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7 novembre 2011 - 10 Cheshwan 5772
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Riccardo Di Segni Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Quando i Maestri commentavano la Torà scritta con i midrashim, non facevano un esercizio astratto di esegesi, ma cercavano di trovare nel testo dei riferimenti alla realtà vissuta. Molto spesso i commenti rabbinici sono allusioni a fatti e persone che i Maestri e il pubblico conoscevano; a distanza di secoli non sappiamo più a chi si riferissero, ma i vizi e le virtù denunciati sono sempre attuali. Nelle turbolenze della scena politica di oggi, ad esempio, fa un effetto strano il midrash che viene raccontato a proposito di Haran, fratello di Abramo, la cui storia stiamo rileggendo nelle parashot di questi giorni. Nel racconto della Torà (Bereshit 11:28) lo vediamo comparire e scomparire precocemente. Il midrash spiega la circostanza in questo modo: quando Abramo iniziò la sua rivoluzione antiidolatrica, il potere istituzionale cercò di eliminarlo, condannandolo a morte in una fornace ardente. A questo punto bisognava scegliere da che parte stare; schierarsi con Abramo avrebbe significato la persecuzione. La dolorosa scelta coinvolse in primo luogo la famiglia. Haran a questo punto decise prudentemente di aspettare per schierarsi alla fine con il vincitore: se Abramo non avesse superato la prova, si sarebbe dichiarato contro di lui, se l'avesse superata, avrebbe sostenuto Abramo. Effettivamente quando Abramo uscì miracolosamente indenne dalla fornace, Haran dichiarò che era con lui, e le guardie del re buttarono Haran nella fornace, alla quale non sopravvisse. Gustosa parabola sull'opportunismo politico, che a quanto pare, non è salvato dai miracoli.

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa

"Bisogna imparare a vivere soli e nell'odio, eppure non ricambierò odiando". (Stefan Zweig a Joseph Roth, novembre 1933, da Londra. Dal carteggio pubblicato dalla Casa Editrice Wallstein di Gottinga e recensito su Repubblica da Andrea Tarquini)
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davar
Qui Roma - Idee a confronto sulla sofferenza animale
Shechitah, un confronto a rischio. Questo il titolo utilizzato su Pagine Ebraiche di novembre per introdurre il convegno dedicato alla macellazione rituale e alla sofferenza degli animali svoltosi ieri pomeriggio al Centro Bibliografico UCEI. L’incontro, organizzato dall’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas, dal Collegio Rabbinico Italiano e da La Rassegna Mensile di Israel, ha rispettato le attese offrendo numerosi spunti di interesse e approfondendo da più punti di vista una tematica che tocca inevitabilmente da vicino la coscienza di ogni singolo individuo. Chiamati a portare un contributo rabbini, studiosi e addetti ai lavori che si sono avvicendati al tavolo dei relatori in due distinte sessioni di interventi. Protagonisti della prima sessione, moderata da Tobia Zevi, la slavista Laura Quercioli Mincer, il professor Stefano Cinotti e il rav Gianfranco Di Segni. Sono intervenuti dopo il coffee break, introdotti da Giacomo Saban, il professor Eligio Resta e il rav Riccardo Di Segni. Assente a causa del maltempo che ha bloccato l’aeroporto di Torino, la vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti ha inviato un messaggio di saluti che è stato letto al folto pubblico presente in sala. “Nell’ambito della mia delega agli Esteri – scrive De Benedetti – in questi mesi ho più volte presenziato ad incontri di delegazioni ebraiche invitate al Parlamento Europeo per rispondere alle più varie e poco documentate accuse dei movimenti politici che si accreditano di posizioni animaliste. La tradizione ebraica, tramandata da millenni, mantiene tuttora la sua attualità e validità anche rispetto a chi ostenta nei confronti dell’ebraismo dogmatismo e talvolta anche disprezzo”.

a.s.


