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22 aprile 2012 - 30 Nisan 5772
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino


Shemaiah diceva: "...non cercare di essere familiare alle autorità politiche" (Avot I, 11). Queste ultime, spiega Rashi, cercano la vicinanza degli altri solo per il proprio profitto.


Miriam
 Camerini, regista


miriam camerini
L'anziana impiegata, immigrata una vita fa dal Meridione, tira fuori dalla tasca del tailleur disegnato da lei stessa, che da giovane voleva fare la stilista, "ma papà disse che quello non era un mestiere" un fazzolettone rosso e lo sventola a ritmo di marcia mentre compagni dai campi e dalle officine risuona vigoroso. Finita la musica, lo piega meticolosamente e lo ripone in tasca. Si potrebbe riassumere con questa scena tutto il memorabile spettacolo Settimo, la fabbrica e il lavoro scritto e diretto da Serena Sinigaglia, che ha debuttato al Piccolo Teatro Studio di Milano quest'inverno ed è ora in tourné nelle maggiori piazze italiane. Si potrebbe farlo, ma sarebbe un peccato perché lo spettacolo è puro godimento, dall'inizio alla fine. Scritto magistralmente utilizzando 34 video interviste realizzate  nello stabilimento  Pirelli di Settimo Torinese, il testo racconta la complessità, la fatica, la ricchezza, la monotonia, la solidarietà e molti altri aspetti ancora della vita in fabbrica. Tutto alla luce della fine di un'era. La classe operaia andrà forse in paradiso, ma siamo sicuri che il paradiso esista ancora? Quel che sospetto è che non esista più la classe operaia. Almeno non quella dei fazzoletti rossi. La scena del sindacalista con il biglietto da visita basterebbe a fugare ogni dubbio in merito. La fabbrica muore, ma l'operaio rimane.. Che cosa farne? Gli immigrati continuano a raggiungere le nostre città, chiedendo lavoro: come impiegarli? I giovani si laureano e lavorano in un call center, precari. Una filosofia orientale ci viene in soccorso, consigliandoci di eliminare il superfluo, concentrarci, fare pulizia. Lo spazio scenico è ormai invaso da copertoni che sembrano tanti sacchi neri dell'immondizia, quindi il saggio potrebbe aver ragione. Raccolti i vecchi pezzi di gomma, ormai inutili, resta l'idea creatrice: la specializzazione. Certo: non tutti troveranno posto nella nuova industria di alta qualità e poca manodopera, ma c'è scelta? Non è una domanda retorica. Di retorica in questo spettacolo non ce n'è l'ombra. Le ombre, meravigliose, sono quelle dell'impiegata e del giovane aspirante operaio proiettate sul muro a mattoni dalla torcia elettrica durante il blackout. Perché è un blackout a segnare il punto di svolta della vicenda. L'importante è che il processo di produzione non si arresti mai: la fabbrica lavora sette giorni 24 ore, grazie agli immigrati che hanno scoperto che offrendosi volontari per i turni di notte e di festa riescono ad arrivare a fine mese e a far studiare l'unico figlio che si sono permessi di mettere al mondo. La dignità del lavoratore, ancor prima di quella del lavoro, è ciò che mi porto a casa questa sera.

