Continua nel mondo la
mobilitazione delle comunità ebraiche e musulmane a difesa del diritto
alla circoncisione contro il quale si è recentemente espresso il
tribunale di Colonia. Commentando gli ultimi sviluppi, con la decisa
presa di posizione del governo tedesco a favore di una soluzione che
tuteli i valori e le tradizioni delle comunità religiose, il presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, in una
nota emessa poco prima di Shabbat, aveva espresso approvazione per le
parole pronunciate dal portavoce Steffen Seibert. "L'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane – si legge nella nota – accoglie con
soddisfazione la notizia che il governo tedesco si impegnerà a
contrastare la sentenza che vietava la circoncisione emessa alcuni
giorni fa dal tribunale di Colonia. Un pronunciamento che molto aveva
fatto discutere nel mondo suscitando le reazioni sdegnate di quanti,
ebrei italiani in testa, vedevano nell'agire di quei magistrati un
gravissimo attacco al principio di libertà religiosa su cui si fondano
le moderne società democratiche”. L'auspicio dell'UCEI, che si è da
subito schierata al fianco delle autorità ebraiche di Germania che
hanno deciso di investire direttamente il Parlamento della questione, è
adesso che questa posizione “possa ulteriormente rafforzarsi” e che
alle promesse “facciano presto seguito gli atti legislativi necessari e
adeguati".
Un film già visto
La decisione di una corte
tedesca di considerare reato la circoncisione rituale di un minorenne è
in un certo senso "un film già visto", una storia allarmante molto
antica che si ripresenta con abiti nuovi. Due i motivi di allarme.
Primo: l'aspetto giuridico. Varie volte nella storia ebraica,
nei peggiori momenti, la circoncisione è stata proibita per motivi
diversi. La vietarono i Seleucidi in odio ai riti ebraici, i Romani
sotto Adriano nell'ambito di norme contro le mutilazioni sessuali dei
riti orientali (che erano ben altra cosa). Queste decisioni
contribuirono a scatenare rivolte, la prima, dei Maccabei, vittoriosa,
la seconda, di Bar Kochbà, disastrosa per noi. L'aspetto nuovo della
decisione tedesca è che in questo caso, ammessa l'assenza di spirito
ostile, ma comunque in presenza di incomprensione, entra in gioco un
diritto quasi nuovo (in questa applicazione) come quello della tutela
del minore. La sostanza non cambia, il divieto della milà ritorna a
galla, ma la forma in cui si manifesta è nuova, come contrapposizione
di diritti, quello della libertà religiosa da una parte e quello della
tutela del minore dall'altra. Davanti a questo strano "scontro di
civiltà" bisogna comprendere i termini e le implicazioni e prendere le
nostre decisioni come ebrei, eredi e custodi dell'ordine divino dato ad
Abramo, di circoncidere ogni figlio a 8 giorni, in totale opposizione
al modo in cui oggi qualcuno intende il diritto dei minori. Insomma
questo è un momento e un tema nel quale bisogna scegliere da che parte
si sta. Questo introduce al secondo motivo di allarme. Il problema non
è solo di una corte tedesca, il problema è interno al mondo ebraico.
Sembra che il magistrato tedesco si sia meravigliato dell'ondata delle
proteste, raccontando come dopo la sua sentenza abbia ricevuto numerosi
messaggi di congratulazione da Israele. Sì, da Israele, dove sono
attivi piccoli ma vivaci movimenti di ebrei contrari alla circoncisione
sui minori. Come per qualsiasi altro tema della tradizione, anche sulla
milà vi sono stati sempre discussioni e rifiuti.
Tornando ai tempi dei Maccabei, l'incontro con i greci che in palestra
giocavano nudi (da qui la parola ginnastica), espose gli ebrei
circoncisi al ludibrio e molti corsero ai ripari con un intervento
"estetico" correttivo, scelta giudicata con orrore dalla tradizione
rabbinica. Per tanti motivi, antichi e recenti, una parte seppure
piccola di ebrei si sottrae alla milà. Anche qui bisogna fare la
scelta, da che parte stare. Ma che si sappia che è una scelta radicale
ed essenziale dell'identità ebraica.
