 16 ottobre ci ritroviamo qui e con il trascorrere del tempo
diventa sempre più chiaro che noi conserviamo la sacra e incancellabile
memoria di milioni di vittime inermi e innocenti. Ma allo stesso tempo
è sempre più chiaro che non siamo qui solo per commemorare fatti del
passato. Noi siamo qui anche e soprattutto per preparare il futuro, per
rinsaldare e dare continuità alla nostra alleanza, per rinnovare il
patto che ci unisce, al di là e al di sopra delle differenze, affinché
nel mondo si affermino società libere, democratiche, pacifiche e
rispettose dei diritti fondamentali. Quando questi diritti vengono
violati, in qualsiasi parte del mondo e nei confronti di chiunque, ogni
sottovalutazione, ogni indulgenza, ogni distrazione, ogni silenzio
diventa complicità. Ogni cedimento prepara il successivo e così di
seguito, e quando ci si rende conto del pericolo è già troppo tardi, La
lezione da non dimenticare rimane sempre quella che è necessario
coltivare la memoria e vigilare attentamente per individuare e colpire
i semi dell'odio e del pregiudizio con tempestività, per non permettere
che questi possano crescere e consolidarsi. Concludo con un
commosso omaggio alla memoria di due persone speciali scomparse
quest'anno: Romeo Salmonì z.l e Ida Marcheria z.l. Per
sintetizzare il senso della loro vita dopo il ritorno da Auschwitz non
servono molte parole. È sufficiente ripetere il titolo del libro
pubblicato da Salmonì nello scorso mese di gennaio, “Ho sconfitto
Hitler”, di cui possiedo una copia che gli mi ha donato con una bella
dedica che conservo gelosamente. Un titolo che contiene una verità
storica e un monito di natura politica di come ci dovremo comportare
nei confronti di tutti i dittatori presenti e futuri.
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Qui Catania - Someck e Maoz, fratelli in arte
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La
poesia di Ronny Someck e i virtuosismi di Eyal Maoz. Questi due grandi
nomi del panorama artistico israeliano si incontreranno questa sera a
Catania per dar vita ad uno spettacolo unico. Dall’unione delle parole
di Someck, considerato uno dei maggiori poeti israeliani in attività,
con le note del chitarrista e compositore Maoz, nasce infatti “Israele:
musica e poesia del nostro tempo”, esibizione, promossa dall’ufficio
cultura dell’Ambasciata di Israele a Roma, che andrà in scena questa
sera al Centro Zo di Catania. “E’ la terza volta che vengo a Catania ed
è sempre affascinante - ci racconta Someck in una breve intervista – Mi
sono trovato subito con Eyal, direi che siamo diventati fratelli in
arte e anche con la band riusciamo a lavorare molte bene”. Sul rapporto
tra musica e poesia, che spesso si accompagna nei suoi lavori, Someck
utilizza un breve racconto come metafora. “I protagonisti sono un gatto
e un topolino: una volta un topolino, cercando di scappare da un
gigantesco gatto, si infilò in un buco nel muro. Pensò di rimanere
rintanato fino a che il gatto non se ne fosse andato. A un certo punto
il topolino sentì l’ululato di un cane e pensò di essere salvo. Uscì
dalla tana ma si trovò di fronte il gatto. ‘Prima di mangiarmi,
spiegami perché ho sentito un cane ululare’, chiese il topolino. ‘Caro
topolino’ disse il gatto ‘oggigiorno nessuno può sopravvivere senza
sapere almeno due lingue’. Ecco io come il gatto – conclude Someck –
non posso fare a meno di intrecciare queste due lingue meravigliose che
sono la musica e la poesia”. Particolare menzione, inoltre, Someck la
dedica a Sarah Kaminski, che introdurrà la serata di oggi, e Maria
Teresa Milano, traduttrici in italiano dei suoi lavori. “Non sono
soltanto io a dirlo – afferma il poeta – ma parlando con la band sono
rimasti stupiti della bellezza della traduzione e mi hanno confessato
che le poesie sembrano scritte da un autore italiano”. Dopo il
successo come ospite all’ultimo Festival Internazionale di Letteratura
Ebraica di Roma, Someck si presenta dunque nuovamente al pubblico
italiano. Nato a Baghdad nel 1951, il celebre poeta si è affermato
negli anni, diventando esponente di spicco della poesia israeliana. Ha
pubblicato nove antologie di poesia e un libro per bambini. In Italia è
stata tradotta la sua opera “Il bambino balbuziente” per i tipi di
Mesogea. Tra i tanti premi che gli sono stati conferiti, ricordiamo il
prestigioso Yehudah Amichai nel 2006. Ad accompagnare Someck in
questo viaggio tra note e parole sarà il citato chitarrista Eyal Maoz.