davar
Contando l'Omer - L'orzo, simbolo della condizione ebraica
Domenica 22 Aprile, quindicesimo giorno dell’Omer
Due settimane e un giorn
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La scelta dell’orzo come specie da portare in offerta dell’Omer è obbligatoria per il fatto che è l’unico cereale disponibile all’inizio della primavera. Ma l’orzo, per l’uso che se ne faceva nell’antichità, e ancora oggi, ha delle valenze simboliche non trascurabili. Tra i cereali possiede alcuni caratteri distintivi: è precoce nella maturazione, ha una buona resistenza alla siccità. Come alimento umano vale meno del grano, per cui il suo posto nella mensa è molto secondario, se non nullo. Si usa invece per farci la birra, dei liquori e come succedaneo del caffè. E’ preferito (oggi dopo il mais) per l’alimentazione animale. Abbiamo una documentazione precisa dalla Bibbia (2 Re 7:1) che il prezzo dell’orzo era esattamente la metà del grano. Cosa significa dunque l’offerta di qualcosa che è precoce, resistente, poco commestibile, comunque utile e che sul mercato si vende a metà prezzo? Qualcuno ci ha visto, con un po’ di fantasia, un simbolo della condizione ebraica. Il gioco delle interpretazioni è aperto.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Gillo Dorfles: “Combatto ancora contro il cattivo gusto”
L’ uomo che ha insegnato agli italiani che cos’è il kitsch, il pessimo gusto che pervade l’arte, gli oggetti e il nostro vivere quotidiano, non accenna ad abbassare la guardia. A 102 anni portati con un velo di civetteria e a quasi mezzo secolo dal suo fondamentale saggio sul kitsch che segnò una svolta nella percezione del contemporaneo, Gillo Dorfles, vulcanica figura di intellettuale che ha attraversato da protagonista il Novecento, mantiene uno sguardo attento e colmo d’ironia sul mondo. “Usciamo da un decennio che è stato assolutamente dominato dal kitsch: nei gesti, nel modo di vestire e di atteggiarsi, nel comportamento di certa classe politica - riflette. - Ora mi sembra ci si stia avviando verso un periodo improntato a un maggiore rigore”. Ma chiedergli una parola di ottimismo sul futuro è inutile: l’unica risposta è un sorriso svagato, tra il tagliente e il distratto. Il professore ci riceve nella sua casa milanese in pieno centro, affacciata su una piazza punteggiata d’alberi e panchine. L’appartamento silenzioso è immerso nella penombra e colmo di libri ammucchiati con ordine in ogni dove: sui tavoli e i tavolini, sulle sedie e perfino sul pavimento. Bastano pochi minuti per abituare lo sguardo a rendersi conto di essere circondati da veri tesori d’arte: in primo luogo i quadri dello stesso Dorfles per cui la pittura è ancora oggi pratica e passione quotidiana.
Professore, che cos’è il kitsch?
La parola non esiste da molto in Italia, mentre in Germania è piuttosto comune. In tedesco viene probabilmente da termine pferkistchen che significa pasticciare. In italiano la si potrebbe tradurre con triviale, pacchiano. É un concetto che indica il cattivo gusto. Un tratto assai più universale del buon gusto.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, aprile 2012

