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27 ottobre 2011 - 29 Tishri  5772
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l'Unione informa
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elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 
Nòach deve costruire personalmente l'arca che salverà il mondo; i Maestri sostengono che ci mise nientemeno che centoventi anni. Possiamo chiederci perché Ha-Qadòsh Barùkh Hu non gliel'abbia fatta trovare pronta, come il montone di Avraham e le Tavole della Legge. Il Midràsh risponde che in tutto quel tempo Nòach ha anche cercato di convincere la gente a cambiare comportamento, in modo da evitare il diluvio. Ma c'è anche un altro motivo: è l'essere umano che deve fabbricare la sua salvezza, agire per primo. Ciò vale anche oggi: se vogliamo che le nostre Comunità siano in grado di fornirci un Minyan, cerchiamo di essere noi fra i primi dieci; se vogliamo che i nostri figli non perdano il legame con l'Ebraismo, non demandiamo questo compito agli altri, ma manteniamo noi stessi questo legame nel quotidiano.

Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Quanti sono oggi gli ebrei negli Stati Uniti? Attorno a questa domanda si sono incontrati e confrontati questa settimana alla Brandeis University vicino a Boston una trentina di esperti in demografia e sociologia. Diverse le scuole in fatto di teoria e di metodo, e diversi quindi i risultati. La coerenza dei movimenti di popolazione – nascite e decessi, migrazioni in entrata e in uscita, e anch'esse in entrata e in uscita, le correnti identitarie – conduce a una stima poco oltre i 5.400.000. Altri propongono una stima maggiorata di un milione intravvedendo un certo movimento di ritorno dalle più lontane e dimenticate periferie di una possibile identità ebraica. La discussione si riassume nella scelta fra una comunità più piccola e più chiaramente consapevole della propria cultura e appartenenza ebraica, e una comunità nominalmente più grande, ma anche più dispersa, amorfa e assente. Il milione mancante forse non esiste, ma se esiste si tratta di capire come dargli senso e vita.

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davar
Lucca Comics - I segreti degli eroi e i segni dell'identità
Grande ritorno per Pagine Ebraiche a Lucca Comics & Games, tra i massimi appuntamenti internazionali dedicati all’illustrazione, al fumetto e al fantasy. Il giornale dell’ebraismo italiano sarà infatti protagonista domani nella giornata di apertura della rassegna con la presentazione, alle 11 alla Camera di Commercio, di un ampio dossier di approfondimento che il numero di novembre in distribuzione dedica all’identità ebraica e al mondo dei fumetti. Nove pagine ricche di spunti in cui si annuncia in anteprima il ritorno sulla scena, dopo anni di silenzio, di Vittorio Giardino, leggendario nome del fumetto d’autore italiano che a Lucca presenterà due lavori  – No Pasaran e L’Avventuriero prudente – in cui tornano alla ribalta eroi amatissimi come Max Fridman e Jonas Fink, personaggi paradigmatici attraverso le cui vicende è stato per molti possibile capire le storie e le vicissitudini degli ebrei d’Europa. Nel dossier anche due pagine sul Metamaus di Art Spiegelman, l’immensa enciclopedia di appunti e di materiali appena stampata negli Stati Uniti in cui l’autore che ha rivoluzionato il modo di raccontare la Memoria spiega i segreti e i risvolti di Maus, la trilogia che ha colpito il cuore di milioni di lettori. E poi ancora i segreti di Joann Sfar raccontati al collega italiano Giorgio Albertini, il ritratto fresco, spregiudicato e controverso dello Stato ebraico di Sarah Glidden nel suo Capire Israele in 60 giorni (e anche meno), Vanessa Davis e la vita dorata di una Jap-Jewish American Princess, un saggio di Ugo Volli dedicato a Joe Sacco e all’uso talvolta scorretto che viene fatto del talento per riscrivere la storia.
Alla presentazione del dossier Comics & Jews, che nella pagina di apertura pubblica una vignetta inedita di Vittorio Giardino raffigurante un giovane David Ben Gurion mentre stringe la mano all’agente segreto Max Fridman in una Tel Aviv ancora all’inizio della sua crescita urbana, parteciperanno tra gli altri proprio il grande artista bolognese e Sarah Glidden insieme alla redazione di Pagine Ebraiche, a quella del giornale ebraico per bambini Daf Daf e a molti amici. 

