Miriam
Camerini, regista
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![miriam camerini](http://www.moked.it/unione_informa/120422/miriam-camerininl.jpg) |
L'anziana impiegata, immigrata
una vita fa dal Meridione, tira fuori dalla tasca del tailleur
disegnato da lei stessa, che da giovane voleva fare la stilista, "ma
papà disse che quello non era un mestiere" un fazzolettone rosso e lo
sventola a ritmo di marcia mentre compagni dai campi e dalle officine
risuona vigoroso. Finita la musica, lo piega meticolosamente e lo
ripone in tasca. Si potrebbe riassumere con questa scena tutto il
memorabile spettacolo Settimo, la fabbrica e il lavoro scritto e
diretto da Serena Sinigaglia, che ha debuttato al Piccolo Teatro Studio
di Milano quest'inverno ed è ora in tourné nelle maggiori piazze
italiane. Si potrebbe farlo, ma sarebbe un peccato perché lo spettacolo
è puro godimento, dall'inizio alla fine. Scritto magistralmente
utilizzando 34 video interviste realizzate nello
stabilimento Pirelli di Settimo Torinese, il testo racconta
la complessità, la fatica, la ricchezza, la monotonia, la solidarietà e
molti altri aspetti ancora della vita in fabbrica. Tutto alla luce
della fine di un'era. La classe operaia andrà forse in paradiso, ma
siamo sicuri che il paradiso esista ancora? Quel che sospetto è che non
esista più la classe operaia. Almeno non quella dei fazzoletti rossi.
La scena del sindacalista con il biglietto da visita basterebbe a
fugare ogni dubbio in merito. La fabbrica muore, ma l'operaio rimane..
Che cosa farne? Gli immigrati continuano a raggiungere le nostre città,
chiedendo lavoro: come impiegarli? I giovani si laureano e lavorano in
un call center, precari. Una filosofia orientale ci viene in soccorso,
consigliandoci di eliminare il superfluo, concentrarci, fare pulizia.
Lo spazio scenico è ormai invaso da copertoni che sembrano tanti sacchi
neri dell'immondizia, quindi il saggio potrebbe aver ragione. Raccolti
i vecchi pezzi di gomma, ormai inutili, resta l'idea creatrice: la
specializzazione. Certo: non tutti troveranno posto nella nuova
industria di alta qualità e poca manodopera, ma c'è scelta? Non è una
domanda retorica. Di retorica in questo spettacolo non ce n'è l'ombra.
Le ombre, meravigliose, sono quelle dell'impiegata e del giovane
aspirante operaio proiettate sul muro a mattoni dalla torcia elettrica
durante il blackout. Perché è un blackout a segnare il punto di svolta
della vicenda. L'importante è che il processo di produzione non si
arresti mai: la fabbrica lavora sette giorni 24 ore, grazie agli
immigrati che hanno scoperto che offrendosi volontari per i turni di
notte e di festa riescono ad arrivare a fine mese e a far studiare
l'unico figlio che si sono permessi di mettere al mondo. La dignità del
lavoratore, ancor prima di quella del lavoro, è ciò che mi porto a casa
questa sera.
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L’ uomo che ha
insegnato agli italiani che cos’è il kitsch, il pessimo gusto che
pervade l’arte, gli oggetti e il nostro vivere quotidiano, non accenna
ad abbassare la guardia. A 102 anni portati con un velo di civetteria e
a quasi mezzo secolo dal suo fondamentale saggio sul kitsch che segnò
una svolta nella percezione del contemporaneo, Gillo Dorfles, vulcanica
figura di intellettuale che ha attraversato da protagonista il
Novecento, mantiene uno sguardo attento e colmo d’ironia sul mondo.
