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7 Febbraio 2012 - 14 Shevat 5772 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Al
momento di attraversare il Mar Rosso gli ebrei sono incastrati: c’è
l’armata egiziana da una parte e il Mar Rosso dall’altra. Il popolo si
divide in quattro gruppi. Il primo dice: “…siamo spacciati, dobbiamo
arrenderci e tornare schiavi in Egitto...”. Il secondo
sostiene: “…gettiamoci in mare e suicidiamoci. E’ meglio morire liberi
che vivere come schiavi…”. C’è poi chi incita al combattimento:
“…prendiamo in mano il nostro destino, e combattiamo gli Egiziani…”.
C’è infine chi dice “…bisogna pregare...”.
In questa drammatica situazione l’Eterno, mostrando di non essere
d’accordo con nessuna delle quattro posizioni, ordina a Moshè: “…parla
ai figli di Israele e che essi avanzino…”
(Shemòt, 14; 15). Che avanzino nel Mar Rosso, ma non per suicidarsi.
Molto spesso ci troviamo di fronte a situazioni in cui ci
sembra di essere in un vicolo cieco e senza via d’uscita. Le soluzioni
sono sempre queste quattro sebbene alcune più simpatiche di altre.
Senza dubbio è meglio pregare che suicidarsi, ed è
meglio combattere che arrendersi. Eppure l’Emunà, la fiducia
nell’Alto, ci fa intravedere una quinta dimensione, una
dimensione dell’impossibile che supera la nostra natura. E
proprio perché impossibile è questa dimensione che talvolta
va perseguita. Quando un ebreo procede con Emunà anche il Mare
si squarcia trasformandosi in un muro protettivo.
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Dario
Calimani,
anglista
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Avevo scritto.
Ma ho avuto la sensazione che tirasse brutta aria. Nessuno mi ha messo
il bavaglio. Me lo sono messo da solo. E mi sono censurato.
Quando la penna si chiude senza che nessuno glielo chieda
è segno che sono arrivati i tempi duri. E forse è ora di fare
qualcosa.
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Claims Conference: nuove valutazioni per i perseguitati
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Sono
stati parzialmente rimodulati i criteri per valutare le nuove
possibilità di risarcimento per quanti, durante la Seconda guerra
mondiale, patirono a causa delle violenze perpetrate dai nazisti e dai
loro alleati. A darne notizia è la Claims Conference (Conference on
Jewish Material Claims Against Germany), l’organizzazione che si occupa
delle richieste di risarcimento nei confronti della Germania. Il nuovo
accordo stipulato dalla Claims con il governo tedesco prevede per il
richiedente, il cui reddito annuo non deve superare i 16mila dollari,
la documentazione di un numero inferiore di mesi trascorsi in un
ghetto, in un nascondiglio senza accesso all’esterno o sotto falsa
identità e in condizioni disumane, sia nei territori occupati dai
nazisti sia in quelli dei paesi loro alleati: 12 invece dei
18 richiesti finora. Un aiuto è previsto anche per chi ha più di
75 anni, non riceve alcun supporto di matrice tedesca ed ha vissuto
almeno 3 mesi nelle medesime condizioni. Resta invece immutata, ai fini
dell'ottenimento del sussidio, la soglia di sei mesi di prigionia
trascorsi in un campo di concentramento o di lavoro forzato (compresi
quelli in Tunisia, Marocco e Algeria). La Claims Conferenze fu
creata a New York nel 1951 dopo che l’allora cancelliere tedesco Konrad
Adenauer riconobbe i delitti perpetrati dalla Germania e si disse
pronto a offrire riparazione economica (“indicibili crimini sono stati
commessi nel nome del popolo tedesco, che richiedono riparazione morale
e materiale (…) Il Governo federale è pronto, insieme ai rappresentanti
dell’ebraismo e dello Stato d’Israele, a offrire una soluzione al
problema della riparazione materiale, tentando così di agevolare il
cammino verso la pacificazione spirituale dell’infinita sofferenza”).
Dopo alcuni mesi di lavoro, furono firmati due protocolli fra
l’organizzazione stessa, la Repubblica federale tedesca e lo Stato
d’Israele, in cui la Germania si impegnò sia al risarcimento diretto
delle vittime del nazismo sia a versare 450 milioni di marchi alla
Claims Conferenze per aiutare i sopravvissuti a reinserirsi nella
società. Da allora circa 278 mila reduci hanno ricevuto vitalizi e
compensazioni di vario genere dal governo tedesco. L’articolo 2 del
Trattato di unificazione della Germania firmato del 1990 ha impegnato
la Repubblica federale tedesca a proseguire nel suo impegno di
indennizzare le vittime della Shoah. Nel corso degli anni Claims
Conference ha negoziato molte ulteriori possibilità di riparazione
economica.