Una scuola per la nuova leadership
È un grande progetto, destinato a formare la nuova leadership e gli operatori comunitari dell’Italia ebraica, a dare il via alle attività del neonato Centro studi e formazione del dipartimento Educazione e Cultura (Dec). La struttura decentrata dell’UCEI che come da istanza dell’ultimo congresso da poco si è insediata a Milano, mette infatti in campo un articolato programma di incontri, seminari e approfondimenti che attraverserà il Paese. Obiettivo, costruire un network di professionali comunitari preparati e al passo con le sfide dei tempi: capaci di gestire e di vivere le Comunità secondo i modelli più aggiornati, di amministrare in modo adeguato la comunicazione con la società e di lavorare in costante contatto sia con i colleghi delle altre realtà comunitarie sia con la struttura centrale. Ma l’iniziativa del Centro di studi e formazione del Dec non si esaurisce qui e punta a coinvolgere un pubblico più ampio attraverso una proposta culturale che richiamerà relatori di fama. Il progetto formativo prevede cinque moduli che si snoderanno in cinque Comunità: il 30 e il 31 ottobre a Milano; il 20 e 21 novembre a Trieste; il 6 e l’8 dicembre a Napoli; il 15 e 16 gennaio a Torino e il 18 e 19 marzo a Firenze. Attraverso queste tappe i docenti del Centro, scelti, sia in Italia sia all’estero, tra accademici, rabbini,programmatori e formatori altamente motivati e preparati, affronteranno con i leader comunitari, i giovani leader, gli operatori e i rabbanim alcune tematiche di stretta attualità per il mondo ebraico.
Attraverso una serie di incontri mirati alle singole fasce d’interesse si tratterà dunque di Community Management, di comunicazione e di mediazione dei conflitti comunitari (tra i docenti Dan Wiesenfeld, Daniel Segre, Elio Limentani, Dani Fishman) entrando dunque nel vivo di ciò che comporta oggi la gestione della cosa comunitaria, il suo rapporto con la società civile e i suoi equilibri interni. In parallelo saranno coinvolti, con un programma ad hoc, i direttori e gli insegnanti delle scuole mentre l’intera Comunità potrà partecipare agli incontri culturali che coroneranno il modulo.
La scelta degli argomenti su cui è incardinato il programma nasce dal desiderio di superare gli schemi fissi e spesso superati su cui si basa parte dell’attività comunitaria e di andare in direzione di un modello capace di sopravvivere e di avere successo nei prossimi trent’anni.
Il primo obiettivo è dunque quello di definire nuove strutture e nuovi approcci pratici che consentano di svolgere le proprie funzioni in maniera efficace, moderna, pratica ed efficiente. La questione non è semplice perché le Comunità, anche le più piccole, sono affidate a figure diverse con responsabilità e aspettative reciproche. Si tratta di un sistema complesso, per alcuni versi simile a quello di un’impresa che richiede grande chiarezza sui ruoli e sui compiti di ciascuno. Da questo punto di vista uno delle incomprensioni più frequenti riguarda il rapporto tra gli eletti, cui è affidato dagli iscritti un ruolo decisionale e d’indirizzo, e i professionali che svolgono un ruolo organizzativo e gestionale. Ma cosa succede quando chi decide è meno competente del suo esecutore? Quali sono gli approcci per stabilire un equilibrio costruttivo valorizzando le capacità e le competenze di entrambi?
Un aspetto centrale su cui si lavorerà è dunque quello delle risorse umane, nel duplice aspetto della gestione e della motivazione. Il fattore umano è infatti un elemento centrale, che può consentire grandi risultati. Il segreto sta però nella capacità di ascoltare, capire, accompagnare e motivare le persone coinvolte nella Comunità. Imparare a intervenire su questo fronte, spesso trascurato nella realtà comunitaria, può portare con sé effetti sorprendenti: dall’aumento della produttività al calo dei conflitti. Il segreto è imparare a lavorare in gruppo. Un tema che riguarda in modo particolare i Consigli delle Comunità, composti esclusivamente da volontari che nella capacità di comprendersi e di lavorare bene insieme possono trovare una profonda motivazione e una ragione di successo.
Si parlerà poi di fundraising, il processo di raccolta fondi necessario per superare la perenne tensione tra il costante aumento delle necessità di una Comunità e la diminuzione di fondi a disposizione e di gestione delle decisioni e di trasparenza gestionale.
Un capitolo a sè sarà rappresentato dalla mediazione dei conflitti comunitari. La comprensione delle necessità, prese di posizione, mete e ruoli delle varie persone coinvolte in unprocesso conflittuale è fondamentale per poter arrivare ad una gestione condivisa di una comunità.
La mediazione permette di conoscere e rispettare le varie diversità dei vari gruppi (o singoli) e attraverso un processo sistematico che prevede una comunicazione non violenta, il rispetto dell’altro e la massima trasparenza nel processo decisionale trasformare il conflitto in una opportunità per migliorare e svilupparsi. Si analizzeranno dunque le fonti dei conflitti cercando di definire le ragioni principali che portano una Comunità al conflitto delineando una mappatura delle potenziali crisi. Anche quest’argomento, secondo l’impostazione del progetto, sarà affrontato sotto diverse angolature a seconda dell’uditorio. Nel caso dei rabbanim la mediazione dei conflitti sarà analizzata in particolare sotto l’aspetto dei conflitti familiari che così spesso, soprattutto nel mondo d’oggi, richiedono la capacità d’ascolto e di sostegno di figure preparate di riferimento. La comunicazione sarà invece affrontata nel duplice aspetto di Public speaking e di Mediatraining attraverso una formazione che proporrà le nozioni principali della tecnica di parlare in pubblico e di affrontare le interviste. Malgrado l’esiguità numerica, la comunità ebraica italiana è infatti molto presente sui media. E ogni apparizione o dichiarazione ha ripercussioni profonde, che talvolta possono sfuggire ai diretti interessati. Insomma, comunicare è un’arma a doppio taglio che va dunque compresa bene per essere usata nel migliore dei modi.

