Martha
Stewart, splendida neosettantenne, riuscirà a riempire Israele di
piatti raffinati, tacchini ripieni, tavole perfettamente apparecchiate
e piccoli giardini all'italiana? Proprio lei, l’amatissimo volto del
Martha Stewart living, è infatti la prescelta che inizierà il progetto
promosso dal ministero del Turismo capitanato da Stas Misezhnikov. Il
programma è ancora top secret, ma il nome della star della tv americana
ha fatto il giro del mondo. Per non sfigurare a un evento così
glitterato è più che necessario ricostruire alcune tappe della
mogliettina d'America. Martha trascorre una placida infanzia nella
ridente Nutley, in New Jersey, con i suoi numerosi fratelli. Dalla
mamma apprende i segreti della cucina e il padre, venditore di prodotti
farmaceutici e appassionato giardiniere, la introduce nel piccolo regno
verde della sua abitazione a soli tre anni. Una atmosfera bucolica che
segna il primo passo verso la realizzazione del tanto sospirato sogno
americano. Per pagarsi gli studi in Storia e Storia dell'architettura
trova un impiego come modella, ancora ignara dello scintillante futuro
che incombe. Tutto inizia con una ditta di catering, un’ascesa
inarrestabile che la porterà a scrivere per giornali di living e
cucina, pubblicare libri e che giunge all'apice nel 1993 con il suo
show. E da quel momento Martha non sarà più l'esile biondina del New
Jersey, sarà la Stewart, un brand, una icona, il punto di riferimento
di milioni di donne, l'insegnante di bon ton, la nuora che tutte
vorrebbero e la suocera dalla quale scappare. Una trasmissione, la sua,
che lancia un messaggio: tutte possono essere me. Non importa l'etnia,
non importa la classe sociale, non importa che tu sia preppy,
democratica o repubblicana, non importa se single o ammogliata, se
realizzata o in fase di recupero, io, Martha Stewart, farò di te una
abile cuoca, una impeccabile padrona di casa, una fantastica
giardiniera e una affascinante regina del bricolage. E si sa, quando il
candido sogno comincia ad aleggiare sopra la testa, il business non
tarda a farsi avanti. Ecco quindi in vendita la fornitissima linea
firmata di set per tinteggiare e arredi tra i più disparati che,
ovviamente, presentano un ampio range di prezzi per non essere
incoerenti con il messaggio riportato sopra. Per chi vuole ottimizzare
e sfruttare al massimo senza compromettere il portafoglio, già in
precario equilibrio preda delle intemperie economiche, c'è il sito:
ricco di ricette e piccoli segreti, che farà diventare il terrazzino il
giardino Versailles e farà innamorare giovani rampanti a suon di
cocktail. Il magico mondo di Martha Stewart non può non includere anche
consigli speciali per le festività ebraiche, in particolar modo Pesach
e Chanukkah oramai assorbite dalla cultura e dal mercato americano.
Allora ecco ricette personalizzate delle sufganioth, ecco come
presentare il piatto del seder non perdendo di vista il bon ton, ecco
come confezionare bustine-regalo con brillantini incollati a formare la
stella di David. Per chi si vuole dilettare in prove più complesse ci
sono i marshmellow a forma di sevivon e la casa, che solitamente si fa
con il pan di zenzero, costruita con le matzot. Ma come in ogni
sceneggiatura cinematografica che si rispetti, quando la protagonista
sembra essere giunta alle vette massime, accettata dal gotha dell'upper
class e adulata dalle casalinghe del South Carolina, arriva il colpo di
scena, la notizia da gettare in pasto ai vari tabloid patinati: Martha
Stewart viene processata con l'accusa di insider trading. La simpatica
signora avrebbe infatti utilizzato informazioni riservate vendendo 3
mila 928 azioni della ImClone Systems. Il processo che la vede
implicata dal 2002 al 2005 fa salire i capi di accusa come un soufflé
ben riuscito: complotto, falsa testimonianza e intralcio alla
giustizia. Ma la Stewart non si perde d'animo e sopratutto non
abbandona la sua gente: compra una pagina di USA Today per professarsi
innocente. La pena che partiva da un massimo di vent’anni è poi scesa a
cinque mesi di reclusione e altrettanti di arresti domiciliari. Come
farsi sfuggire una occasione tanto ghiotta? I fotografi immortalano il
ritorno a casa: una Stewart con l'immancabile sorriso e sopratutto
indossando un poncho fatto da una compagna di prigione, poi diventato
un feticcio. Sembrava che il suo impero fosse in caduta libera e invece
come una araba fenice Martha è risorta dalle sue ceneri, conquistando
una nuova fetta di ammiratori. Già, perché dopo il compiacersi iniziale
di chi vede Miss perfezione rovinare miseramente a terra, parte una
solidarietà tipica degli esseri umani. Il sorriso ironico comincia ad
avere un sapore amaro e ci si ritrova a voler disperatamente
abbracciarla e dirle che tutto passerà e che ne uscirà più bionda e
smagliante di prima. "Tornare è bellissimo, mi siete mancati, come
potete immaginare. Ho pensato a voi ogni singolo giorno," con queste
parole la regina torna nel suo regno: la casa. Non mancano poi
personaggi celebri che vogliono emulare la casalinga più famosa e non
troppo disperata d'America: l'attrice premio Oscar Gwyneth Paltrow ha
aperto un sito (http://goop.com/), che ha suscitato l'ilarità di molti,
diviso per sezioni: Make, Go, Get, Do, See, Be, che la vede in prima
persona a impastare (molte ricette sono kasher) e a creare simpatici
oggetti. E per la serie piccole Stewart crescono, due stelle nascenti
hanno appena vinto un Emmy, ambito premio televisivo: Giada De
Laurentiis, chef dal fascino tutto italiano e Ina Garten, giunta al
successo proprio grazie a una rubrica sul Martha Stewart living. La
Stewart icona della self-made woman, forte nonostante il divorzio dopo
trenta anni di unione, nonostante le grane giudiziarie, nonostante il
maschilismo, le invidie, i mormorii nei corridoi, nonostante l'America
progressista e la vecchia America puritana e conservatrice. Cosa c'è
dunque di meglio che essere pronta per una nuova sfida? Esportare il
culto dell'ospite, le raffinatezze culinarie e il segreto del bouquet
da sposa perfetto in Israele. Riuscirà a soppiantare hummus e falafel
con piccoli bon bon dai colori pastello? Riuscirà a far sorridere i
temuti bagnini delle spiagge di Tel Aviv consigliando loro un tono più
pacato? O la ritroveremo invece perfettamente integrata mentre
canticchia una vecchia hit di Ofra Haza e sgranocchia bamba?
