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4
ottobre 2012 - 18
Tishrì
5773 |
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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In questo Shabbàth
leggiamo come Parasha il brano di Shemòth in cui Moshè, implorando il
perdono divino per il peccato del vitello d’oro, suggerisce a Ha-Kadòsh
Barùkh Hu’ alcuni motivi per non distruggere il popolo d’Israele. Il
motivo addotto per leggere proprio questo brano è
generalmente – e semplicisticamente – il fatto che subito dopo
vengono date alcune regole sui Mo‘adìm; però è una
motivazione piuttosto debole, perché sarebbe bastato cominciare con le
regole sulle feste, eventualmente aggiungendo dopo il brano
immediatamente successivo, che tratta della manifestazione luminosa del
rapporto di D. con Moshè (il fatto che il suo volto irradiava), e delle
regole dell’anno sabbatico, che a loro volta si collegano col concetto
di ricorrenza voluta dal Signore...
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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La scorsa settimana su questa
pagina avevamo invitato il Custode di Terra Santa, Fra Pierbattista
Pizzaballa, a smentire le affermazioni false del Francescano Artemio
Vitores circa le presunte "discriminazioni" subite dalla comunità
cristiana in Israele. Con piacere prendiamo atto della pronta
dichiarazione di Mons. Pizzaballa al sito www.israele.net che le
«affermazioni di Padre Artemio Vitores, Vicario della Custodia, sui
cristiani di Terra Santa, i loro problemi e la questione del loro
"esodo" ... non esprimono la posizione della Custodia di Terra Santa e
sono da considerarsi esclusivamente opinione personale di padre
Artemio». Queste parole certamente contribuiscono serenità, tanto
necessaria al dibattito. Da parte nostra ci uniamo alla pubblica
condanna delle stupide e offensive scritte che hanno imbrattato questa
settimana il cancello del convento francescano del Monte Sion a
Gerusalemme, e del tentato incendio dell’Abbazia di Latrun accompagnato
da altre scritte blasfeme lo scorso mese. «Queste azioni sono
incompatibili con lo spirito dell’ebraismo» – ha dichiarato Shimon
Peres. Ma la polizia israeliana dovrebbe intervenire con maggiore
durezza contro reati compiuti – a giudicare dalla calligrafia e dagli
strafalcioni linguistici dei graffiti – da autori analfabeti e
provocatori, e cionondimeno preoccupanti e gravemente nocivi
dell'immagine e degli interessi di Israele.
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30 anni - Nel nome di
Stefano |
Il rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni e il presidente della Comunità ebraica della Capitale Riccardo
Pacifici hanno annunciato che nella giornata di mercoledì si svolgerà,
alla presenza del Presidente della Repubblica, una solenne celebrazione
per ricordare il feroce attacco terroristico che colpì la sinagoga di
Roma 30 anni fa.
Nove ottobre
1982: è da poco terminata la funzione di Sheminì Atzeret quando,
all'uscita del Tempio Maggiore, un commando di terroristi palestinesi
attacca con granate e mitragliatrici la folla. Stefano Gay Taché, 2
anni, è colpito a morte. Al suo fianco i genitori e Gadiel, il fratello
di due anni più grande che riuscirà a sopravvivere soltanto dopo una
lunga e drammatica battaglia nelle corsie d'ospedale. Complessivamente
i feriti saranno alcune decine. Degli assassini nessuna traccia. Abdel
Al Zomar, condannato all'ergastolo dalla giustizia italiana, vive in
Libia dalla metà degli anni Ottanta. È un libero cittadino. A
trent’anni dall'attentato sembrano finalmente maturi i tempi per
iscrivere il nome di Stefano tra le vittime del terrorismo solennemente
menzionate dal Capo dello Stato ogni 9 maggio al Quirinale. Un
obiettivo che in questi anni ha visto molte persone stringersi al
fianco della Comunità ebraica di Roma, alla famiglia Taché e a tutte le
persone colpite dall'immenso peso di quella tragedia. “Nel 1982,
davanti alla sinagoga maggiore, durante la celebrazione di una festa
ebraica, la vita di un bambino di due anni fu stroncata da una banda di
terroristi che non ha esitato ad ucciderlo in nome della guerra al
sionismo. Il nome di Stefano Gay Taché – ha scritto il vicedirettore
del Corriere della sera Pierluigi Battista in un suo recente intervento
– non può essere più escluso da quella lista”.