Daniela Gross. Pagine Ebraiche, novembre 2011


Yuval Avital: "A Roma il canto del mondo"
Debutto al Romaeuropa Festival per l’opera Leilit del compositore e chitarrista israeliano Yuval Avital. Ieri sera è andato in scena al Teatro Palladium l’opera dell’artista di Gerusalemme, appositamente creata per il festival della capitale, incentrata sulla storia dei Beta-Israel, l’antica comunità ebraica etiope. In una lunga intervista sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche, Avital racconta il suo lavoro e la sua musica, un intreccio di stili e sonorità che corre dal Mediterraneo all’Estremo Oriente con una forte impronta  ebraica.

“Non ci vuole tanta forza per cantare, è il canto che deve essere forte”. Parole sussurrate da un cantore samaritano all’orecchio del musicista Yuval Avital ai piedi del Monte Gerizim, mentre l’antica tribù saliva verso la vetta nel tradizionale pellegrinaggio per Shavuot. “Sono questi fiori invisibili, unici che voglio cogliere lungo la mia strada, conservare e condividere con il mondo” spiega il maestro Yuval, che nel suo percorso artistico ha portato il suo pubblico tra i suoni delle valli del Kazakistan, ad ascoltare i canti delle kenesse dei karaiti o ancora fra le note uniche di didgeridoo e flauti ney. “Ho sempre voluto uscire dal pensiero comune. Sin da piccolo, camminando per le vie multietniche di Gerusalemme, ascoltavo i canti delle diverse sinagoghe e sognavo di creare un giorno un ponte tra queste antiche tradizioni e la modernità”.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2011


