se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

  30 dicembre 2011 - 4 Tevet  5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
bahbout Scialom
Bahbout,
rabbino capo
di Napoli


Proprio all’indomani dell’approvazione della la manovra “Salva Italia”, abbiamo letto la profezia del Candelabro di Zaccaria. I due personaggi protagonisti del brano sono Giosuè - il sommo sacerdote – e Zerubabel - il futuro governatore di Giuda discendente di David. Il potere politico deve giustamente far quadrare i conti e sistemare l’economia del paese: questa è però solo una premessa secondo quanto dicono i maestri “se non c’è farina non c’è Torah”. Applicando però anche il principio per cui “se non c’è Torah non c’è farina “, il profeta afferma che, per poter veramente cambiare la società, bisogna togliersi gli “abiti sporchi”, cioè le abitudini e i comportamenti sbagliati. Insomma, accanto a una manovra economica, è necessaria una ben più complessa “manovra morale e spirituale”.

Laura Quercioli Mincer, slavista


laura mincer
Qualche tempo fa Tobia Zevi ha richiamato su queste pagine il tema della spesso tragica situazione dei giovani figli di immigrati, vittime di un crudele ius sanguinis. Nati e cresciuti nel nostro paese, non ricevono la cittadinanza italiana, e sono spesso costretti all’emigrazione. In molti casi non hanno altra identità che quella italiana, e il loro “ritorno al paese di origine” è un terribile viaggio verso l’ignoto. Se n’era occupata con passione Franca Eckert Coen quando, dal 2008 al 2011, era stata delegata del sindaco di Roma all’intercultura. Le ho chiesto degli aneddoti di quel periodo; eccone uno. Quando aveva domandato a un giovane cinese se desiderasse visitare “il suo paese”, quello le aveva risposto senza esitazione, con una cadenza romanesca degna di Meo Patacca: “Ma che ce devo annà a ffà? Là non ho neanche un amico… e poi il cibo fa schifo. Dove lo mangio un panino fatto come si deve? E gli spaghetti? Sanno solo cucinarli tutti appiccicati…”.
torna su ˄
davar
Nel Silicon Wadi con le tecnologie del domani
La nazione start up. Israele, dagli anni Novanta in avanti, si è affermata gradualmente come uno dei poli dell’high-tech mondiale. Il numero complessivo delle società israeliane quotate al Nasdaq, l’indice dei mercati tecnologici della borsa americana, supera quello dell’intera Europa messa assieme. Attualmente in Israele, lungo la Silicon Wadi (riferimento in arabo al letto prosciugato di un torrente), sorella minore della più celebre Silicon Valley californiana, sono attive sul mercato circa 4mila start up.
Un breve riassunto che spiega perché la Innovation Lab, associazione impegnata nel settore tecnologico e rivolta soprattutto al mondo universitario, ha deciso lo scorso novembre di portare in Israele una delegazione di studenti di tre università italiane (nella foto). Otto giovani che, grazie a due progetti start up, sono potuti entrare in contatto con il know how israeliano, confrontarsi con alcuni degli imprenditori e delle menti più brillanti della Silicon Wadi nonché promuovere i propri progetti.
Il Technion, l’istituto Weizmann così come le sedi israeliane di Yahoo!, Intel e Ibm, sono state alcune delle mete di questo pellegrinaggio hightech o meglio dello “Startup Nation InnovAction Tour”, titolo dell’iniziativa. In collaborazione con l’Ambasciata d’Israele a Roma e con l’associazione Amici del Technion, il progetto della Innovation Lab ha coinvolto 240 studenti provenienti dall’Emilia Romagna, dal Lazio e dalla Puglia. Da questa rosa di pretendenti sono emersi gli otto vincitori, affiancati in questo viaggio da una decina tra docenti universitari, imprenditori e ricercatori.
Colonna portante dell’economia israeliana, il settore High-tech è uno dei fiori all’occhiello del Paese. E per questo ingenti somme statali vengono destinate ogni anno al settore dell’innovazione. Ma un impulso altrettanto forte per il rinnovamento arriva in questo campo dall’esercito israeliano. Possiamo infatti considerare l’Idf un vero e proprio laboratorio per la sperimentazione tecnologica e per la formazione delle nuove leve imprenditoriali del Paese. Almeno secondo quanto sostengono nel loro libro Start-up Nation: The Story of Israel's Economic Miracle, diventato ben presto un bestseller, gli scrittori Dan Senor e Saul Singer. “La capacità di leadership, il lavoro di squadra, l’abilità a portare a termine missioni e l’accumulo di esperienze in breve termine” sono i punti cardine per la rivoluzione High-tech israeliana secondo Senor e Singer. Altri ingredienti di questo piccolo miracolo sono, sempre stando alla teoria dei due autori, la stretta vicinanza di università fortemente impegnate nel campo della ricerca e in continua competizione fra loro; una cultura imprenditoriale che unisce all’individualismo, capitalismo e uno sfumato egualitarismo. Una ricetta articolata, dunque, che gli studenti italiani vogliono, con le dovute reinterpretazioni e differenze, portare nel Belpaese. Il senso del viaggio della delegazione italiana di novembre come di quelle future infatti si muove sull’idea di creare relazioni con aziende, investitori e i famosi "incubatori" (uffici universitari che patrocinano le idee dei giovani laureati o dei ricercatori israeliani aiutandoli ad affacciarsi sul mercato con i loro progetti e facilitandone l’ingresso nelle grandi imprese nel settore, in Israele e non solo). Studenti, professori e ricercatori hanno avuto la possibilità di confrontarsi con le metodologie con cui gli alter ego israeliani si muovono nel complicato reticolo dell’innovazione. “Apprendere come valutare il potenziale innovativo di un’idea di impresa – si legge nel comunicato dell’iniziativa Startup Nation InnovAction Tour – e come tale potenziale possa essere presentato agli investitori privati, alle aziende, alle istituzioni e portato nella società”. L’universo delle start up e dell’- high-tech israeliano non è chiaramente perfetto. Ci sono delle problematiche rispetto alla questione della manodopera, i disequilibri sociali e altre difficoltà. Ma per un paese come l’Italia, in cui la fuga di cervelli non è più una notizia, è un ottimo esempio su come non far scappare e anzi investire sull’intraprendenza e la genialità dei laureandi, ricercatori, giovani italiani.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, gennaio 2011