Rav Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma
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Lo status delle
Comunità, una controversia da risolvere |
“Le comunità ebraiche sono
ONLUS? La risposta è sì, direi inequivocabilmente sì, eppure, non tutti
sono d’accordo. Soprattutto, non sono d’accordo tra di loro le agenzie
per le entrate delle diverse regioni italiane”. Valerio Di Porto,
coordinatore della Commissione Statuto dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane che nell'appena conclusa stagione ha gestito la
riforma istituzionale dell'ebraismo italiano e consigliere della Camera
dei Deputati, dove coordina l’Osservatorio sulla legislazione, riassume
in poche parole una controversia particolarmente complessa dal punto di
vista tecnico, e allo stesso tempo fondamentale per la vita delle
Comunità ebraiche italiane: il loro riconoscimento chiaro e univoco, da
parte dello Stato, come organizzazioni non lucrative di utilità
sociali, senza bisogno di nessuna iscrizione all'anagrafe delle ONLUS e
senza necessità di accertamenti da parte delle agenzie delle entrate.
A questo proposito il deputato del Partito Democratico Emanuele Fiano
ha presentato negli scorsi giorni un’interrogazione parlamentare. “Il
tema del riconoscimento come ONLUS delle comunità ebraiche,
riconoscimento che ha dirette ricadute sulla possibilità di accesso al
5 per mille, è assai controverso - si legge nel testo presentato alla
Camera che riassume anzitutto lo stato dell’arte della questione -
Infatti, le direzioni regionali delle entrate hanno assunto posizioni
tra loro divergenti, facendo venir meno ogni certezza del diritto e
creando evidenti sperequazioni tra regione e regione. In tempi recenti,
le comunità ebraiche di Ancona e di Milano sono state cancellate
dall'elenco delle ONLUS con provvedimento della competente direzione
generale delle entrate. La comunità di Ancona ha presentato un ricorso
avverso il provvedimento di cancellazione, che è in queste settimane in
trattazione. La comunità di Milano è stata anche sottoposta ad
ispezioni da parte della medesima Agenzia”.
In seguito al ricorso presentato, la Commissione tributaria provinciale
di Milano ha disposto la reiscrizione della comunità nell’anagrafe
unica delle ONLUS per la parte relativa all'assistenza sociale e
socio-sanitaria agli anziani. Ad Ancona il ricorso verrà discusso la
settimana prossima.
Apparentemente, la risposta al quesito è già contenuta nella legge, e
in particolare nell’articolo 10 del decreto legislativo n. 460 del 1997
(“Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e
delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”): gli enti
ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha
stipulato patti, accordi o intese (le comunità ebraiche sono
equiparabili ad enti ecclesiastici e lo Stato ha firmato l’Intesa con
l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con la legge n. 101 del 1989)
sono considerati ONLUS limitatamente all'esercizio delle seguenti
attività: assistenza sociale e socio-sanitaria; assistenza sanitaria;
beneficenza; istruzione; formazione; sport dilettantistico, a
condizione che per tali attività siano tenute separatamente le
scritture contabili.
“Dunque, basta tenere scritture contabili separate e null’altro
occorre: il testo è chiaro. Eppure, c’è chi dice no. E dal no
conseguono le più diverse richieste ed indagini sulle Comunità e le
loro attività” spiega ancora Di Porto.
“Appare necessario - al fine di superare le divergenti linee di
condotta assunte dalle Agenzie delle entrate - che il Ministro
dell'economia e delle finanze assuma un indirizzo univoco” la
conclusione dell’interrogazione dell’onorevole Fiano.
