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Roma - La Shoah e l'identità europea
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“La
memoria della Shoah è un fatto decisivo dell’Europa unita che proprio
sul rifiuto di quell’orrore fonda la sua comune identità”. Lo ha
affermato il ministro della cooperazione internazionale e
dell'integrazione Andrea Riccardi aprendo ieri pomeriggio la tavola
rotonda La Shoah e l’identità europea organizzata dall’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane e dal Comitato di coordinamento per le
celebrazioni in ricordo della Shoah nella sala polifunzionale della
presidenza del Consiglio dei ministri. Alla presenza tra gli altri
del’ex sottosegretario Gianni Letta, del senatore a vita Emilio Colombo
e dell’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Mordechay Lewy, il
ministro Riccardi ha poi amaramente constatato come in tanti settori
dell'opinione pubblica europea vi sia ancora oggi chi non riconosce i
crimini della Shoah. “Non si tratta solo di negazionismo – ha spiegato
Riccardi – ma di relativismo storico per cui la si affoga tra le grandi
tragedie del Novecento. Nessuna tragedia è però uguale all'altra, come
la morte di nessun uomo è uguale all'altra. E la Shoah spicca nel suo
carattere differente, particolare e profondo”. Fresco di ritorno da un
viaggio della memoria in Polonia in compagnia di oltre un centinaio di
studenti e del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, il
presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna
ha insistito sul nesso tra Shoah e identità europea affermando che
Auschwitz “si trova nel cuore dell’Europa” e che sempre nel cuore del
cuore dell’Europa partorì l’ideologia nazista che ha trascinato
l’intero continente “verso un destino di morte e di distruzione”.
L’idea della coesistenza pacifica, ha insistito il presidente
dell’Unione, è quindi tra i temi che premono nell’agenda europea a
fronte di frange e gruppi estremisti che propugnano la loro contrarietà
al multiculturalismo spesso basandosi su ideologie di stampo razzista.
“Con un freddo terribile che da solo bastava a farci capire quanto
potevano aver patito i deportati – ha raccontato riferendosi al viaggio
appena svoltosi e guardando allo stesso tempo alla trasmissione di
valori positivi alle nuove generazioni dell’Europa unita – i giovani
hanno ascoltato le parole di due testimoni che sono tornati da quel
campo, Sami Modiano e Tatiana Bucci. Hanno poi visitato il campo,
apprendendo cosa vi accadeva. O meglio, hanno ‘toccato con mano’ i
concetti e le informazioni che molti di loro avevano già studiato. Ho
letto sui volti di quei ragazzi la fatica di un percorso doloroso e di
una impresa impegnativa dal punto di vista psicologico, emotivo e anche
fisico. Ma ho letto su quei volti anche la curiosità, l’interesse vero
e vivace, e ho ascoltato le loro parole e i loro ragionamenti carichi
di consapevolezza, oltre che di angoscia e sdegno, per quanto stavano
vedendo e apprendendo”. Il percorso educativo che i ragazzi italiani ed
europei affrontano e affronteranno, ha concluso Gattegna, sarà perciò
tanto più utile se riuscirà a trasmettere non tanto e non solo le
indispensabili nozioni storiche, ma anche e soprattutto valori quali
l’importanza del rispetto dei diritti umani, il rifiuto di qualsiasi
discriminazione, l’appartenenza di tutte le persone all’unica famiglia
umana. La discussione che è seguita, moderata dal consigliere UCEI alla
Memoria Victor Magiar che ha messo in risalto, sollecitato da una
domanda dal pubblico, come il taglio dell’iniziativa fosse non tanto
quello di guardare alla perdita intellettuale e morale subita
dall’Europa con l’annientamento di milioni di suoi cittadini ebrei
quanto alla lezione che la nuova Europa sorta dalle macerie di
Auschwitz abbia tratto da quella tragedia, ha visto come protagonisti
il professor Johanes Heil dell’Università di Heidelberg, lo storico
Valerio Castronovo, il presidente emerito della Corte Costituzionale
Giovanni Maria Flick. Appassionante il percorso tracciato dal professor
Heil sull’ebraismo tedesco dall'immediato post Shoah fino ai giorni
nostri. Un cammino di consapevolezza e identità che si è spesso
scontrato con l’angosciosa domanda “È possibile vivere nella terra
degli assassini?” e con altri piccoli e grandi interrogativi della
quotidianità. Nodi oggi però in gran parte risolti, afferma il
professore, tanto che in Germania parlare di nazismo “non è più un
tabu” e l’identità ebraica tedesca del Terzo Millennio, "valicando
confini e facendosi collante tra le varie anime che la compongono",
rappresenta un modello, un paradigma tra i più riusciti dell’identità
europea. Il professor Castronovo, ordinario di storia contemporanea
all’Università di Torino, affronta invece il tema del pericolo sempre
più pressante di rinascita e rafforzamento di gruppi razzisti,
antisemiti e xenofobi sulla rete e non solo. Si tratta di un fenomeno,
commenta rifacendosi a recenti episodi di cronaca, che trae linfa
particolare dall’aggravarsi della crisi economico-finanziaria e dalle
conseguenti tensioni sociali che oggi affiorano in Italia, in Europa e
nel mondo. “Dobbiamo stare attenti, ammonisce Castronovo, perché chi
adombra la tesi del complotto ebraico e dell’intellighenzia sionista
diffonde tesi populistiche che possono intaccare più strati delle
nostre società”. Prende poi la parola Giovanni Maria Flick, tra le
personalità maggiormente coinvolte in questi giorni di iniziative
dedicate alla Memoria. Il suo intervento arricchisce la riflessione
soprattutto su un piano giuridico-legislativo, analizzando cioè cosa
l’Europa, dal dopoguerra in poi, sia stata in grado di costruire, nelle
sue carte e nelle sue costituzioni, per difendersi contro le teorie che
puntano a minare i diritti fondamentali e la dignità delle persone.