torna su ˄
pilpul
Qui Trieste – Centotrent'anni, tredici parole
La prima pagina del quotidiano della Venezia Giulia “Il Piccolo” cedeva ieri il passo alla riproduzione della prima pagina del primo numero che segnò l'inizio nella storia del glorioso giornale. Centotrent'anni e un giorno fa, il 29 dicembre del 1881, un ragazzo ebreo di 19 anni chiamato Theodor Mayer mandava in stampa il primo numero di un giornale quotidiano che avrebbe scritto molta storia della sua città, Trieste, del grande impero dove allora si trovava e dell'Italia intera. Decise di chiamarlo “Il Piccolo” perché la sua impresa era fragile, incerta e azzardata e si lanciava su un mercato sovraffollato per affrontare giornali quotidiani autorevoli, potenti, cosmopoliti e plurilingui. Da allora, nel bene e nel male, il suo giornale (che gli fu portato via dalle leggi razziste del 1938) è più volte risorto dalle ceneri delle guerre e delle dittature, ha conquistato la leadership dell'informazione in un lembo d'Europa dove si intersecano tutti i confini e tutte le culture del continente e in una città che fra mille traumi, sempre pagando di persona, ha continuato a rivendicare il proprio ruolo di capitale delle minoranze e di finestra italiana sul mondo. Il suo giornale inaugurava uno stile concreto, asciutto, tagliente. Denunciava già dalla prima colonna i pogrom antiebraici in Polonia del Natale 1881. L'editoriale di presentazione che scrisse il giovanissimo direttore si componeva di tredici parole. Non una di più, non una di troppo. Il suo programma continua a costituire un punto d'arrivo per i giornalisti, ebrei e non ebrei, che credono in un'informazione serena, dignitosa, efficace e professionale. Eccone il testo: “Compendiamo in poche parole il nostro programma. Saremo indipendenti, imparziali, onesti. Ecco tutto”.