Rachel Silvera, Pagine Ebraiche, ottobre 2011
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Davar acher - Rabbini |
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E'
uscito di recente un libro breve ma molto interessante di Gadi Luzzatto
Voghera dedicato alla storia della figura dei Rabbini (Laterza, pp.
131, € 12). Mi piace segnalarlo per indicare ancora una volta che
esiste una cultura ebraica viva che fa ricerca e pensiero intorno alla
vita del nostro popolo, e non si limita a esporre le cose belle del
passato o a rievocarle sentimentalmente. Ma anche perché questa piccola
storia del rabbinato si può utilmente mettere in relazione al dibattito
che si è aperto di recente proprio su questo sito sul ruolo dei rabbini
nell'ebraismo italiano contemporaneo, in seguito a due interventi di
Rav Riccardo di Segni, il suo discorso di Rosh Hashanà e il suo
intervento di qualche mese fa che confrontava le diverse popolarità fra
i giovani del mestiere del giornalista e di quello del rabbino. Il
libro di Luzzatto Voghera è opera di storia e mette quindi in evidenza
per dovere istituzionale i cambiamenti, più che le continuità. Ma
mostra in maniera molto convincente che la figura del rabbino è
cambiata nel corso dei secoli ancor più di quanto abbia fatto
l'ebraismo in generale; anzi che non vi è affatto continuità semplice
fra il rabbinato attuale e il modello ideale dei maestri del Talmud;
che per esempio vi sono state epoche storiche abbastanza lunghe
dell'ebraismo, per esempio il Medioevo, in cui non era presente una
figura professionale come la intendiamo noi oggi e neppure il nome Rav
– anche se vi erano sapienti, esperti di Torah e di halakhà. Mostra
soprattutto che la grande discontinuità dell'emancipazione rinnova
profondamente il ruolo dei rabbini, che passano dal ruolo primario di
giudici e maestri di Torah a quello di "custodi della tradizione" e
suoi rappresentanti, avvicinandosi inevitabilmente ai modelli sociali
dei preti cattolici e dei pastori protestanti, a seconda del paese e
del filone di ebraismo. Questa evoluzione è avvenuta malgrado la
convinzione e la volontà dei rabbini, io credo, che avrebbero sempre
preferito studiare e formare altri studiosi, prendere decisioni
halakhiche piuttosto che fare i "parroci" e limitarsi a condurre il
culto e a fare i consiglieri spirituali. Ma è dovuta all'assimilazione
e alla progressiva perdita di competenza ebraica diffusa fra gli ebrei
del mondo occidentale, che richiede oggi un ruolo di custodia, di
attrazione, di rappresentanza e perfino di "propaganda" - qualcuno
ricorderà che questa parola viene dal dipartimento vaticano "de
propaganda fide": noi non siamo da duemila anni una religione che miri
a "propagarsi", ma abbiamo il problema di ritornare nelle menti dei
"lontani" per farli a loro volta tornare. Insomma, il ruolo dei
rabbini si è omologato, esaltato e insieme un po' isterilito in
concomitanza con la trasformazione dell'ebraismo occidentale da popolo
attaccato e competente sulle sue tradizioni a semplice religione da
ricordare solo nelle circostanze principali del ciclo della vita e
magari nelle maggiori feste. La delega ai rabbini della liturgia, che
invece nella tradizione ebraica dopo la distruzione del Tempio è
attribuita alla comunità e alla famiglia, è conseguenza e non causa del
distacco dal sapere ebraico e dell'impoverimento culturale delle
comunità. Con il che torniamo al problema centrale dell'ebraismo
contemporaneo, quello della formazione culturale, della capacità di far
vedere di nuovo la tradizione non come insieme di formule inerti e poco
interessanti, ma come un tesoro straordinario di pensiero e un modello
di vita pieno e ricco, capace di confrontarsi con la modernità.
Ugo
Volli
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Sorgente di vita - Il rilascio
di Shalit e la storia di Amnon Weinstein |
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L’apertura della puntata di Sorgente di vita questa sera è dedicata
alla liberazione di Gilad Shalit, prigioniero per cinque anni di Hamas
a Gaza e rilasciato in cambio di 1027 palestinesi detenuti nelle
carceri israeliane: le prime immagini, l’incontro con i familiari e il
ritorno a casa. (...)
p.d.s.
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