“I rischi di una legge proibizionista”

Vietare la carne kasher e halal in nome della tutela dei diritti degli animali. Nella patria della tolleranza religiosa, i Paesi Bassi, potrebbe presto passare una legge che vieta la macellazione che non preveda lo stordimento preventivo dell’animale. A farne le spese sarebbero gli ebrei e i musulmani d’Olanda, in quanto sia la macellazione rituale ebraica, la Shechitah, sia quella islamica, Dhabihah, vietano di praticare lo strodimento preventivo. La legge, proposta dal Partito animalista olandese, è già passata a giugno alla Camera bassa del Parlamento dei Paesi Bassi e a dicembre dovrebbe svolgersi la votazione al Senato. Per far fronte al problema, l’Unione degli ebrei olandesi ha costituito in questi mesi una Commissione di specialisti che, dopo il brutto colpo estivo, sta lavorando assiduamente per difendere la Shechitah e con essa la libertà religiosa. Abbiamo cercato di fare un quadro della situazione con uno dei membri della Commissione, il professor Frederik A. de Wolff, docente di Tossicologia clinica e forense all’Università medica di Leiden.
Professor de Wolff, cosa sta accadendo in Olanda?
Il Partito animalista, unico caso in Europa di formazione politica di questo genere che abbia rappresentanti in Parlamento e che si occupa unicamente dei diritti degli animali, ha proposto di vietare la macellazione dei capi che non siano stati preventivamente storditi. Lo stordimento è però una pratica che va contro la normativa ebraica in materia di macellazione rituale, che consiste nella recisione istantanea, con un coltello molto affilato, della vena giugulare, dell’esofago e della trachea dell’animale. Un divieto simile vige nel mondo musulmano per quanto riguarda la carne Halal. Dunque, l’approvazione di una legge come quella proposta dagli animalisti olandesi porterebbe alla fine della macellazione rituale nei Paesi Bassi, andando a colpire duramente le comunità ebraiche e islamiche del Paese oltre a costituire un pericoloso campanello d’allarme in materia di tutele della libertà religiosa.
Su che basi si fonda la proposta degli animalisti?
Il punto nodale è questo. Secondo i “proibizionisti” la Shechitah procurerebbe una inutile sofferenza all’animale; la definiscono come un’usanza barbara e crudele. Dall’atra parte le ricerche che hanno portato in Parlamento, per suffragare la loro tesi, sin dall’inizio sono apparse confuse, piuttosto scarse e scientificamente deboli. Per parte nostra, l’Unione delle Comunità ebraiche olandesi (che rappresenta i 50 mila ebrei dei Paesi Bassi) ha creato una commissione di esperti, formata da rabbini, scienziati e avvocati, per confutare le argomentazioni degli animalisti. La nostra difesa si delinea sotto due profili: quello tecnico e quello della tutela della libertà religiosa. Abbiamo portato diverse documentazioni che evidenziano come non via siano dati scientifici validi per sostenere che la Shechitah comporti una maggiore sofferenza dell’animale rispetto alla macellazione preceduta da stordimento.
Un esempio?
Lo scorso maggio è stata presentata la relazione del professor Joe Regenstein, docente di scienze degli Alimenti della Cornell University nonché esperto in materia di macellazione kasher e halal. Nel report si evidenziavano i diversi errori di merito e metodo della controparte; il fatto che lo stordimento preventivo non sia una garanzia per la diminuzione dello stress dell’animale e anzi in alcuni casi peggiori la situazione. Il lavoro della Commissione e la relazione è stata definita dagli animalisti non oggettiva perché comunque presentata da esperti di origine ebraica. Per un consulto terzo ci siamo rivolti ad un autorevole istituto di ricerca olandese ma non è bastato. Sulla questione è anche intervenuto rav Jonathan Sacks, rabbino capo del Regno Unito, in un’audizione parlamentare che ha preceduto di poco il voto.
Nonostante questa grande mobilitazione, il 28 giugno la legge è passata alla Camera con una maggioranza schiacciante: 116 favorevoli contro 30. A pesare, tra gli altri, il voto di Geert Wilders, leader del noto Partito per la libertà, che ha sempre affermato di essere “amico degli ebrei e di Israele”.
Già, la sua posizione è per così dire strana. Abbiamo provato a convincere lui e il suo partito a non votare la legge, ma la sua diffidenza verso il mondo islamico ha avuto la meglio. “Non discutiamo, votiamo” è stata la sua spiegazione.
Colpire i musulmani d’Olanda era quindi l’obiettivo di Wilders. Quali sono stati invece i vostri rapporti con la realtà islamica?
Chiaramente la volontà era la stessa, ma il problema era di tipo tecnico. La comunità islamica olandese è molto frazionata, si contano un milione di persone provenienti da Paesi molto diversi (Marocco, Turchia, Pakistan, Iran, Suriname per fare degli esempi); non è possibile trovare un portavoce unico e per loro è evidentemente più complicato organizzarsi. In ogni caso in questa vicenda il nostro punto di riferimento per la comunità islamica è stato Ibrahim Wijbenga, presidente della Fondazione per la sepoltura islamica, che ha lavorato fianco a fianco con il rabbino Lody Benyomin van de Kamp, preside della scuola ebraica di Amsterdam e shochet qualificato. L’unico fattore positivo di questa vicenda, come ha rilevato un esponente del partito cristiano olandese, è stata la forte collaborazione fra le due comunità.
Il partito cristiano, peraltro, vi ha sostenuto in questi mesi di battaglia contro la legge anti-Shechitah e Dhabihah. Si è quindi creato un fronte comune tra le tra grandi religioni monoteiste?
Direi che condividiamo le stesse preoccupazioni. Questa norma mina fortemente la libertà religiosa ed è frutto di una commistione di sentimenti negativi e di pregiudizi. Il partito cristiano ha compreso il pericolo e si è unito alla nostra battaglia.
E la questione è tutt’altro che finita...
A dicembre dovrebbe esserci il voto al Senato e speriamo di invertire il responso precedente. La Camera alta del Parlamento olandese è formata da professionisti che credo ascolteranno con maggiore attenzione le nostre rivendicazioni. Posso dire di essere abbastanza fiducioso, ma non si sa mai. Comunque, se tutto dovesse andare storto, l’ultima carta sarà appellarci alla Corte dei diritti di Strasburgo.
Come sta vivendo il resto della società olandese questa vicenda? Cosa dicono i giornali?
Credo che gli olandesi in generale siano a favore della proibizione, non tanto per convinzione ma perché - diciamo - seguono la corrente del conformismo. Non sono molto informati sul caso. Sui giornali invece l’opinione prevalente è quella contraria all’approvazione del provvedimento: sono pochi infatti i quotidiani che parlano di pratiche barbare, medievali e che si scagliano contro la Shechitah.
I Paesi Bassi erano l’oasi felice della tolleranza. Poi sono arrivati diversi segnali poco incoraggianti tanto che un noto politico olandese ha consigliato agli ebrei olandesi di levare le tende e andare in America o in Israele. Qualcosa si è rotto?
Purtroppo temo che questo sia solo l’inizio. In Olanda, come in Europa, stiamo assistendo a una radicale secolarizzazione della società. La proverbiale tolleranza olandese era data dalla convivenza di culture e realtà religiose diverse, come cattolici e protestanti. Questa diversità veniva tutelata e tutt’ora dovrebbe essere il pilastro di ogni democrazia. Oggi invece viviamo in un Europa sempre più intollerante e xenofoba. Ho paura sia un processo che non possiamo fermare, almeno non fino a che le persone non ritroveranno un sentimento religioso, che sono convinto risieda in ciascuno di noi.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2011