“Usciamo da un decennio che è stato assolutamente dominato dal kitsch:
nei gesti, nel modo di vestire e di atteggiarsi, nel comportamento di
certa classe politica - riflette. - Ora mi sembra ci si stia avviando
verso un periodo improntato a un maggiore rigore”. Ma chiedergli una
parola di ottimismo sul futuro è inutile: l’unica risposta è un sorriso
svagato, tra il tagliente e il distratto. Il professore ci riceve nella
sua casa milanese in pieno centro, affacciata su una piazza punteggiata
d’alberi e panchine. L’appartamento silenzioso è immerso nella penombra
e colmo di libri ammucchiati con ordine in ogni dove: sui tavoli e i
tavolini, sulle sedie e perfino sul pavimento. Bastano pochi minuti per
abituare lo sguardo a rendersi conto di essere circondati da veri
tesori d’arte: in primo luogo i quadri dello stesso Dorfles per cui la
pittura è ancora oggi pratica e passione quotidiana.
Professore,
che cos’è il kitsch?
La parola non esiste da molto in Italia, mentre in Germania è piuttosto
comune. In tedesco viene probabilmente da termine pferkistchen che
significa pasticciare. In italiano la si potrebbe tradurre con
triviale, pacchiano. É un concetto che indica il cattivo gusto. Un
tratto assai più universale del buon gusto.
Daniela
Gross, Pagine Ebraiche, aprile 2012
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Davar Acher - La percezione
dell'antisemitismo
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Quando compaiono i dati sulla
permanenza dell'antisemitismo in Europa (per esempio qui),
inevitabilmente ci si interroga sulle ragioni del fenomeno, qualcuno
accenna a cause sociali (“nei tempi di crisi economica aumenta
l'intolleranza”), molti accostano impropriamente l'antisemitismo col
razzismo e magari con l'”islamofobia” - qualunque cosa significhi
questa parola - e inevitabilmente si discute e si fanno ipotesi varie.
Ma per lo più non si bada al fatto elementare che l'antisemitismo è
un'ideologia e che essa per diffondersi dev'essere legittimata da
autorità culturali e giuridiche e dev'essere comunicata. Dopo la
provocatoria “poesia” - diciamo così - di Gunther Grass e il non poco
sostegno che ha ricevuto sulla stampa di sinistra (in particolare
su Europa, sul Manifesto, per esempio Giorgio Foti
sul numero del 19, sull'Unità, da ultimo e particolarmente velenoso,
ieri Marco Ravelli), nei giorni scorsi vi sono stati in Italia due
episodi poco diffusi dai media ma altamente significativi in questo
senso. Il primo è la pubblicazione della sentenza sul caso
Nirenstein/Caldarola/Vauro Senesi. Come si ricorderà, il disegnatore e
militante antisraeliano Senesi in occasione delle ultime elezioni
politiche aveva pubblicato sul “Manifesto” una vignetta che
rappresentava Fiamma Nirenstein con i tratti ebraici tipici della
pubblicistica antisemita (il nasone ecc.) e aveva accostato sul suo
petto la stella di Davide con il fascio littorio e il simbolo di Forza
Italia. Caldarola, insieme a molti illustri rappresentanti
dell'ebraismo italiano e mondiale, aveva accusato la vignetta di
antisemitismo, solo che lo aveva fatto in un pezzo satirico e surreale,
in cui descrivendo una trasmissione di Santoro chiaramente inesistente,
fra altre affermazioni irrealistiche come la minaccia del giornalista
Ruotolo di buttarsi in una montagna di babà o Travaglio descritto come
vampiro, si diceva che “Vauro non accetta di censurare la vignetta, che
ha fatto tanto ridere Gino Strada, in cui chiama Fiamma Nirenstein
'sporca ebrea'.” Senesi, autore di satire che non ammette di
essere satireggiato, aveva querelato Caldarola. Qualche mese fa si è
saputo che Caldarola è stato condannato in primo grado. Ora possiamo
leggere la sentenza
e capire la ragione della decisione giudiziaria, che a suo tempo fece
molta polemica. Il giudice accetta senza discuterle tutte le
giustificazioni anche risibili di Vauro, per cui il nasone di
Nirenstein non sarebbe un tratto caricaturale antisemita ma null'altro
che un difetto generale dei suoi disegni (ed è facile verificare che
non è vero), mentre l'intreccio dei simboli ebraici con quelli fascisti
non avrebbe altro senso che segnalare l'innaturale partecipazione di
Fiamma Nirenstein a una lista cui era candidata anche la nipote di
Mussolini (va a vedere che il signor Senesi debba insegnare agli ebrei
quel che è naturale o innaturale per loro). Inoltre al giudice il
disegnatore sembra un'ottima persona perché collabora con Emergency.
