Voci a confronto

Poche sono le notizie che ci giungono dal Medio Oriente, e questo potrebbe essere un bene, se non fosse che queste sono, sì, poche, ma non prive di grande importanza. In Israele, a Bet Shemesh, una cittadina nei pressi di Gerusalemme, una bimba di nome Na’ama, figlia di americani molto religiosi, è stata spesso offesa, mentre si recava a scuola, da zeloti che la consideravano non degnamente abbigliata. Lo stesso presidente Peres si è recato a Bet Shemesh pronunciando un duro discorso contro questa “minoranza esigua”, così come pure ha fatto il primo ministro Netanyahu, giustamente preoccupato di far comprendere a tutti che, anche se nella sua maggioranza la destra religiosa è parte attiva, certi estremismi non possono essere ammessi nello Stato di Israele. Questo episodio è ripreso da quasi tutti i quotidiani (cito Rosalba Castelletti su Repubblica per tutti), e soltanto Mi. Gio. sul Manifesto si discosta dalle posizioni comuni descrivendo queste spose degli zeloti come “donne coperte come le afghane”. Nessun dubbio sussiste sul fatto che queste donne si vestano abbondantemente per non mostrare le proprie curve ad occhi indiscreti, ma non appare davvero accettabile un simile paragone, fatto per di più da una penna che non dimostra pari livore nei confronti dei talebani.
Importante, anche se è difficile conoscerlo, come spiega Lorenzo Cremonesi sul Corriere, è quanto sta succedendo in Siria, dove una missione della Lega Araba sembra voler prolungare quella farsa che dura da tempo; la missione è infatti guidata dal generale sudanese Mohamed al Dabi, il quale, come rileva, tra gli altri, un editoriale del Foglio, era il capo dei servizi segreti del suo paese all’epoca degli eccidi del Darfur; non sembra dunque essere la persona più adatta per un simile compito, ed infatti guida i suoi uomini dove e quando il regime di Assad gli suggerisce, arrivando perfino ad assistere ad una manifestazione “spontanea” dei fedeli del rais. Ancora una volta Michele Giorgio si discosta da tutti gli altri commentatori vedendo nella fine del socialismo di stampo sovietico la causa vera della attuale crisi; le opinioni dei due partiti comunisti tuttora presenti a Damasco vengono ben spiegate al lettore del quotidiano comunista italiano.
L’Iran, intanto, continua le sue manovre navali in corso da giorni nello stretto di Hormuz, minacciando di bloccarlo nel caso l’Occidente sospenda i propri acquisti di greggio dalla repubblica dei mullah. La minaccia non deve essere presa alla leggera, come dimostra la nuova impennata del prezzo del greggio. Il fatto che le forniture di petrolio e gas siano al centro delle strategie politiche dei vari stati è ben illustrato da un editoriale del Foglio che spiega le nuove strategie di Erdogan, interessato sia ad assicurare i necessari rifornimenti al proprio paese in pieno sviluppo economico, sia a diventare il centro nodale degli approvvigionamenti necessari all’Europa; Erdogan intende infatti collegare il mar Nero con l’Azerbaigian nello spazio di cinque anni, battendo sul tempo analoghi, ma concorrenziali progetti di Russia ed Unione Europea.
L’insieme di queste crisi, che non sono solo locali, viene ripreso da Gérard Chaliand su Le Monde, e da Roberto Tottoli che, sul Corriere, esamina il solco sempre più profondo che si è aperto tra sunniti e sciiti per concludere con un preoccupato riferimento alla “fine tragica di comunità cristiane dalle tradizioni millenarie”. Ma, va detto, anche questa appare a chi scrive una realtà “onestamente” preannunciata dal fondamentalismo islamico; non si può infatti dimenticare che i palestinesi che nel 2002 si erano asserragliati nella basilica della Natività avevano lasciato scritto sui muri: prima quelli del sabato e poi quelli della domenica; quanti sono i cristiani che, ancora oggi, fingono di non vedere la realtà, e che non potranno quindi venire assolti dalla storia?
Tornando a temi più propriamente israeliani e palestinesi, bisogna sottolineare le parole, finalmente prive di livore, pubblicate su Nazione, Resto del Carlino e Giorno, che raccontano quella che è la realtà incredibile della Tel Aviv di oggi, e l’articolo di Laurent Zecchini che, su Le Monde, dimostra l’impossibilità di successo per le trattative in corso tra l’OLP di Abbas e Hamas di Meshaal.
Sembra opportuno a chi scrive riprendere infine due articoli pubblicati nei giorni scorsi, e sfuggiti all’attenzione dei più; Giulio Meotti, le cui parole scritte per il Foglio sono spesso citate in questa rassegna, ha pubblicato in Israele un commento estremamente preciso ed interessante sui recenti avvenimenti che hanno visto impegnato l’esercito contro alcuni abitanti degli insediamenti, e, soprattutto, descrive certe frange della sinistra, non solo israeliana, schierate contro altri ebrei più che contro il “nemico” arabo. Ancora una volta le parole di Meotti servono ad inquadrare nel migliore dei modi fatti che avranno pesanti ripercussioni in futuro.
Caroline Glick sul Jerusalem Post ha pubblicato una attenta analisi su recenti decisioni prese dal governo Netanyahu, del tutto ignorate dai nostri media; ne appare un quadro di estremo interesse che, solo col tempo, potremo giudicare quanto sia corretto, ma, considerato il livello sempre altissimo dei commenti di Caroline Glick, purtroppo poco nota in Italia, pare opportuno a chi scrive raccomandarne una attenta lettura.

Emanuel Segre Amar