30 anni - Roma non dimentica
In questi giorni ho ricevuto il
numero di ottobre di Pagine Ebraiche. C'è una foto che mi ha commossa e
allo stesso momento mi fatto pensare molto. Sono sicura che di quella
foto molti di voi non sanno chi sono i protagonisti. E' la foto
dell'attentato al tempio, quella con il vigile che tiene in braccio un
bambino ferito e vicino c'è un signore dai capelli biondi. L'uomo con i
capelli chiari è David Di Segni, ex deportato a Mauthausen, unico
superstite di una numerosa famiglia, tutta deportata. Era mio zio.
Quella foto rappresenta quello che è stata la nostra storia del
Novecento, la sofferenza della nostra comunità e non a caso un
sopravvissuto alla Shoah stava accanto a una vittima di quel vile
attentato. La storia della sofferenza si ripete, ma la sofferenza viene protetta
da coloro che hanno già sofferto. Scusate se mi sono permessa questa
interpretazione, ma credo che quella sia una fotografia piena di
significato e pochi se ne possono rendere conto. In qualche maniera
potrebbe essere sottolineato. Non so chi leggerà queste mie righe, ma vorrei almeno rivolgermi al
direttore di questo giornale. Scusate ancora il disturbo, un cordiale Shalom.
Grazia Di
Veroli
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Qui Roma - L'ultimo
omaggio a Shlomo Venezia |
Sono moltissime le
persone a rispondere alla chiamata per un ultimo saluto al Testimone
della Shoah Shlomo Venezia. Al Portico d'Ottavia, dove la salma
transita per alcuni minuti nella commozione e tra gli applausi della
gente, e successivamente al cimitero monumentale del Verano dove hanno
avuto luogo i funerali. Molto folta la rappresentanza istituzionale:
dal presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini al presidente
della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, dal sindaco della Capitale
Gianni Alemanno al leader Udc Pierferdinando Casini. E ancora Walter
Veltroni, la governatrice dimissionaria della Regione Lazio Renata
Polverini, l'ambasciatore dello Stato di Israele in Italia Naor Gilon,
gli onorevoli Fiamma Nirenstein, Emanuele Fiano e Alessandro Ruben. Al
fianco della famiglia Venezia, alla moglie Marika, ai figli Alberto,
Alessandro e Mario, è tutta la comunità ebraica e la
cittadinanza a stringersi nel dolore. “Shlomo è stato un uomo
eccezionale, le sue parole e la sua fermezza continueranno ad ispirare
le nuove generazioni”, afferma il presidente dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Commosso anche il ricordo del rabbino
capo Riccardo Di Segni (“Oggi salutiamo un chacham”, afferma rivolto
alla folla che sosta di fronte al Tempio Maggiore), del presidente
della Comunità ebraica Riccardo Pacifici, che al Verano torna a
chiedere alle istituzioni l'introduzione di una legge sul negazionismo, e del leader degli ebrei
francesi Richard Prasquier. A testimoniare la loro vicinanza tra gli
altri anche i sopravvissuti Piero Terracina e Andra Bucci, il
presidente del Museo della Shoah Leone Paserman, lo storico Marcello
Pezzetti e il presidente dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia Daniele
Regard. Sono proprio i giovani, in un simbolico passaggio
generazionale, ad accompagnare la bara nell'ultimo tragitto. “Shlomo –
afferma Regard – ha impresso in noi memorie personali che ci
accompagneranno per tutta la vita. Sarà nostro il compito di
trasmettere agli altri la sua storia affinché nulla venga dimenticato,
perché ha fatto sì che la sua memoria, oggi, sia anche la nostra”.