Flick cita tra gli altri l’articolo 1 della costituzione tedesca, il
terzo di quella italiana e la carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, esempio quest’ultima “che il percorso di un’Europa
unita passa non solo dalla costruzione di un mercato comune ma anche
dalla comune tutela dei diritti”. Flick evidenzia poi come l’attuale
crisi economico-finanziaria, inseritasi in un contesto di migrazioni
tra popoli molto intenso, stia portando a un preoccupante risveglio dei
nazionalismi e a un rifiuto sempre più frequente del diverso. Per
contrastare questo trend, esorta, serve una battaglia culturale
condivisa, una battaglia che riconosca il ruolo avuto dal rigetto
dell’orrore dei lager come punto d’unione dell’Europa dei popoli, dei
diritti e dell’interdipendenza economica. Lui stesso, in occasione del
cinquantesimo anniversario della Corte Costituzionale, aveva portato
l’intera corte ad Auschwitz motivando che chi si occupa dei diritti
“non può ignorare né prescindere da una riflessione su quanto vi
accadde”. In conclusione di convegno sale sul palco Alberto Mieli, uno
dei pochissimi ebrei romani sopravvissuti ad Auschwitz. Rivolto agli
studenti del liceo Virgilio presenti in sala, pronuncia poche ma
emblematiche parole: “Cari ragazzi, mi auguro che nei vostri sogni non
entri mai quello che ho sognato io”. Il pubblico si alza in piedi, un
prolungato e commosso applauso chiude la manifestazione. .
Adam
Smulevich
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Roma - Riposte chiare contro il negazionismo
Confronto a più voci sul libro “Se Auschwitz è nulla”
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Contro
il negazionismo servono risposte chiare. Servono atti di coraggio e di
cultura. Lo afferma la filosofa Donatella Di Cesare, autrice di un
libro (“Se Auschwitz è nulla”, pagine 125, 8 euro, il Melangolo
edizioni) appena apparso in libreria e presentato nella sala convegni
della Camera da numerosi oratori. Il suo accorato appello a reagire di
fronte alle menzogne di chi tenta di negare o di minimizzare la Shoah
muove dalla necessità di andare al di là dell'analisi storica, di
formulare un'affermazione dal punto di vista filosofico e morale
secondo cui chi nega non si limita a lanciare affermazioni false e
assurde, ma si pone nella posizione di chi vuole continuare e ripetere
la logica dello sterminio. A fianco dell'autrice il presidente della
Camera Gianfranco Fini (“La
Memoria è un dovere, perché nella Memoria vi è il presidio morale e
l'identità di una persona, di un popolo, dell'umanità”) e
l'organizzatore, presidente del Benè-Berith di Roma e Consigliere UCEI
Sandro Di Castro (che ha fra l'altro ricordato l'enorme attività
benefica a presidio della Memoria e della Giustizia svolta
dall'organizzazione ebraica internazionale non solo a favore degli
ebrei, ma di molti altri cittadini in difficoltà). E sull'appassionato
appello a reagire contro il negazionismo, gli
interventi del testimone della Shoah Piero Terracina,
del presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick,
del
giornalista e storico Paolo Mieli, del giurista Roberto De Vita e del
presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici che era
accompagnato dal rabbino capo della Capitale Riccardo Di Segni. Tutti
concordi nel sottolineare la necessità di un'azione energica e nel
sottolineare il significato di un lavoro che va al di là dello sdegno,
ma punta l'indice sulle gravissime conseguenze che l'azione dei
negazionisti possono comportare. Ognuno portato a una risposta diversa
rispetto al problema di identificare le misure più idonee per reagire
all'ondata di menzogne. “Il ragionamento per scegliere gli strumenti
migliori fra la battaglia di cultura e di civiltà e la repressione
penale – ha detto Flick – deve avvenire al riparo dalle speculazioni
politiche”. “Se qualcuno crede – ha aggiunto Pacifici, che invece ha
ribadito la sua posizione a favore di una nuova specifica proposta di
legge per punire chi nega – di fare un regalo agli ebrei investendo
sulla Memoria e innalzando una difesa contro il negazionismo – ebbene
sbaglia. Non è quello delle vittime il ruolo ebraico che ci sta a
cuore, ma se l'Europa cerca punti di riferimento chiari per assicurarsi
un futuro al riparo dalle tragedie del passato e da quelle che si
annunciano, allora credo che gli ebrei possano offrire un contributo
determinante”. “Bisogna avere il coraggio – ha commentato Paolo Mieli –
di denunciare le origini di questi veleni e la loro provenienza che
molto spesso deriva da circoli ideologici della sinistra europea e da
connivenze dei vecchi regimi comunisti. Ma attenzione a non lasciare a
questi malfattori la patente di vittime della libertà del pensiero”. Il
professor De Vita ha elencato i presupposti giuridici e le direttive
internazionali (Onu e Unione europea) orientate ad affermare che il
negazionismo non può costituire una semplice opinione, ma piuttosto
l'apologia dello sterminio e quindi uno specifico, gravissimo reato.