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Davar acher - La sentenza di
Colonia
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Il recente episodio di cronaca
della condanna della circoncisione da parte di un giudice tedesco
merita una riflessione approfondita, al di là della prima risposta di
scandalo o delle trattative e delle pressioni che le autorità ebraiche
europee hanno condotto per risolvere il caso, ottenendo finora
l'impegno del governo tedesco a proporre una legge in parlamento che
dovrebbe risolvere il caso in termini comunque non brevissimi. Com'è
noto un giudice di Colonia è intervenuto su un incidente accaduto nel
2010 quando un bambino musulmano durante il rito della circoncisione
(che nel caso islamico avviene nell'infanzia e non otto giorni dopo la
nascita come per gli ebrei) ebbe a soffrire di una emorragia, peraltro
risolta senza danni ulteriori. Come ha scritto il sito della CER, "per
il giudice tedesco – si legge nelle motivazioni della sentenza – la
circoncisione “è contraria all’interesse del bambino che dovrà decidere
più tardi e consapevolmente della sua appartenenza religiosa”. “Il
diritto del bambino alla sua integrità fisica” quindi “deve prevalere
sul diritto dei genitori” in materia di educazione e di libertà
religiosa." La sentenza del giudice di Colonia riguarda il caso singolo
ed è soggetta ad appello e può essere smentita da altre corti, ma per
ora fa testo ed è efficace, perché stabilisce una responsabilità
consapevole, un dolo vero e proprio per chi oggi provasse a praticare
circoncisioni sul territorio tedesco.
Naturalmente che in Germania, teatro settant'anni fa del tentativo
sistematico e industriale di eliminazione del popolo ebraico, si
proibisca la pratica identitaria basilare dell'ebraismo, non può non
fare rabbrividire. Ma al di là delle posizioni soggettive del giudice,
di cui non so nulla, sarebbe sbagliato interpretarla semplicemente come
un atto consapevolmente antisemita. Una lettura del genere, in tutta la
sua gravità, sarebbe perfino consolatoria. Essa invece va accostata
alle varie posizioni emerse negli ultimi anni sempre nell'Europa del
Nord per proibire la macellazione rituale, considerata non rispettosa
dei diritti dell'animale. Essa evidenzia cioè una tensione crescente
fra le concezioni umanitarie più "avanzate" e alcune caratteristiche
della vita ebraica (e in parte anche islamica). Da questo punto di
vista "il diritto del bambino alla sua integrità fisica" e quello
dell'animale ad evitare la sofferenza inutile devono prevalere
sull'organizzazione religiosa della vita.
Ma il giudice di Colonia che proibisce la circoncisione non si
sognerebbe di mandare la polizia in casa della gente per verificare che
i bambini non siano ipernutriti fino all'obesità, provocando loro danni
veri e permanenti (la predisposizione al diabete, com'è noto, è legata
all'alimentazione infantile); coloro che vogliono impedire la
macellazione ebraica senza stordimento chimico dell'animale non si
sognano di proibire l'allevamento intensivo di pollame, svolto in
condizioni di affollamento e reclusione veramente inumane per
accelerare l'ingrasso, oppure quel vero e proprio obbrobrio che è la
produzione di foie gras realizzando ingozzando forzatamente le oche in
modo da provocare in esse quella malattia che è il fegato grasso o
steatosi - e mille casi del genere, dal piercing all'abbronzatura
infantile, dalla mattanza dei tonni alla caccia.
Se lo facessero sarebbero accusati di invadere la privacy delle
famiglie o di interferire col commercio e con l'industria, di violare
cioè diritti riconosciuti e tutelati in quanto seri e fondati.
Circoncisione e macellazione secondo il rito ebraico o islamico non
fanno parte di questi interessi protetti, perché sono atti religiosi (o
etnici, una distinzione importante che non è possibile approfondire
qui) e dunque rientrano nella sfera individuale; ma soprattutto perché
la religione viene concepita secondo il modello cristiano e ancor più
protestante come "fede", cioè un atto cognitivo che non può essere
imposto e può essere assunto dall'individuo solo quando le sue capacità
cognitive si siano sviluppate a sufficienza; come fosse, diciamo, il
sostegno a un partito o a un movimento di idee. Per questa ragione,
come ho citato sopra, la circoncisione “è contraria all’interesse del
bambino che dovrà decidere più tardi e consapevolmente della sua
appartenenza religiosa”. Il problema è che questa definizione di
religione come credenza non coglie affatto la natura dell'ebraismo (e
probabilmente neanche dell'Islam), perché essa è soprattutto un fare,
una "forma di vita" per dirla nei termini della filosofia del Novecento
e anche una pedagogia di questa appartenenza, che inizia proprio dalla
circoncisione, da quel brit milà che è letteralmente "il patto del
taglio" (ma si può leggere anche "della parola"): il patto comunque, il
segno di un'appartenenza che è relazione, e relazione anche fisica,
concreta, riguardando il corpo e la vita.