as - twitter @asmulevichmoked
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Milano, Storia e geografia negate. Un festival da bocciare |
Sdegno
nella Comunità ebraica di Milano. Sulla locandina di Philastiniat, il
festival dedicato ad arte e cultura palestinese, fra i loghi delle
varie organizzazioni coinvolte, proprio accanto al simbolo del Comune
di Milano, spicca quello della Missione diplomatica palestinese in
Italia, in cui è raffigurata una cartina del territorio palestinese che
comprende tutto lo stato d’Israele. Lo stesso simbolo utilizzato dalla
missione palestinese alle Nazioni Unite. “Sono stupito dal fatto che il
Comune non abbia controllato questa immagine prima di concedere il
patrocinio. I nostri rapporti con il Comune sono ottimi e fra amici i
problemi si affrontano con franchezza: questa locandina è un grave
errore - le dichiarazioni di Daniele Nahum, responsabile dei rapporti
istituzionali della Comunità – Questa è la stessa cartina riconosciuta
da Hamas, nella quale si cancella Israele e, di conseguenza, anche Tel
Aviv, città gemellata con Milano. Inoltre, nonostante avessimo
auspicato pubblicamente di essere invitati all'evento, non è arrivato
alcun invito alla Comunità ebraica di Milano. Evidentemente non è
gradita la nostra presenza”. Philastiniat, organizzato tra gli
altri da Arci, Teatro Verdi, Vento di Terra, Salaam Ragazzi dell'Ulivo,
Ministero della Cultura palestinese, Comunità palestinese lombarda, ha
aperto i battenti ieri e proseguirà fino al prossimo 6 ottobre, con
appuntamenti dedicati alla letteratura, al teatro, alla musica, e uno
speciale tributo all’intellettuale Edward Said. “Ben venga tutto
ciò che è cultura. Condividiamo l’iniziativa del Comune. Mi auguro che
sia un festival culturale e non trascenda in un incontro politico. Se
venissi invitato non mi tirerei indietro” le parole con cui il
presidente della Comunità ebraica Walker Meghnagi aveva accolto
l’iniziativa all’inizio di agosto. Nel corso della preparazione
della kermesse sono stati in molti tuttavia a mettere in guardia contro
il rischio che si trasformasse in un’occasione di propaganda, come
sottolineato da Sergio Della Pergola, demografo dell’Università ebraica
di Gerusalemme e esponente di spicco della comunità degli italkim, a
colloquio con il sindaco di Milano Giuliano Pisapia durante la sua
visita in Israele nel mese di settembre. “A mio parere il rischio molto
concreto è che la manifestazione si trasformi in un festival della
retorica – era stato l’ammonimento del professore – Per esempio nel
programma è stato inserito un incontro dedicato allo scrittore e
critico palestinese Edward Said, un intellettuale di grande spessore
letterario, che però è stato anche un teorico del non dialogo con
Israele. Capire in che prospettiva si vuole raccontare una figura del
genere è essenziale. Il sindaco di una città importante come Milano può
fare molto per il dialogo, anche promuovendo dei colloqui fra le parti,
per questo è fondamentale che si muova con molta attenzione”. Attenzione che, almeno nella preparazione della locandina, non è stata prestata.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
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Qui Roma - Medio Oriente, le vie di una questione irrisolta |
La
difesa di Israele, il suo ruolo fondamentale nello scacchiere
mediorientale, gli intricati e ancora irrisolti equilibri
internazionali. Tematiche che sono al centro del convegno Stato di
Israele e pace in Medio Oriente – Le vie di una questione irrisolta in
corso di svolgimento negli spazi di via Pola dell'Università Luiss.