Giustizia, non vendetta è stata invocata da Piero Terracina. “Non
chiedo nuove leggi, che potrebbero peraltro rivelarsi controproducenti
– ha detto il sopravvissuto di fronte a una platea commossa -chiedo
l'applicazione delle norme esistenti”. Di fronte a una sala unanime e
in piedi che rendeva omaggio alla sua Testimonianza, è apparso chiaro
il fermo impegno della società civile e delle istituzioni, l'omaggio
più sincero a coloro che non fecero ritorno, alle sofferenze che
appartengono al nostro passato e alle sfide che ci attendono.
gv
Assieme
alla presentazione del volume, l'edizione elettronica di Pagine
Ebraiche (sfogliabile dalla nuova applicazione Facebook o su tablet e
smartphone Apple e Android) offre al lettore la possibilità di leggere
il primo capitolo del libro.
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Qui Roma - La Rai mette i Testimoni in primo piano
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Si intitola Le non persone
ed è il primo film documentario in 3D girato ad Auschwitz. La
pellicola, prodotta dalla Rai, è firmata dal giornalista del Tg1
Roberto Olla ed è stata presentata questa mattina nella sede di viale
Mazzini alla presenza di numerosi giornalisti e leader ebraici tra cui
il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo
Gattegna che, nel corso della riflessione seguita alla proiezione, ha
ufficialmente annunciato la sottoscrizione con il ministero
dell’Istruzione, ieri sera, di un protocollo che prevede l’insegnamento
della Shoah in tutte le scuole italiane. Un momento storico per il
sistema educativo italiano che si accompagna quindi idealmente al
fondamentale lavoro dei testimoni nell’opera di trasmissione del
ricordo. Protagonisti del filmato, che andrà in onda una prima
volta su Rai 1 per TV7 alle ore 23.25 di venerdì 27 gennaio, Giorno
della Memoria, sono sei sopravvissuti: Shlomo Venezia, le sorelle Andra
e Tatiana Bucci, Goti Bauer, Sami Modiano e Piero Terracina. Nelle loro
parole, nella viva testimonianza sui luoghi della deportazione, il
dolore di un'esperienza che ha segnato la loro esistenza ma anche la
necessità ineludibile di raccontare alle nuove generazioni perché ciò
non abbia più ad accadere. La proiezione dell’opera è stata preceduta
dagli interventi del presidente della Rai Paolo Galimberti e del
vicedirettore generale Antonio Marano, che hanno ribadito il grande
sforzo compiuto per allestire una programmazione densa di appuntamenti
dedicati alla Memoria in molte reti del servizio pubblico nazionale, e
di Roberto Olla, che ha ringraziato uno per uno i sopravvissuti, tutti
presenti in sala, ricordando come non pochi siano stati i momenti di
disagio da loro provati nel corso delle riprese e soffermandosi quindi
sulla loro straordinaria forza interiore, su quell’impulso che li fa
comunque andare avanti e raccontare. Il film si apre con un omaggio ad
Ida Marcheria, la grande testimone di origine corfiota scomparsa
durante le fasi di lavorazione. Sullo schermo, grazie agli effetti del
tridimensionale, scorrono immagini e pensieri che è quasi possibile
toccare con mano. Ricordi di un passato che affiora tra le lacrime: gli
occhi del dottor Mengele, l’ultimo saluto dato da Piero Terracina alla
madre, la miracolosa salvezza di Sami Modiano nascosto nelle scolo
delle latrine di una baracca. Sullo sfondo una Auschwitz immersa in una
serenità quasi irreale, ma che i ricordi delle atrocità commesse
riportano alla sua vera dimensione. Scorrono i titoli di coda, segue un
lungo applauso e un momento di confronto cui prendono parte, oltre al
presidente UCEI Renzo Gattegna, il presidente della Comunità ebraica di
Roma Riccardo Pacifici e il presidente della Fondazione Museo della
Shoah Leone Paserman. Nell’occasione Pacifici ha ricordato i numerosi
viaggi effettuati nei campi di sterminio assieme alle scolaresche
romane ed ha invitato la stampa ad occuparsi con maggiore frequenza
delle storie positive di cui si rendono protagonisti gli studenti una
volta entrati in contatto con i deportati e con il loro coraggio. Prima
di un veloce saluto degli stessi sopravvissuti, è poi Paserman a
ricordare come la tutela della memoria passi inevitabilmente attraverso
la ricerca e la formazione. “Un impegno – ha commentato – che il
nascituro museo della Shoah di Roma ha da tempo assunto”.