Anche se nella sentenza la verità esce, quando si legge che “Senesi ha
precisato che le affermazioni contenute nell'articolo scritto
dall'imputato lo avevano profondamente offeso in quanto convinto
ANTISEMITA”. Infine la satira di Caldarola non risponderebbe ai
principi di verità, interesse pubblico e “continenza formale”, mentre
il giudice non si chiede affatto se la vignetta che è all'origine
dell'episodio vi risponda - e certamente non lo fa. Applicando il
principio della “continenza formale”, onde evitare una condanna anche
per me, non mi permetto di scrivere qui quel che penso di questa
sentenza. Mi limito a segnalarla come un sintomo grave di una tendenza
sociale. Il secondo episodio è stato segnalato venerdì su Avvenire. Il
premio Abbiati della critica musicale per il miglior spettacolo d'Opera
della scorsa stagione, che gode del patrocinio della presidenza della
Repubblica, è stato assegnato al regista Graham Vick del “Mosé in
Egitto” di Rossini: un lavoro che era stato duramente criticato da
tutto il mondo ebraico e anche ufficialmente dall'Ucei quando era stato
rappresentato nell'agosto scorso, suscitando uno scandalo. Per dire
quel che ne penso non posso far meglio che riferirmi alle dichiarazioni
di Lilina Segre riportate dall'”Avvenire”: “Chi ha dato il premio avrà
avuto le sue ragioni - dice - ma io sono rimasta colpita soprattutto
dal falso storico che si è voluto rappresentare con un messaggio
antiebraico e antisionista trasversale. Aver rappresentato Mosè vestito
da Bin Laden e fatto passare i bambini delle scuole ebraiche con la
kippah in testa come piccoli kamikaze delle scuole del terrore, non
corrisponde alla realtà. La semina dell'odio nei testi scolastici si
trova altrove in paesi dove fin dall'asilo si insegna l'odio contro gli
ebrei”. Si tratta di un altro episodio molto significativo, da
accostare alla sentenza del giudice di Roma e alle reazioni agli
sproloqui di Grass. Cercando di esprimerci nella maniera più fredda che
sia possibile, bisogna ammettere che la percezione dell'antisemitismo
di qualche giudice della Repubblica, dei critici musicali italiani, di
illustri collaboratori dei giornali di sinistra, di certi politici è
assai lontana da quella prevalente nel mondo ebraico. Noi avvertiamo
eventi come le poesie di Grass, le vignette di Vauro, le regie di Vick,
non solo come profondamente offensive, ma anche come oggettivamente
pericolose; come diretti interessati sappiamo che esse contribuiscono a
legittimare se non proprio a provocare l'antisemitismo. Sappiamo che la
Shoah è stata preceduta da campagne analoghe, in cui degli ebrei erano
rappresentati come mostri pericolosi, affamatori del popolo,
innaturali, violenti, assassini di bambini ecc. Comprendiamo che,
nonostante ogni affermazione in contrario, non vi è differenza, già
oggi nel mondo islamico e in parte anche in Europa, fra demonizzare
Israele e gli ebrei. Siamo attenti alla dinamica espressa in maniera
chiarissima nell'articolo di Forti citato sopra, per cui la
genuflessione degli ebrei (in questo caso di Moni Ovadia) alle ragioni
dei loro nemici, non è mai considerata sufficiente, gli ebrei
antisionisti non sono mai abbastanza esentati dal loro odio di Israele.