Nato a Haifa ma newyorkese d’adozione, Maoz si è esibito al Montreal
Jazz Festival, al Winter JazzFest e al Brooklyn Academy Of Music
Festival di New York City. La sua musica unisce mondi diversi quello
Medio Orientale, quello classico, il jazz e l’avant-garde. Assieme
a Someck e Maoz, il pubblico catanese vedrà esibirsi anche i musicisti
della Pocket Poetry Orchestra (Giovanni Arena contrabbasso, Marina
Borgo marimba, Riccardo Gerbino tabla e percussioni).
d.r. |
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Tende e sukkòt |
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Fragile riparo, costruito da
frasche e rami, la sukkà è come una tenda, un’abitazione precaria e
temporanea. Si potrebbe dire allora che mai sia stata attuale come
quest’anno in cui le tende degli «indignati», che campeggiano in
Israele, e nelle città di mezzo mondo, sono il simbolo di una giusta
protesta contro una precarietà subita.
Ma tra la sukkà e la tenda c’è una differenza che non deve sfuggire. La
tenda, fatta di tessuto, è più simile all’abitazione; è chiusa e
insieme anche angusta. Dopo un po’ è inevitabile rimpiangere la vecchia
casa o, per chi non ce l’ha, desiderarne una normale. Al contrario la
sukkà è aperta, invita all’incontro, all’ospitalità. E per di più nella
sukkà, che è separata dalla terra, si deve poter vedere il cielo in
alto. Riparo e apertura, è il luogo da cui guardare in una nuova,
inconsueta prospettiva la propria vita, il mondo, gli altri, per
scoprire come la rinuncia di agi, comodità e oggetti, possa talvolta
mutarsi in una nuova libertà.
Donatella
Di Cesare, filosofa
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Il ritorno dei marrani |
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Il
primo giorno di Sukkot,
ho avuto il piacere di fare la mizva di Ushpizin con un ospite
particolare: una giovane ragazza spagnola che vive a Yerushalaim e a
breve farà il suo ghiur o forse più correttamente un ghiur humrà. Tina
questo il suo nome, discende da una famiglia di marrani, io e la mia
famiglia siamo stati affascinati a ascoltare i racconti riguardo le
usanze dei marrani in Spagna e di come per oltre cinque secoli abbiano
tenuto accesa la fiamma dell’ebraismo nonostante il contesto ostile.
Sempre più spesso, sulla stampa ebraica si parla del fenomeno delle
comunità marrane presenti nel sud d’Italia, l’UCEI ha recentemente
incaricato rav Gadi Piperno responsabile per le attività nel meridione.
Devo ammettere di non aver capito l’importanza di ciò che sta
succedendo, ho visto questo fenomeno con gli occhi disinteressati con
cui guardo alle manifestazioni culturali in cui si racconta di quanto
bella era la comunità ebraica di Roccacannuccia, di quanti ebrei
abitavano nel piccolo comune, e di come ora facciamo una bella
manifestazione culturale nel luogo in cui cento anni fa c’era una
sinagoga … Sostanzialmente quanto sono belli gli ebrei che c’erano e
oggi non ci sono più! Ma il caso delle comunità marrane è ben
diverso, mia moglie ha chiesto a Tina per quale motivo stia facendo
tutto ciò e la risposta è stata splendida: per me l’ebraismo non è un
fatto culturale, è un fatto religioso; a Tina non basta sapere cosa
faceva suo nonno, a lei interessa vivere la Torà e Mizvot ora e per se
stessa, per avere una famiglia ebraica che guardi al futuro e non al
passato.
Le sue sagge parole mi sono sembrate un ottimo programma per l’UCEI,
nel meridione non vi sono ex comunità, non vi sono luoghi abbandonati
in cui fare sterili manifestazioni per incontrare i politici locali, il
meridione non deve diventare l’ennesimo luogo in cui mettere la
bandierina della ex presenza ebraica; nel meridione vi sono nostri
fratelli a cui la violenza della storia ha impedito di poter vivere il
proprio ebraismo, occupiamoci di queste persone che sono vive e
chiedono di poter tornare all’interno del popolo ebraico, offriamo loro
mezzi e persone – a Rav Gadi Piperno auguro brachà ve hazlahà –
affinché come da sempre e per sempre l’antisemitismo di chi ci vuole
morti nel corpo e nell’anima venga sconfitto dall’avat Israel, ognuno
di noi deve sentire che all’ebraismo italiano manca la grande Comunità
di quegli ebrei a cui temporaneamente è stato impedito di essere tali.
Quando ero bambino, a scuola ci insegnavano che con l’arrivo del
Mashiach sarebbero tornate le dieci tribù disperse, io immaginavo
segrete comunità che in isole sperdute dell’Oceano Pacifico,
praticassero le mizvot … La realtà è molto più vicina a noi, speriamo
che presto ricostruiremo la Sukka di David che sta cadendo, insieme a
nostri fratelli a cui potremo dire dal profondo del cuore, bentornati
in famiglia dopo cinque secoli di assenza.
Michele
Steindler
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notizie
flash |
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rassegna
stampa |
Qui Roma - I dipendenti comunali ebrei dalle leggi razziste alla Shoah
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Leggi la rassegna |
Presentato questa mattina in
Campidoglio il progetto “Memorie in comune – I dipendenti comunali
ebrei dalle leggi razziali alla Shoah”. L’evento è stata l’occasione per presentare un volume e un
documentario legati alla storia dei dipendenti comunali ebrei,
licenziati a causa delle leggi razziste del 1938. Il lavoro è stato
realizzato dall’Associazione Mitintaly e dal Circolo Gianni Bosio.
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è
il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo
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