L'incontro, realizzato in occasione della ristampa del celeberrimo
scritto Lo stato ebraico di Theodor Herzl a cura della casa editrice
Treves (introducono il saggio una presentazione di Shimon Peres e una
riflessione di Amos Luzzatto), ha visto tra i protagonisti della prima
sessione il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e
autorevoli ospiti del mondo della politica e dell'informazione quali
Dalia Itzik, ai vertici del partito israeliano Kadima, l'ex Capo di
Stato Maggiore della Difesa Mario Arpino, il vicepresidente
dell'Istituto Affari Internazionali Vincenzo Camporisi, il senatore
Luigi Compagna, il direttore del Servizio Studi e Relazioni
Internazionali della Banca d'Italia Giorgio Gomel e l'ex vicepremier e
ministro Gianni De Michelis. Ad aprire il convegno i saluti del
presidente della Luiss Sergio Fabbrini e del presidente di Treves
editore Nicolò Sella di Monteluce. “L'impegno nella difesa di
Israele – ha affermato Terzi di Sant'Agata – è un impegno che deve
accomunare tutte le società democratiche. Israele è un paese dai tanti
successi, in ambito economico e scientifico, ma anche nelle garanzie
che sono poste a difesa dei diritti dell'uomo. Una vera e propria start
un nation che può e deve diventare un punto di riferimento per tutto il
Medio Oriente. Il nostro obiettivo deve essere quello di favorire
questo processo e allontanare le tante insidie che minacciano la
stabilità dell'area”. La prima insidia, ha sottolineato il ministro, è
ad oggi rappresentata dalla spietata dittatura di Ahmadinejad e dalla
corsa al nucleare del regime iraniano. Una minaccia, la sua
opinione, a cui è preferibile rispondere con sanzioni economiche
“piuttosto che con interventi armati”. Nel pomeriggio si
riprenderà con un panel coordinato dalla docente Francesca Corrao con
la partecipazione tra gli altri del rettore emerito dell'Istituto
Pontificio di Studi Arabi Justo Lacunzo Balda, del deputato e
segretario nazionale della Sinistra per Israele Emanuele
Fiano, del consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Victor Magiar e dell'ex sottosegretario Alfredo Mantica.
Concluderà la giornata di studio un question time con dibattito
presieduto dal professor Raffaele Marchetti.
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Qui Milano - La capanna della libertà |
Uno dei significati
più belli, ma forse meno evidenti, della festa di Sukkot è che qualcosa
di piccolo e apparentemente fragile se guardato dalla giusta
prospettiva può rappresentare in realtà una grande forza. Questo però è
risultato lampante ieri pomeriggio per chi si trovava all’inaugurazione
della Sukkah costruita dal centro chabad Naar Israel in un cortile del
Castello Sforzesco di Milano, con i saluti del rabbino capo della
Comunità ebraica di Milano Alfonso Arbib, il vicesindaco di Milano
Maria Grazia Guida, Rav Avraham Hazan, direttore Merkos Leìnyane
chinuch – Italia, Rav Michael Elmaleh, direttore delle attività di Naar
Israel, Roberto Jarach, vicepresidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane e Yoram Ortona, architetto e consigliere della zona 7
a Milano.
La sensazione è prima di tutto visiva: circondata dalle possenti mura
rossicce del castello e dominata dalle sue torri rotonde, la Sukkah
appare ai passanti come un minuscolo parallelepipedo bianco in mezzo al
prato. In realtà tuttavia la sua presenza proprio all’interno di quelle
mura ha un valore simbolico molto importante. Infatti, come ha spiegato
Vittorio Bendaud, assistente di rav Giuseppe Laras, rabbino capo
emerito di Milano, che ha presentato gli ospiti, “fino a non molto
tempo fa il castello Sforzesco è stato la sede del governo di Milano,
che vietava agli ebrei di risiedere in città. Oggi invece ospita al suo
interno la sukkah, che si fa simbolo della presenza viva e forte degli
ebrei”.