gv

Auguri globalizzati
Anna SegreTra gli auguri natalizi che le organizzazioni di vario genere mandano via e-mail a tutti gli iscritti ne ho ricevuto uno curioso: intorno all’inconfondibile albero addobbato si legge la scritta “Buon Natale” in tutte le lingue, compresi cinese, coreano, giapponese, hindi e turco (ma non arabo). E in ebraico? In modo una posizione abbastanza evidente, nell’angolo in alto a destra troviamo scritto “Hag Hanukkah sameach”, con sopra (unica tra tutte ad avere una traduzione inglese ad hoc) “Happy Hanukkah”. Chi ha inventato il biglietto pensava davvero che Hanukkah fosse il nome ebraico del Natale? In tal caso la cartolina dimostrerebbe quanto sia maldestra talvolta la mentalità del politically correct, che credendo trasmettere un messaggio universale si trova costretto ad ignorare e appiattire le differenze culturali. Forse però l’origine probabilmente americana della cartolina suggerisce la possibilità che chi l’ha inventata sapesse benissimo che Hanukkah non è il Natale e abbia avuto l’intenzione sincera (anche se declinata in modo un po’ rozzo e ingenuo) di fare a ciascuno gli auguri appropriati; in effetti - albero a parte - devo riconoscere che con me ci sono riusciti: è la prima volta che un’organizzazione non ebraica mi fa gli auguri per Hanukkah!
Comunque si debba interpretare la cartolina, rimane il fatto che di fronte agli auguri globalizzati, a un messaggio che vuole essere unico per tutti i popoli del mondo, noi ebrei, con la nostra festa diversa che richiede auguri distinti, diventiamo il simbolo dell’esigenza di rispettare tutte le culture nella loro molteplicità e ricchezza. In fin dei conti la storia di Hanukkah è proprio questo: la difesa della propria specificità di fonte a una cultura egemone globalizzata (per allora) ricca, pervasiva, affascinante e talvolta anche attraente per gli stessi ebrei.

Anna Segre, insegnante

Benvenuta Aileen Ginevra
Quando chiede in via del tutto eccezionale di “saltare il turno”, in redazione dilaga l'inquietudine. E non solo per il valore dei suoi contributi, ma anche perché immancabilmente molti, fra il grande pubblico che la segue attentamente, non mancano di farsi vivi con messaggi e telefonate di preoccupazione. La storica Anna Foa è stata fra i primi collaboratori a dare vita a questo notiziario e continua, oggi che i collaboratori sono oltre 120, con dinamismo a intervenire e a insegnare la storia degli ebrei in molti atenei italiani e internazionali, a pubblicare, a intervenire in sedi prestigiose, a scrivere per le maggiori testate giornalistiche e per il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche. In questi giorni Anna, nel pieno della sua attività accademica, ha accolto con gioia la nascita di Aileen Ginevra Giacalone, una splendida bimba che l'ha resa bisnonna. A lei, a tutti i suoi cari, e in particolare alla mamma Viviana Marinucci e al papà Gabriele, le congratulazioni e l'affetto di tutta la redazione.

ucei
linee
notizieflash   rassegna stampa
 Israele - Economia in crescita
  Leggi la rassegna
 Nel 2011 l’economia israeliana ha mantenuto il proprio tasso di crescita: la crescita del Pil pro capite dovrebbe assestarsi attorno al 3% alla fine del 2011. Israele è inoltre riuscito a far diminuire il suo tasso di disoccupazione ad un minimo storico del 5,5% nel secondo trimestre, e al 5,6% nel terzo trimestre del 2011.

Da Tel Aviv a Gerusalemme
Per una grossolana svista, in una notizia d'agenzia in breve pubblicata ieri è sfuggita alla redazione la ridicola espressione "il Parlamento di Tel Aviv" là dove avrebbe dovuto figurare ovviamente "il Parlamento di Gerusalemme". Una redazione che pubblica circa 10 mila articoli l'anno compie inevitabilmente molti errori, ma questo ci è particolarmente dispiaciuto, perché ha involontariamente trasportato sui nostri notiziari un frammento del distorto e tendenzioso modo di vedere Israele che spesso esprimono i media della cultura dominante. Il nostro compito resta quello di correggere queste distorsioni e ogni volta che non riusciamo a colpire nel segno, assieme alle scuse che porgiamo al lettore, si presenta una nuova occasione per riaffermarlo.

 

Fine dell’anno civile senza troppe vicende degne di nota, dopo 365 giorni trascorsi nel nostro paese all’insegna di quella che è divenuta la parola più ricorrente, «crisi», e in un Mediterraneo e un Medio Oriente dove la cosiddetta «primavera araba» ha avviato processi di transizione ben lontani dall’essersi risolti.

Claudio Vercelli







torna su ˄
linee
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo mailto:mailto:desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: mailto:mailto:desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.