Guardiamo con angoscia al possibile legame fra episodi del genere di
giustificazione intellettuale e politica da un lato e i fatti concreti
dell'antisemitismo dall'altro, che si può già riscontrare in Francia e
nei paesi nordici (dove per esempio il sindaco di Malmoe ha
ripetutamente dichiarato che gli atti di violenza antisemita cui sono
sistematicamente sottoposti gli ebrei della sua città sono almeno in
parte colpa loro, perché non condannano abbastanza “i crimini di
Israele”). Dall'altra parte, fra intellettuali, giornalisti, critici,
certi giudici, pare proprio che le ragioni per cui certi prodotti
culturali ci paiono allarmanti sono considerate ragioni di valore. E'
il caso della regia di Vick, che non ha meriti particolari, a parte la
trasposizione in termini contemporanei violentemente antisraeliani (e
in definitiva antisemiti, come sostiene Liliana Segre): bisogna
ritenere che sia stata premiata non 'nonostante' i suoi contenuti
testualmente impropri che ci offendono, ma 'per merito di essi'. Grass
piace ai Ravelli e ai Forti non 'nonostante' la sua violenta
deformazione dei rapporti fra Israele e Iran, ma 'a causa di questi'.
Caldarola è stato condannato e Senesi assolto, bisogna supporre, non
'nonostante' la chiara diffamazione che la vignetta fa della figura di
Fiamma Nirenstein (che oggi è ritratta quasi negli stessi termini, con
accostamenti di svastica e stella di Davide, in siti esplicitamente
antisemiti, come per esempio Holywar), ma forse 'proprio perché'
attacca lei. Dobbiamo insomma prendere atto che ciò che a
buona parte del mondo ebraico appare manifestazione ripugnante di
antisemitismo per almeno alcuni giudici della nostra Repubblica, per
studiosi di solito attenti e pensosi come i critici musicali, per
giornalisti e intellettuali di sinistra, non appare pertinente, non
costituisce un elemento di valutazione negativa. Eventualmente se
quello che a noi appare come antisemitismo si rivolge in primo luogo
contro Israele o contro personalità fortemente impegnate nella difesa
di Israele come Nirenstein, questo fatto appare loro come un merito da
premiare e lodare. La sentenza contro Caldarola loda ripetutamente
Vauro Senesi per il suo impegno sociale, i critici musicali hanno
trovato la regia di Vick lodevole non per la sua forma (che fu
giudicata da parecchi cronisti sciatta e banale), ma per i suoi tratti
antiebraici; Grass è lodato per aver rotto “finalmente” il tabù tedesco
del silenzio conseguente alla Shoah. L'Italia, dicono le
statistiche, è un luogo ancora meno antisemita di Spagna, Polonia,
Ungheria, Svezia, Norvegia. Se le cose andranno avanti così non lo
resterà a lungo ancora. E' meglio prenderne atto: anche da noi
l'antisemitismo è ormai sdoganato (o almeno considerato non meritevole
di condanna almeno quando si applica a ebrei vivi e non a quelli
morti).
Ugo
Volli
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rassegna
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Sorgente
di vita - Una marcia per Artom e le tracce ebraiche nei simboli di Roma
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Leggi la rassegna |
Una marcia a Torino in
memoria del giovane Emanuele Artom, partigiano del gruppo antifascista
Giustizia e Libertà, catturato dai tedeschi e torturato a morte. La sua
vicenda umana e intellettuale raccontata da Ugo Sacerdote, suo allievo
e compagno di allora nel primo servizio della puntata di Sorgente di
vita di domenica 22 aprile.
p.d.s.
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Poche
righe, stringate, per una domenica che non riserva nulla di
particolarmente interessante, né tanto meno di fascinoso, per quelli
che sono gli argomenti propri alla nostra rassegna. Qualche richiamo,
quindi, su quanto ci è offerto dalla stampa nazionale, spigolando tra
le diverse testate. Da leggere l’articolo di Francesca Paci, per la Stampa, dedicato alla mancanza di humor nel mondo arabo.
Claudio Vercelli
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