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Roma - Profumo: "Una rete per il ricordo"
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Una
Rete nazionale, per unire, sostenere e incoraggiare tutti quei docenti
universitari che puntino ad approfondire lo studio della Shoah e della
sua didattica. Il network, ideato dal ricercatore Paolo Coen, è stata
presentato ieri pomeriggio a palazzo Montecitorio dal presidente della
Camera Gianfranco Fini e dal ministro dell'Istruzione Francesco
Profumo. All’incontro, intitolato “Rete per la Memoria della Shoah,
contro le discriminazioni, per una cittadinanza condivisa”,
partecipavano anche l’onorevole Luciano Violante e il professor David
Meghnagi. Presente tra gli altri in sala l'ambasciatore israeliano a
Roma Gideon Meir. Rivolgendosi alla platea, il ministro Profumo ha
pronunciato le seguenti parole:
Egregio
Presidente, gentili relatori, cari studenti,
ho
aderito con vivo piacere all’invito a questo importante incontro per
la presentazione del Progetto che mira alla creazione di una
rete di docenti universitari per la memoria, la memoria della
Shoah e la costruzione di una cittadinanza condivisa. Le circostanze
hanno voluto che come Ministro compissi il mio primo viaggio
ufficiale all’estero nei luoghi della memoria. È stata però anche una
scelta personale con cui ho voluto dare un messaggio chiaro,
contro ogni forma di negazionismo, antisemitismo e razzismo, e per la
costruzione di una cittadinanza condivisa fondata sul rispetto e sui
diritti delle persone. Mi trovo dunque all’unisono con chi dall’interno
del mondo accademico, da cui provengo e a cui sono legato, ha voluto
prendere l’importante iniziativa che ci trova oggi insieme a discutere
e proporre dei percorsi condivisi che aumentino le sinergie nel mondo
universitario e gettino un ponte tra l’università, la società civile e
le istituzioni scolastiche.
Ci
sentiamo impegnati per sempre alla memoria. Per ciò che è accaduto e
per ciò che ha significato e significa oggi. La Shoah è stata uno
spartiacque non solo per il XX secolo, ma nell’intera storia
dell’umanità. Un evento senza precedenti, in cui una società
complessa dominata da un’ideologia crudele e senza senso ha utilizzato
le sue competenze tecnologiche, e le sue infrastrutture, per un’azione
sistematica di distruzione e di annientamento di un’intera civiltà.
Il
solenne “che non avvenga mai più” esprime un nobile sentimento che
però non deve in alcun modo diventare una mera frase di maniera. Perché
non sia tale, deve essere sostenuto dall’impegno costante contro la
cultura del’intolleranza, del razzismo e dell’antisemitismo in ogni sua
forma, dall’attività di prevenzione nelle scuole e nella società
attraverso la formazione e l’educazione alla cittadinanza.
Storia
e memoria possono essere l’occasione per un intervento
pedagogico che tenendo conto dell’unicità della Shoah, ne facciano un
elemento unificante di solidarietà e di promozione della cultura della
cittadinanza.
In
questa prospettiva il MIUR sin dall’approvazione della Legge del
Giorno della memoria, con il sostegno del Quirinale, si è
attivamente prodigato a promuovere la conoscenza della storia del
Novecento e coltivare la memoria fra le nuove generazioni.
Tale azione profonda non sarebbe stata possibile senza l’impegno dei
docenti che vi hanno aderito, il sostegno delle direzioni scolastiche
regionali, il lavoro svolto dalle università e dagli enti locali e
regionali, l’intensa e continuativa collaborazione delle comunità
ebraiche e delle istituzioni impegnate per la tutela della
memoria della Repubblica.
Posso
affermare con orgoglio che l’Italia è tra i paesi più attivamente
impegnati sia per la qualità che per la mole del lavoro svolto con i
viaggi della memoria, la formazione dei docenti e il coinvolgimento
degli studenti in percorsi formativi non limitati esclusivamente alle
celebrazioni del giorno della memoria. A livello universitario vorrei
ricordare l’opera preziosa che si svolge nelle nostre Università, in
particolare il Centro internazionale per la ricerca sulla didattica
della Shoah di Roma Tre, coordinato dal prof. David Meghnagi.