Qui Roma - Pitigliani Kolno'a film festival al via
Chiuso il sipario sul Festival del cinema di Roma, la capitale si appresta ad ospitare un altro appuntamento cinematografico importante e oramai tradizionale: dal 12 al 16 novembre aprirà i battenti il Pitigliani Kolno’a Festival, rassegna sul cinema “ebraico” e israeliano. Giunto alla nona edizione, il programma del Festival, curato dal critico cinematografico Dan Muggia e dalla giornalista Ariela Piattelli, è stato presentato questa mattina al Centro Ebraico Italiano “Il Pitigliani”, promotore dell’evento assieme all’Ambasciata di Israele, con il sostegno della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma e con il contributo dei fondi 8 per mille dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
A inaugurare la fitta agenda di appuntamenti sarà il film Ajami del duo arabo-israeliano Scandar Copti e Yaron Shani, un intreccio di storie personali che ruotano attorno al quartiere di Yaffo, Ajami. La pellicola fa parte della sezione sul nuovo cinema israeliano e sarà affiancata da altri sei film che racconteranno la complessità, i rapporti conflittuali, gli amori di personaggi emblematici della società israeliana.
Sempre sabato sera, il direttore del dipartimento di animazione dell’Accademia Bezalel di Gerusalemme, Hanan Kaminski, presenterà il lavoro del famoso istituto d’arte israeliano attraverso una selezione di tredici cortometraggi (dal 2002 al 2009) realizzati dagli studenti dell’Accademia.
Fra i filoni principali dell’edizione di quest’anno, troviamo il binomio letteratura cinema, con la proiezione di alcune trasposizioni cinematografiche di celebri opere letterarie: Il responsabile delle risorse umane di Eran Riklis, road movie tratto dall’opera omonima di Abraham B. Yehoshua (proiezione domenica 13 e martedì 15); Infiltration di Dover Koshashvili, racconto delle conflittualità e problematiche della società israeliana durante i primi anni ’50 attraverso lo sguardo di un plotone militare “speciale”, tratto dal celebre libro di Yehoshua Kenaz (lunedì 14); dal libro di David Grossman Intimate Grammar, diretto da Nir Bergman, è la storia di un ragazzo che si rifugia nell’universo delle parole e nel mondo interiore (mercoledì 16); le avventure del giovane Arik che lavora per un agenzia di matrimoni gestita da un sopravvissuto alla Shoah sono al centro del film The Match maker di Avi Nesher (ispirato al libro di Amir Gutfreund When heroes fly).
Passioni, dolori, difficoltà del mondo femminile saranno al centro della sezione Percorsi Ebraici con i documentari Ahead of Time, storia della reporter e testimone della storia ebraica del ‘900 Ruth Gruber; Lia, film dedicato alla celebre Lia van Leer, sopravvissuta alla Shoah e pioniera del mondo cinematografico israeliano; Maytal, sopravvissuta ad un attentato nel 1996, si racconta in Shining Stars a distanza di 12 anni dal terribile evento; dalla Croazia a Israele, Vera è il racconto di vita di Vera Martin, cui famiglia è stata sterminata nella Seconda Guerra Modiale; infine The Lost Love Diaries in cui  Ellis segue un vecchio diario per rispondere alle domande di una vita.
Altro prezioso documentario presentato al Festival sarà Leo Levi - L’uomo con la Nagra, storia di uno dei leader del Sionismo italiano, nonché comunista e fine intellettuale.
Novità assoluta di quest’anno è il PKF Professional Lab, un laboratorio cinematografico creato per gettare le basi a future collaborazioni tra professionisti italiani e israeliani del grande schermo. Tre gli appuntamenti di quest’anno, uno sull’animazione israeliana, con la presentazione agli studenti italiani dei capolavori dalla scuola Bezalel. Il secondo, Create d By - Low Budget, High Content,  verterà  sulla questione della competitività delle serie televisive israeliane sul mercato internazionale. Infine, è in programma un interessante incontro confronto tra registi e produttori di documentari italiani e israeliani.
Per la parte dedicata alla Jewish Animation, saranno proiettate sul grande schermo opere di animazione, provenienti da diverse parti del mondo, dall'Australia alla Cina: A Jewish Girl in Shanghai, God&Co, storie della Bibbia in versione animation, e Mary and Max.