Come tutti sappiamo, è piuttosto difficile diventare ebrei da adulti
(non sto parlando delle conversioni, qui, ma dell'osservanza), perché
le regole da seguire sono complesse e assumere la loro risonanza
emotiva. Le scelte del giudice tedesco derivano dall'idea,
antropologicamente insensata, ma radicata nel pensiero contemporaneo,
da Kant a Kelsen a Rawls, dell'uomo come un individuo astratto, privo
di appartenenze, che eventualmente in cuor suo sviluppa una fede o non
lo fa, ma questo riguarda solo lui e per il resto è un homo oeconomicus
o iuridicus, un consumatore o un elettore indifferente a lingue,
culture, identità, che deve essere rispettato come tale (protetto da un
"velo" di indifferenza) da stati altrettanto neutri e astratti. E' lo
stesso modo di pensare per cui le marche hanno più diritti delle
origini territoriali del cibo nella legislazione europea, o per cui
appare "razzista" o almeno "tribale" la richiesta di Netanyahu del
riconoscimento di Israele come "Stato ebraico".
Eppure proprio questa circostanza ne mostra la necessità. Certamente è
possibile difendere la circoncisione e la macellazione rituale
mostrando che se esse sono condotte con competenza secondo le regole
non sono affatto pericolosa l'una e specialmente dolorosa l'altra; che
esse in realtà incorporano preoccupazioni igieniche e sanitarie diffuse
al di là della barriera religiosa. E soprattutto bisogna sostenere che
l'appartenenza a una religione (o a un popolo, non ne discutiamo qui)
in primo luogo non è solo questione di fede ma di incorporazione
culturale, di appartenenza a una forma di vita; in secondo luogo che le
forme di vita (le religioni, le appartenenze) minoritarie meritano
particolare tutela contro il pericolo di un'assimilazione automatica
nei costumi maggioritari; infine, ma soprattutto, che la possibilità
per un bambino di entrare nella religione (nel popolo, nella forma di
vita) dei suoi avi non è solo un diritto dei genitori o del gruppo
collettivo in cui egli entra (dell'ebraismo), ma innanzitutto un
diritto suo. Perché non ci sono uomini astratti, tabulae rasae
culturali, ma sempre solo individui concreti che crescono in una forma
di vita o nell'altra. Dunque il giudice non ha tutelato la libertà del
bambino, ma l'ha violata imponendogli un'assimilazione al modello
cristiano (magari cristiano annacquato, come accade oggi) dominante.
E però non bisogna illudersi: questi argomenti possono far breccia,
possono contrastare le posizioni superficiali e demagogiche sui
"diritti dei bambini" e "degli animali" a essere trattati secondo la
cultura e gli interessi dominanti. Ma il problema è molto serio.
Nonostante il superficiale pluralismo delle mode e delle cucine, noi
viviamo in tempi di globalizzazione. Come durante il Medioevo o
l'Impero Romano, la sopravvivenza di minoranze culturali estranee ai
costumi collettivi è un fatto imbarazzante, scandaloso, perfino
illegale - con la differenza che non vi sono ghetti o statuti
extraterritoriali. Anche sul piano delle regole di vita, oltre che su
quello politico e della difesa dall'antisemitismo, la sola garanzia per
l'ebraismo è l'esistenza di Israele e non come stato multinazionale o
neutro, come vorrebbero i "modernisti", che porterebbe prima o poi
esattamente agli stessi problemi, ma come Stato nazione del popolo
ebraico.
Ugo
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Sorgente
di vita - Libertà religiosa
e diritto alla circoncisione
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Un tribunale tedesco ha
detto no alla circoncisione rituale, scatenando nella società civile un
acceso dibattito sulla libertà religiosa. Immediate le reazioni delle
comunità ebraiche e del rabbinato tedesco ed europeo.
p.d.s
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Dall’agenda dei giorni
correnti, ancora una volta segnata dalle ricorrenti preoccupazioni per
lo stato dell’economia internazionale, prendiamo spunto per l’incipit
facendo ricorso all’articolo di Alessandra Coppola pubblicato dal Corriere della Sera, dove a veloci
pennellate si offre uno spaccato della crisi greca e dei suoi frutti
velenosi.
Claudio Vercelli
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