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pilpul
Umano e divino
Alla vigilia della lettura della parashà di Noè e della storia del diluvio, tra un nubifragio e un altro, ad Assisi si riuniscono i rappresentanti di molte religioni, a testimoniare una certa volontà di pace. L'umanità nella sua diversità discende da Noè, che ricevette l'arcobaleno come segno di un patto di non aggressione, tra il piano divino e quello umano. I patti di non aggressione tra gli uomini discendenti da Noè sono un po' più fragili e spesso chi veste panni sacerdotali non si impegna a difenderli. E' certamente significativo il fatto che oggi i giornali e le televisioni diano molto più risalto agli accordi economici internazionali e alle pensioni piuttosto che ad Assisi. Non so se è un segno di materialità o di egoismo, forse è un ridimensionamento necessario, un invito all'umiltà e alla concretezza, per capire se dietro alle processioni variopinte vi siano volontà, capacità e sostanza reale di cambiamento.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Vecchie nuove o nuove vecchie? - Questo è il problema
Il Tizio della SeraIl Tizio legge che il vescovo Wiliamson ha scritto sul proprio sito che Ponzio Pilato non avrebbe mandato a morte Gesù se gli ebrei non ne avessero chiesto la crocifissione. Il Tizio si domanda: scusa tanto Tizio, perché Tizio è tanto gentile con sé medesimo, ma se il Pilato è famoso per essersi lavato le mani, di cosa se l'è lavate se tanto la colpa era di questi ebrei? Ci sono, si risponde Il Tizio entusiasta dell’indagine belle e risolta: Pilato si lavava le mani squisitamente per igiene personale. Allora il Tizio si dice: caro Tizio, non solo gli ebrei sono deicidi, e questo, caro mio, si sa a memoria, che mi devo dire: pazienza; ma qui c’è una verità che stava davanti agli occhi, e io non la vedevo: i Romani sprecavano molto sapone. Che genti.
Conclusa la solitaria arringa nel tinello, il Tizio va in cucina perché in frigo ha un'aringa solitaria affumicata - anche lei è in attesa di giustizia.