E non solo, perché dimostra anche la volontà della minoranza ebraica di
entrare in comunicazione con i cittadini milanesi, “offrendo loro i
nostri valori e le nostre ricchezze culturali e storiche”, come ha
sottolineato Roberto Jarach. Perché, come ha fatto notare Rav Michael
Elmaleh, proprio la festa di Sukkot rappresenta la volontà della
religione ebraica di aprirsi alle altre culture: “Le preghiere tipiche
di questa festività non sono solo per il popolo ebraico, ma per tutti i
popoli di tutte le nazioni”.
E questo messaggio di collaborazione era presente anche nelle parole di
Maria Grazia Guida: “La presenza della sukkah è una grande risorsa per
la città perché è un modo di aprirsi alla scoperta dell’altro, al
confronto e alla convivenza. Un valore importante non soltanto dal
punto di vista culturale, in quanto permette di rispondere a esigenze
anche molto concrete e attuali: la povertà infatti non è solo quella
materiale dovuta alla crisi economica, ma anche quella della
solitudine, causata dalla mancanza di dialogo”.
E riprendendo proprio queste ultime parole, ha concluso rav Arbib:
“Dobbiamo rivedere i nostri valori, riconsiderare la potenza di ciò che
usiamo per proteggerci: le armi e il denaro, per esempio, si sono
rivelati strumenti che con la crisi attuale non servono più a nulla, ma
anzi sono stati la causa della nostra rovina. Una capanna invece,
abitazione all’apparenza così delicata, rappresenta per noi una
protezione di gran lunga maggiore, che dobbiamo cercare nel
rafforzamento della nostra interiorità e nel non essere soli, ma una
collettività. La sukkah è lì per ricordarci la possibilità di vivere
insieme”.
E per rendersi conto di quanto questo sia vero è sufficiente entrarvi
dentro, e alzando lo sguardo scorgere la massiccia torre del castello
attraverso le fronde del tetto che lasciano intravedere il cielo.
Francesca
Matalon – twitter @MatalonF
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UGEI - L'Italia unita
per Sukkot |
Roma e Milano, naturalmente. Ma
anche Torino, Trieste, Firenze. E poi ancora Genova, Padova e Parma. È
un Sukkot davvero “ a reti unificate” quello che si preparano a vivere
in questi giorni i ragazzi di tutte le principali Comunità ebraiche
italiane. Ritorna anche quest’anno, infatti – sulla scia del successo
degli ultimi appuntamenti – la fortunata formula di “Italia unita per
Sukkot”, l’iniziativa sponsorizzata dall’UGEI e realizzata tramite il
lavoro prezioso dei gruppi locali attivi in ogni città. In attesa degli
eventi più importanti che vedranno i giovani ebrei italiani riunirsi
per confrontarsi sul futuro e festeggiare insieme – tra poco meno di un
mese a Firenze si celebra il 18° Congresso Ordinario – le Sukkot di
tutte le principali Comunità accoglieranno in questi giorni tutti i
ragazzi “over-18”, nell’atmosfera intima e festosa tipica di queste
giornate. Un modo per cementare amicizie acquisite, allacciarne di
nuove, e riflettere sul significato mai anacronistico della Sukkà –
virtualmente “uniti” ai coetanei di tutte le altre città. E se per
molte Comunità la festa in Sukkà risulta un piacevole appuntamento di
routine, per alcuni gruppi locali la cena (o pranzo) che si terrà fra
questa sera e domenica rivestirà un significato davvero particolare. È
il caso del GEP – fuori dalle sigle il gruppo locale giovanile di
Padova, che con l’occasione celebrerà in grande stile l’apertura di una
nuova sala che da questo momento costituirà la sua “casa”
multi-funzionale, grazie al contributo di Comunità di Padova e
dell'UGEI. Un motivo in più per festeggiare per i giovani padovani e,
per estensione, per i coetanei di tutta Italia!