Ma
dobbiamo fare ancora di più, per questo sono molte le iniziative
prese dal Miur che si intendono consolidare.
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Concorso per le scuole. Il concorso per gli studenti delle scuole
realizzato con la collaborazione dell’Unione delle comunità ebraiche
italiane è arrivato quest’anno alla decima edizione. Si tratta di
un’esperienza formativa unica in Europa: la formula sembra aver
funzionato considerando i risultati raggiunti e l’evoluzione della
didattica sulla Shoah, avvenuta in questi ultimi dieci anni. Ogni anno
sono state scelte tematiche diverse, anche molto impegnative: le
centinaia di lavori arrivati evidenziano, nella maggior parte dei casi,
un grande lavoro di ricerca e l’impegno transdisciplinare di molti
docenti e colpiscono spesso per la rielaborazione intellettuale ed
emotiva e per la creatività. Partecipano classi intere o gruppi classe,
poiché l’intento è quello di incoraggiare ricerche e lavori collettivi,
quanto più è possibile.
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Protocollo con Yad Vashem. Grazie al protocollo di intesa col
prestigioso centro di Yad Vashem ogni anno 25 docenti da
tutta Italia partecipano a un corso di specializzazione. Grazie a un
ulteriore accordo stipulato con il Master in didattica della Shoah di
Roma Tre, i docenti che hanno partecipato ai Seminari di Yad Vashem,
possono completare il loro percorso di formazione a Roma per il
conseguimento di un titolo specifico.
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Valorizzazione della ricerca italiana. Quest’anno cade il
venticinquesimo anniversario della morte di Primo Levi. Alla memoria di
questo grande scrittore il Miur intende dedicare specifiche iniziative
che coinvolgeranno le scuole e le università. Tra le prossime
iniziative patrocinate dal Miur vi è il simposio
internazionale del 29 e 30 marzo organizzato da Roma Tre. Il simposio
sarà preceduto da una giornata aperta alle scuole e che coinvolgerà
docenti e studenti.
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Percorsi di formazione per l’aggiornamento dei docenti.
Ogni anno il Ministero promuove percorsi di formazione con la
partecipazione di centinaia di docenti. Con la collaborazione della
Task Force ministeriale della Task Force for International Cooperation
on Holocaust Remembrance (ITFR).
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Viaggi della memoria. Questa attività ormai decennale sarà
ulteriormente consolidata coinvolgendo anche le università.
Per
far fronte a tutto questo stiamo lavorando ad un Protocollo
d’Intesa tra il Ministero e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
che sarà presentato il prossimo 27 gennaio al Quirinale.
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Il Presidente Napolitano: "Grazie al CDEC e a chi lavora per preservare i nomi degli ebrei italiani perseguitati"
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Il
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rivolto alla
Fondazione CDEC il seguente messaggio in occasione dell'inaugurazione
del sito dedicato alle vittime della persecuzione antiebraica in Italia:
Giudico
la creazione di un sito web intitolato “I nomi della Shoah italiana.
Memoriale delle vittime della persecuzione antiebraica 1943-1945”
un’iniziativa di grande importanza per la conservazione e diffusione,
con i più moderni mezzi di comunicazione, della memoria di una pagina
fra le più fosche della storia d’Italia e d’Europa, che mai potrà
essere dimenticata da chi sogna un mondo di pace fra tutte le genti.
Vorrei esprimere la mia gratitudine per chi da anni lavora per
rintracciare i nomi di tutti gli Ebrei italiani che furono vittime
della Shoah, e per chi ha reso oggi possibile la creazione del sito web
che permetterà alle famiglie delle vittime, e non a loro soltanto, di
rinnovarne il ricordo.
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Qui Roma - "Il
patrimonio della condivisione"
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Tre
esponenti della realtà ebraica romana hanno lanciato il seguente
appello:
Oggi, tanto l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane quanto la
Comunità Ebraica di Roma sono governate da giunte unitarie, fatto
questo che lascia sperare in una positiva evoluzione della nostra
piccola democrazia comunitaria.
A Roma, grazie all’impegno e alla pazienza di molti consiglieri, le
differenze di opinioni e le (legittimamente) accese polemiche delle
campagne elettorali stanno progressivamente generando una
collaborazione fattiva fra tutte le componenti presenti nel Consiglio.
Questa attitudine unitaria - promossa in primo luogo all’interno del
Consiglio dell’Unione nel 2006 per iniziativa, anzi, per “merito” di
Renzo Gattegna - è oggi particolarmente opportuna considerata la fase
complessa che sta attraversando l’ebraismo italiano e la difficoltà del
momento storico che sta vivendo l’Italia: un’attitudine che dovrebbe
essere valorizzata in occasione delle prossime elezioni per il rinnovo
del Consiglio dell’UCEI. Tali elezioni si svolgeranno secondo una
modalità radicalmente diversa dalle precedenti, dopo una riforma cui si
è giunti attraverso un’elaborazione, anch’essa unitaria, che ha
coinvolto tutte le componenti dell’ebraismo italiano.