d.r.



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pilpul
«Giuda» è un insulto
Donatella Di CesareL’organo di stampa «Il Giornale», di proprietà della famiglia Berlusconi, il 7 ottobre scorso ha dato notevole risalto – chissà, magari più di altri – al «Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sull’antisemitismo» i cui risultati, in questi giorni, hanno fatto il giro del mondo. Dall’Argentina alla Germania lascia a bocca aperta la percentuale, calcolata nel documento, di un 44 per cento di italiani ostile agli ebrei. Ma i numeri, pur eclatanti, finiscono per essere vuoti se non sono accompagnati da una riflessione.
E così, a soli pochi giorni dalla denuncia, evidentemente più urlata che pensata, «Il Giornale» usa con disinvoltura un insulto antisemita nel titolo di apertura del 5 novembre: «I Giuda hanno paura». Sì, perché le parole non sono etichette vuote. E tanto meno lo sono i nomi. «Giuda» è un insulto antisemita. Il nome proprio ebraico Yehudà, attraverso il personaggio di Giuda Iscariota, considerato responsabile della morte di Gesù di Nazareth, dopo averlo tradito per denaro, passa, prima in greco, e poi in latino, nella parola Iudas, «giudeo». «Giuda» è dunque l’archetipo che compendia tutti quegli aspetti negativi a cui la teologia della sostituzione ha voluto relegare l’ebreo: avido, traditore, deicida.
Chi dice «Giuda», non necessariamente a un ebreo, insulta anzitutto gli ebrei. Si serve, per ignoranza, disattenzione o malafede, di quelle offese che la femminista ebrea americana Judith Butler ha definito «Parole che provocano». Sono parole che sfuggono al controllo ma il cui uso non è per questo meno grave e sintomatico. Perciò ne va additata la violenza che le produce.
Certo in questo periodo sembra che in Italia le parole siano armi di potere, tanto più dannose, perché prive di contenuto. Come se fosse indifferente sceglierne una piuttosto che un’altra. Ma le parole devono essere considerate alla stregua dei fatti. Così resta la domanda: come mai «Il Giornale» può aprire con un titolo del genere? Si sarebbe tentati di rispondere: antisemitismo di fondo, o meglio, da retrobottega, che resta, pervicace, malgrado ogni operazione di lifting.