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Quando l'Homo sapiens è
poco sapiens
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Sono appena stato
al Palazzo delle Esposizioni di Roma a visitare la bella mostra Homo
sapiens: La grande storia della diversità umana, curata da Luca Cavalli
Sforza, il più illustre genetista delle popolazioni a livello mondiale,
e da Telmo Pievani, filosofo della scienza. A pochi giorni dal Giorno
della Memoria, alcune frasi che ho letto sui pannelli esplicativi
(riportate anche nel catalogo della mostra) mi sono sembrate
particolarmente appropriate.
“All’interno di una specie possono esistere varietà geografiche o razze
o sottospecie, cioè popolazioni geneticamente distinte e riconoscibili…
i cui membri tuttavia restano reciprocamente fecondi… La specie Homo
sapiens è evolutivamente giovane, molto mobile e promiscua. La
variazione genetica fra tutti gli esseri umani, di qualunque gruppo, è
continua e non esistono razze biologicamente distinguibili… La nostra
storia dice chiaramente che non c’è stato il tempo sufficiente per
separarci in presunte razze umane”.
“Gli esseri umani provenienti da differenti parti del globo presentano
caratteristiche esteriori diverse, che colpiscono da sempre la nostra
attenzione perché sono le più appariscenti. Questa diversità ‘a fior di
pelle’ è però il risultato di adattamenti recenti ai climi e alle
contingenze locali degli ambienti terrestri… Sotto la pelle, il grado
di cuginanza di tutti gli esseri umani è altissimo. I dati genetici
mostrano senza ombra di dubbio che all’interno della differenza media
fra due esseri umani qualsiasi (già di per sé bassissima in termini
assoluti) la percentuale di gran lunga maggiore (85% circa) si ha fra
due individui qualsiasi presi a caso all’interno della stessa
popolazione, mentre soltanto il 15 per cento è dovuto all’appartenenza
a due popoli diversi. Non è possibile quindi separare nettamente i
gruppi umani attraverso confini genetici definiti: ci sono troppe
sovrapposizioni e continuità. Eppure noi amiamo distinguere il ‘noi’
dagli ‘altri’: le razze umane dunque esistono, ma stanno tutte dentro
la nostra testa, non nel mondo là fuori. Mettiamo che dopo un’ipotetica
catastrofe rimanga al mondo soltanto un piccolo gruppo di poche
centinaia di esseri umani, come in un villaggio dell’Africa: ebbene,
questi sopravvissuti porterebbero comunque con sé la gran parte di
tutta la variabilità umana. Ogni essere umano rappresenta in modo
sorprendente una frazione importante di tutta la diversità umana”.
Che sia questo il senso della famosa frase talmudica “Chi salva una
vita salva il mondo intero”?
Il genetista Guido Barbujani ha scritto, nel 2006: “Le razze ce le
siamo inventate, le abbiamo prese sul serio per secoli, ma adesso ne
sappiamo abbastanza per lasciarle perdere”. I cosiddetti “scienziati”
italiani che nel ’38 firmarono il Manifesto della Razza erano quindi
piuttosto arretrati nelle loro conoscenze e poco sapienti.
All’uscita della mostra mi hanno dato una scheda da riempire con il mio
feedback. Dopo aver segnalato alcune sviste, alla domanda sulla
“nazionalità” subito dopo quella su “Nome e cognome” ho risposto con
“umana”, sulla scia di Albert Einstein che così rispose alla domanda
sulla sua presunta “razza”.
Gianfranco Di
Segni, Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia, CNR
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Qui Roma - Sionismo e antisionismo religioso
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Sionismo
e antisionismo religioso. Si declinerà lungo questo tema, affrontato da
più punti di vista lungo un intenso filone
giornalistico-filosofico-religioso, il convegno Sionismo e antisionismo
religioso (alla scoperta di radici quasi ignote) in programma domani
pomeriggio al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane. I lavori, moderati dal vicepresidente UCEI Claudia De
Benedetti, si apriranno alle 18 e vedranno la partecipazione del
giornalista Massimo Lomonaco (“Il sionismo avrebbe bisogno di un buon
ufficio stampa. Storia e attualità”), del rav Gianfranco Di Segni (“Il
sionismo religioso: una contraddizione in termini? Analisi di un passo
del Talmud”) e della filosofa Donatella Di Cesare (“Ripensando il
sionismo”). L'incontro inaugura gli appuntamenti a tema Sionismo e
Israele al Centro Bibliografico (seguirà in marzo la conferenza
"Israele e il sionismo nella formazione ebraica. Movimenti giovanili a
confronto"). Il filone Storia e Memoria proseguirà invece con
"Marrani di ieri e di oggi" (22 febbraio) e "La Memoria della Shoah,
quello che non ci siamo detti" (aprile, data ancora da definire) mentre
a tema Vita ebraica-Comunità ebraica sono in agenda, entrambi in marzo,
due convegni dal titolo "Dall'arca di Noè a oggi...Quale comunità?