I risultati di questa pratica di cooperazione all’interno del Consiglio
dell’UCEI sono sotto gli occhi di tutti: attribuzione delle
responsabilità sulla base della competenza e non dell’appartenenza a
questa o quella lista; collaborazione fattiva fra tutti i consiglieri
nell’elaborazione dei programmi e nella condivisione delle scelte;
introduzione di efficaci strumenti di comunicazione che hanno reso
possibile la partecipazione attiva di un altissimo numero di ebrei
italiani alla vita della loro istituzione nazionale; riorganizzazione
di tutta la struttura UCEI; riorganizzazione finanziaria e scrittura di
regole attraverso decisioni condivise con le 21 comunità.
Sia chiaro: non è che sia tutto rose e fiori, ma è bene che non si
sciupi questa nuova attitudine alla collaborazione, un “patrimonio”
questo che dovrebbe trovare una rappresentazione puntuale anche in
occasione delle prossime elezioni per il Consiglio dell’UCEI, in
particolare all’interno della Comunità Ebraica di Roma, la più numerosa
e la più influente in Italia, anch’essa governata unitariamente.
In questa prospettiva proponiamo ai rappresentanti di tutti i
raggruppamenti presenti all’interno del Consiglio della Comunità
Ebraica di Roma di lavorare assieme alla composizione di una lista
unitaria che abbia Renzo Gattegna come suo candidato presidente, non
solo perché presidente in carica ma soprattutto perché capace di
rappresentare al meglio un metodo di gestione pluralistica e condivisa
dell’ebraismo italiano.
Si tratta di una scelta di grande significato, che richiede a tutti un
forte senso di responsabilità a tutto vantaggio del prolungamento e
dell’approfondimento di una stagione unitaria che ha prodotto molti
cambiamenti e risultati rilevanti.
Roberto Coen, Victor Magiar,
Livia Ottolenghi
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Qui Milano - L’Assemblea chiede maggiore
coesione
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Un
momento di bilancio. Un bilancio non solo di numeri. Gli ebrei di
Milano si sono riuniti in assemblea per discutere e approvare il
bilancio preventivo dell’anno 2012, ma anche per confrontarsi sui temi
che più stanno a cuore alla Comunità a un anno e mezzo dalle elezioni
dell’ultimo Consiglio: la scuola, la partecipazione della gente, le
iniziative culturali, i servizi agli iscritti. Grande attenzione alle
cifre da parte di consiglieri e pubblico, ma anche a quelle che in
molti hanno definito con varie sfumature “le storie dietro i numeri”,
in un dibattito ricco di spunti di riflessione. Presenti in sala tra
gli altri il rabbino capo Alfonso Arbib, il direttore del dipartimento
Educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav
Roberto Della Rocca, che da settembre opera a partire da Milano, il
nuovo presidente della Fondazione scuola Marco Grego, Alberto Foà e
Walker Meghnagi, che in momenti diversi hanno presentato le dimissioni
dall'incarico di Consigliere. “Questi 18 mesi hanno rappresentato un
momento di controllo e parziale risoluzione dell’emergenza - ha
premesso il presidente della Comunità Roberto Jarach nel presentare il
bilancio, incombenza da lui assunta in seguito alle dimissioni nelle
scorse settimane dell’assessore alle finanze e vicepresidente Foà -
Tutti i dati partono dalla situazione effettiva con cui abbiamo chiuso
il 2011. Fino a questo momento ci siamo occupati di consolidare il
debito e avviare un monitoraggio dei consumi. Ora è arrivato il momento
di concentrarci sul controllo di gestione e sui progetti strategici”.
Il problema è pressante considerando che rimane un deficit di gestione
ordinaria di quasi un milione e 800 mila euro, parzialmente compensato
sì da entrate straordinarie grazie ad alcune dismissioni immobiliari
(la differenza tra le entrate e le uscite totali si ferma a 360 mila
euro), ma che risulta insostenibile in una prospettiva di lungo
termine. Un deficit perfettamente in linea con quello previsto nel
bilancio preventivo per il 2011, che però lascia un po’ di delusione,
secondo i consiglieri d’opposizione, data la particolare sensibilità
che la giunta ha dimostrato ai temi economici, anche a discapito della
coesione.
Tanti i punti toccati durante la lunga discussione protrattasi fino a
tarda sera e numerosi gli interventi. Oltre alla preoccupazione
espressa da alcuni che le cifre preventivate fossero “un po’ troppo
ottimistiche”, preoccupazione respinta con forza dal presidente,
particolarmente dibattuta è stata la questione dell’abbassamento delle
rette scolastiche e di progetti di rilancio per il liceo, per voce
tanto dei consiglieri d’opposizione quanto del pubblico. Il problema
però, come ha sottolineato Jarach, ribadendo la centralità della scuola
per il futuro della Comunità, è quello di reperire le risorse per
rendere il progetto sostenibile dal punto di vista finanziario,
considerando il bilancio di fronte a cui la Comunità si trova. In
questo senso non possono essere sufficienti i 250 mila euro che la
Fondazione scuola si è impegnata a versare per sussidi scolastici e
programmi di eccellenza didattica.