Donatella Di Cesare, filosofa

La bomba iraniana
sergio minerbiNessuno l’ha vista, ma tutti ne parlano. Questa è la situazione in Israele nei riguardi della bomba atomica iraniana. Negli ultimi giorni la stampa locale ha impiegato i grossi titoli per roboanti dichiarazioni che invitavano a... non parlare dell’atomica iraniana. Si potrebbe sospettare che questa levata di scudi sia connessa alla prossima riunione della Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che ha sede a Vienna ed ha come Direttore Generale Yukiya Amano. Il quotidiano Haaretz ha titolato: Netayahu mobilita la maggioranza del Governo per un’azione militare contro gli impianti atomici in Iran. Alcuni ministri come Meridor, Begin, Yaalon e Ishai hanno espresso puibblicamente la loro opposizione ad un’azione militare israeliana contro tali impianti. Anche il Ministro degli Esteri Libermann che era contrario a un’azione preventiva israeliana, ha cambiato posizione. Per completare il quadro da Palmachim, sul Mediterraneo, Israele ha lanciato stamane un missile a lungo raggio che potrebbe essere dotato di una testata nucleare. In Sardegna l’aviazione israeliana ha effettuto esercitazioni comuni con l’aviazione italiana. Tutte queste notizie vanno nello stesso senso. Invece il commentatore militare del quotidiano Haaretz è decisamente contrario a qualsiasi azione militare israeliana contro l’Iran. È lecito essere perplessi. E se fosse una manovra per ottenere un intervento degli Stati Uniti assortito con il divieto americano a un’azione israeliana?

Sergio Minerbi, diplomatico

Kasheruth, due mozioni importanti
Sono piuttosto "affezionato" alle mozioni 1 e 2 sulla kasheruth deliberate dal Congresso Ucei 2010/5771: in qualche modo condensano e travasano verso il futuro quattro anni trascorsi, cercando di fare il possibile, quale responsabile di questo settore.
Una certa anzianità di servizio, mi spinge a non farmi però troppe illusioni circa la traduzione in pratica di queste mozioni essendo forte il rischio, come sempre accaduto indipendentemente dagli argomenti, ad altri indirizzi congressuali: ovvero rimanere tali sulla carta. Comunque con speranza chiedo ospitalità in questo spazio per complimentarmi con il Consigliere Settimio Pavoncello che, entrando nella Giunta Ucei, avrà maggiori possibilità di battersi per la realizzazione di quegli obbiettivi. Con piacere ho notato che ha subito ripreso la questione dell'Ufficio nazionale centrale per la kasheruth (mozione 1) e mi permetto di invitarlo ad andare avanti con forza maggiore di quella che  traspare dalla sua dichiarazione, secondo la quale la Giunta  "valuterà la proposta di istituire un ufficio centrale sulla Kasherut", ricordando appunto che può saldamente appoggiarsi su una mozione congressuale che,secondo l'antico adagio, è la massima espressione, sovrana, della volontà degli iscritti.
Analogamente spero che verrà anche tentata, in questo caso non dipende infatti da decisioni interne all'ebraismo italiano, la realizzazione di quanto votato nella mozione 2 sulla kasheruth, ovvero il cercare di ottenere (mutuando l'esempio spagnolo) una vera e propria previsione di legge che dia un ruolo centrale,in tema di certificazioni di prodotti kasher, all'Ucei.
Da ultimo,ma non da meno, mi permetto di perorare un aggiornamento regolare della lista dei prodotti kasher che dallo scorso mandato, come mai era stato fatto, è reperibile nel sito dell'istituzione che rappresenta l'ebraismo italiano nel mondo. C'è infatti  anche il rischio, non aggiornando i dati, di ingannare involotariamente il consumatore, cosa che sarebbe grave sotto molteplici aspetti.
Buon lavoro Settimio e auguri (non guastano mai....).

Gadi Polacco, Consigliere della Comunità ebraica di Livorno

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notizie flash   rassegna stampa
A Sorgente di vita - La Libia dopo Gheddafi
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La rivolta del popolo e la resistenza del dittatore, la sete di vendetta e il mancato processo, la violenza e la giustizia:  dopo la caduta e la morte di Gheddafi alcuni interrogativi  etici sulla fine di un tiranno, con le riflessioni del Rabbino Shalom Bahbout e del docente di psicologia David Meghnagi.


 
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L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.