Modelli di aggregazione e organizzazione comunitaria" e "Ask the
rabbi...".
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"Uniti sui valori
comuni, trasparenti nelle divergenze"
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Ho letto con rammarico la
polemica tra «Shalom», storica testata dell'ebraismo romano, e «Pagine
ebraiche», il giornale dell'ebraismo italiano. Se ho ben capito, il
problema è legato agli investimenti: l'Unione delle Comunità (UCEI),
editore di «Pagine ebraiche», non ha accettato di aggiungere ai
finanziamenti già distribuiti alle Comunità altre risorse da spendere
in comunicazione per sostenere le testate locali, come chiedeva Giacomo
Kahn, il direttore romano.
Vorrei affrontare la questione da un altro punto di vista, forse
ingenuo ma conciliatorio. Sono un ebreo romano e considero «Shalom» un
pezzo di cuore. Tutte le nostre nascite sono state annunciate da quelle
colonne. Spesso non condivido la linea del giornale o quella dei suoi
commentatori, ma riconosco lo sforzo di renderlo più efficace e
moderno, arricchendolo con inchieste e inserti (per esempio quello
sulle comunità ebraiche d'Italia). E, tanto per essere chiari, mi
arrabbiai moltissimo quando si proponeva di chiuderlo.
Al tempo stesso sono un grande ammiratore di «Pagine ebraiche»,
tassello finale della strategia di comunicazione dell'UCEI negli ultimi
anni, composta dalla rassegna stampa quotidiana, dal sito, da questa
newsletter, da «Italia ebraica» e da «Daf Daf». Un percorso che ha
avuto il duplice merito di favorire il dibattito interno, anche aspro,
e di presentare un'immagine aperta, interessante, moderna dell'ebraismo
italiano e internazionale. Un merito che va attribuito in primis al
presidente Gattegna e al direttore Guido Vitale.
Siamo a pochi mesi dall'elezione del nuovo Consiglio dell'UCEI, il
primo con il nuovo statuto. Pochi giorni fa alcuni esponenti
dell'ebraismo romano hanno pubblicato una lettera in questa sede,
auspicando una campagna elettorale tranquilla, una lista unitaria a
sostegno di Gattegna, più concretezza e meno polemiche interne. Sono
parole sagge: gli ebrei italiani devono restare uniti, capaci di
discutere, compatti sui valori comuni e trasparenti nelle divergenze,
tutelando tutto ciò - giornali, bollettini, siti, eventi - che aiuta il
dibattito e la crescita culturale. Non è una questione di costi. Stiamo
parlando del nostro futuro.
Tobia Zevi, Associazione Hans
Jonas
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notizie
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rassegna
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D'Alema: "Hamas? Giusto parlarci" |
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Leggi la rassegna |
"Parlare
con Hamas è un qualcosa di inevitabile". Ad affermarlo, nel corso di
una missione diplomatica in Medio Oriente, l'ex ministro italiano
Massimo D'Alema. "Non perché io abbia una particolare simpatia per
Hamas - ha proseguito l'esponente del Partito Democratico - ma perché
non parlarci non mi pare la scelta più brillante. Lo stesso Israele da
un lato dice che con Hamas non si tratta, ma dall'altro ci parla. Il
risultato, così, è che i palestinesi moderati del Fatah non ottengono
nulla, mentre Hamas rapisce il soldato Shalit e ottiene la liberazione
di centinaia di prigionieri. Se poi gli estremisti vinceranno al voto
palestinese, quando ci sarà, nessuno si dovrà sorprendere".
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La notizia più significativa
oggi è sul versante israeliano: l'accordo di transizione raggiunto da
Fatah e Hamas a Doha (Baquis sulla Stampa). Come sempre nelle cose
palestinesi, dove il principio di legalità è molto ipotetico e al posto
degli organi del preteso Stato contano le fazioni e la loro forza
militare, i termini della decisione sono conosciuti solo in parte (...)
Ugo
Volli
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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