Tra i progetti strategici contenuti delle note integrative al bilancio,
la Giunta ha assunto un impegno su un altro argomento particolarmente
controverso: l’istituzione di una Commissione che verifichi i risultati
prodotti dall’affidamento della riscossione dei tributi comunitari
all’esatri e studi eventuali alternative al regime attuale, cui è
attribuita la responsabilità per la cancellazione dalla Comunità di
molti iscritti (i numeri esatti sono stati ribaditi durante l’assemblea
per sgombrare il campo da ambiguità: dei 450 iscritti in meno, 232 si
sono trasferiti, 85 sono irreperibili e 133 sono i dissociati).
Alla fine il bilancio preventivo è stato approvato con i soli voti
contrari dei consiglieri di opposizione, che hanno ribadito la scelta
fatta in Consiglio.
Su un concetto però esponenti della maggioranza, dell’opposizione e
pubblico si sono detti d’accordo: molto di più è necessario fare per
rilanciare la coesione e a partecipazione della gente alla vita della
Comunità ebraica di Milano.
Rossella
Tercatin
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"Non sono grandi"
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Grandi
nell’arte e nel pensiero, ma piccoli e meschini nel quotidiano? Si può
dire questo di Celine, Eliot e Pound? Francamente non credo. Chi è
stato, o è, fascista, nazista o antisemita in modo grave, e non lieve,
non è grande nel pensiero. Quanto all’arte, il discorso sarebbe lungo.
Grande nel pensiero può essere un uomo umile, eticamente buono, anche
se non è necessariamente un artista o famoso. Cosa significa avere
arte? Sapere mettere in fila con garbo delle parole? Scrivere una bella
poesia? Originale Heidegger? Forse era intelligente, ma ha adoperato le
sue facoltà per tradire i suoi vecchi amici ebrei e fare carriera. Come
fidarsi di un filosofo così? E pensare che fosse uno dal pensiero
originale? Era cieco? Non vedeva quello che accadeva attorno a lui? Il
mondo ebraico ha sofferto molto, è stato traumatizzato dalla sofferenza
e ha capito poche cose, ma una su tutte l’ha messa molte volte, forse
anche troppe, in pratica: distruggere gli idoli, perché gli idoli,
tutti gli idoli, non solo quelli di terracotta, ti portano fuori strada.
Un intellettuale che si è lasciato sedurre dalla violenza del fascismo,
del nazismo, dalla vigliaccheria dell’antisemitismo, proprio perché
aveva mezzi critici che non ha voluto, o saputo, adoperare non può
essere considerato grande nel pensiero, perché il suo era un pensare
marcio e portatore di dolori all’umanità. Fosse un letterato, un poeta
un filosofo o un uomo di scienza, il discorso è lo stesso: un
intellettuale ha obblighi maggiori verso di sé e verso il mondo, se
capisce in che mondo vive. E, se non lo capisce, in che cosa è grande?
Distruggere gli idoli significa, in questo caso, non lasciarsi
abbacinare dalle presunte grandezze e considerare l’uomo non come un
doppio, ma nella sua unità mettendo in atto sempre una capacità critica
che sappia discernere dai falsi miti. Ci sono tanti falsi miti al
mondo. Quello degli intellettuali, intelligenti e farabutti, che,
perché sanno leggere, o scrivere o pensare, meritano rispetto, se sono
famosi, è uno di questi. Attenzione: Questo non è un pregiudizio, è un
giudizio. Basato sul fatto che l’uomo è fatto di idee e di azioni e
anche le azioni che compie, o non compie, hanno un peso. Non so perché,
ma in questa impostazione trovo qualcosa di intimamente ebraico e
questo mi conforta.
Riccardo Calimani, scrittore
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Se lo fanno tutti, io no
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Giunto alla dodicesima
edizione, il Giorno della Memoria sembra ancora godere di un ampio
sostegno e di un crescente apprezzamento, negli ambienti più disparati.
Sappiamo bene, però, come da più parti siano stati avanzati giusti
spunti di riflessione e di prudenza di fronte ai rischi presentati
dalla tralaticia reiterazione dell’iniziativa: rischi che si chiamano
assuefazione, retorica, noia, rigetto, ‘monumentalizzazione’.
Diventerà, la Giornata della Memoria, qualcosa di simile alle solenni
statue di Garibaldi e di Vittorio Emanale II, che adornano le nostre
piazze? Grandi, solenni, familiari, ma completamente svuotate del loro
significato originario? Una sorta di nota ricorrenza del calendario,
come la Befana e Ferragosto?