pilpul
Davar Acher - La percezione dell'antisemitismo
Ugo VolliQuando compaiono i dati sulla permanenza dell'antisemitismo in Europa (per esempio qui), inevitabilmente ci si interroga sulle ragioni del fenomeno, qualcuno accenna a cause sociali (“nei tempi di crisi economica aumenta l'intolleranza”), molti accostano impropriamente l'antisemitismo col razzismo e magari con l'”islamofobia” - qualunque cosa significhi questa parola - e inevitabilmente si discute e si fanno ipotesi varie. Ma per lo più non si bada al fatto elementare che l'antisemitismo è un'ideologia e che essa per diffondersi dev'essere legittimata da autorità culturali e giuridiche e dev'essere comunicata. Dopo la provocatoria “poesia” - diciamo così - di Gunther Grass e il non poco sostegno che ha ricevuto sulla stampa di sinistra (in particolare su Europa, sul Manifesto, per esempio Giorgio Foti sul numero del 19, sull'Unità, da ultimo e particolarmente velenoso, ieri Marco Ravelli), nei giorni scorsi vi sono stati in Italia due episodi poco diffusi dai media ma altamente significativi in questo senso. Il primo è la pubblicazione della sentenza sul caso Nirenstein/Caldarola/Vauro Senesi. Come si ricorderà, il disegnatore e militante antisraeliano Senesi in occasione delle ultime elezioni politiche aveva pubblicato sul “Manifesto” una vignetta che rappresentava Fiamma Nirenstein con i tratti ebraici tipici della pubblicistica antisemita (il nasone ecc.) e aveva accostato sul suo petto la stella di Davide con il fascio littorio e il simbolo di Forza Italia. Caldarola, insieme a molti illustri rappresentanti dell'ebraismo italiano e mondiale, aveva accusato la vignetta di antisemitismo, solo che lo aveva fatto in un pezzo satirico e surreale, in cui descrivendo una trasmissione di Santoro chiaramente inesistente, fra altre affermazioni irrealistiche come la minaccia del giornalista Ruotolo di buttarsi in una montagna di babà o Travaglio descritto come vampiro, si diceva che “Vauro non accetta di censurare la vignetta, che ha fatto tanto ridere Gino Strada, in cui chiama Fiamma Nirenstein 'sporca ebrea'.” Senesi, autore di satire che non ammette di essere satireggiato, aveva querelato Caldarola. Qualche mese fa si è saputo che Caldarola è stato condannato in primo grado. Ora possiamo leggere la sentenza e capire la ragione della decisione giudiziaria, che a suo tempo fece molta polemica. Il giudice accetta senza discuterle tutte le giustificazioni anche risibili di Vauro, per cui il nasone di Nirenstein non sarebbe un tratto caricaturale antisemita ma null'altro che un difetto generale dei suoi disegni (ed è facile verificare che non è vero), mentre l'intreccio dei simboli ebraici con quelli fascisti non avrebbe altro senso che segnalare l'innaturale partecipazione di Fiamma Nirenstein a una lista cui era candidata anche la nipote di Mussolini (va a vedere che il signor Senesi debba insegnare agli ebrei quel che è naturale o innaturale per loro). Inoltre al giudice il disegnatore sembra un'ottima persona perché collabora con Emergency. Anche se nella sentenza la verità esce, quando si legge che “Senesi ha precisato che le affermazioni contenute nell'articolo scritto dall'imputato lo avevano profondamente offeso in quanto convinto ANTISEMITA”. Infine la satira di Caldarola non risponderebbe ai principi di verità, interesse pubblico e “continenza formale”, mentre il giudice non si chiede affatto se la vignetta che è all'origine dell'episodio vi risponda - e certamente non lo fa. Applicando il principio della “continenza formale”, onde evitare una condanna anche per me, non mi permetto di scrivere qui quel che penso di questa sentenza. Mi limito a segnalarla come un sintomo grave di una tendenza sociale. Il secondo episodio è stato segnalato venerdì su Avvenire. Il premio Abbiati della critica musicale per il miglior spettacolo d'Opera della scorsa stagione, che gode del patrocinio della presidenza della Repubblica, è stato assegnato al regista Graham Vick del “Mosé in Egitto” di Rossini: un lavoro che era stato duramente criticato da tutto il mondo ebraico e anche ufficialmente dall'Ucei quando era stato rappresentato nell'agosto scorso, suscitando uno scandalo. Per dire quel che ne penso non posso far meglio che riferirmi alle dichiarazioni di Lilina Segre riportate dall'”Avvenire”: “Chi ha dato il premio avrà avuto le sue ragioni - dice - ma io sono rimasta colpita soprattutto dal falso storico che si è voluto rappresentare con un messaggio antiebraico e antisionista trasversale. Aver rappresentato Mosè vestito da Bin Laden e fatto passare i bambini delle scuole ebraiche con la kippah in testa come piccoli kamikaze delle scuole del terrore, non corrisponde alla realtà. La semina dell'odio nei testi scolastici si trova altrove in paesi dove fin dall'asilo si insegna l'odio contro gli ebrei”. Si tratta di un altro episodio molto significativo, da accostare alla sentenza del giudice di Roma e alle reazioni agli sproloqui di Grass. Cercando di esprimerci nella maniera più fredda che sia possibile, bisogna