Simone Disegni
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Il nostro grande dolore |
Un
equivoco galleggiato sulla superfice oceanica delle notizie, si
aggiunge ai soliti equivoci sulla verità profonda dello sterminio
ebraico, spesso circondato da espressioni vuote, spesso chiacchierato,
cosparso di errori che sono ragli, di rado umilmente meditato e
compreso. Questo equivoco è l'uso continuato dell'espressione "nostro
grande dolore", dilagata nelle dichiarazioni di questo e di quello,
ansiosi di non mancare l'occasione di presenziare mediaticamente. Tra
gli ultimi testimoni della Shoah, nato a Salonicco, deportato nel 1944
ad Auschwitz-Birkenau e lì morto mille e mille volte, Shlomo Venezia
fece parte delle squadre degli ebrei ancora più nella sciagura degli
altri, che dovevano trasportare alla cremazione i cadaveri delle camere
a gas. Su di lui la vita ha posto peso sopra peso: il primo, la
condizione di tutti i deportati; poi la condizionare di fissare
ogni giorno l'insensata materia umana dopo la morte nelle camere, se
appunto quello fosse essere uomini; il ricordo incancellabile dei corpi
trasportati sui carretti con centinaia di ultime espressioni, unito al
ricordo di quello che pensava in quei lunghi momenti giornalieri, il
che non è mica un ricordo, ma rogna che mangia lo spirito, struggimento
nero. Infine il peso e la volontà di presentare tutto questo al mondo,
ricordarlo in modo appunto memorabile, netto e non invasivo, nella
lunga vita rimasta. E chissà se quella cosa tossica che scorreva
dentro a lui assieme alle giornate, alla fine desse il risultato di
essere vita. Che ci abbia lasciati crea grande dolore, ma soprattutto
il sollievo che sia giunta la sua libertà. Ora sì, che è uscito da
Auschwitz.
Il Tizio della Sera
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Shlomo Venezia |
"Non ho più avuto una vita
normale. Non ho mai potuto dire che tutto andasse bene e andare, come
gli altri, a ballare e a divertirmi in allegria. Tutto mi riporta al
campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna
sempre allo stesso posto. È come se il "lavoro" che ho dovuto fare
laggiù non sia mai uscito dalla mia testa. Non si esce mai, per
davvero, dal Crematorio." (Shlomo Venezia)
Daniel Funaro, studente
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notizieflash |
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rassegna
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Etrog made in USA
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Leggi la rassegna |
Da
vari anni Matt Bycer 33
anni, giovane avvocato di Scottsdale, in Arizona, si sveglia alle prime
luci dell'alba non certo per esercitare la professione ma per
innaffiare la sua fattoria dove coltiva etrog (cedri), una delle
quattro specie di piante che compongono il lulav, il fascio di rami da
tenere in mano e scuotere durante la festa di Sukkot. Nativo di
Phoenix,
Bycer, ha iniziato la sua coltivazione su larga scala di etrog dal 2007
e sogna di diventare il più grande produttore di cedri degli Stati
Uniti. Attualmente il primato spetta a un agricoltore californiano di
nome John Kirkpatrick, intervistato lo scorso anno dalla
rivista Tablet. "Sono un avvocato di giorno e agricoltore all'alba", ha
detto. "Ci vuole un sacco di lavoro per seguire questa fattoria, e
molta gente ride di me e pensa che sia una scelta eccentrica, ma
ho un giardino enorme e mi piace lavorare fuori. Questa è la mia
passione"
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Nuovo significativo capitolo
inerente al procedimento giudiziario contro otto ex militari delle SS
responsabili della strage di Sant'Anna di Stazzema che a Stoccarda si è
sorprendentemente chiuso con l'archiviazione. In visita a Roma
nell'anniversario della riunificazione tedesca il ministro per gli
Affari Europei di Berlino Micael Geor Link ha affermato: “Faremo tutto
il possibile affinché i crimini compiuti per mano tedesca non vengano
dimenticati.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
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