Il Tizio della Sera

Mille a uno
La crisi che sta travagliando il nostro Pianeta e certamente lo trasformerà, nel bene e nel male, viene chiamata “crisi economica”. L’economia è forse solo la parte emergente di qualcosa di assai più grande, che sarebbe difficile tentare di descrivere qui. Comunque si può azzardare che, fino ad oggi, dal 2007, abbia attraversato più fasi: cominciò come crisi finanziaria, poi divenne economica, poi manifestò quasi ovunque la sua fase sociale attraverso conati e rivoluzioni tuttora in corso. Ma, almeno mi sembra, oggi è divenuta anche una “crisi cognitiva”: in questo momento si succedono eventi dei quali non si riescono più a capire le cause e nemmeno gli effetti, e si è costretti ad approssimazioni che spesso distorcono il senso dei fenomeni, causano dibattiti senza costrutto e impediscono lo scambio cognitivo, fondamento dell’intelligenza sociale. E c’è chi se ne approfitta.
E veniamo al dunque. Il governo israeliano attuale, che non ha la mia simpatia, ha salvato, dopo 5 anni, la vita di Gilad Shalit, un ragazzo di leva con il volto ancora bambino di molti nostri figli e nipoti, con la liberazione di oltre 1000 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Si sa di alcuni delinquenti terribili ma non si conoscono le responsabilità di tutti i prigionieri liberati. Si può criticare l’opportunità politica del momento di questa liberazione (e io lo faccio) che indebolirebbe Abu Mazen e rafforzerebbe gli estremisti di Hamas, ma è d’altra parte assai difficile accertare se ci siano state negli anni passati altre finestre di possibilità per la liberazione del povero soldato.
Con lo scambio, si è levato una vento strano e preoccupante, che è proprio il motivo di questo articolo. Si è verificato un deficit cognitivo collettivo che ha scompigliato le menti degli ebrei e degli altri.
Cominciamo da noi, israeliani o diasporici che siamo. Non voglio parlare dell’empito di commozione che abbiamo tutti provato, di sollievo, gioia e contemporanea commiserazione perché il volto bambino non era più quello delle foto di 5 anni fa, ma con la sua tristezza ispirava una profonda pietà in contrasto con la gioia sfrenata, quanto comprensibile, dei palestinesi liberati. Ma poi è accaduto qualche scompiglio nelle nostre menti.
Si è parlato con orgoglio del rispetto della vita umana, valore precipuo della nostra millenaria morale ebraica. Ma questo valore, ammesso che esista, non spiega di per sé lo scambio di 1000 a uno, anche perché in passato sono avvenuti scambi assai simili senza che si levasse così forte il vento dei valori ancestrali. Se si fa appello alla ragione, si trovano motivi assai più concreti, validi e anche giusti per questi scambi disuguali fra innocenti e persone che sono state comunque giudicate nelle aule dei tribunali. Israele, nella sua drammatica vicenda, resiste ai suoi avversari con un esercito popolare nel quale chiunque è chiamato a un dovere militare di un peso che non ha uguali nel mondo. Lo Stato di Israele per mantenere l’efficienza del suo esercito è vincolato a garantire a tutti i suoi cittadini - chiamati ogni giorno a rischiare la vita contro temibili nemici - che in caso di cattura non ci saranno limiti a tutelare la loro salvezza.
Si è parlato della solidarietà tipica della società israeliana, ma ci si è dimenticati che questa solidarietà, un tempo fortissima al punto di sembrare un nuovo socialismo umanistico, si è venuta con gli anni attenuando, tanto che oggi molti cittadini israeliani ne lamentano proprio la perdita. Di questo passo finiremo nel triste territorio dell’ipocrisia, il miserabile “coeur de Milan”. E gli altri? Quelli che ebrei non sono? Trascuro ovviamente quelli, che non so quanti siano, che hanno ragionato correttamente e quelli che non mi piacciono tanto, che stanno dalla parte di Israele comunque, qualsiasi cosa faccia il suo governo, e lo fanno, temo, per motivi che non apprezzo affatto e sui quali qui non mi impancherò.
Mi limiterò ad alcuni mostruosi deficit cognitivi che ho visto manifestarsi con mio grande spavento.
“Gli israeliani disprezzano gli altri perché stimano la vita di uno solo di loro pari a quella di 1000 degli altri”. Basta sostituire a israeliano la parola ebreo perché questo pensiero acquisti la sua lucente atrocità miscognitiva. È inutile dire che i mille prigionieri non erano in pericolo di vita, Giilad Shalit invece sì. Inutile dire che i mille erano gente giudicata o in attesa di giudizio, a torto o a ragione, da tribunali e invece Gilad Shalit è un ragazzo qualunque acciuffato da una banda in uno dei kibbutz più progressisti di Israele: Keren Shalom. Inutile dire che la cifra di mille non è un’offesa all’umanità dell’arroganza di Israele, ma un ricatto di Hamas. I prigionieri palestinesi diventano “prigionieri politici”, qualunque cosa abbiano fatto, Gilad Shalit, che non ha fatto nulla, è anche lui un “prigioniero politico”. Si critica Israele perché libera feroci assassini anche da chi ha già dimenticato Cesare Battisti che si sta godendo agli antipodi le spiagge brasiliane. Infine, ho letto con orrore una battuta “umoristica” (ovviamente da… “contestualizzare”) su quanto vale “in grammi” la carne di un israeliano in cambio del corpo intero di un palestinese.
Il sonno della ragione genera mostri, e questa volta il mostro è Shylock.

Aldo Zargani

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Giovani ebrei a Congresso
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Torino capitale dell’Ugei. Si avvicina l’appuntamento con il XVII Congresso dei giovani ebrei italiani, organizzato quest’anno all’ombra della Mole. Dal 11 al 13 novembre, infatti, ragazzi da tutta Italia si incontreranno a Torino per partecipare ai lavori del Congresso, nominare il nuovo Consiglio e trascorrere insieme uno shabbaton all’insegna del divertimento. La scelta della prima capitale del Regno è simbolica: sarà infatti l’occasione per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia e, non a caso, il dress code per la festa di quest’anno sarà “verde, bianco o rosso”. Nella città dei sovrani Savoia, dove il Conte di Cavour tesseva le fila per la creazione dello Stato unitario, i giovani ebrei italiani saranno chiamati a designare i nuovi consiglieri Ugei, proporre mozioni e indicare le linee da intraprendere per l’anno venturo. Senza ovviamente dimenticare il divertimento, con la festa organizzata in una delle location più esclusive della movida torinese. Ultimi giorni  per l’iscrizione al Congresso.



 
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