ammettere che la percezione dell'antisemitismo di qualche giudice della Repubblica, dei critici musicali italiani, di illustri collaboratori dei giornali di sinistra, di certi politici è assai lontana da quella prevalente nel mondo ebraico. Noi avvertiamo eventi come le poesie di Grass, le vignette di Vauro, le regie di Vick, non solo come profondamente offensive, ma anche come oggettivamente pericolose; come diretti interessati sappiamo che esse contribuiscono a legittimare se non proprio a provocare l'antisemitismo. Sappiamo che la Shoah è stata preceduta da campagne analoghe, in cui degli ebrei erano rappresentati come mostri pericolosi, affamatori del popolo, innaturali, violenti, assassini di bambini ecc. Comprendiamo che, nonostante ogni affermazione in contrario, non vi è differenza, già oggi nel mondo islamico e in parte anche in Europa, fra demonizzare Israele e gli ebrei. Siamo attenti alla dinamica espressa in maniera chiarissima nell'articolo di Forti citato sopra, per cui la genuflessione degli ebrei (in questo caso di Moni Ovadia) alle ragioni dei loro nemici, non è mai considerata sufficiente, gli ebrei antisionisti non sono mai abbastanza esentati dal loro odio di Israele. Guardiamo con angoscia al possibile legame fra episodi del genere di giustificazione intellettuale e politica da un lato e i fatti concreti dell'antisemitismo dall'altro, che si può già riscontrare in Francia e nei paesi nordici (dove per esempio il sindaco di Malmoe ha ripetutamente dichiarato che gli atti di violenza antisemita cui sono sistematicamente sottoposti gli ebrei della sua città sono almeno in parte colpa loro, perché non condannano abbastanza “i crimini di Israele”). Dall'altra parte, fra intellettuali, giornalisti, critici, certi giudici, pare proprio che le ragioni per cui certi prodotti culturali ci paiono allarmanti sono considerate ragioni di valore. E' il caso della regia di Vick, che non ha meriti particolari, a parte la trasposizione in termini contemporanei violentemente antisraeliani (e in definitiva antisemiti, come sostiene Liliana Segre): bisogna ritenere che sia stata premiata non 'nonostante' i suoi contenuti testualmente impropri che ci offendono, ma 'per merito di essi'. Grass piace ai Ravelli e ai Forti non 'nonostante' la sua violenta deformazione dei rapporti fra Israele e Iran, ma 'a causa di questi'. Caldarola è stato condannato e Senesi assolto, bisogna supporre, non 'nonostante' la chiara diffamazione che la vignetta fa della figura di Fiamma Nirenstein (che oggi è ritratta quasi negli stessi termini, con accostamenti di svastica e stella di Davide, in siti esplicitamente antisemiti, come per esempio Holywar), ma forse 'proprio perché' attacca lei. Dobbiamo insomma prendere atto che ciò che a buona parte del mondo ebraico appare manifestazione ripugnante di antisemitismo per almeno alcuni giudici della nostra Repubblica, per studiosi di solito attenti e pensosi come i critici musicali, per giornalisti e intellettuali di sinistra, non appare pertinente, non costituisce un elemento di valutazione negativa. Eventualmente se quello che a noi appare come antisemitismo si rivolge in primo luogo contro Israele o contro personalità fortemente impegnate nella difesa di Israele come Nirenstein, questo fatto appare loro come un merito da premiare e lodare. La sentenza contro Caldarola loda ripetutamente Vauro Senesi per il suo impegno sociale, i critici musicali hanno trovato la regia di Vick lodevole non per la sua forma (che fu giudicata da parecchi cronisti sciatta e banale), ma per i suoi tratti antiebraici; Grass è lodato per aver rotto “finalmente” il tabù tedesco del silenzio conseguente alla Shoah. L'Italia, dicono le statistiche, è un luogo ancora meno antisemita di Spagna, Polonia, Ungheria, Svezia, Norvegia. Se le cose andranno avanti così non lo resterà a lungo ancora. E' meglio prenderne atto: anche da noi l'antisemitismo è ormai sdoganato (o almeno considerato non meritevole di condanna almeno quando si applica a ebrei vivi e non a quelli morti).                       

Ugo Volli

notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di vita - Una marcia per Artom
e le tracce ebraiche nei simboli di Roma

  Leggi la rassegna

Una marcia a Torino in memoria del giovane Emanuele Artom, partigiano del gruppo antifascista Giustizia e Libertà, catturato dai tedeschi e torturato a morte. La sua vicenda umana e intellettuale raccontata da Ugo Sacerdote, suo allievo e compagno di allora nel primo servizio della puntata di Sorgente di vita di domenica 22 aprile.



p.d.s.
 

Poche righe, stringate, per una domenica che non riserva nulla di particolarmente interessante, né tanto meno di fascinoso, per quelli che sono gli argomenti propri alla nostra rassegna. Qualche richiamo, quindi, su quanto ci è offerto dalla stampa nazionale, spigolando tra le diverse testate. Da leggere l’articolo di Francesca Paci, per la Stampa, dedicato alla mancanza di humor nel mondo arabo.

Claudio Vercelli








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