Nessuno, ovviamente, se lo augura. Ma tutti sanno, d’altronde, che la
natura umana respinge una commozione eccessivamente protratta nel
tempo. Si può piangere un giorno, due, ma alla fine, come si dice, non
c’è lacrima che non si asciughi. Bisognerebbe forse prevenire tale
ripiegamento, interrompendo le celebrazioni prima che esse vengano
disertate dalla gente o, peggio ancora, suscitino moti di ripulsa e di
insofferenza?
A mio avviso, bisogna sempre tenere ben presente che il Giorno della
Memoria svolge almeno due funzioni distinte, da non confondere l’una
con l’altra. Da una parte, esso rappresenta una forma di partecipazione
collettiva a un immenso lutto, un momento di raccoglimento e un tributo
di solidarietà verso le vittime della barbarie, il cui sacrificio vuole
essere ricordato dalle generazioni successive. Da questo punto di
vista, il rischio che esso diventi un gesto stereotipato, privo di
effettiva partecipazione emotiva, è senz’altro presente. Ma questo
rischio esiste sempre, per qualsiasi iniziativa analoga. Forse che ai
funerali tutti piangono veramente? E cosa pensano davvero, nel loro
animo, gli atleti, i professori, i membri dei club, delle assemblee,
delle palestre, quando vengono invitati a osservare, tutti insieme, “un
minuto di silenzio” in memoria di qualche scomparso che si vuole
onorare? In genere, naturalmente, la decisione di se e come commemorare
qualcuno spetta ai parenti, o agli amici, colleghi e sodali. Chi è
titolare, in questo caso, della memoria dei sei milioni? Il popolo
ebraico, o l’umanità intera?
D’altra parte, è evidente il 27 gennaio non rappresenta soltanto una
sorta di ‘trigesimo’, di commemorazione funebre, ma anche una
straordinaria, fondamentale occasione di insegnamento per le nuove
generazioni, le quali sono chiamate ad apprendere e a riflettere
sull’evento più tragico, più angoscioso, più assurdo della storia
dell’umanità. A cosa serve conoscere le guerre puniche, la scoperta
dell’America e il Risorgimento, se non si conosce la Shoah? A che serve
studiare l’evoluzione della civiltà umana, se non si studia il suo
terrificante epilogo, consumatosi nel cuore della nobile, civilissima,
cristiana Europa? Il giorno che si smettesse di studiare la Shoah, a
mio avviso, converrebbe anche, per coerenza, smettere di studiare la
storia “tout court”; anzi, smettere di andare a scuola, di imparare a
leggere e scrivere. E si può studiare, la Shoah, solo sui banchi di
scuola? Non è forse utile, utilissimo, finché sarà possibile, ascoltare
la viva voce dei protagonisti, dei superstiti?
Da questo punto di vista, il Giorno della Memoria non solleva dubbi. È
un’occasione unica, fondamentale, assolutamente necessaria per la
maturazione dei giovani. Ed è motivo di grande conforto sapere che la
domanda di conoscenza, da parte dei ragazzi, non tende affatto a
scemare, ma sembra anzi crescere imperiosa, imperativa, di anno in
anno. Vogliono sapere, vogliono capire. La questione di come rispondere
a tale domanda, ovviamente, non è semplice. Personalmente, ho maturato
la solida convinzione che i giovani amano ricevere elementi di
conoscenza, ma sono istintivamente diffidenti nei confronti di chi
sembri volere loro imporre una morale già confezionata. Non amano, come
si dice, “le prediche”. Quando ci si rivolge loro, perciò, non è tanto
opportuno dire “non siate razzisti”, ma, piuttosto, “pensate con la
vostra testa”, “capite cosa sia il razzismo”. Se, dopo averlo capito,
sceglierete di esserlo, sarà una vostra scelta consapevole. Altrimenti,
rifuggite dalla “logica del branco”, del “lo fanno tutti”. “Etsi omnes,
ego non”: se anche lo fanno tutti, io no.
Francesco
Lucrezi, storico
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rassegna
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A
Israele il titolo di "re del pane"
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Il "pane migliore" è israeliano. A decretarlo sono stati i giurati
della SIGEP Bread Cup, il Campionato Internazionale della panificazione
conclusosi a Rimini Fiera dopo giorni di lavoro e di panificazione, nel
quale si sono espresse dieci squadre provenienti dai cinque continenti.
Israele ha vinto anche due sezioni particolari, quella per il pane
salutista, a base di spinaci, e quella per il dolce da forno, con una
millefoglie al cioccolato con i mirtilli.
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Ricordiamoci quanto avvenne il 16 ottobre 1943 nel Ghetto di Roma,
scrive puntualmente oggi Pierluigi Battista sul Corriere; non è certamente un caso
se oggi, come ieri, questa rassegna si apre proprio con le parole di
Battista, che aggiunge: a Roma, per decenni, si è "dimenticato di
celebrare l'anniversario del rastrellamento" [...]
Emanuel
Segre Amar
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